Corte di Cassazione, sezione civile, ORDINANZA 7 febbraio 2020, n.2977.
La massima estrapolata:
In tema di contraffazione di brevetti per invenzioni industriali posta in essere per equivalenza ai sensi del D.Lgs. 10 febbraio 2005, n. 30, art. 52, comma 3 bis come modificato dal D.Lgs. 13 agosto 2010, n. 131 il giudice, nel determinare l’ambito della protezione conferita dal brevetto, non deve limitarsi al tenore letterale delle rivendicazioni, interpretate alla luce della descrizione e dei disegni, ma deve contemperare l’equa protezione del titolare con la ragionevole sicurezza giuridica dei terzi, e pertanto deve considerare ogni elemento sostanzialmente equivalente a un elemento indicato nelle rivendicazioni; a tal fine può avvalersi di differenti metodologie dirette all’accertamento dell’equivalenza della soluzione inventiva, come il verificare se la realizzazione contestata permetta di raggiungere il medesimo risultato finale adottando varianti prive del carattere di originalità, perché ovvie alla luce delle conoscenze in possesso del tecnico medio del settore che si trovi ad affrontare il medesimo problema; non può invece attribuire rilievo alle intenzioni soggettive del richiedente del brevetto, sia pur ricostruite storicamente attraverso l’analisi delle attività poste in essere in sede di procedimento amministrativo diretto alla concessione del brevetto
ORDINANZA 7 febbraio 2020, n.2977
Con atto di citazione notificato il 21/4/2001 la s.r.l. ——, titolare del brevetto italiano n. (omissis) , concesso su domanda del 28/10/1997, relativo ad un “Processo e impianto per l’estrazione e concentrazione del tannino da legno e altri prodotti naturali”, nonché di domanda di brevetto Europeo del 27/10/1998 in estensione sulla base del brevetto italiano, ha convenuto in giudizio dinanzi al Tribunale di Reggio Emilia la s.r.l. ——, chiedendo accertarsi la nullità del brevetto richiesto dalla convenuta con la domanda del 2/7/1998 n. (omissis) dal titolo “Procedimento per estrarre e raffinare il tannino”, la non contraffazione del concedendo brevetto N.. da parte del brevetto nazionale P. n. (…), la contraffazione del brevetto P. da parte di N., la commissione di atti di concorrenza sleale da parte di N.; l’attrice ha chiesto altresì nei confronti della convenuta la pronuncia di inibitoria relativamente alle attività di contraffazione brevettuale e concorrenza sleale, la condanna al risarcimento dei danni e la pubblicazione della sentenza.
N.. si è costituita in giudizio, chiedendo la chiamata in causa di A. s.r.l., originaria contitolare del brevetto P., che, una volta evocata in giudizio, è rimasta contumace.
La convenuta N.. ha chiesto altresì il rigetto delle domande attoree e, in via riconvenzionale, il trasferimento a suo favore del brevetto P., l’accertamento della contraffazione del suo brevetto da parte di Prora con le conseguenti pronunce inibitorie e risarcitorie; ha altresì eccepito l’inammissibilità della domanda di accertamento negativo della contraffazione del brevetto N..
Nel corso del giudizio in data 18/2/2002 è stato concesso il brevetto Europeo P. (OMISSIS), dopo che P., accedendo alla richiesta degli esaminatori EPO, aveva integrato le rivendicazioni indipendenti di processo e di prodotto, inserendo una fase intermedia cosiddetta di pre-filtrazione; alla concessione del brevetto è seguita l’opposizione di N.. e l’appello della relativa decisione, con la conferma finale del brevetto da parte del Board of Appeal dell’EPO.
Esperita consulenza tecnica d’ufficio, il Tribunale di Reggio Emilia con sentenza del 18/2/2009 ha accertato la nullità del brevetto di cui alla domanda N.. del 2/7/1998 (omissis) ; ha accertato (testualmente) “che il brevetto italiano P. italiano n. (…) depositato il 28/10/1997 con il N. (omissis) nonché il brevetto Europeo P. con numero di domanda ed Europeo (omissis) non costituivano contraffazione della domanda di brevetto N.. N. (omissis) “; ha inibito a N.. l’utilizzazione del procedimento descritto in detto brevetto, del relativo impianto industriale e del procedimento oggetto della predetta domanda di brevetto del 2/7/1998; ha condannato N.. alla rifusione delle spese processuali e di consulenza tecnica.
2. Avverso la predetta sentenza ha interposto appello la P., a cui ha resistito l’appellata N., proponendo altresì appello incidentale.
La A. s.r.l. è rimasta contumace.
La Corte di appello di Bologna con sentenza del 10/6/2015, ha accolto l’appello incidentale di N., per l’effetto respingendo le domande tutte di P. e considerando precluso l’appello principale, con la compensazione delle spese del doppio grado di giudizio e con le spese di c.t.u. a carico di P..
La Corte di appello ha dato atto preliminarmente dell’avvenuto abbandono della domanda di N.. tesa alla rivendicazione del brevetto P. e dell’accertata insussistenza di una contraffazione letterale del brevetto P. da parte di N.; ha quindi escluso che potesse ravvisarsi una contraffazione per equivalenti del brevetto, considerando decisiva la limitazione ad una fase di filtrazione per fermare particelle più grandi di 10 pm (ossia micron), quale caratteristica essenziale per differenziare il trovato dalla tecnica nota (essential feature), apportata da P. alla sessione del 22/2/2006 dinanzi alla Commissione di esame dell’EPO, per superare le obiezioni sollevate dagli esaminatori; ha ritenuto che l’impraticabilità del ricorso al principio di equivalenza per accertare la contraffazione rendesse superfluo l’esame delle ulteriori censure sollevate da N. rispetto alla sentenza impugnata; ha infine aggiunto che le stesse considerazioni portavano alla riforma della sentenza di primo grado, laddove aveva dichiarato la nullità del brevetto N. per assenza di novità intrinseca rispetto al brevetto P. e aveva accertato la commissione di atti di contraffazione dei brevetti italiano ed Europeo P. da parte di N..
3. Con atto notificato il 3/6/2016 ha proposto ricorso per cassazione P. s.r.l. avverso la predetta sentenza del 10/6/2015, non notificata, svolgendo quattro motivi.
Con atto notificato il 25/7/2016 ha proposto controricorso N.. s.r.l., chiedendo il rigetto dell’avversaria impugnazione.
Con atto notificato il 25/7/2016 ha proposto controricorso anche Gruppo M.S. s.r.l., società destinataria della notificazione del ricorso, chiedendo il rigetto dell’avversaria impugnazione e assumendo l’inammissibilità della sua chiamata, effettuata da parte ricorrente perché la sentenza fosse resa anche nei suoi confronti ex art. 111 c.p.c. in quanto società conferitaria dell’azienda della N..
Tutte e tre le parti costituite hanno depositato memoria illustrativa
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione agli artt. 52 cod.propr.ind. (prima R.D. n. 244 del 1940, art. 5, comma 1) e art. 66 cod.propr.ind.
1.1. Secondo la ricorrente, la Corte di appello era incorsa in errata valutazione dell’ambito di protezione del brevetto P., non procedendo alla doverosa individuazione del suo ‘cuore inventivo’, secondo la giurisprudenza ormai consolidata della Suprema Corte, e applicando invece il principio delle ‘limitazioni consapevoli’, quando nessuna norma di diritto positivo attribuisce rilievo al comportamento del presentatore della domanda di brevetto in sede amministrativa.
N. non era stata in grado di dimostrare attraverso elementi d’arte anteriore la centralità della esatta dimensione dei filtri ai fini del rispetto del requisito dell’altezza inventiva;
l’essenzialità non consisteva certo nella capacità dei filtri di arrestare particelle comprese fra i 10 e i 25 micron (ossia quelle incluse nell’intervallo che resterebbe scoperto nel metodo seguito da N.) ma solo nella previsione di una fase intermedia di pre-filtrazione fra quella di estrazione e quella finale di ultrafiltrazione.
La Corte di appello ha così negato la contraffazione per equivalenti del brevetto P. da parte del procedimento adottato da N., invece sussistente.
2.2. La Corte di appello bolognese, alle pagine 9 e 10 della sentenza impugnata, ha dapprima posto in evidenza che il brevetto italiano P. n. (…) non conteneva nella sua rivendicazione 1 alcun riferimento ad una fase di filtrazione intermedia fra la fase di estrazione per percolamento e la fase di nanofiltrazione, mentre un accenno al proposito era contenuto nella descrizione in ordine alla preferibilità di una filtrazione capace di bloccare particelle fino a 10 pm, ossia micron; ha quindi dato rilievo al fatto che in sede di procedura di esame dinanzi all’Ufficio Europeo dei brevetti per l’estensione all’estero del brevetto italiano, P., accedendo alla richiesta degli esaminatori, aveva modificato il testo della rivendicazione 1, includendo fra la fase di estrazione per percolazione e quella di nanofiltrazione una fase di filtrazione per arrestare particelle superiori ai 10 micron; poiché tale modifica si ripercuoteva automaticamente anche sul brevetto italiano ai sensi dell’art. 59 cod.propr.ind. la Corte di appello ha ritenuto che tale limitazione, volontariamente introdotta e ritenuta essenziale in sede Europea, non consentisse a P., neppure attraverso l’invocazione della teoria degli equivalenti, di comprendere nel brevetto un procedimento che compresa una fase di pre-filtrazione per fermare particelle non già superiori ai 10 micron, ma solo superiori ai 25 micron, perché, diversamente opinando, si sarebbe finito con l’imprimere al brevetto una interpretazione contraria alla buona fede e in contrasto con la consapevole limitazione accettata dal titolare, in pregiudizio dei diritti e delle certezze dei terzi.
2.3. L’art. 52 cod.propr.ind., come modificato ad opera del D.Lgs. 13 agosto 2010, n. 131 recita nel suo comma 1 che nelle rivendicazioni è indicato specificamente ciò che si intende debba formare oggetto del brevetto; il secondo e il comma 3 aggiungono che i limiti della protezione sono determinati dalle rivendicazioni e attribuiscono tuttavia alla descrizione e ai disegni la funzione di interpretare le rivendicazioni, cosa però che deve avvenire secondo una regola di contemperamento, ossia in modo da garantire nel contempo un’equa protezione al titolare e una ragionevole sicurezza giuridica ai terzi.
Il comma 3 bis, introdotto ex novo dal citato decreto correttivo del 2010, precisa, introducendo un espresso riconoscimento normativo della cosiddetta ‘teoria degli equivalenti’, che, per determinare l’ambito della protezione conferita dal brevetto, si deve tenere nel dovuto conto ogni elemento equivalente ad un elemento indicato nelle rivendicazioni.
Quindi i limiti della protezione sono determinati dalle rivendicazioni, anche se la descrizione e i disegni possono servire a interpretarle nel rispetto della regola di contemperamento espressa nell’art. 52, comma 3 che grava l’interprete della ricerca di una soluzione che contemperi l’equa protezione del titolare e la ragionevole sicurezza giuridica dei terzi (regola conforme al Protocollo interpretativo dell’art. 69 della Convenzione sul Brevetto Europeo, revisionato nel 2000 con la sostituzione della formula, ritenuta ambigua, che rinviava al ‘tenore delle rivendicazioni’ con quella, più secca e incisiva, riferita alle ‘rivendicazioni’).
Nelle disposizioni della CBE e del predetto art. 52 cod.propr.ind. viene colto unanimemente il superamento del risalente approccio cosiddetto della ‘centrai definition theory’, incentrato sulle caratteristiche essenziali delle idee di soluzione inventiva attribuite al trovato, e l’approdo alla cosiddetta ‘peripheral definition theory’, fondata sulla chiara e precisa identificazione dei limiti e dei confini della protezione brevettuale, funzionali alla determinazione del perimetro della privativa.
2.4. Il ricordato art. 52, comma 3 introdotto con il D.Lgs. n. 131 del 2010, ha esplicitamente riconosciuto la tutela degli equivalenti (già disciplinata dal Protocollo interpretativo, art. 69, comma 2 CBE), disponendo che ‘per determinare l’ambito della protezione conferita dal brevetto si tiene nel dovuto conto ogni elemento equivalente ad un elemento indicato nelle rivendicazioni’.
La teoria degli equivalenti consiste in una regola di interpretazione brevettuale in base alla quale un prodotto o procedimento, pur formalmente diverso dall’invenzione brevettata, può essere comunque a quest’ultima equiparato e così ricondotto nell’ambito di protezione della privativa e mira in tal modo a tutelare i diritti del titolare e a garantirgli una protezione effettiva, non subordinata cioè alla riproduzione integrale e letterale di tutti gli elementi dell’invenzione.
Il principio risponde inoltre alla più generale esigenza di una equa protezione del titolare del brevetto, cercando di evitare l’elusione e lo svuotamento di contenuto del diritto di esclusiva attuato mediante modeste e non significative varianti apportate dal contraffattore.
La sua origine risale all’esperienza giurisprudenziale della Corte Suprema statunitense che avvertiva l’iniquità del confinamento della protezione entro i confini delle esatte parole usate dall’inventore e sentiva l’esigenza di privilegiare la forma sulla sostanza, in spregio dei verbalismi, per scoraggiare i contraffattori senza scrupoli dall’apportare modifiche senza importanza e non sostanziali al brevetto, senza aggiungere nulla, al solo fine di portare, apparentemente, la loro riproduzione al di fuori dell’ambito rivendicato.
Secondo la più risalente giurisprudenza, formatasi prima della modificazione dell’art. 52 cod.propr.ind., la contraffazione per equivalenti poteva essere ravvisata quando la soluzione attuata dal contraffattore, pur costituita da elementi formalmente diversi da quelli contenuti nelle rivendicazioni brevettuali, fosse però espressione della medesima ‘idea inventiva’, o ‘idea di soluzione’, o dello stesso ‘nucleo inventivo protetto’.
Nel tentativo di conferire maggior concretezza a un principio che poteva sembrare altrimenti troppo astratto sono state proposte varie soluzioni, che corrispondono a differenti metodologie tecniche di accertamento dell’equivalenza della soluzione inventiva.
Da un lato, è stata caldeggiata l’adozione del cosiddetto triple identity test o test FWR (function, way, result), criterio tratto dalle esperienze giurisprudenziali americane, che porterebbe a ravvisare la contraffazione per equivalenti quando le varianti apportate nel prodotto asseritamente contraffattivo rispetto al testo brevettuale introducono mezzi diversi che adempiono però alla stessa funzione assolta nell’economia strutturale del brevetto dai mezzi previsti nella rivendicazione e garantiscono, nello stesso modo, il conseguimento del medesimo risultato tecnico. Viene così considerato equivalente ad un altro un trovato se svolge sostanzialmente la stessa funzione, nello stesso modo e per ottenere lo stesso risultato.
Un altro criterio, invece di matrice tedesca, elaborato dalla giurisprudenza considera come sintomo della contraffazione per equivalenti l’ovvietà o non originalità della soluzione sostitutiva adottata dal contraffattore rispetto alla soluzione brevettata, avuto riguardo alle conoscenze medie del tecnico del settore.
L’originalità della seconda soluzione esclude la configurabilità di una contraffazione per equivalenti, e può semmai costituire il presupposto di una autonoma invenzione, estranea all’ambito di estensione del primo trovato.
In tale prospettiva, ai fini del giudizio di equivalenza occorre considerare il conseguimento dello stesso effetto tecnico da parte del trovato asseritamente in contraffazione e l’ovvietà della soluzione innovativa nel trovato in contestazione (ossia della modifica apportata) alla luce delle conoscenze del tecnico medio del settore; solo una innovazione non ovvia ed anzi originale esclude l’equivalenza, diversamente dalla modifica meramente banale ed ovvia o comunque alla portata dell’esperto del settore.
2.5. La giurisprudenza di questa Corte ha aderito a questa seconda impostazione in numerose decisioni.
In una ormai risalente pronuncia (Sez. 1, n. 3443 del 24/10/1958, Rv. 880734 – 01) era stato ritenuto che non fosse necessario, per aversi contraffazione di una invenzione industriale, una precisa riproduzione ed applicazione dell’idea inventiva in tutti i suoi elementi, anche accessori o secondari, ma che bastasse solo che si attuassero gli elementi essenziali e caratteristici dell’idea, senza dei quali non si otterrebbe quel nuovo risultato industriale in cui si concreta la inventio. Perciò, imitata e sfruttata l’invenzione nel suo risultato industriale, che ne costituisce l’essenza e la finalità pratica, la contraffazione sussiste anche se all’invenzione siano apportate delle varianti, che si risolvano in equivalenti meccanici dei suoi elementi costitutivi (cosiddetta contraffazione operata per equivalenti meccanici).
È stato poi affermato che in tema di contraffazione di brevetto per equivalenza, al fine di valutare se la realizzazione contestata possa considerarsi equivalente a quella brevettata, sì da costituirne una contraffazione, occorre accertare se, nel permettere di raggiungere il medesimo risultato finale, essa presenti carattere di originalità, offrendo una risposta non banale, nè ripetitiva della precedente, essendo da qualificarsi tale quella che ecceda la competenze del tecnico medio che si trovi ad affrontare il medesimo problema, in questo caso soltanto potendosi ritenere che la soluzione si collochi al di fuori dell’idea di soluzione protetta (Sez. 1, n. 257 del 13/01/2004, Rv. 569393 – 01, ‘caso Forel’; principio questo poi ribadito più recentemente da Sez.1, 12/6/2012 n. 9548).
È stato però aggiunto (‘caso Barilla’) che al fine di escludere la contraffazione per equivalenza non rileva la variazione, seppure originale, apportata ad un singolo elemento del trovato brevettato, se la variazione non consenta di escludere l’utilizzazione, anche solo parziale, del brevetto anteriore (Sez. 1, n. 30234 del 30/12/2011, Rv. 620898 – 01); in tal modo la giurisprudenza ha mostrato di voler prendere in adeguata considerazione l’istituto dell’invenzione dipendente di cui all’art. 68, comma 2 cod.propr.ind., evolvendosi nel non ritenere di per sé esclusiva della contraffazione per equivalenti neppure l’originalità della soluzione alternativa.
Successivamente si è osservato nel ‘caso Ecodeco/Entsorga’ che la protezione che ha per oggetto il procedimento industriale si estende a tutti quei prodotti che ne siano effetto diretto, ovvero causalmente discendano dalla filiera relativa alle soluzioni tecniche brevettate e che non rileva, al fine di escluderne la contraffazione, che il prodotto non sia stato rivendicato. La protezione non si estende, invece, a prodotti che, pur simili, siano ottenuti mediante un procedimento diverso da quello protetto (Sez. 1, n. 622 del 11/01/2013, Rv. 624801 – 01).
Infine, da ultimo, questa Corte ha ribadito che al fine di valutare se la realizzazione contestata possa considerarsi equivalente a quella brevettata, sì da costituirne una contraffazione, occorre accertare se, nel permettere il raggiungimento del medesimo risultato finale, essa presenti carattere di originalità, offrendo una risposta non banale, nè ripetitiva della precedente, dovendosi qualificare per tale quella che ecceda le competenze del tecnico medio che si trovi ad affrontare il medesimo problema, poiché solo in questo caso si può ritenere che la soluzione si collochi al di fuori dell’idea di soluzione protetta.
Tuttavia, una riproduzione solo parziale del dispositivo brevettato non è idonea ad escludere, di per sé, la contraffazione laddove la parzialità non impedisca, secondo un accertamento che costituisce una questione di fatto, affidata all’apprezzamento del giudice di merito, insindacabile se sorretto da motivazione adeguata ed esente da vizi logici, di ritenere l’utilizzazione del brevetto, nella sua struttura generale, anteriore. (Sez. 1, n. 22351 del 02/11/2015, Rv. 637807 – 01).
Non concerne invece direttamente il tema in esame la pronuncia della Sez.1, 14/08/2019, n. 21405, che invece puntualizza che la contraffazione per equivalenti ricorre in presenza della soluzione di un problema tecnico attuata attraverso invenzioni che presentino elementi delle rivendicazioni muniti di equivalenza, non in presenza della sola identità del problema suscettibile di essere superato con soluzioni tra loro diverse.
2.6. Indubbiamente nel concedere spazio alla regola di contemperamento espressa dall’art. 52, commi 3 e 3 bis non si può abbandonare il fondamentale criterio che attribuisce il principale rilievo al contenuto obiettivo delle rivendicazioni, espressione della volontà di protezione rappresentata dal richiedente del brevetto.
Affermando che ogni elemento della rivendicazione è espressione di volontà dell’inventore (o del titolare del brevetto) e determina l’ambito di tutela e attribuendo rilievo esclusivo al contenuto letterale delle rivendicazioni è chiaro che l’art. 52, comma 3 bis, non potrebbe mai trovare applicazione. Proprio per questo motivo la teoria degli equivalenti mira a trovare un giusto bilanciamento tra gli interessi del titolare del brevetto (che mira ad estendere la sua protezione il più possibile) e gli interessi dei terzi (che vorrebbero limitare la tutela del brevetto al mero dato letterale).
Vi sono indubbiamente casi in cui la non coincidenza fra il prodotto e il contenuto oggettivo delle rivendicazioni brevettuali non esclude la contraffazione, allorché la modesta variante incida su di un elemento della rivendicazione che non abbia importanza centrale nell’economia dell’idea inventiva (eliminandolo, o sostituendolo in una diversa soluzione espressiva della stessa idea fondamentale); o allorché il prodotto accusato di contraffazione per equivalenti assolve alla stessa funzione del prodotto brevettato, seguendo sostanzialmente la stessa via e pervenendo allo stesso risultato; o, ancora quando la soluzione sostitutiva adottata dal contraffattore rispetto alla soluzione brevettata appaia ovvia e non originale, tenuto conto, quale parametro di valutazione, delle conoscenze medie del tecnico del settore.
2.7. La sentenza impugnata non si è conformata all’orientamento così illustrato e ha pertanto omesso di valutare l’equivalenza tra il procedimento seguito da N. (o meglio asseritamente seguito: vedi infra) e l’ambito di protezione disegnato dalle rivendicazioni del brevetto P., considerando la portata e l’incidenza della modifica costituita dalla diversa selettività della fase di pre-filtrazione, in un caso (brevetto P.) capace di arrestare con i filtri utilizzati particelle superiori ai 10 micron e nell’altro (procedimento N.) capace di arrestare solo particelle superiori ai 25 micron.
Nel far concreta applicazione della teoria degli equivalenti e nel rispetto dell’art. 52, comma 3 bis cod.propr.ind., determinando l’ambito della protezione conferita dal brevetto tenendo nel dovuto conto ogni elemento equivalente ad un elemento indicato nelle rivendicazioni, la Corte non avrebbe dovuto esonerarsi dal valutare se la modifica apportata da N., con l’adozione di una fase di pre-filtrazione meno selettiva, si risolvesse nella sostanza in un mero espediente per uscire dall’ambito di contraffazione letterale del brevetto; sarebbe occorso quindi accertare se, nel permettere di raggiungere il medesimo risultato finale, la soluzione seguita da N. presentasse carattere di originalità, offrendo una risposta non banale e non ripetitiva, eccedente le ordinarie competenze del tecnico medio che si trovi ad affrontare il medesimo problema.
La Corte di appello, che non ha neppur ragionato nella diversa prospettiva del raggiungimento dello stesso risultato tecnico, con la stessa funzione e nello stesso modo, si è esonerata dal valutare la non ovvietà e l’originalità della modifica, ossia le conseguenze tecniche reali della minor selettività della fase di pre-filtrazione nel procedimento (asseritamente) adottato da N., conferendo esclusivo rilievo alla limitazione, ritenuta essenziale, alla rivendicazione 1, introdotta nel corso del procedimento di esame della domanda di brevetto Europeo.
In tal modo la Corte bolognese ha adottato un criterio di valutazione mutuato dal sistema statunitense, ispirato alla regola del cosiddetto prosecution-history estoppel, secondo la quale il richiedente che nel corso della procedura brevettuale abbia rilasciato dichiarazioni limitative del brevetto non può espandere la portata del brevetto oltre tali limiti, neppure giovandosi della dottrina degli equivalenti.
Tale criterio è estraneo al nostro ordinamento e al sistema brevettuale in cui le norme interpretative sono fissate dall’art. 69 del protocollo CBE e dall’art. 52 cod.propr.ind., con esclusione della rilevanza dell’intenzione soggettiva dell’inventore, dovendosi aver riguardo al significato oggettivo del brevetto, recepibile dalla collettività, espresso nelle rivendicazioni, interpretate alla luce delle descrizioni e dei disegni, a prescindere dall’iter amministrativo del procedimento di concessione e dovendosi negare rilevanza scriminante alle modifiche, ovvie e non originali, elusive della sua portata oggettiva.
La sentenza impugnata deve pertanto essere cassata sul punto per violazione di legge, con rinvio ex art. 384 c.p.c. alla Corte territoriale, in diversa composizione, che si atterrà al seguente principio di diritto:
‘In tema di contraffazione di brevetti per invenzioni industriali posta in essere per equivalenza ai sensi del D.Lgs. 10 febbraio 2005, n. 30, art. 52, comma 3 bis come modificato dal D.Lgs. 13 agosto 2010, n. 131 il giudice, nel determinare l’ambito della protezione conferita dal brevetto, non deve limitarsi al tenore letterale delle rivendicazioni, interpretate alla luce della descrizione e dei disegni, ma deve contemperare l’equa protezione del titolare con la ragionevole sicurezza giuridica dei terzi, e pertanto deve considerare ogni elemento sostanzialmente equivalente a un elemento indicato nelle rivendicazioni; a tal fine può avvalersi di differenti metodologie dirette all’accertamento dell’equivalenza della soluzione inventiva, come il verificare se la realizzazione contestata permetta di raggiungere il medesimo risultato finale adottando varianti prive del carattere di originalità, perché ovvie alla luce delle conoscenze in possesso del tecnico medio del settore che si trovi ad affrontare il medesimo problema; non può invece attribuire rilievo alle intenzioni soggettive del richiedente del brevetto, sia pur ricostruite storicamente attraverso l’analisi delle attività poste in essere in sede di procedimento amministrativo diretto alla concessione del brevetto’.
2. Con il secondo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione all’art. 2697 c.c. e art. 67 cod.propr.ind. (già R.D. n. 1127 del 1939, art. 2 nel testo introdotto dal D.Lgs. n. 198 del 1996), nonché agli artt. 115 e 116 c.p.c.
2.1. Secondo il ricorrente, la Corte territoriale era incorsa in errore nell’applicazione della regola dell’onere probatorio, respingendo la domanda di contraffazione sulla base di elementi non provati da parte dell’asserito contraffattore (ossia il fatto che N. applicava in sede di pre-filtrazione filtri idonei ad arrestare solo particelle superiori ai 25 micron e quindi incapaci di arrestare particelle comprese fra i 10 e i 25 micron, a differenza dei filtri del brevetto P.), senza applicare, come avrebbe dovuto, la presunzione di cui all’art. 67 cod.propr.ind. in materia di brevetti di procedimento.
Era evidente che l’accertamento materiale della reale differenziazione tra la fase di pre-filtrazione oggetto del brevetto P. e quella del procedimento adottato da N. poteva essere considerata ininfluente solo se si fosse inteso affermare la sussistenza della contraffazione per equivalenti, come aveva fatto il Giudice di primo grado; lo stesso non poteva valere per la Corte di appello, che ha escluso la contraffazione sulla base di un fatto dedotto dalla parte interessata e a suo favore, non solo sfornito di prova, ma anche ex adverso contestato.
Inoltre, quanto ai brevetti di procedimento l’art. 67, comma 1, lett. b) cod.propr.ind. prevede una presunzione di contraffazione, salvo prova contraria, allorché il prodotto finale sia identico, e risulta una sostanziale probabilità che esso sia stato fabbricato con lo stesso procedimento e il titolare del brevetto non è riuscito attraverso ragionevoli sforzi a determinare il procedimento attuato.
2.2. In sede di operazioni peritali N. aveva sostenuto, per mezzo del suo consulente di parte, la diversità del suo metodo rispetto al contenuto del brevetto P., perché nella fase di pre-filtrazione venivano utilizzati filtri meno efficaci, sicché le particelle comprese fra i 10 e i 25 micron non venivano intercettate in tale fase; i Consulenti di ufficio avevano quindi proposto l’esecuzione di una indagine volta ad accertare le dimensioni delle particelle solide sospese nella soluzione tannica dopo la pre-filtrazione, proprio al fine di verificare la fondatezza dell’allegazione di N., ribadita anche dal suo legale, caldeggiando lo svolgimento di tale indagine; P. si era opposta, ritenendo l’indagine superflua perché a suo parere era irrilevante il maggior affinamento dovuto alle diverse e minori dimensioni filtranti del vaglio asseritamente esercitato; il Giudice istruttore aveva condiviso la tesi di P. e la sentenza di primo grado aveva ritenuto la sussistenza della contraffazione per equivalenti, comunque reputata sussistente anche dando per acquisito l’assunto di N. circa le ridotte capacità selettive dei suoi filtri nella fase di pre-filtrazione, definito peraltro non provato.
La Corte di appello, diversamente dal Tribunale, come si è detto, ha ritenuto invece che il particolare affinamento della fase di pre-filtrazione fosse una caratteristica essenziale, e quindi che non potesse aversi contraffazione a fronte della significativa variazione dell’intervallo di corpuscoli intercettato nei due sistemi.
Tuttavia, la Corte felsinea, dopo aver restituito, nella prospettiva adottata, centralità alla circostanza di fatto ricordata, ha, incomprensibilmente, ritenuto ininfluente accertare se il primo Giudice avesse fatto buon governo dei principi in tema di riparto dell’onere probatorio e delle risultanze istruttorie.
Infatti tale ragionamento poteva dirsi esatto solo nella prospettiva della N., ma non lo era certamente in quella dell’attuale ricorrente P.: una volta deciso che la misura dell’affinamento di pre-filtrazione era decisivo ai fini della sussistenza della contraffazione, la Corte non poteva ritenere provata tale circostanza decisiva che era stata meramente allegata da N., visto che P. si era semplicemente opposta alla sua prova perché la riteneva superflua e non l’aveva affatto ammessa.
Giustamente la ricorrente così sintetizza la sua fondata doglianza: la Corte di appello ha errato, escludendo la contraffazione sulla base di un fatto dedotto pro se dalla stessa convenuta in contraffazione (ossia l’asserita difformità dei filtri da essa utilizzati), già ritenuto in primo grado non provato (eppur irrilevante) e neppur considerato non contestato da P..
Ciò che era irrilevante secondo la prospettiva del Tribunale, non lo poteva essere in quella della Corte, che ha mantenuto nel diverso contesto argomentativo lo stesso giudizio, ragionando solo nella prospettiva dell’appellante e non in quella dell’appellata.
2.3. Non persuade l’argomentazione della controricorrente secondo cui la sentenza impugnata non avrebbe posto a base del rigetto delle domande di P. la differenza di capacità filtrante dei filtri adottati da N.: questa infatti è stata implicitamente, ma inequivocamente, data per presupposta nel momento in cui la Corte di appello ha ritenuto ostativa la volontaria limitazione dell’ambito di protezione con la rivendicazione della caratteristica essenziale della capacità della fase di pre-filtrazione di arrestare particelle comprese fra i 10 e i 25 micron.
Appaiono fuori fuoco le osservazioni sviluppate dalla controricorrente in ordine alla non configurabilità nelle dichiarazioni del suo consulente tecnico di una confessione o anche solo di un’ammissione, idonea a invertire la regola dell’onere probatorio, al pari del richiamo al principio di inscindibilità della dichiarazione contra se di cui all’art. 2734 c.c.
A parte il fatto che nella fattispecie la dichiarazione è stata formulata non solo dai consulenti, ma anche in udienza dal difensore della N. in occasione del dibattito sull’opportunità della integrazione delle indagini peritali, appare dirimente il rilievo che si verte in dichiarazioni di fatti favorevoli alla parte da cui promanano o sono comunque riconducibili, ossia di dichiarazioni pro se, rilevanti come mere allegazioni difensive, e non già di riconoscimenti di fatti sfavorevoli suscettibili di essere catalogate come ammissioni o confessioni.
N. infatti sosteneva di non versare in contraffazione del brevetto P. anche perché i suoi filtri di pre-filtrazione erano meno selettivi ed efficaci.
2.4. Il motivo resta però assorbito alla luce dell’accoglimento del primo motivo di ricorso che comporta la preliminare necessità per il Giudice del rinvio di rivalutare correttamente la configurabilità della contraffazione per equivalenti, considerando eventualmente ininfluente, al fine di escluderla, il differente e minor grado di finezza della pre-filtrazione adottata nel procedimento seguito da N..
Solo se tale valutazione dovesse condurre il Giudice del rinvio a ritenere non equivalente la variante seguita da N. assumerà rilievo la necessità di accertare se effettivamente N.. seguisse il metodo di pre- filtrazione più grossolano, con l’adozione di filtri meno selettivi, come ha sostenuto.
Resta ovviamente assorbita anche l’ulteriore argomentazione di P. circa l’applicabilità della presunzione di cui all’art. 67 cod.propr.ind., in tema di brevetto di procedimento, al cui proposito N.. obietta che nel caso in questione il prodotto ottenuto all’esito del procedimento non poteva dirsi nuovo.
3. Con il terzo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione all’art. 112 c.p.c., art. 52 cod.propr.ind. (prima R.D. n. 244 del 1940, art. 5, comma 1) e art. 66 cod.propr.ind. (prima R.D. n. 1127 del 1939, art. 1).
3.1. La ricorrente si duole del fatto che la Corte di appello abbia ritenuto ormai indiscutibile, per omessa impugnazione, l’accertata insussistenza di una contraffazione letterale del brevetto P. e lamenta mancato esame della sussistenza della contraffazione in violazione del principio unitario di concezione della domanda di contraffazione, non scindibile in singole porzioni, suscettibili di passaggio autonomo in giudicato.
3.2. Il motivo appare inammissibile per difetto di specificità perché la ricorrente, nel sostenere che non si sarebbe formato il giudicato sulla statuizione non impugnata relativa alla esclusione della contraffazione letterale del suo brevetto, insuscettibile, a suo parere, di consolidamento autonomo rispetto alla più generale domanda di contraffazione, non indica in forza di quali elementi, in contrasto con la statuizione di primo grado, la Corte di appello avrebbe dovuto ravvisare la predetta contraffazione letterale.
4. Con il quarto motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 4, la ricorrente denuncia la nullità della sentenza impugnata in relazione all’art. 112 c.p.c. e all’art. 2598 c.c.
4.1. La ricorrente si duole dell’omessa trattazione e pronuncia in ordine alle domande proposte da P. concernenti la concorrenza sleale, che era stata dedotta sia sotto il profilo della concorrenza confusoria per imitazione servile del procedimento tecnologico (art. 2598, n. 1), sia sotto il profilo della scorrettezza professionale (art. 2598, n. 3).
Il Tribunale aveva rigettato tali domande (sia pur solo in motivazione) e P. aveva proposto al riguardo appello (punto 4 delle conclusioni confermate in sede di precisazione), che era stato però menzionato solo parzialmente dalla Corte sotto il profilo della scorrettezza professionale, ignorando completamente il profilo relativo all’imitazione servile, che, essendo basato su differenti presupposti, non poteva essere considerato assorbito dalla, comunque errata, reiezione della domanda di contraffazione.
La ricorrente ricorda che l’azione per la repressione degli atti di concorrenza sleale ha natura personale e ha come presupposti la confondibilità dei prodotti e la possibilità di sviamento della clientela, mentre l’azione di contraffazione brevettuale ha natura reale e prescinde dalla confondibilità dei prodotti.
Inoltre la Corte di appello aveva ritenuto assorbite anche le doglianze basate sulla scorrettezza professionale legate alla condotta di N., costituite da due missive inoltrate a P. in data 22/12/1999 e 20/11/2000 e dall’opposizione in sede brevettuale Europea.
4.2. Il motivo non merita accoglimento nella parte relativa alla concorrenza sleale confusoria per imitazione servile, al cui proposito la ricorrente si limita a dar atto della riproposizione della relativa domanda con l’atto di appello e con le conclusioni di secondo grado, ma non deduce di aver svolto uno specifico motivo di gravame sul punto ex art. 342 c.p.c., cosa questa puntualmente negata dalla Corte territoriale che, nel riportare il contenuto del secondo motivo di appello principale di P., a pagina 3, dà conto solo della doglianza relativa alla scorrettezza professionale.
Secondo consolidata giurisprudenza di questa Corte, l’omessa pronuncia, qualora abbia ad oggetto una domanda inammissibile, non costituisce vizio della sentenza e non rileva nemmeno come motivo di ricorso per cassazione, in quanto, alla proposizione di una tale domanda, non consegue l’obbligo del giudice di pronunciarsi nel merito (Sez. 1, n. 22784 del 25/09/2018, Rv. 650929 – 01; Sez. 6 – 1, n. 24445 del 02/12/2010, Rv. 615091 – 01; Sez. 1, n. 12412 del 25/05/2006, Rv. 590523 – 01; Sez. 2, n. 5435 del 05/03/2010, Rv. 611622 – 01); non avrebbe infatti senso alcuno la cassazione della sentenza per omesso esame di una richiesta che dovrebbe essere comunque dichiarata inammissibile, con conseguente esclusione di una pronuncia nel merito.
Inoltre deve ritenersi inammissibile la domanda riproposta in secondo grado ma non accompagnata da pertinenti censure rivolte alla decisione di primo grado: infatti la cognizione del giudice di appello resta circoscritta alle questioni dedotte dall’appellante attraverso specifici motivi, tramite l’illustrazione di argomentazioni che si contrappongano a quelle svolte nella sentenza impugnata e siano idonee ad incrinare il fondamento logico-giuridico delle prime, sicché non è sufficiente che l’atto di appello consenta di individuare le statuizioni concretamente impugnate, ma è altresì necessario che le ragioni sulle quali si fonda il gravame siano esposte con sufficiente grado di specificità e possano essere correlate con la motivazione della pronuncia gravata (Sez.1, 16/02/2018, n. 3913).
4.4. Diversamente occorre ragionare quanto alla domanda di concorrenza sleale per scorrettezza professionale, ritenuta, almeno apparentemente, assorbita dai Giudici bolognesi.
Tale valutazione è ritenuta infondata da P. che sottolinea di aver dedotto la scorrettezza della controparte, legandola a specifiche condotte da questa tenute e indipendenti dall’attività di contraffazione per equivalenti del brevetto P..
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, la figura dell’’assorbimento in senso proprio’ ricorre quando la decisione sulla domanda assorbita diviene superflua, per sopravvenuto difetto di interesse della parte, che con la pronuncia sulla domanda assorbente ha conseguito la tutela richiesta nel modo più pieno; si parla invece di ‘assorbimento in senso improprio’ quando la decisione assorbente esclude la necessità o la possibilità di provvedere sulle altre questioni, ovvero comporta un implicito rigetto di altre domande.
Ne consegue che l’assorbimento non comporta un’omissione di pronuncia (se non in senso formale) in quanto, in realtà, la decisione assorbente permette di ravvisare la decisione implicita (di rigetto oppure di accoglimento) anche sulle questioni assorbite, la cui motivazione è proprio quella dell’assorbimento, per cui, ove si escluda, rispetto ad una certa questione proposta, la correttezza della valutazione di assorbimento, avendo questa costituito l’unica motivazione della decisione assunta, ne risulta il vizio di motivazione del tutto omessa (Sez. 1, 12/11/2018, n. 28995).
Nella fattispecie è configurabile un assorbimento in senso improprio poiché la Corte di appello ha ritenuto che il rigetto della domanda di contraffazione brevettuale comportasse automaticamente e consequenzialmente anche il rigetto della domanda di concorrenza sleale ex art. 2598 c.c., n. 3.
La ricorrente, pur etichettando impropriamente il mezzo in termini di vizio di omessa pronuncia (che non sussiste, dovendosi ravvisare piuttosto un rigetto implicito), nella sostanza contesta e critica la decisione dell’assorbimento, comunque immotivata, che non poteva essere fatto dipendere dalla mera insussistenza della contraffazione, visto che P. leggeva la scorrettezza professionale di N. in altri e specifici comportamenti.
Per altro verso, comunque la statuizione cade consequenzialmente per il cadere della cassata statuizione circa l’assenza di contraffazione per equivalenti che in ipotesi l’avrebbe fondata.
5. La ricorrente ha provveduto a notificare il ricorso ai sensi dell’art. 11 c.p.c. al Gruppo M.S. s.r.l., società conferitaria dell’azienda della N. con decorrenza 1/1/2011.
5.1. La Gruppo M.S. ha sostenuto l’inammissibilità della chiamata in sede di legittimità del successore a titolo particolare nel rapporto controverso in assenza di previsione normativa e di lesione del suo diritto di difesa, nonché in considerazione della mancata indicazione del titolo sostanziale di evocazione nel procedimento; tanto premesso la società chiamata ha chiesto il rigetto del ricorso con il favore delle spese.
5.2. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, il successore a titolo particolare ex art. 111 c.p.c. può intervenire o essere chiamato nel giudizio di legittimità, per esercitare il potere di azione che gli deriva dall’acquistata titolarità del diritto controverso, solo quando non sia costituito il dante causa, poiché altrimenti verrebbe a determinarsi un’ingiustificata lesione del suo diritto di difesa (Sez. 1, n. 11638 del 07/06/2016, Rv. 639906 01); diversamente, vale il principio generale secondo il quale il successore a titolo particolare nel diritto controverso – che pure può tempestivamente impugnare per cassazione la sentenza di merito – non può intervenire nel giudizio di legittimità, mancando una espressa previsione normativa, riguardante la disciplina di quell’autonoma fase processuale, che consenta al terzo la partecipazione a quel giudizio con facoltà di esplicare difese, assumendo una veste atipica rispetto alle parti necessarie, che sono quelle che hanno partecipato al giudizio di merito (Sez. 1, n. 5759 del 23/03/2016, Rv. 639273 – 01; Sez. 3, n. 11375 del 11/05/2010, Rv. 613348 – 01; Sez. L, n. 10215 del 04/05/2007, Rv. 597249 – 01).
È stato anche osservato che la disciplina processuale così ricostruita non vulnera il diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost., giacché la legittimità della norma limitativa di tale mezzo di tutela giurisdizionale discende dalla particolare natura strutturale e funzionale del giudizio dinanzi alla Corte di Cassazione. (Sez. 3, n. 10813 del 17/05/2011, Rv. 617335 – 01; Sez. U, n. 1245 del 23/01/2004, Rv. 569647 – 01).
5.3. La ricorrente tuttavia non ha proposto alcuna domanda nei confronti della Gruppo M.S. ma si è limitata a notificarle il ricorso a meri fini di denuntiatio litis, consentendole – e non certo obbligandola – l’esercizio del proprio diritto di difesa, ove il successore a titolo particolare nel diritto controverso avesse ritenuto i propri interessi non adeguatamente tutelati dall’attività processuale svolta dal dante causa.
Non vi sono quindi i presupposti per ravvisare una soccombenza della ricorrente nei confronti della predetta mera destinataria della notificazione, tanto più che al momento della notificazione la ricorrente non poteva sapere se la dante causa N. si sarebbe o meno costituita nel giudizio di legittimità.
6. La sentenza impugnata deve quindi essere cassata in relazione ai motivi accolti, e cioè il primo e il quarto, nei sensi di cui in motivazione, con rinvio, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte di appello di Bologna, in diversa composizione.
P.Q.M.
LA CORTE
accoglie il primo e quarto motivo di ricorso, quest’ultimo nei sensi di cui in motivazione, assorbito il secondo e dichiarato inammissibile il terzo, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte di appello di Bologna, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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