In tema di valutazione della chiamata in reità o correità in sede cautelare

Corte di Cassazione, sezione quarta penale, Sentenza 28 luglio 2020, n. 22740.

In tema di valutazione della chiamata in reità o correità in sede cautelare, le dichiarazioni accusatorie rese dal coindagato o coimputato nel medesimo reato o da persona indagata o imputata in un procedimento connesso o collegato, integrano i gravi indizi di colpevolezza soltanto se, oltre ad essere intrinsecamente attendibili, risultino corroborate da riscontri estrinseci anche solo parzialmente o tendenzialmente “individualizzanti”, in quanto la verifica dell’attendibilità di tali dichiarazioni pertiene ad una fase segnata dalla fluidità dell’incolpazione, in cui non è richiesta certezza della colpevolezza ed è invece sufficiente al riguardo un consistente grado di probabilità. (Nella fattispecie la Corte ha ritenuto immune da censure l’ordinanza del tribunale per il riesame che aveva ritenuto sufficienti, a supporto della chiamata in correità per il reato di detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti e delle dichiarazioni etero accusatorie per il delitto di estorsione, i servizi di osservazione che confermavano gli incontri tra il dichiarante e l’indagato e la restituzione, da parte del secondo, della carta di identità e di un assegno, poi sequestrato, compilato dal dichiarante, di importo pari alla somma da lui asseritamente dovuta per la perdita di una parte dello stupefacente consegnatogli dall’indagato, in relazione al quale, con i motivi di ricorso, era stata censurata la natura di riscontro individualizzante, perché privo della necessaria estrinsecità in quanto proveniente dallo stesso dichiarante).

Sentenza 28 luglio 2020, n. 22740

Data udienza 16 luglio 2020

Tag – parola chiave: MISURE CAUTELARI – PERSONALI

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MENICHETTI Carla – Presidente

Dott. PEZZELLA Vincenzo – Consigliere

Dott. BRUNO M. – Consigliere

Dott. CENCI Daniele – Consigliere

Dott. DAWAN Daniela – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato il (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 25/02/2020 del TRIB. LIBERIA’ di PERUGIA;
udita la relazione svolta dal Consigliere DANIELA DAWAN;
lette le conclusioni del PG ETTORE PEDICINI che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilita’ del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Il difensore di (OMISSIS), attinto dalla misura cautelare degli arresti domiciliari per il delitto di estorsione e di detenzione e cessione di circa un chilo di cocaina, interpone ricorso avverso l’ordinanza con cui il Tribunale di Perugia ha rigettato il riesame da questi proposto, confermando la misura in corso.
2. La vicenda trae origine dalle dichiarazioni auto ed eteroaccusatorie di (OMISSIS), rese in data 5 e 6 febbraio 2020. Costui riferiva di aver conosciuto al bar “(OMISSIS)” di (OMISSIS) l’odierno indagato, commerciante di auto usate, al quale, in data (OMISSIS), confidava di essere disoccupato. Alla proposta di quest’ultimo di offrirgli dei soldi, il (OMISSIS) chiedeva mille Euro, che gli servivano sia per i debiti da gioco, contratti in ragione della ludopatia da cui era affetto, sia per festeggiare le imminenti festivita’ natalizie. Il (OMISSIS), quindi, si allontanava per tornare dopo circa dieci minuti con mille Euro in contanti che consegnava al (OMISSIS), il quale li prendeva, convinto di poter estinguere il debito in pochi giorni, una volta conseguita l’indennita’ di disoccupazione. Ma cio’ non avveniva, cosi’ che il (OMISSIS), in un nuovo incontro, rassicurandolo, gli proponeva (previo accordo con i suoi contatti) un lavoro illegale e collegato alla cocaina da custodire nascosta in un campo e consegnare a richiesta. Seguiva, il (OMISSIS), un altro incontro con il (OMISSIS) (giunto a bordo di una Golf nera) e un’altra persona albanese (riconosciuta fotograficamente in soggetto poi identificato in (OMISSIS)) presso il (OMISSIS) di (OMISSIS). In tale occasione l’albanese gli diceva che gli avrebbe procurato un telefono per comunicare con lui e parlava della consegna di 1 kg di cocaina suddivisa o da suddividere in pezzi da 100 grammi, quantitativo effettivamente consegnato in un successivo incontro del 30 dicembre, con l’accordo finale che sarebbero stati scalati 100 Euro per ogni consegna di un pezzo da 100 grammi. A tale incontro interveniva anche il (OMISSIS), sopraggiunto con altri tre albanesi (di cui uno zoppicante), tutti ben descritti dal (OMISSIS), a bordo di due autovetture: una Fiat Tipo e una Fiat Punto. Salito a bordo della Fiat Tipo, con uno di essi, si fermava al parcheggio di (OMISSIS), davanti alla tabaccheria “(OMISSIS)”. L’albanese, quindi, smontava un pezzo del cruscotto ed estraeva una busta con all’interno gli ovuli della cocaina gia’ confezionati. Contestualmente gli consegnava anche un telefono cellulare con cui il (OMISSIS) avrebbe dovuto comunicare con loro. All’interno del cellulare non vi era nessuna scheda, dovendo il (OMISSIS), secondo le istruzioni dettate dall’albanese, collegarsi ad un wi-fi ed aspettare i messaggi. Presa la busta, il (OMISSIS) scendeva dal mezzo dirigendosi verso il percorso verde di (OMISSIS), passando sotto le telecamere, nascondendo le dosi lungo il percorso. Di solito, accendeva il telefono la sera prima e chiedeva se la mattina seguente vi fosse una consegna da effettuare. La prima consegna fu fatta il giorno stesso: via cellulare, stabilita per le ore 17:30 presso l'(OMISSIS), con indicazione dell’autovettura (colore e tipo) del consegnatario. La consegna avveniva senza dazione di denaro, secondo le istruzioni ricevute. Seguivano tre consegne da 100 grammi, l’una nella mattina del giorno (OMISSIS), con accurata descrizione del luogo di appuntamento ed autovettura del consegnatario; due consegne nel pomeriggio-sera ed altre due cessioni nel pomeriggio del (OMISSIS). Il giorno (OMISSIS) veniva dato un ulteriore appuntamento al bar “(OMISSIS)” per le ore 06:40, ma, una volta giunto al nascondiglio della cocaina, il (OMISSIS) constatava che mancavano gli ultimi due pacchetti, uno da 100 e uno da 50 grammi. A quel punto, temporeggiava con l’acquirente, tornava a casa e scriveva un messaggio con cui rinunciava alla cessione senza spiegazioni. Il giorno dopo, avvertiva il (OMISSIS) di un intervento della polizia presso la vicina padrona di casa e lo informava che, impaurito, aveva gettato i 150 grammi nel gabinetto; al fine di crearsi un alibi, fotografava anche la pattuglia. Il (OMISSIS) gli fissava, quindi, un appuntamento per le ore 9:00 presso l’autolavaggio, con il (OMISSIS), il quale giungeva a bordo di una Fiat Punto grigia in compagnia dell’albanese zoppicante. Alla conferma dell’alibi, il (OMISSIS) lo rimproverava con durezza, dandogli appuntamento per il 12 gennaio, nel parcheggio della farmacia (OMISSIS) ove giungeva con il (OMISSIS) alle 21:00 circa, a bordo di una Golf scura. Lo caricavano in auto e si recavano presso i (OMISSIS). Ivi scesi, si inoltravano nel percorso verde, ove, fermatisi, gli contestavano quanto da lui sostenuto, comunicandogli di aver saputo che la cocaina “piscia di gatto”, che avevano solo loro, si stava vendendo a (OMISSIS). Lo picchiavano, allora, con calci e pugni, dicendogli che sapevano dove abitava e che avrebbero preso anche sua madre, e gli chiedevano un totale di Euro 7.300,00 (1000 per il debito verso il (OMISSIS) e 6.300 per la cocaina persa, quantificata in 42 Euro per ogni grammo). Nell’occasione, riprendevano il cellulare che gli avevano fornito. Riaccompagnato il (OMISSIS) al parcheggio della Farmacia (OMISSIS), il (OMISSIS) gli proponeva, per ripianare il debito, di vendere la cocaina per conto loro fino a raggiungere la somma da restituire, ma il (OMISSIS) rifiutava, affermando che avrebbe restituito i soldi. Non sapendo cosa fare, preso dal panico e consapevole di aver rischiato la vita, per guadagnare tempo si recava a (OMISSIS) e acquistava da un tunisino un assegno della (OMISSIS) al prezzo di 20 Euro. Compilava, quindi il titolo con il proprio nome per un importo complessivo di 7.500 Euro e lo post-datava al (OMISSIS).
Il (OMISSIS) alle ore 11:00 circa incontrava casualmente il (OMISSIS) all’autolavaggio dietro al Bar (OMISSIS), e gli diceva di aver l’assegno con se’ ma che doveva post-datarlo in quanto ancora privo di copertura. Il (OMISSIS) non prendeva l’assegno e gli dava appuntamento al (OMISSIS) di (OMISSIS) alle 17:00. In quella occasione, il (OMISSIS) consegnava l’assegno e la carta di identita’ al (OMISSIS), il quale piu’ volte profferiva minacce nei confronti di lui e della madre qualora, alla data del (OMISSIS), l’assegno non fosse stato coperto. Minacce ripetutamente espresse anche negli incontri successivi.
(OMISSIS) il (OMISSIS) incontrava il (OMISSIS) al lavaggio intorno alle ore 10:00. Quest’ultimo iniziava a insistere che voleva i soldi, proponendogli di chiudere la faccenda con 5000 Euro (con restituzione dell’assegno e della carta d’identita’), il tutto subordinato pero’ ad una futura collaborazione, facendogli chiaramente intendere che avrebbe dovuto spacciare per lui. Per prendere tempo, il (OMISSIS) gli posticipava la consegna dei 5000 Euro al martedi’ successivo, alle 19:00, dicendo che sarebbe venuto un proprio (inesistente) amico di nome Rocco a saldare. Il martedi’, non avendo il denaro, il (OMISSIS) non si presentava per paura di ritorsioni sulla sua persona. Alle 19:30, dopo che lo avevano cercato a casa, l’uomo, spaventato, si determinava a contattare i Carabinieri di Prepo, i quali monitoravano i successivi incontri, pervenendo infine ad arrestare in flagranza il (OMISSIS). Il (OMISSIS) aggiungeva al racconto teste’ riportato di aver visto presso il capannone del (OMISSIS) due buste della spesa piene di banconote. Accortosene, il (OMISSIS) gli spiegava che ognuno aveva i suoi compiti all’interno dell’organizzazione e che, se qualcosa fosse sparito, loro si sarebbero occupati di dare una lezione perche’ nessuno doveva permettersi di toccare niente.
3. Il ricorso si fonda su due motivi. Con il primo, si deduce mancanza, contraddittorieta’ o manifesta illogicita’ della motivazione in ordine alla valutazione di attendibilita’ del chiamante in reita’, il cui resoconto risulterebbe interessato, generico e privo dei necessari riscontri individualizzanti: il Tribunale non avrebbe verificato la credibilita’ del (OMISSIS) in relazione alla sua personalita’, alle sue condizioni socio-economiche e familiari, al suo passato, ai rapporti con i chiamati in correita’, alla genesi della sua confessione. Si ricorda che il chiamante aveva dichiarato di aver lavorato come manovale alle dipendenze di calabresi indagati per associazione mafiosa nell’operazione “(OMISSIS)”, concernente l’infiltrazione della âEuroËœndrangheta nel tessuto imprenditoriale umbro: particolare che avrebbe richiesto maggiori approfondimenti sulla sua figura, atteso che egli si mostrava capace di reperire, da ignoti e in breve tempo, un assegno provento di furto, di compilarlo e di consegnarlo all’odierno indagato quale garanzia di un prestito che non intendeva onorare. Non si comprende poi la ragione per la quale la dipendenza compulsiva da gioco (da cui il (OMISSIS) risulta affetto) e la volonta’ di intraprendere un percorso riabilitativo debbano rendere il (OMISSIS) maggiormente credibile. Tale condizione, al contrario, lo qualifica come
soggetto particolarmente fragile, suggestionabile e, quindi,
strumentalizzabile. Con il secondo motivo si censura mancanza, contraddittorieta’ o manifesta illogicita’ della motivazione in ordine ai gravi indizi di colpevolezza, nonche’ violazione dell’articolo 273 c.p.p., comma 1-bis e articolo 192 c.p.p., commi 3 e 4, con riguardo a riscontri individualizzanti della chiamata in reita’. Non e’ stato operato alcun sequestro di stupefacente e di denaro, non vi sono intercettazioni dei colloqui telefonici, non sono stati acquisiti i messaggi di testo ovvero i tabulati che dimostrino i presunti contatti tra le parti, non sono state raccolte dichiarazioni di persone informate sui fatti, utili a confermare gli incontri al bar “(OMISSIS)” di (OMISSIS) ovvero all’autolavaggio. Alla medesima stregua, non e’ stato individuato il presunto gruppo professionalmente organizzato dedito alla movimentazione e allo spaccio di notevoli quantitativi di cocaina in cui il (OMISSIS) sarebbe inserito. Ne’ corrisponde al vero l’assunto del Tribunale secondo cui tutti gli individui sarebbero stati ben descritti dal chiamante. Le due condanne riportate dal (OMISSIS) sono risalenti nel tempo e, comunque, del tutto estranee al traffico di stupefacenti e tali da non minare la credibilita’ dell’indagato rispetto alle dichiarazioni da lui rese nel corso dell’interrogatorio di garanzia, in cui ammetteva di vantare un credito nei confronti del (OMISSIS) ma lo riconduceva ad una causa lecita. Il (OMISSIS) non ha indicato i luoghi in cui ha dichiarato di aver nascosto lo stupefacente, ne’ la polizia giudiziaria ha compiuto alcun sopralluogo. Non c’e’ prova che la polizia sia mai intervenuta nell’appartamento della vicina e padrona di casa del (OMISSIS), ne’ che, prima del (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) si siano mai visti, nonostante i luoghi e gli orari degli incontri lasciassero presumere la presenza di altri avventori del bar ovvero dell’autolavaggio. Non ci sono testimoni ne’ certificati medici che attestino l’asserito pestaggio presso i “(OMISSIS)”, nonostante la considerevole e costante presenza di persone in quei luoghi. Gli unici incontri documentati sono quelli osservati a distanza dai Carabinieri e registrati, avvenuti in data (OMISSIS). La difesa aveva, peraltro, rilevato l’inutilizzabilita’ della registrazione del (OMISSIS), vista la mancanza di un decreto autorizzativo da parte del pubblico ministero; le registrazioni degli incontri successivi, debitamente autorizzate, invece, non venivano neppure trascritte. L’assegno bancario, valorizzato dal Tribunale quale riscontro all’ipotesi accusatoria, si rivela elemento neutro perche’ compatibile con la versione resa dall’indagato che ammetteva di aver elargito, in maniera del tutto lecita, un prestito al chiamante, di cui l’assegno costituiva la garanzia. Ne’ il titolo di credito puo’ costituire un riscontro individualizzante per la condotta estorsiva, tentata o consumata, perche’ proveniente dallo stesso chiamante e, quindi, privo di quel carattere di estrinsecita’ richiesto dalla giurisprudenza per evitare il vizio di circolarita’ della prova. Il ricorrente censura, altresi’, l’argomento del Tribunale che esclude la riconducibilita’ dell’assegno ad un credito di natura lecita, attesa la sostanziale coincidenza tra la somma del prestito e del debito per la perdita dello stupefacente: il titolo veniva, infatti, compilato dal medesimo (OMISSIS), il quale non poteva che rilasciare dichiarazioni logicamente compatibili con l’ammontare che egli stesso aveva in precedenza determinato; e, comunque, si trattava di un titolo consegnato a garanzia del debito e non a saldo di questo.
4. Con requisitoria scritta del 10/06/2020, il Procuratore Generale della Corte di cassazione ha chiesto dichiararsi l’inammissibilita’ del ricorso per la genericita’ delle doglianze ivi prospettate.
5. In data 06/07/2020, il difensore dell’indagato faceva pervenire in cancelleria una memoria di replica alla requisitoria del Procuratore Generale in cui ribadisce quanto illustrato nei motivi di ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ infondato e deve, pertanto, essere rigettato.
2. E’ necessario preliminarmente determinare i limiti entro i quali questa Corte Suprema puo’ esercitare il sindacato di legittimita’ sulla motivazione delle ordinanze applicative di misure cautelari personali.
Secondo l’orientamento che il Collegio condivide, allorche’ sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal Tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte Suprema spetta il compito di verificare se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravita’ del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti, rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie, nella peculiare prospettiva dei procedimenti incidentali de libertate (Sez. U., n. 11 del 22/03/2000, Audino, Rv. 215828: in motivazione, la S.C., premesso che la richiesta di riesame ha la specifica funzione, come mezzo di impugnazione, sia pure atipico, di sottoporre a controllo la validita’ dell’ordinanza cautelare con riguardo ai requisiti formali enumerati nell’articolo 292 c.p.p. e ai presupposti ai quali e’ subordinata la legittimita’ del provvedimento coercitivo, ha posto in evidenza che la motivazione della decisione del Tribunale del riesame, dal punto di vista strutturale, deve essere conformata al modello delineato dal citato articolo, ispirato al modulo di cui all’articolo 546 c.p.p., con gli adattamenti resi necessari dal particolare contenuto della pronuncia cautelare, non fondata su prove, ma su indizi e tendente all’accertamento non della responsabilita’, bensi’ di una qualificata probabilita’ di colpevolezza; nel medesimo senso, ex multis, Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, Mazzelli Franco, Rv. 276976, secondo cui, in tema di misure cautelari personali, il ricorso per cassazione per vizio di motivazione del provvedimento del Tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza consente al giudice di legittimita’, in relazione alla peculiare natura del giudizio ed ai limiti che ad esso ineriscono, la sola verifica delle censure inerenti la adeguatezza delle ragioni addotte dal giudice di merito ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie e non il controllo di quelle censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze gia’ esaminate dal giudice di merito).
Il controllo del giudice di legittimita’, quindi, non involge il giudizio ricostruttivo del fatto e gli apprezzamenti del giudice di merito circa l’attendibilita’ delle fonti e la rilevanza e la concludenza dei risultati del materiale probatorio, quando la motivazione sia adeguata, coerente ed esente da errori logici e giuridici.
3. Quanto alla nozione di gravi indizi di colpevolezza questa Corte (Sez. 4, n. 53369 del 09/11/2016, Jovanovic, Rv. 268683; Sez. 4, n. 38466 del 12/07/2013, Kolgjini, Rv. 257576) ha piu’ volte chiarito che la stessa non e’ omologa a quella che qualifica lo scenario indiziario idoneo a fondare il giudizio di colpevolezza finale. Al fine dell’adozione della misura, invero, e’ sufficiente l’emersione di qualunque elemento probatorio idoneo a fondare un giudizio di qualificata probabilita’ sulla responsabilita’ dell’indagato in ordine ai reati addebitati. I detti indizi, pertanto, non devono essere valutati secondo gli stessi criteri richiesti, per il giudizio di merito, dall’articolo 192 c.p.p., comma 2 (per questa ragione l’articolo 273 c.p.p., comma 1-bis richiama l’articolo 192 c.p.p., commi 3 e 4, ma non il comma 2 del medesimo articolo, il quale, oltre alla gravita’, richiede la precisione e concordanza degli indizi). Deve, peraltro, ribadirsi, come affermato da precedenti pronunce di questa stessa Sezione (Sez. 4, n. 37878 del 06/07/2007, Cuccaro e altri, Rv. 237475), che la valutazione del peso probatorio degli indizi e’ compito riservato al giudice di merito e che, in sede di legittimita’, tale valutazione puo’ essere contestata unicamente sotto il profilo della sussistenza, adeguatezza, completezza e logicita’ della motivazione, mentre sono inammissibili le censure che, pure investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze gia’ esaminate dal giudice, spettando alla Corte di legittimita’ il solo compito di verificare se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravita’ del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi del diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie (Sez. 5, n. 602 del 14/11/2013, dep. 2014, Ungureanu, Rv. 258677; Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013, P.M. in proc. Tiana, Rv. 255460). Il controllo di logicita’, peraltro, deve rimanere “all’interno” del provvedimento impugnato, non essendo possibile procedere a una nuova o diversa valutazione degli elementi indizianti o a un diverso esame degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate.
4. Cio’ detto, i due motivi di ricorso possono essere trattati congiuntamente, poiche’ entrambi concernenti la valutazione di attendibilita’ delle dichiarazioni del chiamante in correita’ operata dal Tribunale del riesame. Nella prospettiva dianzi ricordata, risulta evidente che le doglianze in punto di gravita’ indiziaria sono, da un lato, assolutamente generiche, laddove alludono, senza che cio’ possa costituire valido argomento spendibile in sede di legittimita’, ad imprecisate ragioni sottostanti il racconto del (OMISSIS); dall’altro, sono declinate in fatto perche’ mirano essenzialmente a proporre una diversa lettura degli elementi valorizzati dal Tribunale per qualificare il complessivo compendio indiziario.
La censura con cui il ricorrente lamenta la mancanza di riscontri esterni individualizzanti ai sensi dell’articolo 192 c.p.p. alle dichiarazioni del (OMISSIS) e’ infondata. Rileva il Collegio che, secondo la condivisa giurisprudenza di legittimita’, nella fase delle indagini preliminari, i gravi indizi di colpevolezza richiesti per l’applicazione di una misura cautelare, che devono essere tali da lasciar desumere la qualificata probabilita’ di attribuzione all’indagato del reato per cui si procede, possono fondarsi sulla dichiarazione di un collaborante, se precisa, coerente e circostanziata, che abbia trovato riscontro in elementi esterni, anche di natura logica, tali da rendere verosimile il contenuto della dichiarazione (Sez. 2, n. 16183 del 01/02/2017, Fiore, Rv. 269987; Sez. 1, n. 16792 del 09/04/2010, Sacco, Rv. 246948).
Peraltro, essendo la verifica in esame pertinente ad una fase segnata dalla “fluidita’” dell’incolpazione, in cui non e’ richiesta certezza della colpevolezza ed e’ invece sufficiente al riguardo un consistente grado di probabilita’, la “individualizzazione” del riscontro puo’ essere anche solo tendenziale o parziale (Sez. 6, n. 45441 del 07/10/2004, Fanara, Rv. 230755; conf. Sez. VI, 7 ottobre 2004, n. 45442, non massimata).
Orbene, nel caso in esame, il Tribunale si e’ adeguato ai suddetti principi, ancorando il proprio giudizio ad elementi specifici risultanti dagli atti tanto da trarre dalla loro valutazione globale un giudizio in termini di elevata probabilita’ circa l’attribuzione del reato all’indagato. Esso, infatti, ha valorizzato specifici elementi apprezzandone correttamente la loro rilevanza e superando le doglianze del ricorrente sulla base di considerazioni pienamente logiche, non suscettibili di censura in questa sede.
In primo luogo, quanto all’attendibilita’ intrinseca del chiamante, l’ordinanza impugnata ha premesso che la dichiarazione spontanea del (OMISSIS) – di aver egli lavorato come manovale alle dipendenze di calabresi, successivamente indagati per associazione mafiosa – va intesa come unicamente volta ad accreditarsi come persona onesta; alla stessa stregua in cui l’aver egli riferito, con spontaneita’ e sincerita’, di avere necessita’ di denaro, perche’ affetto da una mania compulsiva per il gioco, costituisce circostanza che ne rafforza la credibilita’. Afferma, poi, il Tribunale che le dichiarazioni del (OMISSIS) sono gravemente connotate in senso autoaccusatorio, apparendo analitiche, precise e ricche di particolari e circostanze, “di tal che e’ davvero impossibile ipotizzare che egli se le sia inventate solo per evitare di pagare un semplice debito”. Questo sotto il profilo piu’ specifico della valutazione sull’attendibilita’ intrinseca. Ma il Tribunale si spinge oltre ricordando: gli incontri (tra l’indagato e il (OMISSIS)) del 6, 7 e 8 febbraio 2020, monitorati dagli operanti e ritenuti tali da consolidare la credibilita’ intrinseca del (OMISSIS); la restituzione al (OMISSIS), da parte del (OMISSIS), dell’assegno e della carta di identita’, circostanza direttamente monitorata dalla polizia giudiziaria all’interno dell’ufficio postale dove i due si davano appuntamento. Con argomentazione congrua e logica, il giudice osserva che se si fosse trattato di un normale debito di mille Euro, il (OMISSIS) non avrebbe avuto bisogno di sequestrare il documento del (OMISSIS). Ma il riscontro decisivo e’ costituito, a detta del Tribunale, proprio dall’assegno consegnato da quest’ultimo all’indagato, titolo (sia pure dato in garanzia, come sostiene il ricorrente) di ammontare molto maggiore rispetto al prestito ricevuto, apparendo non priva di significativita’ la circostanza che l’importo dell’assegno fosse sostanzialmente corrispondente alla sommatoria del prestito effettuato dal (OMISSIS) e del valore della cocaina persa dal (OMISSIS).
Come si vede, il Tribunale di Perugia ha offerto una motivazione puntuale, congrua e logica, sull’attendibilita’ del chiamante in correita’, tale da suffragare il quadro di gravita’ indiziaria a carico dell’odierno ricorrente.
5. In conclusione, si impone il rigetto del ricorso, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Si da’ atto che il presente provvedimento e’ sottoscritto dal solo presidente del collegio per impedimento dell’estensore, ai sensi del D.P.C.M. 8 marzo 2020, articolo 1, comma 1, lettera a).

 

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