Corte di Cassazione, sezione sesta penale, Sentenza 9 luglio 2020, n. 20566.
Massima estrapolata:
In tema di confisca di prevenzione, il proposto che versi in stato di bisogno può essere autorizzato, ai sensi dell’art. 40, comma 2, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, ad abitare l’immobile sequestrato, a condizione che lo stesso fosse già destinato ad abitazione familiare allorquando è stata disposta la misura, non assumendo rilevanza eventuali esigenze abitative sopravvenute. (In motivazione, la Corte ha precisato che è manifestamente infondata la questione di costituzionalità per violazione del diritto di abitazione, in quanto la salvaguardia eccezionalmente prevista per il proposto che occupi l’abitazione sequestrata e versi in stato di bisogno assicura al predetto la mera protrazione del godimento del bene e non il diritto di abitarvi).
Sentenza 9 luglio 2020, n. 20566
Data udienza 1 luglio 2020
Tag – parola chiave: Reati fallimentari – Fallimento/bancarotta – Esigenza per il fallito di recuperare la casa per andarci ad abitare con la famiglia – Tracollo economico – Immobile è di provenienza illecita – Sequestro – Applicabilità
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MOGINI Stefano – Presidente
Dott. CRISCUOLO Anna – rel. Consigliere
Dott. CALVANESE Ersilia – Consigliere
Dott. BASSI Alessandra – Consigliere
Dott. SILVESTRI Pietro – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 11/12/2019 del Tribunale di Genova – Sezione Misure di Prevenzione;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Anna Criscuolo;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Perla Lori, che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Il difensore di (OMISSIS) ha proposto ricorso avverso il provvedimento in epigrafe con il quale il Tribunale di Genova, Sezione Misure di Prevenzione, pronunciando in sede di rinvio, ha respinto l’opposizione proposta avverso il provvedimento, emesso dal Giudice delegato in data 1 ottobre 2019, di rigetto dell’istanza, formulata ai sensi del Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 40 e articolo 47 L. Fall., diretta ad ottenere l’autorizzazione ad abitare l’immobile di proprieta’ del proposto, sottoposto a sequestro di prevenzione.
Con unico articolato motivo deduce la violazione di legge in relazione alle norme indicate e all’articolo 2 Cost..
Il difensore premette che il (OMISSIS) conduceva in locazione l’immobile sito in (OMISSIS) e che, a seguito dell’intimazione di sfratto per morosita’, aveva richiesto al giudice della prevenzione, ai sensi del Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 40 e articolo 47 L. Fall., l’autorizzazione a trasferirsi con il proprio nucleo familiare, composto dalla moglie e tre figli minori, nell’appartamento di sua proprieta’, sito in (OMISSIS), sottoposto a sequestro nell’ambito del procedimento di prevenzione, ma l’istanza era stata sempre respinta, sebbene riproposta piu’ volte, anche dopo la convalida dello sfratto per morosita’, ritenendo il giudice che il proposto non versasse nella situazione di necessita’ abitativa prevista dalla L. Fall., articolo 47, comma 2, richiamato dal Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 40; nonostante il documentato mutamento delle condizioni economiche del proposto e l’imminente scadenza del termine per il rilascio dell’immobile, l’istanza era stata respinta, anche in sede di opposizione con l’ordinanza impugnata.
Il ricorrente contesta l’interpretazione della norma effettuata dal Tribunale, in quanto sostiene che il Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 40 non tuteli il possesso, ma il diritto di abitazione del proposto/fallito in caso di necessita’ abitativa, anche sopravvenuta, trattandosi di diritto fondamentale e inviolabile, garantito dall’articolo 2 Cost. Assume che la tutela del diritto di abitazione non puo’ essere ancorata ad un evento accidentale quale la circostanza che l’immobile di proprieta’ del fallito sia gia’ adibito ad abitazione al momento del sequestro ne’ e’ collegata alla confisca, come affermato nell’ordinanza, in quanto la confisca e’ solo eventuale e non puo’ inibire la possibilita’ di recuperare la disponibilita’ del bene immobile poiche’, anche nel caso di conservazione del diritto di abitazione, il provvedimento ha natura provvisoria e il proposto deve rilasciare l’immobile all’atto della confisca definitiva. Sostiene pertanto, che il diritto di abitazione sopravvive sino alla confisca definitiva e, tenuto conto dell’imminente scadenza del termine per il rilascio dell’immobile, dell’assenza di altra soluzione abitativa e della mancanza di risorse economiche, essendo venute meno le fonti di sostentamento, come documentato, si verifichera’ a breve quella situazione di necessita’ abitativa richiesta dalla norma. Da ultimo sollecita questa Corte a sollevare questione di legittimita’ costituzionale del Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 40 e articolo 47 L. Fall., in relazione agli articoli 2 e 3 Cost..
2. Con requisitoria, pervenuta il 3 aprile 2020, il P.g. ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso.
3. In data 25 giugno 2020 il difensore del ricorrente ha fatto pervenire memoria di replica ria, nella quale ribadisce le argomentazioni esposte nel ricorso e contesta il rilievo attribuito dal P.g. alla produzione documentale del P.m., avvenuta in udienza, e ad una argomentazione non presente nell’ordinanza, a fronte della produzione difensiva, attestante la necessita’ abitativa e la mancanza di redditivita’ della tabaccheria della moglie.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso e’ inammissibile per genericita’ e manifesta infondatezza dei motivi, che replicano censure gia’ formulate in sede di opposizione, disattese dal Tribunale con motivazione completa, esaustiva e giuridicamente corretta.
Va premesso che l’immobile di proprieta’ del ricorrente, sequestrato Decreto Legislativo n. 159 del 2011, ex articolo 20, risulta confiscato dal Tribunale con decreto del 26 aprile 2019 e ceduto in locazione a terzi per piu’ periodi, su autorizzazione del giudice delegato; e’, inoltre, pacifico in fatto che il proposto non abitava in detto immobile al momento del sequestro di prevenzione, ma vorrebbe recuperarne la disponibilita’ ed occuparlo per sopravvenuta necessita’ abitativa, a seguito della convalida di sfratto per morosita’ e intimazione al rilascio entro il 15 gennaio 2020 del diverso immobile in cui abitava nonche’ per sopravvenuta mancanza di fonti di sostentamento.
Con argomentazioni corrette ed aderenti al testo ed alla ratio normativa il Tribunale ha ritenuto insussistenti i presupposti per l’accoglimento dell’istanza, atteso che il decreto di sequestro sottrae al proposto la disponibilita’ del bene, tant’e’ che il Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 21 prevede l’immissione in possesso dell’amministratore giudiziario e lo sgombero dell’immobile, anche nel caso in cui sia occupato dal proposto, trattandosi di soggetto che, a seguito del sequestro, e’ privo di titolo, salva l’adozione del provvedimento di assegnazione della casa di proprieta’ da parte del giudice delegato, qualora vengano a mancare al proposto i mezzi di sussistenza, la cui verifica deve essere particolarmente rigorosa per non frustrare le finalita’ della normativa di prevenzione. Tale disciplina assicura il contemperamento di esigenze contrapposte: i bisogni primari del proposto e del suo nucleo familiare, da un lato, e l’interesse dello Stato ad entrare nel pieno possesso del bene confiscato, dall’altro, ma presuppone, come correttamente ritenuto dal Tribunale, che l’immobile sia destinato ad abitazione del proposto e del suo nucleo familiare al momento del sequestro.
La tesi del ricorrente, che fa leva sul diritto di abitazione, quale diritto fondamentale ed inviolabile del proposto, che andrebbe assicurato in qualunque momento del procedimento di prevenzione e, quindi, anche in caso di necessita’ abitativa sopravvenuta, trascura il tenore letterale della norma, ma soprattutto, la ratio del sequestro di prevenzione, che, salva la possibilita’ di assegnazione del bene immobile al proposto che versa in stato di bisogno, legittima l’estromissione del proposto e la sottrazione del bene sequestrato in quanto ritenuto di provenienza illecita: valutazione quest’ultima, da ritenersi consolidata in presenza del decreto di confisca, sebbene non definitivo.
Correttamente il Tribunale ha ritenuto incompatibile con il quadro normativo sia la prospettazione di un diritto di abitazione del proposto, intangibile e destinato a prevalere sulla pretesa statale di ablazione dei beni illecitamente acquisiti, sia la richiesta di recupero della disponibilita’ del bene immobile, sottratta al proposto gia’ al momento dell’esecuzione del sequestro, tanto da essere stato concesso in locazione a terzi al fine di assicurarne la redditivita’.
Altrettanto correttamente il Tribunale ha respinto la questione di legittimita’ costituzionale, reiterata nel ricorso, non essendo assimilabile la situazione prospettata a quella contemplata dall’articolo 40 Decreto Legislativo cit. e articolo 47 L. Fall., ne’ potendo invocarsi il diritto di abitazione per quanto gia’ detto. Sul punto va altresi’, precisato che la tutela eccezionalmente prevista per il proposto che occupi l’abitazione, sottoposta a sequestro, e si trovi in stato di bisogno, assicura la protrazione del godimento del bene e non il diritto di abitazione- altrimenti non sarebbe subordinato ad un’autorizzazione del giudice delegato ed all’accertamento rigoroso dello stato di bisogno-; va, inoltre, considerato che al momento dell’esecuzione del sequestro il possesso del bene e’ trasferito all’amministratore giudiziario, mentre il proposto, che venga autorizzato a permanere nell’immobile, ne e’ mero custode, non possessore ne’ titolare del diritto di abitazione.
Da ultimo e contrariamente a quanto dedotto nella memoria, il Tribunale ha evidenziato l’insussistenza dello stato di indigenza del proposto alla luce degli elementi forniti dal P.m., dai quali risulta che la moglie e’ divenuta titolare di un’edicola in Lavagna, ove il proposto e’ stato autorizzato a recarsi per esercitarvi attivita’ lavorativa.
All’inammissibilita’ del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende, che si stima equo determinare in Euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
Leave a Reply