Corte di Cassazione, sezione prima penale, Sentenza 23 marzo 2020, n. 10551
Massima estrapolata:
In tema di concessione del permesso premio a detenuto condannato per reato ostativo ai sensi dell’art. 4-bis, comma primo, ord. pen., nel giudizio di legittimità relativo al provvedimento di diniego del beneficio per carenza del presupposto della collaborazione con la giustizia, pendente alla data della sentenza della Corte costituzionale n. 253 del 2019, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di tale norma nella parte in cui non prevede che ai detenuti per i delitti ivi elencati possano essere concessi permessi premio anche in assenza di collaborazione con la giustizia, allorché siano stati acquisiti elementi tali da escludere sia l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata che il pericolo di un loro ripristino, va disposto l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato al fine di consentire l’espletamento di una nuova fase di merito nella quale il richiedente potrà introdurre i temi divenuti proponibili a seguito della citata decisione della Corte costituzionale.
Sentenza 23 marzo 2020, n. 10551
Data udienza 12 dicembre 2019
Tag – parola chiave: Procedimento penale – Espiazione della pena – Permesso premio – Presupposti – Articolo 4 bis ordinamento penitenziario – Collaborazione impossibile o inesigibile – Sentenza della corte costituzionale 253 del 2019 – Reati ostativi – Articolo 609 cpp – Criteri – Sentenza della corte di cassazione a sezioni unite 33040 del 2015 – Difetto di motivazione
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. IASILLO Adriano – Presidente
Dott. BIANCHI Michele – Consigliere
Dott. MAGI Raffaello – rel. Consigliere
Dott. CAPPUCCIO Daniele – Consigliere
Dott. CENTONZE Alessandro – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 20/11/2018 del TRIB. SORVEGLIANZA di L’AQUILA;
udita la relazione svolta dal Consigliere RAFFAELLO MAGI;
lette/sentite le conclusioni del PG COCOMELLO Assunta che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
IN FATTO E IN DIRITTO
1. Il Tribunale di Sorveglianza di L’Aquila con ordinanza del 20 novembre 2018 ha respinto il reclamo in tema di permesso premio proposto da (OMISSIS).
1.1 In motivazione si evidenzia, in sintesi, che:
a) il cumulo in espiazione, con pena dell’ergastolo, comprende reati ricompresi nella disposizione di legge di cui all’articolo 4bis, comma 1, ord.pen.;
b) (OMISSIS) non ha collaborato con la giustizia;
c) non sussistono i presupposti in fatto della collaborazione impossibile o inesigibile (articolo 4 bis, comma 1 bis), e la condotta risulta in fatto commessa al fine di agevolare l’associazione mafiosa di riferimento, sicche’ resta ferma la inaccessibilita’ al permesso derivante dai contenuti della previsione di legge di cui all’articolo 4 bis, comma 1, ord.pen..
2. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione – a mezzo del difensore – (OMISSIS), deducendo erronea applicazione di legge e vizio di motivazione. Secondo il ricorrente il reato commesso non poteva dirsi ostativo in virtu’ della mancata contestazione della circostanza aggravante di cui al Decreto Legge n. 152 del 1991, articolo 7.
Si evidenzia, altresi’, da parte del ricorrente, la pendenza di giudizio incidentale di legittimita’ costituzionale relativo al dubbio di ragionevolezza della presunzione assoluta di assenza di pericolosita’ rapportato alla scelta collaborativa.
3. In presenza di un ricorso che non va dichiarato inammissibile per aspetti formali relativi alla tardivita’ o alla legittimazione, la decisione del Tribunale di Sorveglianza va annullata con rinvio, in rapporto all’esito del giudizio incidentale di legittimita’ costituzionale evocato nell’atto di ricorso. Con decisione numero 253 del 2019 (del 4 dicembre 2019) la Corte Costituzionale ha dichiarato la parziale illegittimita’ costituzionale della previsione di legge di cui all’articolo 4 bis ord.pen., proprio in riferimento all’istituto del permesso premio ed al regime legale della ostativita’.
Trattandosi di sentenza dichiarativa di illegittimita’ costituzionale – sia pure parziale – i contenuti della medesima devono essere oggetto di valutazione anche di ufficio, ai sensi della previsione di legge di cui all’articolo 609 c.p.p., comma 2 (tra le molte, v. Sez. U. n. 33040 del 26.2.2015 ric. Jazouli; Sez. VI n. 14995 del 26.3.2014, ric. Lampugnano; Sez. VI n. 37102 del 19.7.2012, ric. Checcucci).
3.1 Va brevemente illustrato il contenuto della decisione Corte Cost. numero 253 del 2019, pubblicata in data 4 dicembre 2019 ed avente ad oggetto la disciplina del permesso premio in rapporto alle condizioni legali di accesso a tale beneficio penitenziario.
Il dispositivo testualmente recita:
dichiara l’illegittimita’ costituzionale della L. 26 luglio 1975, n. 354, articolo 4-bis, comma 1, (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della liberta’), nella parte in cui non prevede che, ai detenuti per i delitti di cui all’articolo 416-bis c.p. e per quelli commessi avvalendosi delle condizioni previste dallo stesso articolo ovvero al fine di agevolare l’attivita’ delle associazioni in esso previste, possano essere concessi permessi premio anche in assenza di collaborazione con la giustizia a norma dell’articolo 58-ter del medesimo ordin. penit., allorche’ siano stati acquisiti elementi tali da escludere, sia l’attualita’ di collegamenti con la criminalita’ organizzata, sia il pericolo del ripristino di tali collegamenti;
dichiara, in via consequenziale, ai sensi della L. 11 marzo 1953, n. 87, articolo 27 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), l’illegittimita’ costituzionale della L. n. 354 del 1975, articolo 4-bis, comma 1, nella parte in cui non prevede che ai detenuti per i delitti ivi contemplati, diversi da quelli di cui all’articolo 416-bis c.p. e da quelli commessi avvalendosi delle condizioni previste dallo stesso articolo ovvero al fine di agevolare l’attivita’ delle associazioni in esso previste, possano essere concessi permessi premio anche in assenza di collaborazione con la giustizia a norma dell’articolo 58-ter del medesimo ordin. penit., allorche’ siano stati acquisiti elementi tali da escludere, sia l’attualita’ di collegamenti con la criminalita’ organizzata, terroristica o eversiva, sia il pericolo del ripristino di tali collegamenti.
3.2 La decisione e’ intervenuta sulla (intera) previsione di cui all’articolo 4 bis, comma 1 ed ha, in relazione ai suoi contenuti argomentativi, ritenuto contrastante con le norme costituzionali (articolo 3 Cost. e articolo 27 Cost., comma 3) la presunzione legale assoluta di pericolosita’ sociale – tale da inibire la concessione del permesso – correlata alla scelta di non prestare collaborazione con la giustizia.
La collaborazione effettiva non puo’ – dunque – essere piu’ ritenuta quale unica prova legale di avvenuta rescissione del legame con il contesto criminale di provenienza.
Detta presunzione assoluta e’ stata espunta dal quadro normativo e, a ben vedere, sostituita da una presunzione relativa (di perduranza del rapporto con il contesto in cui e’ maturata la commissione del particolare reato, in chiave di attuale pericolosita’ soggettiva, con analoga portata preclusiva del permesso) vincibile a determinate condizioni e con determinate regole probatorie.
Su tali aspetti occorre brevemente soffermarsi.
3.3 In presenza di una opzione del condannato orientata a mantenere il “silenzio” sui fatti delittuosi avvenuti prima della condanna, la Corte Costituzionale introduce un particolare regime dimostrativo, orientato a contrastare la presunzione relativa. Non e’ – infatti sufficiente – l’acquisizione di elementi tali da escludere l’attualita’ di collegamenti con la criminalita’ organizzata (parametro contenuto nell’attuale testo di legge, al comma 1bis) ma occorre estendere la dinamica probatoria alla particolare condizione, sia pure correlata alla precedente, della inesistenza del pericolo di un loro ripristino, tenuto conto delle concrete circostanze personali e ambientali: (..) di entrambi tali elementi – esclusione sia dell’attualita’ di collegamenti con la criminalita’ organizzata che del pericolo di un loro rispristino grava sullo stesso condannato che richiede il beneficio l’onere di fare specifica allegazione..(..).
Non e’ un caso, dunque, che lo stesso dispositivo della sentenza n. 253 menzioni espressamente le due proposizioni probatorie cui si e’ fatto cenno (attualita’ dei collegamenti/pericolo del loro ripristino) con portata certamente additiva, tale da determinare la costruzione di un sistema differenziato quanto alle valutazioni giurisdizionali posteriori alla decisione di incostituzionalita’.
Cio’ in rapporto all’oggetto del giudizio incidentale che era – appunto rappresentato dalla presunzione legale assoluta di pericolosita’ sociale posta a carico dei condannati non collaboranti. La decisione della Corte Costituzionale non riguarda, pertanto, le disposizioni in tema di collaborazione impossibile o inesigibile (tenute espressamente al di fuori dell’oggetto del giudizio) che non solo restano vigenti ma che continuano ad avere una portata precettiva concreta, sia in ragione della diversita’ parziale delle regole dimostrative della assenza di pericolosita’ (profilo strettamente normativo), sia in ragione di una percepibile differenza ontologica, posto che l’accertamento in positivo della impossibilita’ o inesigibilita’ della collaborazione consente di qualificare in termini univoci (e non connotati da alcun minimo disvalore) la scelta del detenuto di non fornire informazioni alla autorita’ giudiziaria.
3.4 Ne deriva, quanto all’esame delle ricadute, che non puo’ certo dirsi – specie in ragione della segnalata differenza di oggetto della prova – abrogata per incompatibilita’ la previsione di legge (articolo 4 bis, comma 14 bis) in tema di collaborazione impossibile o inesigibile.
In presenza di simile accertamento positivo (spettante ex lege al Tribunale) la scelta di non prestare collaborazione assume un significato del tutto neutro, il che nella logica proposta dalla Corte Costituzionale – consente di circoscrivere la dimostrazione probatoria al parametro della “esclusione di attualita’ dei collegamenti”.
Li’ dove vi sia l’opzione del silenzio (con richiesta di accesso al beneficio basata in via esclusiva sulla assenza di attuale pericolosita’) la dimostrazione probatoria e’ come si e’ notato – piu’ complessa ed include il parametro aggiuntivo (sia pure di problematica aderenza a canoni epistemologici basati sulla materialita’ dell’oggetto della prova), della assenza del pericolo di ripristino di tali collegamenti.
4. In presenza di simile cornice, vi e’ pertanto da chiedersi in che misura il novum normativo possa incidere sulle opzioni definitorie della fase di legittimita’.
A parere del Collegio ove si discuta dell’accesso al permesso premio – con diniego confermato dal Tribunale prima della sentenza dichiarativa di incostituzionalita’ – il procedimento va rimesso alla fase del merito (innanzi al Tribunale e previo annullamento con rinvio) in ragione del fatto che il novum portato dalla decisione numero 253 del 2019 introduce una opzione decisoria aggiuntiva che il reclamante puo’ chiedere di attivare (causa petendi nuova, per definizione non proponibile in precedenza, di accesso al beneficio richiesto, in rapporto al diverso assetto sinora evidenziato ed alla eliminazione della presunzione assoluta).
In altre parole, pur tenendosi conto della natura devolutiva del reclamo, che comunque trasferisce l’intera potesta’ decisoria al Tribunale (v. Sez. I n. 5322 del 2018, ric. Magri’) su ogni aspetto rilevante, la sopravvenienza di un nuovo oggetto del giudizio di merito; correlato alla richiesta iniziale della parte (con necessaria verifica delle proposizioni probatorie richiamate dalla Corte Cost.) rende doverosa la riapertura della fase di merito, anche in ragione della natura tendenzialmente retroattiva (salvo il limite delle situazioni esaurite) delle decisioni dichiarative della illegittimita’ costituzionale (tra le molte Sez. I n. 33080 del 2016 ric. Arifaj, rv 267396).
Li’ dove, per converso, la pronunzia impugnata abbia riguardato il tema della perdurante pericolosita’ sociale e’ evidente che il novum contenuto nella decisione n. 253/2019 e’ de’ tutto assente (atteso che pur tenendosi conto della elisione della presunzione legale assoluta l’accesso al beneficio sarebbe precluso) ed il ricorso per cassazione segue l’ordinaria regola di valutazione dei suoi contenuti.
Da quanto detto sopra deriva l’annullamento della decisione impugnata – che non ha affrontato i tema della pericolosita’ in concreto – con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Sorveglianza di L’Aquila e cio’ al fine di consentire al reclamante di introdurre in sede di merito i temi divenuti proponibili a seguito della decisione n. 253 del 2019 della Corte Costituzionale.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnate e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Sorveglianza di L’Aquila.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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