In materia urbanistica le modifiche introdotte d’ufficio in sede di approvazione del P.R.G.

Consiglio di Stato, Sezione seconda, Sentenza 6 ottobre 2020, n. 5917.

In materia urbanistica le modifiche introdotte d’ufficio in sede di approvazione del P.R.G., quando non riguardanti innovazioni sostanziali, non richiedono la rinnovazione degli adempimenti procedimentali relativi alla pubblicazione del Piano.

Sentenza 6 ottobre 2020, n. 5917

Data udienza 15 settembre 2020

Tag – parola chiave: Strumenti urbanistici – PRG – Approvazione – Modifiche introdotte d’ufficio – Rinnovazione degli adempimenti procedimentali – Necessità – Insussistenza – Condizioni

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5407 del 2011, proposto dai signori Pr. Fo. ed altri, rappresentati e difesi dall’avvocato Or. Ab., con domicilio eletto in Roma, alla via (…),
contro
– la Regione Campania, in persona del Presidente pro tempore della Giunta regionale, rappresentata e difesa dall’avvocato Ma. Im., con domicilio eletto presso l’Ufficio di rappresentanza della Regione Campania, in Roma, alla via (…);
– la Provincia di Napoli, in persona del Presidente pro tempore della Giunta provinciale, rappresentata e difesa dagli avvocati Al. Di Fa. e Lu. Sc., con domicilio eletto in Roma, presso l’avvocato Ge. Fa., alla via di (…);
– il Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, non costituito;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania Sezione II n. 28015 del 23 dicembre 2010, resa nel giudizio R.G.N. 2959 del 2008 tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Campania e della Provincia di Napoli;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 15 settembre 2020, il Cons. Roberto Politi e udito per la parte appellante l’avvocato Fr. Ma. su delega dell’avvocato Or. Ab.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. Il sig. Fr. Pr. – dante causa degli odierni appellanti – era proprietario di alcuni terreni censiti in catasto al foglio (omissis), p.lle (omissis) e foglio (omissis), p.lle (omissis), classificati nel P.R.G. approvato con D.P.A.P. del 29 novembre 1994 come di seguito:
– foglio (omissis) p.lle (omissis): in parte zona B2 ed in parte zona E;
– foglio (omissis) p.lle (omissis) e fol. (omissis) p.lle (omissis): zona E;
– foglio (omissis) p.lla (omissis): zona B2;
– foglio (omissis) p.lla (omissis): in parte zona E ed in parte fascia di rispetto cimiteriale;
– foglio (omissis) p.lle (omissis): fascia di rispetto cimiteriale.
In sede di adozione della variante al P.R.G., deliberata dal Comune di (omissis) con provvedimento commissariale n. 29 del 19 marzo 2004, alcuni terreni di proprietà dell’originario ricorrente (p.lle n. (omissis)) venivano classificati come zona G1 (“commerciale-terziaria”), altri (p.lle (omissis)) come zona G2 “turistico recettiva”, altri ancora (p.lla (omissis)) come zona D1 “attività produttive non compatibili” ed altri (p.lle (omissis)) come zona D2 “attività produttive compatibili”.
A seguito dell’approvazione del suddetto strumento urbanistico sono state assegnate, in via definitiva, le seguenti destinazioni di zona:
– foglio (omissis), p.lle nn. (omissis): parte zona agricola (E) e parte zona B2;
– foglio (omissis), p.lle nn. (omissis) e foglio (omissis), p.lle n. (omissis): zona E;
– foglio (omissis), p.lla (omissis): parte zona (E) agricola e parte zona B2;
– foglio (omissis), p.lle 1(omissis): zona B2;
– foglio (omissis), p.lla (omissis): parte zona E, parte zona B2 e parte zona D2;
– foglio (omissis), p.lla (omissis): zona D2;
– foglio (omissis), p.lla (omissis) parte zona (E) agricola e parte fascia di rispetto cimiteriale;
– foglio (omissis), p.lle (omissis): fascia di rispetto cimiteriale.
Quanto alle vicende che hanno dato luogo all’approvazione della variante allo strumento generale di pianificazione dell’appellato Comune, giova evidenziare che:
– con deliberazione della commissione straordinaria n. 29 del 19 marzo 2004, il Comune di (omissis) adottava la variante generale al previgente P.R.G.;
– l’Amministrazione provinciale, recependo i rilievi confluiti nel parere del C.T.R., con delibera consiliare n. 118/2006, approvava la variante in argomento con prescrizioni;
– il Comune di (omissis), con delibera commissariale n. 18 del 13 marzo 2007, formulava le proprie controdeduzioni, disattese dalla Provincia: la quale, con delibera n. 28 del 29 ottobre 2007, ribadiva il proprio precedente indirizzo, stralciando dallo schema di piano le zone produttive G1, G2, D1, D3 e ridimensionando gli insediamenti di tipo residenziale in ragione del 30% mediante analoga riduzione dell’indice di edificabilità fondiaria della zona B2;
– la Regione, con decreto n. 5 del 20 febbraio 2008, ammetteva la variante al visto di conformità, apponendo condizioni;
– il Comune di (omissis) si uniformava agli indirizzi della Provincia e della Regione; e, con decreto del Presidente dell’Amministrazione Provinciale, n. 392 del 6 agosto 2008, la variante de qua veniva definitivamente approvata.
2. Avverso gli atti come precedentemente indicati, insorgeva in prime cure il sig. Fr. Pr., assumendone l’illegittimità, in quanto:
– la Provincia avrebbe compiuto scelte di merito, sovrapponendo proprie valutazioni a quelle del Comune, al quale deve intendersi riservata ogni decisione sulla pianificazione, spettando alla Provincia un mero controllo di legalità ;
– risulterebbero illogiche le obiezioni mosse dalla Provincia quanto al concreto fabbisogno di aree con destinazione produttiva; di contro, la pianificazione dovrebbe muovere proprio dall’analisi del fabbisogno concreto e, in ragione dell’art. 29 della legge n. 47/1985, sarebbe compito del Comune recuperare eventuali insediamenti abusivi; allo stesso tempo, il ricorso ad un criterio di superficie media, ragionevolmente fissato in 1.000 mq, sarebbe attendibile;
– sarebbe coerente la scelta di localizzare aree da destinare ad impianti industriale su terreni improduttivi (cfr. legge regionale n. 14/1982, titolo II, punto 2);
– sarebbe coerente la scelta di localizzare in aree urbane la zona G1 (destinazione commerciale e terziaria), in quanto verrebbero valorizzati lotti residui ricadenti in zona B di piccole dimensioni, polverizzati sul territorio e prospicienti strade urbane altamente edificate; d’altro canto, in assenza di alcun divieto, gli artt. 3 e 4 del D.M. n. 1444/68 sembrerebbero consentire il computo in ogni zona di un’area minima da destinare al commercio;
– illogica sarebbe l’opzione dello stralcio delle zone G2 (turistico-recettiva) rispetto alle quali non verrebbe opposto un rilievo specifico, ma solo quello comune a tutte le zone produttive di preteso sovradimensionamento;
– lo stralcio assegnerebbe alla destinazione agricola un’impropria funzione di chiusura del tutto estranea alle funzioni definite nella disciplina di settore;
– il dimensionamento delle zone produttive sarebbe coerente con gli indirizzi di pianificazione e con le strategie per il distretto industriale n. 6 dettate dal P.T.C.P. della Provincia di Napoli;
– sarebbe immotivata la scelta di stralciare dalle attività produttive compatibili con la destinazione di zona D2 quelle a più basso impatto ambientale (sportelli bancari, agenzie di viaggio, impianti sportivi);
– sarebbe illegittima la riduzione dell’indice di fabbricabilità fondiaria delle aree con destinazione residenziale, anche perché il dato attinente alle previsioni di crescita della popolazione risulterebbe correttamente impostato su basi attendibili e conformi ad apposita circolare ministeriale;
– sarebbe illegittima l’estensione della fascia di rispetto cimiteriale, fissata in mt. 200 (in attesa del perfezionamento della procedura di deroga), in quanto dovrebbe prevalere sempre la legge regionale n. 14/1982, titolo II, punto 1.7.
Con motivi aggiunti depositati il 17 ottobre 2008, il ricorrente ha impugnato i medesimi atti di cui sopra, a seguito della riapprovazione degli stessi nella versione quale dalle modifiche e/o integrazioni intervenute nel corso dell’intero iter procedimentale.
4. Costituitesi la Provincia di Napoli e la Regione Campania, il Tribunale ha rigettato il ricorso e compensato le spese di lite.
4. In particolare, la Sezione II del T.A.R. Napoli, nell’osservare come le questioni con il gravame dedotte avessero, per la gran parte, carattere di sostanziale sovrapponibilità rispetto a quelle esposte con altri gravami, parimenti aventi ad oggetto la legittimità degli atti di approvazione della variante al P.R.G. del Comune di (omissis) (e definiti con sentenze della stessa Sezione nn. 2689, 2690, 2691, 2692, 2693, 2694, 2695, 2696 e 2697, tutte del 5 maggio 2010), ha ritenuto che:
– “le prescrizioni imposte dalla Provincia (prima) e dalla Regione (in sede di visto di conformità ) non esulino dai poteri riconosciuti dalla legge in tema di approvazione degli strumenti urbanistici, essendo, da un lato, ben possibile l’approvazione parziale della variante urbanistica (mediante lo stralcio di una sottoarea omogenea) e, d’altro canto, rimanendo in potere degli enti sovracomunali di inserire, ai sensi dell’art. 10 comma 2, lett. B), della legge 1150/42, le modificazioni necessarie per la tutela del paesaggio e degli altri vincoli ricadenti sul territorio (storici, ambientali ed archeologici)”;
– “a fronte di una programmazione non suffragata da un’analisi attendibile del reale fabbisogno di aree produttive, debba ritenersi coerente con la disciplina di settore l’opzione privilegiata dalla Provincia di Napoli di stralciare le relative zone omogenee destinate ad accogliere nuovi insediamenti; e ciò in ossequio al principio direttivo che correla il consumo del suolo ad esigenze effettive e meritevoli”. L’esigenza primaria di garantire l’uso razionale e lo sviluppo ordinato del territorio rende in definitiva – rispetto all’unica, antieconomica alternativa di una restituzione dell’intero piano – immune da vizi logici la scelta di rinviare le nuove localizzazioni di insediamenti produttivi ad un approfondimento del relativo fabbisogno, confermando, ad oggi, solo le zone omogenee tipo D2 destinate al completamento degli insediamenti esistenti”;
– “la scelta operata appare improntata ad un razionale disegno di tutela del territorio, considerato che la destinazione agricola possiede anche una valenza conservativa dei valori ambientali ed assolve pure ad una funzione di riequilibrio nel rapporto tra aree edificate e spazi liberi e, quindi, delle condizioni di vivibilità della popolazione”;
– “nella reiezione delle censure attoree avverso le statuizioni assunte dall’Ente tutorio in ordine al deliberato stralcio delle aree produttive, commerciali e terziarie di nuovo impianto restano evidentemente assorbite le ulteriori doglianze attraverso cui la parte ricorrente ha inteso sostenere la plausibilità delle scelte di localizzazione attuate, in prima istanza, dal Comune di (omissis) (id est localizzazione di impianti su terreni improduttivi e localizzazione delle zone G1 su lotti residui ricadenti in zona B rimasti inedificati ed ubicati in prossimità di assi viari)”;
– “si rivelano prive di pregio anche le residue censure con cui la parte ricorrente afferma che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Provincia, risulterebbe correttamente calcolato, in quanto fondato su basi attendibili e conformi ad apposita circolare ministeriale, il dato attinente alle previsioni di crescita della popolazione confluito nella delibera di adozione della variante”; laddove “le previsioni elaborate in sede comunale [sono] eccessivamente sbilanciate in favore di uno sviluppo residenziale che, almeno in parte, non può dirsi suffragato da dati idonei ad accreditare siffatte previsioni come espressione di ipotesi attendibili e realistiche”;
– la ragione dello stralcio delle attività … (sportelli bancari, agenzie di viaggio, impianti sportivi), espressamente escluse dall’area D2, è avvenuto in linea con le indicazioni desumibili dalla normativa di settore, applicabile ratione temporis”, in quanto “… la L.R. della Campania del 20-3-1982 n. 14, al titolo II, punto 1.6., nel dettare i parametri di pianificazione, rinvia per la individuazione tipologia degli impianti produttivi all’art. 2 della L.R. 6 maggio 1975, n. 26, precisando che le aree vanno dimensionate sulla base di documentate potenzialità e delle tendenze pregresse”;
– mentre, quanto all’estensione della fascia di rispetto cimiteriale, fissata in mt. 200, “la prescrizione in argomento recepisce il contenuto regolatorio di cui all’art. 338 del testo unico delle leggi sanitarie, così modificato dall’art. 28, comma 1, lettera a), della legge 1° agosto 2002, n. 166 e, dunque, nella sua attuale formulazione, successivo alla precitata legge regionale”.
4. Avverso tale pronuncia hanno interposto appello, nella qualità di procuratori generali dell’avv. Fr. Pr., i sigg.ri Pr. Fo. ed altri; i quali, a seguito del decesso del primo, hanno, in proprio, proseguito il giudizio con atto depositato l’11 febbraio 2014.
Con il predetto appello, notificato il 20 giugno 2011 e depositato il successivo 28 giugno, vengono dedotte le censure di seguito sintetizzate:
4.1) Incompetenza. Violazione degli artt. 114 e 118 della Costituzione. Violazione dell’art. 3 della legge 765 del 1967 e dell’art. 10 della legge 17 agosto 1942 n. 1150. Violazione del Titolo II della legge regionale della Campania 20 marzo 2008 n. 14. Violazione del giusto procedimento. Sviamento.
Avrebbe errato il Tribunale nel ritenere che lo stralcio delle aree da ricondurre a Zona E rientrerebbe nel novero degli interventi consentiti al fine di armonizzare l’assetto edilizio-urbanistico; e che, sotto il profilo quali-quantitativo, realizzerebbe una mera sottrazione inidonea a mutare l’assetto fondamentale dell’atto pianificatorio, per come adottato dal Comune.
Secondo la prospettazione dell’appellante, all’Autorità competente per l’approvazione dello strumento è rimessa una mera funzione di controllo di legalità, dall’esercizio della quale esula la formulazione di apprezzamenti discrezionali suscettibili di sovrapporsi a quelli espressi dal Comune, che ha adottato lo strumento.
La Provincia, pertanto, si sarebbe dovuta limitare a confermare le scelte comunali riguardanti le aree, destinate ad insediamenti produttivi, G1, G2, D1 e D3, stralciate in sede di approvazione della variante; sostenendosi, ulteriormente, che tale stralcio avrebbe compresso l’estensione del settore industriale-commerciale, in favore dell’espansione delle attività agricole, con riveniente mutamento delle caratteristiche essenziali dello strumento, per come approvato.
Né la nuova attività programmatoria da parte del Comune, conseguente allo stralcio, consentirebbe – diversamente rispetto a quanto sostenuto nella sentenza appellata – di imprimere allo strumento caratterizzazione diversa rispetto a quella di favor per l’attività agricola, per come promossa dalla Provincia con il contestato intervento.
4.2) Violazione dell’art. 5, punto 2, del D.M. 1444 del 1968 e della legge 14 del 1982. Eccesso di potere. Presupposto erroneo. Illogicità manifesta e motivazione generica.
Avrebbe, poi, errato il Tribunale nel ritenere che la Provincia abbia correttamente apprezzato l’inadeguatezza del metodo di calcolo impiegato dal Comune di (omissis) per il dimensionamento del fabbisogno delle aree produttive; sostenendosi che, diversamente rispetto a quanto sostenuto nell’appellata pronunzia, l’Amministrazione comunale abbia legittimamente individuato il fabbisogno delle aree da destinare ad attività industriali in misura corrispondente alle esigenze delle aziende già presenti sul territorio, non munite di spazi sufficienti.
4.3) Violazione della legge regionale della Campania n. 14 del 1982, Titolo II, punto 1.6. Presupposto erroneo ed illogicità .
Nell’osservare come, sulla base della epigrafata normativa regionale, le aree destinate ad insediamenti produttivi devono essere individuate con riferimento ai terreni agricoli improduttivi, o scarsamente produttivi, lamenta parte appellante che la censura – dedotta in prime cure – non sia stata esaminata dal T.A.R. partenopeo.
4.4) Violazione degli artt. 3 e 4 del D.M. 1444 del 1968. Presupposto erroneo. Motivazione illogica.
L’individuazione delle Zone G1 (commerciale e terziaria) nella delibera di adozione dello strumento, è stata dalla Provincia contestata, in quanto le relative aree sarebbero risultate estremamente frammentate e disseminate sull’intero territorio comunale.
Nell’assumere che siffatta localizzazione, anche in prossimità di aree urbanizzate, non sarebbe preclusa dalla normativa applicabile, né illogica (in quanto ambiti caratterizzati da ridotta estensione), parte appellante evidenzia che, sul punto, la sentenza appellata non si sia pronunziata.
4.5) Incompetenza. Violazione degli artt. 114 e 118 della Costituzione. Violazione dell’art. 3 della legge 765 del 1967 e dell’art. 10 della legge 17 agosto 1942 n. 1150. Violazione del Titolo II della legge regionale della Campania 20 marzo 2008 n. 14. Violazione del giusto procedimento. Sviamento.
4.6) Violazione della legge regionale della Campania 20 marzo 2008 n. 14 e del D.M. 1444 del 1968. Violazione del giusto procedimento. Presupposto erroneo. Motivazione illogica.
Sia con riferimento allo stralcio, disposto in sede approvativa, della zona G2 (turistico-ricettiva), in quanto asseritamente sovradimensionata, sia con riguardo alla destinazione agricola impressa, sempre in sede di approvazione, a talune aree in ragione dell’affermata impossibilità di ricevere la destinazione produttiva indicata all’atto dell’adozione dello strumento, gli appellanti lamentano l’omessa pronunzia da parte del giudice di primo grado.
4.7) Violazione del P.T.C.P. Contrasto con precedenti indirizzi pianificatori della Provincia.
L’intero stralcio delle zone produttive, disposto dalla Provincia, si porrebbe in contrasto con gli indirizzi da tale Ente assunti in sede di redazione del P.T.C.P.; mentre l’individuazione delle aree di che trattasi, operata dal Comune di (omissis), sarebbe intervenuta in applicazione dello strumento da ultimo indicato (punto 5. delle N.T.A.; art. 35, punto 2., del P.T.C.P.)
In particolare, l’estensione dell’area individuata in zona omogenea D1 nella variante al P.R.G. adottata, era pari a mq. 171.125: inferiore al limite (30 ha.) consentito.
Avrebbe quindi errato il Tribunale nel ritenere legittima la determinazione della Provincia, sul rilievo relativo al ritiro del P.T.C.P. a fini di successiva rielaborazione.
4.8) Violazione dell’art. 3 della legge 241 del 1990. Eccesso di potere per difetto assoluto di motivazione.
Nell’osservare come, quanto all’art. 30 (relativo all’area D2), la Provincia abbia eliminato, dal novero degli insediamenti originariamente consentiti, gli sportelli bancari, agenzie di viaggio, impianti sportivi, sostengono gli appellanti che le motivazioni all’uopo addotte dalla resistente Amministrazione provinciale a seguito di istruttoria disposta dal giudice di prime cure (sovradimensionamento delle zone a carattere produttivo; incompatibilità delle attività indicate con quelle consentite nell’area) siano contraddittorie; e lamentano che, sul punto, la sentenza appellata non si sia compiutamente pronunziata (osservandosi come, nelle zone destinate ad insediamenti produttivi, ben sia consentito anche lo svolgimento di attività commerciali e/o direzionali).
4.9) Incompetenza. Violazione degli artt. 114 e 118 della Costituzione. Violazione dell’art. 3 della legge 765 del 1967 e dell’art. 10 della legge 17 agosto 1942 n. 1150. Violazione del Titolo II della legge regionale della Campania 20 marzo 2008 n. 14. Violazione del giusto procedimento. Sviamento. Illogicità manifesta.
In sede di approvazione della variante, è stato ridotto (da 1 mc/mq a 0,70 mc/mq) l’indice di fabbricabilità residenziale originariamente previsto per le zone B2; prevedendosi un ulteriore indice di 0,50 mc/mq per attività produttive compatibili a carattere commerciale o terziario.
Nell’osservare come siffatta riduzione sia stata dalla Provincia motivata con riferimento al sovradimensionamento, da parte del Comune, dello sviluppo residenziale (ed alla sottostima del patrimonio dei vani residenziali utili), contestano gli appellanti le considerazioni, sul punto, contenute nella gravata sentenza.
4.10) Violazione degli artt. 114 e 118 della Costituzione. Violazione dell’art. 3 della legge 765 del 1967 e dell’art. 10 della legge 17 agosto 1942 n. 1150. Violazione del Titolo II della legge regionale della Campania 20 marzo 2008 n. 14. Eccesso di potere per contraddittorietà .
Sostiene parte appellante che, a fronte dello stralcio operato dalla Provincia relativamente alle previsioni in variante concernenti gli insediamenti produttivi, quest’ultima abbia – in modo asseritamente inammissibile – operato scelte di merito (esorbitanti il mero controllo di legalità ) che si sarebbero venute a sovrapporre alle valutazioni invece rimesse al Comune.
Conclude, pertanto, la suindicata parte per l’accoglimento dell’appello; e, in riforma della sentenza impugnata, del ricorso di primo grado, con ogni statuizione conseguenziale anche in ordine alle spese del doppio grado di giudizio.
5. In data 4 ottobre 2011, si è costituita in giudizio l’Amministrazione provinciale di Napoli; e, il successivo 29 dicembre, si è costituita la Regione Campania; entrambi i predetti Enti depositando memoria di mero stile.
6. Il ricorso viene trattenuto per la decisione alla pubblica udienza del 15 settembre 2020.

DIRITTO

L’appello è infondato.
Nell’osservare come la variante al P.R.G. del Comune di (omissis) abbia formato – come rilevato anche nella pronunzia appellata – oggetto di plurime impugnative, non può omettere il Collegio di evidenziare come questo Consiglio, con sentenza della Sezione IV, 13 settembre 2018, n. 5356, abbia avuto modo di esaminare un complesso di doglianze – parimenti dedotte avverso il suindicato atto pianificatorio – per la gran parte sovrapponibili a quelle dedotte con l’appello ora all’esame.
1. Premesso che le indicazioni contenute nella decisione sopra indicata meritano, in questa sede, integrale conferma, osserva il Collegio, quanto alle censure articolate con il presente mezzo di tutela, come esse si incentrino, in primo luogo ed essenzialmente, sugli atti resi dalla Provincia di Napoli nel percorso di formazione dello strumento pianificatorio (deliberazione consiliare n. 118 del 23 novembre 2006, con la quale la Provincia ha approvato la Variante al P.R.G. prescrivendo la declassificazione di tutte le zone D1 e D3 in zona E – Agricola; deliberazione consiliare n. 98 del 29 ottobre 2007, con la quale la stessa Amministrazione, nel ribadire la propria posizione nonostante le controdeduzioni del Comune, ha operato lo stralcio dallo schema di P.R.G. delle zone produttive G1, G2, D1 e D3 e ha ridimensionato gli insediamenti di tipo residenziale in ragione del 30 % mediante riduzione dell’indice di edificabilità fondiaria della zona B2).
1.1. Secondo la prospettazione di parte, con tali deliberazioni la Provincia di Napoli avrebbe esondato dalle proprie attribuzioni – asseritamente astrette in un alveo di controllo di stretta legittimità – ed “invaso” le competenze, in materia urbanistica, proprie del Comune di (omissis), apportando modificazioni al complessivo ordito della variante, tali da immutarne profondamente i contenuti.
La posizione dalla parte appellante dedotta (dapprima dinanzi al giudice di prime cure; quindi, dinanzi a questo Consiglio) è stata, in particolare, vulnerata dalla “declassificazione” delle zone D1, D3, G1 e G3 in zona E (agricola), con conseguente eliminazione di tutte le aree a destinazione produttiva e commerciale: operandosi, secondo quanto sostenuto dai sigg.ri Prisco, uno svuotamento dei criteri-guida e delle impostazioni della Variante.
1.2. Va, in proposito, rammentato come la formulazione della legge regionale n. 14 del 1982 riveli, sul punto, omogeneità dispositiva rispetto a quanto stabilito dall’art. 10 della legge n. 1150 del 1942: il quale, come è noto, prevede che “con lo stesso decreto di approvazione possono essere apportate al piano, su parere del Consiglio superiore dei lavori pubblici e sentito il Comune, le modifiche che non comportino sostanziali innovazioni, tali cioè da mutare le caratteristiche essenziali del piano stesso ed i criteri di impostazione”.
In proposito, la giurisprudenza ha più volte precisato che:
– se è vero che tale disposizione statale va interpretata nel senso che le modifiche introdotte dalla Regione non devono essere tali da alterare l’impostazione strutturale dello strumento adottato;
– nondimeno, la norma non esclude la possibilità di apportare modifiche della destinazione d’uso delle aree (Cons. Stato, Sez. IV, 25 novembre 2003, n. 7771).
Deve quindi escludersi che la mera “declassificazione” delle aree integri sintomatica emersione dell’illegittimità dell’intervento occorso in sede approvativa dello strumento, per il sol fatto che esso abbia determinato una modificazione della destinazione d’uso originariamente prevista dallo strumento urbanistico.
Inoltre, come rilevato dal Tribunale – senza che, in proposito, le pur diffuse argomentazioni introdotte dagli appellanti abbiano addotto, in contrario avviso, persuasivi elementi di riflessione – siffatta declassificazione ha fatto seguito alla rilevata inadeguatezza del metodo di calcolo utilizzato dal Comune per dimensionare il fabbisogno di aree produttive: di talché, le modifiche apportate sottendono la necessità di limitare il consumo di suolo in assenza di esigenze effettive e meritevoli che lo giustifichino.
L’intervento della Provincia – come condivisibilmente sottolineato nella pronunzia di questo Consiglio in inizio richiamata – si dimostra, quindi, attributario dell’esercizio di poteri posti a presidio di ragioni di tutela ambientale: di tal guisa che le modifiche, a tale scopo apportate, “non sottostanno in modo rigido ai limiti imposti dall’art. 10 l. n. 1150 del 1942” (Cons. Stato, sez. IV, 22 marzo 2008, n. 1223).
Tale esigenza, del resto, incontra elementi di significativa convergenza con gli obiettivi della Variante (“promuovere l’uso razionale e lo sviluppo ordinato del territorio mediante il minimo consumo delle risorse territoriali e paesistico-ambientali disponibili”): conseguentemente, dovendosi escludere che l’intervento modificativo, apportato in sede approvativa dello strumento, si sia posto in contrasto con l’assetto che connota la destinazione agricola contemplata dal regime urbanistico generale, potendo questa essere volta a sottrarre parti del territorio comunale a nuove edificazioni, ovvero a garantire ai cittadini l’equilibrio delle condizioni di vivibilità, assicurando loro quella quota di valori naturalistici e ambientali necessaria a compensare gli effetti dell’espansione urbana (Cons. Stato, sez. IV, 16 dicembre 2016, n. 5334; 12 maggio 2016, n. 1917; 16 novembre 2011, n. 6049; 27 luglio 2011, n. 4505; 13 ottobre 2010, n. 7478; 27 luglio 2010, n. 4920).
Deve quindi concludersi sul punto che le modifiche introdotte dalla Provincia non sono in grado di alterare l’impostazione di fondo che connota la variante deliberata dal Comune, con conseguente infondatezza delle critiche sollevate dalla parte appellante.
2. Esclusa, sulla base delle considerazioni precedentemente rassegnate, l’illegittimità dell’intervento approvativo sottoposto a censura, in quanto non estraneo al perimetro di esercitabilità del potere rimesso all’Autorità competente ai fini dell’approvazione dello strumento urbanistico, va parimenti confutata la fondatezza delle doglianze riguardanti l’affermata violazione delle regole partecipative.
Come chiarito in giurisprudenza, le modifiche introdotte d’ufficio in sede di approvazione del P.R.G., quando non riguardanti innovazioni sostanziali, non richiedono la rinnovazione degli adempimenti procedimentali relativi alla pubblicazione del Piano (Cons. Stato, Sez. IV, 1° ottobre 2007, n. 5043).
Né va trascurato che la Provincia, nel ribadire la propria posizione contraria all’approvazione integrale della variante, ha operato lo stralcio delle previsioni non condivise: ricorrendo, in tal modo, ad una operazione che, come evidenziato da questo Consiglio (Sez. IV, 20 maggio 2014, n. 2563; 17 settembre 2013, n. 4614) “si differenzia sostanzialmente dalla modifica d’ufficio, consistendo il primo in una approvazione parziale del piano regolatore generale e la seconda in una sovrapposizione definitiva della volontà regionale a quella del Comune, con la conseguenza che mentre nel caso dello stralcio la Regione restituisce al Comune l’iniziativa, invitandolo a rinnovare l’esame della situazione delle aree stralciate e a formulare nuove proposte, lasciando quindi integro ed impregiudicato il potere comunale di riproporre una nuova disciplina urbanistica, con la modifica d’ufficio il potere comunale non può più essere in tale sede esercitato”.
Se la Provincia, nel fare ricorso allo stralcio – e non alle modifiche d’ufficio – risulta aver impiegato uno strumento intrinsecamente inidoneo a comprimere le prerogative comunali in materia urbanistica, va ulteriormente osservato che anche la Regione, nell’apporre un visto di conformità “condizionato”, abbia finito per demandare allo stesso Comune il compito di introdurre gli adempimenti prescritti con il decreto medesimo.
Ne deriva che il concorso degli enti sovracomunali (Provincia; Regione) nel quadro del procedimento formativo della variante generale, non si sia risolto nell’impiego di strumenti suscettibili di determinare una pratica “abrasione” delle prerogative del Comune in punto di pianificazione urbanistica: per l’effetto, dovendosi disattendere le censure sul punto articolate dagli appellanti.
3. Né, sotto un aspetto più generale, le scelte operate in sede di approvazione della Variante di che trattasi, appaiono suscettibili di critica in ragione del contenuto dell’apprezzamento discrezionalmente esercitato dalla Provincia.
3.1. Non può, al riguardo, prescindere il Collegio dal richiamare noti principi dalla giurisprudenza elaborati (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, 25 maggio 2016, n. 2221; 3 novembre 2016, n. 4599) in ordine alla particolare ampiezza delle facoltà discrezionali che competono agli enti preposti alla delineazione della disciplina riguardante gli interventi di trasformazione del territorio ed alla natura della motivazione delle scelte in tal modo effettuate.
In tal senso:
– le scelte effettuate dall’Amministrazione costituiscono apprezzamenti di merito sottratti al sindacato di legittimità, salvo che siano inficiate da errori di fatto o da abnormi illogicità (Cons. Stato, Ad. Plen, 22 dicembre 1999, n. 24; Sez. IV, 20 giugno 2012, n. 3571);
– in occasione della formazione di uno strumento urbanistico generale, l’Amministrazione ha la più ampia discrezionalità nell’individuare le scelte ritenute idonee per disciplinare l’uso del proprio territorio (e anche nel rivedere le proprie, precedenti previsioni urbanistiche), valutando gli interessi in gioco e il fine pubblico; e, tra l’altro, non deve fornire motivazione specifica delle singole scelte urbanistiche (Cons. Stato, sez. VI, 13 settembre 2012, n. 4867);
– la scelta compiuta in sede di pianificazione generale di imprimere una particolare destinazione urbanistica ad una zona non necessita di particolare motivazione, in quanto essa trova giustificazione nei criteri generali di ordine tecnico-discrezionale seguiti nella impostazione del piano, salvo che particolari situazioni non abbiano creato aspettative o affidamenti in favore di soggetti le cui posizioni appaiono meritevoli di specifiche considerazioni (cfr., ex pluribus, Cons. Stato, sez. VI, 17 febbraio 2012, n. 854);
– le evenienze generatrici di affidamento “qualificato”, sulla scia della giurisprudenza ormai consolidata, sono ravvisabili nell’esistenza di convenzioni di lottizzazione, di accordi di diritto privato intercorsi tra Comune e proprietari, di giudicati di annullamento di dinieghi di concessioni edilizie o di silenzio-rifiuto su domanda di concessione. In mancanza di tali eventi, non è configurabile un’aspettativa qualificata ad una destinazione edificatoria non peggiorativa di quella pregressa, ma solo un’aspettativa generica, analoga a quella di qualunque altro proprietario di aree che aspiri all’utilizzazione più proficua dell’immobile, posizione cedevole rispetto alle scelte urbanistiche dell’Amministrazione: sicché non può essere invocato il difetto di motivazione, in quanto si porrebbe in contrasto con la natura generale dell’atto e i criteri di ordine tecnico seguiti per la redazione dello stesso (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. VI, 17 febbraio 2012, n. 854 cit.; sez. IV, 4 aprile 2011 n. 2104);
– in materia di pianificazione urbanistica occorre tener conto della congruenza delle scelte con le linee di sviluppo del territorio illustrate nella relazione tecnica e nei documenti accompagnatori. Al riguardo, la giurisprudenza ritiene che sia sufficiente proprio detta congruenza delle scelte, attenuando così in tali casi l’onere motivazionale degli strumenti di piano che si risolve nella mera indicazione della congruità con le direttrici di sviluppo del territorio esposte nella relazione tecnica o più in generale nei documenti che accompagnano la predisposizione del piano stesso.
3.2. Quindi, le scelte riguardanti la classificazione dei suoli sono sorrette da ampia discrezionalità ; e, in tale ambito, la posizione dei privati risulta recessiva rispetto alle determinazioni dell’Amministrazione, in quanto scelte di merito non sindacabili dal giudice amministrativo, salvo che non siano inficiate da arbitrarietà o irragionevolezza manifeste, ovvero da travisamento dei fatti in ordine alle esigenze che si intendono nel concreto soddisfare, potendosi derogare a tale regola solo in presenza di situazioni di affidamento qualificato dei privati ad una specifica destinazione del suolo (Cons. Stato, IV, 12 maggio 2016, n. 1907).
Oltretutto, in materia urbanistica, non opera il principio del divieto di reformatio in pejus, in quanto in tale materia l’Amministrazione gode di un’ampia discrezionalità nell’effettuazione delle proprie scelte che relega l’interesse dei privati alla conferma della previgente disciplina ad interesse di mero fatto non tutelabile in sede giurisdizionale (Cons. Stato, sez. IV, 24 marzo 2017, n. 1326).
La giurisprudenza ha, altresì, evidenziato che all’interno della pianificazione urbanistica devono trovare spazio anche esigenze di tutela ambientale ed ecologica, tra le quali spicca proprio la necessità di evitare l’ulteriore edificazione e di mantenere un equilibrato rapporto tra aree edificate e spazi liberi (così, Cons. Stato, sez. IV, 21 dicembre 2012, n. 6656).
E ciò in quanto l’urbanistica, ed il correlativo esercizio del potere di pianificazione, non possono essere intesi, sul piano giuridico, solo come un coordinamento delle potenzialità edificatorie connesse al diritto di proprietà, così offrendone una visione affatto minimale, ma devono essere ricostruiti come intervento degli Enti esponenziali sul proprio territorio, in funzione dello sviluppo complessivo ed armonico del medesimo, per cui l’esercizio dei poteri di pianificazione territoriale ben può tenere conto delle esigenze legate alla tutela di interessi costituzionalmente primari, tra i quali rientrano quelli contemplati dall’articolo 9 della Costituzione.
In tale contesto, spetta all’Ente esponenziale effettuare una mediazione tra i predetti valori e gli altri interessi coinvolti, quali quelli della produzione o delle attività antropiche più in generale, che comunque non possono ritenersi equiordinati in via assoluta (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 10 maggio 2012, n. 2710; 22 febbraio 2017, n. 821; 13 ottobre 2015, n. 4716).
A questo proposito, è poi utile aggiungere che, anche laddove ci si trovi al cospetto di aree ampiamente urbanizzate, non per questo se ne può escludere la rilevanza dal punto di vista ambientale, poiché tali dati di fatto si prestano anzi a far emergere un interesse alla conservazione del suolo inedificato, per ragioni di compensazione ambientale.
3.3. Quanto sopra premesso, esclude il Collegio che gli elementi addotti dalla parte appellante siano in grado di suffragare una posizione di legittimo e qualificato affidamento, atteso che l’avversata disciplina urbanistica ha confermato la pregressa destinazione agricola dell’area, di tal guisa da rendere inconfigurabile alcuna reformatio in pejus di previsioni urbanistiche: evenienza, questa, che non determina la necessità di una motivazione specifica, rispetto a quella che può agevolmente evincersi dai criteri di ordine tecnico-urbanistico seguito per la redazione dello strumento urbanistico (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 26 maggio 2003, n. 2827; 28 febbraio 2005, n. 719).
Né una diversa destinazione può dirsi consolidata per effetto dell’adozione dello strumento urbanistico: costituendo la relativa determinazione soltanto una fase (iniziale; ed) endo-procedimentale, suscettibile di condurre alla definitiva formazione della disciplina urbanistica, in presenza della conclusiva approvazione ad opera della competente Autorità .
4. Quanto, poi, agli specifici rilievi con i quali parte appellante, ribadendo i contenuti delle doglianze articolate in prime cure (con l’atto introduttivo del giudizio e con i motivi aggiunti successivamente proposti), ha sottoposto a critica la pronunzia resa dal T.A.R. Napoli, ritiene il Collegio che le considerazioni recate dalla sentenza appellata meritino integrale conferma.
4.1. Ciò con riferimento, innanzi tutto, al sovradimensionamento delle aree a destinazione produttiva (tra le quali, quelle con classificazione G1 e G2), il cui fabbisogno, secondo quanto sostenuto dalla Provincia, sarebbe stato misurato sulla base di indici generici e non affidabili.
Nell’escludere che, a tali fini, possa assumere – diversamente rispetto a quanto sostenuto dagli appellanti – rilievo alcuno lo schema di P.T.C.P. adottato nel 2003 (in quanto ritirato dalla Provincia per successiva rielaborazione), va rilevato come, in difetto di un quadro di programmazione territoriale settoriale, non sia intervenuta una concreta analisi (volta a dare conto dei flussi di investimento, di eventuali concrete manifestazioni di interesse, di dichiarazioni programmatiche di Amministrazioni pubbliche) relativa alle iniziative di sviluppo produttivo sul territorio suscettibili di realizzazione connotata da apprezzabile grado di (almeno ipotizzabile) concretezza.
Ed allora, il metodo di calcolo impiegato dal Comune di (omissis) a fini di dimensionamento del fabbisogno di aree produttive rivela apprezzabile carattere di incongruità, sì da giustificare i rilievi che, in sede approvativa, hanno condotto al lamentato stralcio delle aree suindicate.
Il Comune, infatti, muovendo dal numero di aziende insediate sul territorio, ha stimato la quantità di superficie da riservare agli insediamenti produttivi mediante utilizzo di un coefficiente di superficie assunto come media, individuato senza distinguere la diversa configurazione dimensionale delle aziende stesse; tale valore risultando, poi, incrementato delle quantità necessarie per rispettare i parametri imposti dalla disciplina di settore, con conclusiva moltiplicazione delle relative risultanze per il numero delle aziende esistenti.
Deve, al riguardo, pienamente condividersi quanto sostenuto nell’appellata sentenza, per cui “appare… di tutta evidenza come, a fronte di una programmazione non suffragata da un’analisi attendibile del reale fabbisogno di aree produttive, debba ritenersi coerente con la disciplina di settore l’opzione privilegiata dalla Provincia di Napoli di stralciare le relative zone omogenee destinate ad accogliere nuovi insediamenti; e ciò in ossequio al principio direttivo che correla il consumo del suolo ad esigenze effettive e meritevoli”.
E ciò in quanto, come pure ritenuto dal giudice di prime cure, viene ad assumere premiante rilevanza l’esigenza di garantire un uso razionale ed uno sviluppo ordinato del territorio, sì da rendere immune da vizi logici una scelta – quale, nella fattispecie operata dalla Provincia – di differire (appunto, mediante lo stralcio in contestazione) nuove localizzazioni di insediamenti produttivi ad un approfondimento del relativo fabbisogno.
4.2. Omogenei rilievi sono spendibili per le zone a destinazione G1 (commerciale e terziaria), in ordine alle quali risulta impiegato sovrapponibile procedimento di calcolo rispetto a quello utilizzato per la stima del fabbisogno di aree industriali.
A tale proposito, il Comune di (omissis), muovendo dal numero di opifici già presenti sul territorio (239) ha stimato la quantità di superficie da riservare alle zone G1, mediante utilizzo di un coefficiente di superficie assunto come media (pari a 500 mq), individuato senza distinguere a seconda della diversa dimensione delle aziende; ed è pervenuto, quindi, ad un dato conclusivo indicante il fabbisogno in una superficie complessiva pari a 200.000 mq. circa.
Anche in riferimento a tali zone, la decisione assunta dalla Provincia si rivela indenne da mende di carattere logico, atteso che la scelta di stralciare tali zone in sede di approvazione, (con assegnazione, in via provvisoria ed in attesa di una nuova e più meditata proposta di pianificazione, di una destinazione di zona agricola E) appieno dimostra concludenza e condivisibilità, ove preordinata a preservare, in difetto di compiuti – e dimostrabili – approfondimenti su una concreta prospettiva di sviluppo e/o crescita del fabbisogno, l’assetto esistente, onde garantire la preservazione dei valori ambientali e preservare un necessario equilibrio nel rapporto tra aree edificate e spazi liberi.
4.3. Destituite di pregio si dimostrano anche le doglianze riguardanti il calcolo delle previsioni di crescita della popolazione, per come dal Comune di (omissis) effettuato ai fini dell’adozione della variante.
Anche a proposito di tale argomento, le osservazioni contenute nell’appellata sentenza meritano piena condivisibilità, laddove:
– premesso che l’indagine sull’affidabilità delle previsioni urbanistiche concernenti il fabbisogno abitativo deve tenere conto dell’incremento demografico e della disponibilità dei vani residenziali;
– ed osservato come la legge regionale della Campania n. 14/1982, applicabile ratione temporis, prescriva analisi demografiche e socio-economiche riferite ad un arco temporale necessariamente ampio (fino all’approvazione dei Piani territoriali, imponendo un dimensionamento degli strumenti urbanistici generali su previsioni di sviluppo relative a dieci anni, suffragate da ipotesi attendibili, realistiche ed attuabili nel periodo temporale di previsione degli stessi strumenti urbanistici);
– a fronte della valorizzazione, da parte del Comune procedente, dei dati ISTAT al 1991 (e comparazione con quelli, relativi ai saldi dei movimenti migratori, attinti presso l’Ufficio anagrafe), i rilievi critici formulati dalla Provincia hanno trovato conferma nelle valutazioni successivamente compiute da ISTAT in base alle quali è emersa l’inattendibilità delle sovrastimate previsioni di crescita della popolazione effettuate dal Comune di (omissis) (atteso che il dato della popolazione esistente al 2007 è risultato pari a 10.728: inferiore, cioè, a quello calcolato in base al metodo utilizzato dal Comune, pari ai 11.324 unità ).
4.4. Se, con riferimento ai flussi migratori indotti dal rischio vulcanico per i Comuni della zona rossa, i rilievi svolti dalla Provincia (previsioni disancorate da qualsivoglia dato di tipo statistico, o programmatico), non dimostrano la presenza di emersioni inficianti, per quanto riguarda l’ulteriore elemento (patrimonio dei vani esistenti) del processo di stima elaborato dal Comune di (omissis), le valutazioni, non assistite da analisi documentate, sarebbero attributarie di una stima riferita al 2001 (dalla quale è assente la considerazione dei vani in costruzione e di quelli autorizzati nel 2002).
4.5. Con riferimento, ulteriormente, alla denunciata illogicità della scelta di stralciare dalle attività produttive compatibili con la destinazione di zona D2 quelle a ridotto impatto ambientale (sportelli bancari, agenzie di viaggio, impianti sportivi), gli accertamenti istruttori disposti dal giudice di prime cure hanno consentito di appurare che la ragione dello stralcio di tali attività dall’area D2, è conforme alle indicazioni della normativa applicabile (legge regionale della Campania del 20 marzo 1982, n. 14: la quale, al titolo II, punto 1.6., nel dettare i parametri di pianificazione, rinvia per la individuazione tipologia degli impianti produttivi all’art. 2 della legge regionale 6 maggio 1975, n. 26, precisando che le aree vanno dimensionate sulla base di documentate potenzialità e delle tendenze pregresse).
E se l’art. 2 anzidetto fornisce un’elencazione ai fini dell’applicazione del terzo comma dell’art. 17 della legge del 1967, n. 65 (e, quindi, ai soli fini di individuazione dei limiti cui è sottoposta l’edificazione nei Comuni sprovvisti di piano regolatore generale o di programma di fabbricazione), ad essa non fa riferimento la successiva legge regionale della Campania n. 14 del 1982: la quale, in ragione di un rinvio ricettizio ai soli profili descrittivi della tipologia degli impianti produttivi, mutua il contenuto precettivo dell’art. 2 della legge regionale n. 26/1975, senza peraltro omogeneamente estenderne l’ambito operativo.
4.6. Da ultimo, la pure affermata illegittimità dell’estensione della fascia di rispetto cimiteriale, fissata in mt. 200 si dimostra parimenti indenne da mende, atteso che la sostenuta prevalenza delle disposizioni all’uopo dettate dalla legge regionale n. 14/1982 (Titolo II, punto 1.7) non può trovare condivisione, in presenza del recepimento della prescrizione di cui all’art. 338 del Testo Unico delle Leggi Sanitarie, come modificato dall’art. 28, comma 1, lettera a), ad opera della legge 1° agosto 2002, n. 166 (in epoca successiva, dunque, alla suddetta legge regionale).
5. La constatata infondatezza delle censure articolate con l’appello all’esame, impone il rigetto del predetto mezzo di tutela.
La particolarità della controversia integra la presenza di idoneo presupposto per la compensazione, fra le parti costituite, delle spese del presente grado.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese del grado compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 settembre 2020 con l’intervento dei magistrati:
Raffaele Greco – Presidente
Italo Volpe – Consigliere
Giovanni Sabbato – Consigliere
Cecilia Altavista – Consigliere
Roberto Politi – Consigliere, Estensore

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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