Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 10 aprile 2019, n. 15746.
La massima estrapolata:
In materia urbanistica, le disposizioni introdotte da leggi regionali devono, in ogni caso, rispettare i principi generali fissati dalla legislazione nazionale e, conseguentemente, devono essere interpretate in modo da non collidere con i detti principi.
Sentenza 10 aprile 2019, n. 15746
Data udienza 10 gennaio 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LAPALORCIA Grazia – Presidente
Dott. CERRONI Claudio – Consigliere
Dott. DI STASI Antonell – rel. Consigliere
Dott. REYNAUD Gianni Filipp – Consigliere
Dott. NOVIELLO Giuseppe – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 18/10/2017 della Corte di appello di Messina;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa DI STASI Antonella;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CUOMO Luigi che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio al Giudice di appello sul solo aspetto della conversione della pena; inammissibilita’ nel resto;
udito per gli imputati l’avv. (OMISSIS), che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 18/10/2017, la Corte di appello di Messina confermava la sentenza emessa il 14/3/2015 dal Tribunale di Messina, con la quale gli odierni ricorrenti erano dichiarati responsabili del reato di cui all’articolo 110 c.p. e Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 44, comma 1, lettera b) e condannati alla pena di mesi due di arresto ed Euro 12.000,00 di ammenda ciascuno con ordine di demolizione delle opere abusive realizzate; pena sospesa e non menzione.
2. Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione gli imputati, a mezzo del difensore di fiducia, articolando sei motivi di seguito enunciati.
Con il primo motivo deducono violazione di legge per mancanza, contraddittorieta’ e manifesta illogicita’ della motivazione risultante dal testo della sentenza e dagli atti processuali (dichiarazioni testimoniali); lamentano che l’affermazione di responsabilita’ si fondava solo su accertamento tecnico e su dichiarazioni testimoniali di contenuto contrario rispetto all’ipotesi accusatoria o rese da persona che aveva dichiarato di non avere le necessarie competenze in materia.
Con il secondo motivo deducono vizio di motivazione, lamentando che l’affermazione di responsabilita’ in relazione alla realizzazione, in totale difformita’ dalla concessione edilizia, di maggior cubatura in conseguenza della mancata realizzazione di una rampa di accesso all’immobile, era stata basata dalla Corte territoriale su una situazione di fatto (chiusura dell’area nella quale era prevista la realizzazione della rampa con una ringhiera in ferro sul lato sud e di un cancello in alluminio sul lato ovest) che era provvisoria e finalizzata alla sicurezza del cantiere; era, inoltre, illogica e contraddittoria la motivazione della Corte territoriale che aveva ritenuto che fosse state illecitamente realizzate in maniera definitiva un cortile in sostituzione della rampa di accesso, in quanto basata sulla circostanza che la ringhiera utilizzata per recintare l’area non fosse di materiale di risulta bensi’ di ferro battuto di pregio.
Con il terzo motivo deducono violazione di legge (Legge Regionale Siciliana n. 4 del 2003, articolo 20 e Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 32, comma 2) relativamente alla condanna per l’ampliamento dei balconi lato sud dei piani seminterrato, terra, primo e secondo con manufatti in muratura e pareti finestrate, lamentando che la Corte territoriale aveva erroneamente ritenuto che le opere in questione non rivestissero carattere di rimovibilita’ e non si applicasse la disciplina regionale che prevede la non assoggettabilita’ a concessione ne’ ad autorizzazione delle suddette opere;
deducono che, in ogni caso, si tratterebbe di ambienti-volumi accessori di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 32, comma 2.
Con il quarto motivo deducono violazione di legge e vizio di motivazione, lamentando che l’affermazione di responsabilita’ in relazione all’asserito mutamento della destinazione d’uso del piano seminterrato da cantinato deposito ad abitazione, lamentando che la sussistenza di tale illecito era stata erroneamente desunta dall’utilizzo negli ambienti di materiale edile di finitura di tipo civile e dalla realizzazione di servizio igienico, peraltro gia’ previsto negli elaborati grafici allegati alla DIA del 16.3.2011, opere non incompatibili con la realizzazione di un locale deposito
Con il quinto motivo, proposto nell’interesse del solo ricorrente (OMISSIS), si deduce violazione di legge e vizio di motivazione, lamentando che la Corte territoriale aveva ritenuto il predetto responsabile per opere realizzate da altra impresa.
Con il sesto motivo deducono violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al motivo di appello relativo alla richiesta di applicazione dell’articolo 135 c.p..
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso ha ad oggetto doglianze non consentite in sede di legittimita’.
Va osservato che il vizio di travisamento della prova e’ configurabile quando si introduce nella motivazione una informazione rilevante che non esiste nel processo o quando si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia (cosi’, per tutte, Sez. 2, n. 47035 del 03/10/2013, Giugliano, Rv. 257499), ed e’ ravvisabile ed efficace solo se l’errore accertato sia idoneo a disarticolare l’intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa del dato distorto o pretermesso (cfr., tra le tante, Sez. 6, 5146 del 16/01/2014, Del Gaudio, Rv. 258774, e Sez. 1, n. 24667 del 15/06/2007, Rv. 237207; Sez.3, n. 8996 del 10/02/2011, Rv.249614).
Restano, invece, estranei al sindacato della Corte di cassazione i rilievi in merito al significato della prova ed alla sua capacita’ dimostrativa, afferendo tali aspetti alla valutazione nel merito del risultato probatorio (Sez. 1, 24667/2007 Rv. 237207, ricorrente Musumeci, Sez. 2, n. 19848 del 24/05/2006, Sez. 5, n. 36764 del 24/05/2006).
Nella specie, i ricorrenti, pur deducendo un vizio di travisamento della prova, contestano in sostanza la valutazione delle prove (documentale e testimoniale) da parte della Corte territoriale, prospettando, quindi, una censura di merito che non puo’ proporsi in sede di legittimita’.
2. Il secondo motivo ed il quarto motivo di ricorso hanno ad oggetto doglianze non consentite in sede di legittimita’.
I ricorrenti, attraverso una formale denuncia di vizio di motivazione, richiedono sostanzialmente una rivisitazione, non consentita in questa sede, delle risultanze processuali.
Nei motivi in esame, in sostanza, si espongono censure le quali si risolvono in una mera rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata, sulla base di diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, senza individuare vizi di logicita’, ricostruzione e valutazione, quindi, precluse in sede di giudizio di cassazione (cfr. Sez. 1, 16.11.2006, n. 42369, De Vita, Rv. 235507; sez. 6, 3.10.2006, n. 36546, Bruzzese, Rv. 235510; Sez. 3, 27.9.2006, n. 37006, Piras, Rv. 235508).
Va ribadito, a tale proposito, che, anche a seguito delle modifiche dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), introdotte dalla L. n. 46 del 2006, articolo 8 non e’ consentito dedurre il “travisamento del fatto”, stante la preclusione per il giudice di legittimita’ di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito (Sez. 6, n. 27429 del 04/07/2006, Rv. 234559; Sez. 5, n. 39048/2007, Rv. 238215; Sez. 6, n. 25255 del 2012, Rv. 253099) ed in particolare di operare la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (cfr. Sez. 6, 26.4.2006, n. 22256, Rv. 234148).
3. Il terzo motivo di ricorso e’ manifestamente infondato.
Con tale motivo viene contestata la lettura della legge regionale di settore offerta dai giudici del gravame.
E’, dunque, opportuno richiamare preliminarmente i contenuti di tale normativa, unitamente a quanto osservato dalla giurisprudenza di questa Corte sul tema.
Va osservato che la Legge Regionale 16 aprile 2003, n. 4, articolo 20 stabilisce che, in deroga ad ogni altra disposizione normativa, non sono soggette a concessione o autorizzazione ne’ sono considerate aumento di superficie utile o di volume ne’ modifica della sagoma della costruzione, la chiusura di terrazze di collegamento e/o la copertura di spazi interni con strutture precarie, ferma restando l’acquisizione preventiva del nulla osta da parte della Soprintendenza dei beni culturali ed ambientali nel caso di immobili soggetti a vincolo. In tali casi, contestualmente all’inizio dei lavori, il proprietario dell’unita’ immobiliare deve limitarsi a presentare al sindaco una relazione a firma di un professionista abilitato alla progettazione, che asseveri le opere da compiersi ed il rispetto delle norme di sicurezza e delle norme urbanistiche, nonche’ di quelle igienico-sanitarie vigenti ed a versare a favore del comune un determinato importo per ogni metro quadro di superficie sottoposta a chiusura con struttura precaria. Tali disposizioni sono applicabili anche alla chiusura di verande o balconi con strutture precarie, come previsto dalla Legge Regionale 10 agosto 1985, n. 37, articolo 9. Ai fini dell’applicazione delle richiamate disposizioni il medesimo articolo precisa, al comma 4, che sono da considerare strutture precarie tutte quelle realizzate in modo tale da essere suscettibili di facile rimozione, mentre si definiscono verande tutte le chiusure o strutture precarie come sopra realizzate, relative a qualunque superficie esistente su balconi, terrazze e anche tra fabbricati. Alle verande sono assimilate le altre strutture, aperte almeno da un lato, quali tettoie, pensiline, gazebo ed altre ancora, comunque denominate, la cui chiusura sia realizzata con strutture precarie, sempreche’ ricadenti su aree private. La disposizione in esame consente anche, a determinate condizioni, la regolarizzazione delle opere della stessa tipologia gia’ realizzate.
Dei rapporti tra la summenzionata disciplina regionale e la normativa statale contenuta nel Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 si e’ ripetutamente occupata la giurisprudenza di questa Corte. Si e’ cosi’ avuto modo di chiarire che, in ogni caso, le disposizioni introdotte da leggi regionali devono rispettare i principi generali fissati dalla legislazione nazionale e, conseguentemente, devono essere interpretate in modo da non collidere con i detti principi (Sez. 3, n. 28560 del 26/3/2014, Alonzo, Rv. 259938; Sez. 3, n. 2017 del 25/10/2007 (dep. 2008), Giangrasso, Rv. 238555; Sez. 3, n. 33039 del 15/6/2006, RM. in proc. Moltisanti, Rv. 234935, Conf., ma con riferimento ad altre disposizioni normative della Regione siciliana, Sez. 3, n. 4861 del 9/12/2004 (dep. 2005), Garufi, Rv. 230914; Sez. 3, n. 6814 del 11/1/2002, Castiglia V, Rv. 221427).
Con specifico riferimento alla individuazione, in via di eccezione, ad opera della Legge Regionale n. 4 del 2003, di opere precarie non soggette a permesso di costruire, si e’ osservato che il legislatore regionale ha privilegiato il “criterio strutturale”, considerando la circostanza che le parti di cui la costruzione si compone siano facilmente rimovibili, in luogo di quello “funzionale”, relativo all’uso realmente precario e temporaneo cui la costruzione e’ destinata e che dette disposizioni non possono trovare applicazione al di fuori dei casi in esse espressamente previsti (Sez. 3, n. 48005 del 17/9/2014, Gulizzi e altro, Rv. 261156; Sez. 3, n. 16492 del 16/3/2010, Pennisi, Rv. 246771; Sez. 3, n. 35011 del 26/4/2007, Camarda, Rv. 237533). Si e’ infine specificato che la legislazione regionale in disamina e’ applicabile con riferimento alla sola disciplina urbanistica, restando quindi sottratta quella relativa alla disciplina edilizia antisismica e quella per le costruzioni in conglomerato cementizio armato, le quali attengono alla sicurezza statica degli edifici, rientrante nella competenza esclusiva dello Stato ai sensi dell’articolo 117 Cost., comma 2, con la conseguenza che dette opere continuano ad essere soggette ai controlli preventivi previsti dalla legislazione nazionale (Sez. 3, n. 37375 del 20/6/2013, P.M. in proc. Serpicelli, Rv. 257594; Sez. 3, n. 16182 del 28/2/2013, Crisafulli ed altro, Rv. 255254; Sez. 3, n. 38405 del 9/7/2008, Di Benedetto e altro, Rv. 241287).
Tanto, premesso, nella specie la Corte territoriale ha espressamente escluso, in ragione dei ricordati principi giurisprudenziali, che ha opportunamente menzionato, che le opere realizzare potessero in qualche modo rientrare entro l’ambito di operativita’ della disciplina regionale.
Tale affermazione, giuridicamente corretta ed adeguatamente motivata, si fonda sulla obiettiva valutazione di un dato fattuale e, segnatamente, sulla natura e consistenza dell’intervento (cfr pag 4 della sentenza impugnata dove si evidenzia la modalita’ di chiusura dei balconi con struttura in cemento e mattoni forati tale da escludere il requisito della facile rinnovibilita’ dell’opera) e, quindi, su accertamento in fatto adeguatamente argomentato, come tale non sindacabile in questa sede di legittimita’.
Ne’ coglie nel segno la deduzione difensiva che invoca, comunque, l’applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 32, comma 2, risultando evidente che l’opera in esame non puo’ configurarsi come volume tecnico.
Va ricordato che sono da considerarsi “volumi tecnici”, (la cui realizzazione in difetto del permesso di costruire non integra la contravvenzione di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 44) quei volumi strettamente necessari a contenere e consentire la sistemazione di impianti tecnici, aventi un rapporto di strumentalita’ necessaria con l’utilizzo della costruzione alla quale si connettono, alla duplice condizione negativa che tali impianti non possano trovare ubicazione, per evidenti ragioni di funzionalita’, entro il corpo dell’edificio asservito e che non vi sia sproporzione, in termini di ingombro, tra tali volumi e le esigenze effettivamente sussistenti (Sez. 3, n. 22255 del 28/04/2016, Rv. 267289; Sez. 3, n. 14281 del 04/02/2016, Rv. 266394).
4. Il quinto motivo di ricorso e’ manifestamente infondato.
La Corte territoriale ha chiarito che l’affermazione di responsabilita’ di (OMISSIS), in qualita’ di costruttore delle opere abusive, si fondava sulla esecuzione delle opere che avevano determinato il mutamento di destinazione d’uso del locale deposito, opere dallo stesso effettivamente realizzate.
Trattasi accertamento in fatto, adeguatamente argomentato e come tale non sindacabile in questa sede di legittimita’.
5. Il sesto motivo di ricorso e’ manifestamente infondato.
Come si evince dal tenore del motivo di appello (peraltro riportato anche in ricorso), la richiesta di conversione della pena (tutta) in pena pecuniaria ai sensi dell’articolo 135 c.p. era chiaramente ancorata alla richiesta di riduzione della pena nel minimo edittale, richiesta quest’ultima disattesa dalla Corte territoriale che confermava la pena inflitta dal Tribunale perche’ valutata congrua rispetto all’entita’ delle opere abusive realizzate.
Di tanto si da’ atto della sentenza impugnata che, dopo aver confermato l’entita’ del trattamento sanzionatorio, evidenzia come la richiesta di conversione della pena detentiva era stata condizionata all’accoglimento del motivo di gravame concernete la dosimetria della pena.
Rispetto a tale argomentazione, peraltro, i ricorrenti neppure si confrontano criticamente specificamente con le argomentazioni svolte (pag. 5 e 6) nella sentenza impugnata (confronto doveroso per l’ammissibilita’ dell’impugnazione, ex articolo 581 c.p.p., perche’ la sua funzione tipica e’ quella della critica argomentata avverso il provvedimento oggetto di ricorso: Sez. 6, n. 20377 dell’11.3-14.5.2009 e Sez. 6, n. 22445 dell’8 – 28.5.2009), ponendosi la censura al limite della ammissibilita’.
6. Consegue, pertanto la declaratoria di inammissibilita’ dei ricorsi.
7. Essendo i ricorsi inammissibili e, a norma dell’articolo 616 c.p.p., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’ (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila ciascuno in favore della Cassa delle Ammende.
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