Consiglio di Stato, Sezione seconda, Sentenza 28 settembre 2020, n. 5692.
Nel processo amministrativo anche in presenza di sopravvenuta carenza di interesse attuale all’annullamento, può ancora sorreggere l’impugnativa l’interesse residuale finalizzato al risarcimento del danno: quanto sopra, con riferimento agli effetti negativi del provvedimento, diretti o conseguenti a violazione delle regole del giusto procedimento.
Sentenza 28 settembre 2020, n. 5692
Data udienza 22 settembre 2020
Tag – parola chiave: Processo amministrativo – Interesse all’annullamento – Sopravvenuta carenza – Interesse residuale finalizzato al risarcimento del danno – Rilevanza
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9922 del 2010, proposto da
Ca. St. di Ci. Do. & C. S.a.s., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Sa. Ni., con domicilio eletto presso lo studio Gi. De. in Roma, via (…);
contro
Comune di (omissis), non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia sezione staccata di Lecce Sezione Seconda n. 01573/2010, resa tra le parti, concernente la concessione di n. 2 lotti per la costruzione di uno stabilimento da destinare a settori produttivi nella zona P.I.P. in fase di realizzazione.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 22 settembre 2020 il Cons. Paolo Giovanni Nicolò Lotti e rilevato che nessuno è comparso per le parti.
FATTO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, Lecce, sez. II, 23 giugno 2010, n. 1573 ha dichiarato improcedibile il ricorso, proposto dall’attuale parte appellante, per l’annullamento della deliberazione del Consiglio Comunale n. 54 del 28.11.1996, comunicata con nota del 30.1.1997 prot. n. 173, trasmessa con racc. rr n. 1731 ricevuta il 3.2.1997, con la quale il Consiglio Comunale di (omissis) ha così (fra l’altro) provveduto: “Delibera la revoca, per i motivi indicati in narrativa, dei provvedimenti di concessione dei lotti n. (omissis) della zona P.I.P. del Comune di (omissis) alla ditta Ca. St. s.n. c. di Ta. In. Gi. e Gi. di Me.”.
Secondo il TAR, sinteticamente:
– con deliberazione di Consiglio Comunale n. 12 dell’1.4.1997, il Comune ha adottato una variante al PIP approvato con delibera n. 33 del 25.11.1991;
– tale variante è stata poi definitivamente approvata con delibera di C.C. n. 29 del 28.8.1997;
– essa ha determinato una completa revisione dei lotti originari, tra cui quelli assegnati alla ricorrente in via provvisoria e poi revocati;
– l’eventuale accoglimento del ricorso, quindi, dato il mutamento dello stato di fatto, non consentirebbe comunque alla ricorrente di acquisire i lotti in questione;
– peraltro, la delibera di variante n. 29-1997 è stata impugnata con ricorso n. 3711-1997, rispetto al quale è stata negata la sospensione in via cautelare, ricorso che è stato dichiarato perento con decreto decisorio n. 5339-2006.
La parte appellante contestava la sentenza del TAR, eccependone l’erroneità e riproponendo i motivi del ricorso di primo grado.
Con l’appello in esame chiedeva l’accoglimento del ricorso di primo grado.
All’udienza pubblica del 22 settembre 2020 la causa veniva trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. L’attuale appellante, esercente attività di produzione e vendita di carpenteria metallica per edilizia civile e industriale, aveva richiesto al Comune di (omissis) la concessione di n. 2 lotti in zona P.I.P. per la costruzione di uno stabilimento per sviluppare ed incrementare la propria attività e, con delibera C.C. n. 16 del 17.3.1992 il Comune appellato gli aveva assegnato, in via provvisoria, i lotti nn. (omissis) facenti parte della Zona P.I.P. per l’importo di L.25.259.775 + IVA, di cui il 90% da versare alla firma della convenzione.
In data 1.4.1992 veniva stipulata tra le suddette parti la convenzione per la cessione in via provvisoria all’assegnataria dei menzionati lotti.
L’attuale appellante comunicava al Comune di aver provveduto al versamento delia somma richieste e dichiarava di essere immediatamente disponibile alla stipula dell’atto notarile di trasferimento.
Con nota prot.n. 2445 del 2.10.1996 il Comune invitava l’appellante a “voler manifestare concretamente la effettiva realizzazione delle opere richieste entro e non oltre 15 gg. dal ricevimento della presente” e con successiva nota prot. n. 2868 del 15.10.1996 il Comune preannunciava la revoca dell’assegnazione dei lotti nn. (omissis) per non aver la Ca. St. Snc iniziato la costruzione dell’opificio nel termine annuale dall’assegnazione provvisoria come previsto dall’art. 5 della convenzione.
Con raccomandata 3.1.1997, parte appellante confermava la disponibilità al rogito notarile e comunicava di aver già redatto il progetto dell’opificio, che sarebbe stato presentato entro breve termine, e presentava tutti gli elaborati progettuali in data 16.1.1997 (prot. n. 101).
Con nota prot. n. 173 del 30.1.1997, il Sindaco trasmetteva la Delibera di C.C. n. 54 del 28.11.1996 contenente la revoca, per aver disatteso il termine di un anno dall’assegnazione provvisoria del lotto per dar luogo all’inizio dei lavori di realizzazione degli stabilimenti, del provvedimenti di concessione dei lotti n. (omissis) della zona P.I.P.
2. Parte appellante ritiene che sussiste l’interesse alla pronuncia, poiché avrebbe la possibilità di perseguire un’utilità – il bene della vita – anche nella forma restitutoria e risarcitoria, in conseguenza dell’accertamento dell’illegittimità dell’agire della P.A.
In line astratta, tale prospettazione è condivisibile.
Infatti, anche in presenza di sopravvenuta carenza di interesse attuale all’annullamento, può ancora sorreggere l’impugnativa l’interesse residuale finalizzato al risarcimento del danno: quanto sopra, con riferimento agli effetti negativi del provvedimento, diretti o conseguenti a violazione delle regole del giusto procedimento (cfr., ex multis, Consiglio di Stato, sez. VI, 27 ottobre 2009, n. 6577).
Pertanto, sempre in linea astratta, non viene meno il difetto di interesse alla decisione se, nelle more dei giudizio, lo strumento urbanistico è stato annullato e sostituito con uno nuovo, in quanto anche ove si ritenesse che la nuova destinazione del terreno del ricorrente possa impedire la realizzazione delta lottizzazione da parte di quest’ultimo, non potrebbe escludersi l’insorgenza del suo diritto al risarcimento del danno da lesione d’interesse legittimo, in relazione all’eventuale all’accoglimento del ricorso.
Nel caso in esame, certamente l’azione di annullamento è stata privata di interesse dall’approvazione medio tempore del nuovo strumento urbanistico, tuttavia potrebbe residuare l’interesse ad una pronuncia sulla legittimità degli atti ai fini risarcitori ex art. 34, comma 3, c.p.a.
Non invece, a fini restitutori, atteso che è pacifico che, venuto meno il titolo giuridico sulla base del quale l’attuale appellante ha versato le somme al Comune in vista della stipula del rogito, dette somme, costituendo un indebito (e non un risarcimento ex art. 2043 c.c.), devono esser restituite all’appellante attraverso gli ordinari strumenti civilistici.
3. Si può prescindere, nel caso di specie, dall’esame della tesi secondo cui la già intervenuta proposizione della domanda risarcitoria nello stesso giudizio, o in altro separato, deve considerarsi un elemento necessario ai fini dell’operatività del precetto di cui all’art. 34, comma 3, c.p.a., atteso che, come si dirà, non si rinvengono profili di illegittimità dell’atto impugnato, così come prospettato dalla parte appellante.
Infatti, approfondendo la tesi sopra menzionata (che condurrebbe nel caso di specie, ad una pronuncia di inammissibilità anche di tale domanda di accertamento dell’illegittimità ), si deve ritenere che essa sia maggiormente aderente al principio della domanda ex art. 34, comma 1, c.p.a. e rispettoso delle esigenze di economia processuale, dal momento che la tesi meno restrittiva, in base alla quale, facendo leva sulla autonomia dell’azione risarcitoria, si giunge ad affermare che ai fini dell’applicazione dell’art. 34, comma 3, c.p.a., non occorrerebbe che il ricorrente avesse già formulato domanda risarcitoria, potendo questa essere solo annunciata e proposta in un successivo giudizio, si pone, infatti, in evidente conflitto con il principio di economia dei mezzi processuali in quanto determina la scissione di un giudizio tendenzialmente unitario in due segmenti processuali aventi ad oggetto, il primo, un accertamento dell’illegittimità dell’atto non più utile al ricorrente sotto il profilo della definizione dell’assetto di interessi a suo tempo cristallizzato dall’Amministrazione, e il secondo, a cui il primo è strumentale, incentrato sulle sole questioni risarcitorie: giudizio quest’ultimo che, peraltro, si presenta come futuro ed eventuale atteso che la sua proposizione permane nella piena disponibilità della parte, in alcun modo impegnata dalla presupposta domanda, e risente in tutta evidenza degli esiti del primo.
4. Nel caso di specie, tuttavia, come detto, si deve escludere ogni ipotesi di illegittimità della delibera impugnata, atteso che essa ha fatto applicazione dell’art. 5 della Convenzione sottoscritta dalle parti in data 1.4.1992 che imponeva il termine di un anno per la realizzazione dell’opificio che costituiva la ragione e la causa dell’assegnazione dei lotti oggetto del giudizio.
Infatti, solo con raccomandata 3.1.1997, parte appellante ha comunicato di aver già redatto il progetto dell’opificio, ed ha presentato gli elaborati progettuali solo in data 16.1.1997, a termine annuale abbondantemente spirato, giustificando la revoca intrapresa dal Comune.
A nulla rileva, ovviamente, che in altre situazioni, il Comune si sia determinato diversamente, come ipotizza parte appellante, atteso che la situazione di illegittimità altrui, come è noto, non giustifica la sussistenza di una disparità di trattamento con riguardo alla propria posizione soggettiva parimenti illegittima.
Né può dedursi un’abrogazione della suddetta clausola della convenzione derivante dall’invito del Comune, nel 1996, di realizzare le opere, atteso che tale invito, non avendo e non potendo avere alcun effetto di modifica della suddetta clausola della convenzione, indica soltanto la sussistenza di una diffida ad adempiere, trascorsa la quale il Comune ha legittimamente proceduto alla revoca in oggetto.
5. Conclusivamente, alla luce delle predette argomentazioni, l’appello deve essere respinto, in quanto infondato.
Nulla per le spese di lite del presente grado di giudizio, in assenza di costituzione della parte appellata.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Seconda,
Definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe indicato, lo respinge.
Nulla per le spese di lite del presente grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 22 settembre 2020 con l’intervento dei magistrati:
Gianpiero Paolo Cirillo – Presidente
Paolo Giovanni Nicolò Lotti – Consigliere, Estensore
Giancarlo Luttazi – Consigliere
Oreste Mario Caputo – Consigliere
Antonella Manzione – Consigliere
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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