In materia di stupefacenti

Corte di Cassazione, sezione quarta penale, Sentenza 8 gennaio 2020, n. 265

Massima estrapolata:

In materia di stupefacenti, la valutazione in ordine alla destinazione della droga, ogni qualvolta la condotta non appaia indicativa della immediatezza del consumo, deve essere effettuata dal giudice di merito tenendo conto di tutte le circostanze oggettive e soggettive del fatto, secondo parametri di apprezzamento sindacabili in sede di legittimità soltanto sotto il profilo della mancanza o della manifesta illogicità della motivazione. Al riguardo, la destinazione della droga al fine di spaccio può essere dimostrata in base a elementi oggettivi univoci e significativi, quali, ad esempio, il notevole quantitativo della droga o il rinvenimento dello strumentario che lo spacciatore tipicamente utilizza per il confezionamento delle dosi e le modalità di detenzione della droga, dovendosi però precisare, quanto al valore indiziante del dato quantitativo, che il solo dato ponderale dello stupefacente rinvenuto – e l’eventuale superamento dei limiti tabellari indicati dall’articolo 73-bis, comma 1, lettera a), del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 – non determina alcuna presunzione di destinazione della droga a un uso non personale, dovendo il giudice valutare globalmente, anche sulla base degli ulteriori parametri normativi, se, assieme al dato quantitativo (che acquista maggiore rilevanza indiziaria al crescere del numero delle dosi ricavabili), le modalità di presentazione e le altre circostanze dell’azione (la pluralità e diversità di sostanze detenute, la sproporzione tra le possibilità economiche dell’imputato e una siffatta scorta, la divisione in dosi, il possesso del bilancino di previsione) siano tali da escludere una finalità meramente personale della detenzione.

Sentenza 8 gennaio 2020, n. 265

Data udienza 10 dicembre 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRICCHETTI Renato Giusep – Presidente

Dott. FERRANTI Donatella – Consigliere

Dott. PEZZELLA Vincenzo – rel. Consigliere

Dott. TANGA Antonio L. – Consigliere

Dott. PAVICH Giuseppe – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 01/10/2018 della CORTE APPELLO di FIRENZE;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere VINCENZO PEZZELLA;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Gen. CESQUI ELISABETTA che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata.
udito il difensore del (OMISSIS), avv. (OMISSIS) del foro di Firenze che ha insistito per l’accoglimento dei motivi di ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Il GIP del Tribunale di Livorno, all’esito di giudizio abbreviato, pronunciando nei confronti degli odierni ricorrenti (OMISSIS) e (OMISSIS), con sentenza del 11/10/2013, li assolveva dal reato loro ascritto in concorso, con la formula “perche’ il fatto non sussiste”.
(OMISSIS) e (OMISSIS) erano imputati del reato di cui all’articolo 110 c.p. e Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, commi 1 e 1 bis perche’, in concorso tra loro, senza l’autorizzazione dell’articolo 17 e fuori dalle ipotesi previste dall’articolo 75 della stessa legge, detenevano ai fini di spaccio sostanza stupefacente del tipo cocaina del peso complessivo di grammi 4,5 lordi, del tipo hashish del peso complessivo di grammi 159,3 circa e del tipo marijuana del peso complessivo di grammi 5,28, cosi’ suddivisa:
– 3 (tre) involucri in cellophane di colore bianco con la parte apicale termosaldata contenenti sostanza stupefacente del tipo cocaina del peso rispettivamente di gr 1,806 r. e gr. 1,695 occultati negli slip di (OMISSIS);
– 1 pezzo di sostanza stupefacente del tipo hashish del peso di grammi 7,03 netti e sedici frammenti di stupefacente dello stesso tipo del peso di gr. 1,669 netti occultati in un piccolo contenitore in plastica all’interno di un pensile sotto il lavello della cucina dell’abitazione in uso ad entrambi:
un panetto di sostanza stupefacente del tipo hashish con sovrimpressa la parola “(OMISSIS)”, avvolto da cellophane trasparente, del peso di grammi 97,75 occultati all’interno di una borsa porta computer rinvenuta nella camera da letto in uso al (OMISSIS) e alla (OMISSIS);
parte di panetto di sostanza stupefacente del tipo hashish avvolta da cellophane trasparente, del peso di gr. 52,884, occultato all’interno di una borsa porta computer rinvenuta nella camera da letto in uso al (OMISSIS) e alla (OMISSIS);
1 involucro in plastica trasparente contenente sostanza stupefacente del tipo marijuana del complessivo peso di grammi 5,28, occultato all’interno di una borsa porta computer rinvenuta nella camera da letto in uso al (OMISSIS) e alla (OMISSIS);
sostanze stupefacenti che per quantita’, modalita’ di presentazione, suddivisione in dosi e per altre circostanze dell’azione, (detenzione di un bilancino di precisione) appaiono destinate alla cessione a terzi.
In (OMISSIS), frazione (OMISSIS), il (OMISSIS).
2. La Corte di Appello di Firenze, all’esito del gravame proposto dal Procuratore Generale, con sentenza del 1/10/2018, in accoglimento dello stesso, li condannava, invece, alla pena di anni 1 di reclusione ed Euro 1.000,00 di multa ciascuno, dichiarandoli colpevoli del reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5 previa riqualificazione del fatto ascritto.
3. Avverso tale provvedimento hanno proposto ricorso per Cassazione, (OMISSIS) e (OMISSIS), ciascuno con proprio atto, solo con lievi differenze l’uno dall’altro, per il primo depositato il 7/1/2019 e per la seconda il 27/12/2018, a mezzo del proprio difensore di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1.
Con un primo motivo si deduce violazione di legge in relazione ai presupposti della configurabilita’ del delitto di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73.
I ricorrenti si dolgono della ritenuta responsabilita’ penale sulla base esclusivamente di semplici indizi, privi del valore di prova e dell’assoluta mancanza di prova della destinazione a terzi.
In particolare, la Corte di appello appiattendosi sulla prospettazione elaborata dal Procuratore Generale avrebbe ritenuto la varieta’ delle sostanze detenute e la presenza di un bilancino di precisione elementi indicativi della destinazione allo spaccio, senza ricercare ulteriori elementi a sostegno della destinazione a terzi dello stupefacente.
Viene evidenziato, tra l’altro, che, per dei consumatori abituali, appare perfettamente compatibile con un uso personale l’utilizzo di piu’ sostanze, tra l’altro da parte di soggetti che posseggono redditi adeguati all’acquisto delle stesse sostanze.
Anche la presenza del bilancino sarebbe pacificamente giustificata dalla necessita’ di controllare il dato ponderale della sostanza acquistata.
Con un secondo motivo si deduce violazione di legge in relazione al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5.
Ci si duole dell’avvenuta applicazione della fattispecie di cui al comma 5 sul presupposto della mancanza di una perizia tossicologica attestante la capacita’ drogante della sostanza, ma, obietta il ricorrente, tale carenza non fornisce alcuna certezza sulla sua effettiva capacita’ drogante, la cui mancanza renderebbe il fatto non penalmente rilevante.
Inoltre, aggiunge la (OMISSIS) nel proprio ricorso, l’avvenuta concessione di un trattamento sanzionatorio piu’ mite sul presupposto della mancanza della perizia attestante la qualita’ delle sostanze contrasterebbe con quanto ritenuto nel capoverso successivo della stessa sentenza laddove l’attivita’ di spaccio viene descritta come strutturata e rivolta ad una clientela ampia e variegata.
Con un terzo motivo si deduce vizio motivazionale in relazione alla sussistenza del fatto.
Si contesta la mancanza di motivazione rafforzata della sentenza di condanna in appello, che, secondo i ricorrenti, sarebbe fondata unicamente sull’elencazione di cinque elementi, gia’ posti a base della sentenza assolutoria di primo grado, che ora vengono invece utilizzati ai fini della condanna.
Si tratterebbe, sostanzialmente, di semplici valutazioni di ordine generale svincolate da qualsiasi elemento processuale.
Si rileva, ancora una volta, l’assoluta coincidenza con l’uso personale della detenzione di sostanze diverse, dal momento che gli stessi imputati affermavano di fumare piu’ di uno spinello ogni sera e di “tirare” occasionalmente cocaina. Con cio’ giustificando anche la diversa quantita’ delle sostanze.
Anche il possesso della bilancia viene giustificato con la necessita’ di controllare il quantitativo di sostanza acquistata, evidenziando l’incongruenza della ricostruzione operata dai giudici di appello che vedrebbe gli spacciatori recarsi sulla piazza di spaccio, muniti di bilancino, come fossero al mercato.
Non sarebbe univoca nemmeno la circostanza che lo stupefacente fosse in dosi gia’ suddivise, trattandosi di una piccola scorta per 15/20 giorni.
Mentre se si fosse trattato effettivamente di spaccio il quantitativo di cocaina sarebbe stato certamente maggiore risultando altrimenti antieconomico.
Si critica, infine, la definizione dello stipendio di 1.000 Euro come stipendio “da fame”, rilevando, tra l’altro, che gli imputati vivessero in famiglia e potessero, quindi, destinare tutti i loro proventi allo stupefacente, dimostrando proprio al contrario la non necessita’ di ricorrere allo spaccio.
Con un quarto motivo si deduce violazione di legge in relazione agli articoli 163 e 164 c.p..
Ci si duole della mancata concessione della sospensione condizionale della pena, nonostante i fatti risalissero al 2013 e si trattasse di attivita’ criminosa poco significativa.
Le circostanze addotte dalla Corte di appello non sarebbero ostative alla concessione del beneficio ed inoltre la Corte distrettuale non avrebbe motivato sulle ragioni per cui non potesse esprimersi una prognosi positiva per gli imputati in relazione alla giovane eta’, al carattere e alle condizioni personali e familiari.
In particolare, per la (OMISSIS) si fa presente che la stessa si e’ completamente allontanata dall’ambiente per trasferirsi in Australia dove studia e lavora e da dove fa sporadicamente ritorno per rivedere la propria famiglia.
Con un quinto motivo si deduce vizio motivazionale in relazione alla mancata concessione della sospensione condizionale della pena.
Si lamenta la mancata concessione della sospensione condizionale della pena sul presupposto dell’esistenza di due elementi, l’attivita’ strutturata e la varieta’ della clientela, che sarebbero incompatibili con l’avvenuta riqualificazione del reato. L’affermazione sarebbe inoltre del tutto apodittica, non essendo possibile capire da quali elementi sia stata tratta, in mancanza di documentazione o monitoraggio di alcuna attivita’ di cessione di stupefacente a terzi.
I ricorrenti chiedono, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio o con ogni consequenziale pronuncia di legge.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I soli quarto e quinto motivo sopra illustrati sono fondati, per cui la sentenza impugnata va annullata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Firenze per nuovo esame sul solo punto relativo alla concessione della sospensione condizionale della pena.
Gli altri motivi sono infondati, per cui il ricorso, in relazione agli stessi, va rigettato, con conseguente declaratoria di irrevocabilita’ del giudicato relativo all’affermazione di responsabilita’ degli imputati, ai sensi dell’articolo 624 c.p.p..
2. I primi tre motivi di ricorso, in punto di responsabilita’, appaiono infondati, in quanto, ancorche’ con motivazione estremamente sintetica, la Corte territoriale da’ conto del grave quadro indiziario che l’ha indotta a ritenere che lo stupefacente caduto in sequestro (tre diverse qualita’) fosse destinato alla cessione a terzi.
Rilevano i giudici del gravame del merito che: “Raramente infatti e’ dato vedere la presenza simultanea di tanti indici indicatori della finalita’ di spaccio: la diversa tipologia di sostanze (chi tira cocaina non si fa certo gli spinelli), i quantitativi che specie per l’hashish (oltretutto soggetto a dispersione dei principi attivi e dunque mai detenuto se non in frammenti per l’uso immediato) possono essere definiti consistenti, il possesso di una bilancina di precisione (mai visto nella quotidiana prassi giudiziaria un consumatore che si reca ad acquistare droga con la bilancia al seguito), la suddivisione in piu’ involucri della cocaina detenuta negli slip dalla donna (segno inequivoco della destinazione a piu’ soggetti, il consumatore acquista un unico involucro), l’assenza di un reddito adeguato per supportare acquisti consistenti per uso personale (1000 Euro lui e forse 500 lei, sostanzialmente uno stipendio da fame)”.
La sentenza impugnata, dunque, opera un buon governo della pluriennale giurisprudenza di questa Corte Suprema in materia di possesso di sostanze stupefacenti ad uso non esclusivamente personale.
Costituisce giurisprudenza costante e consolidata da decenni, nel solco della pronuncia delle Sez. Un. 4 del 28/5/1997, Iacolare, Rv. 208217 che, in materia di stupefacenti, la valutazione in ordine alla destinazione della droga, ogni qualvolta la condotta non appaia indicativa della immediatezza del consumo, deve essere effettuata dal giudice di merito tenendo conto di tutte le circostanze oggettive e soggettive del fatto, secondo parametri di apprezzamento sindacabili in sede di legittimita’ soltanto sotto il profilo della mancanza o della manifesta illogicita’ della motivazione (Sez. 4, n. 7191 del 11/01/2018, Gjoka, Rv. 272463; conf. Sez. 6, n. 44419 del 13/11/2008, Perrone, Rv. 241604).
E’ stato anche reiteratamente precisato che la destinazione della droga al fine di spaccio puo’ essere dimostrata in base ad elementi oggettivi univoci e significativi, quali: il notevole quantitativo della droga, il rinvenimento dello strumentario che lo spacciatore tipicamente utilizzava per il confezionamento delle dosi e le modalita’ di detenzione della droga (cosi’ Sez. 4, n. 36755 del 4/6/2004, Vidonis, Rv. 229686 in un caso relativo a grammi 791,24 netti di hashish, contenenti mg. 34.061 di principio attivo, utilizzabili per la preparazione di n. 1702 dosi, in parte nascosti nel cruscotto dell’autovettura, in parte addosso al soggetto, in parte a casa, in cui vi erano cartine e bilancino).
Quanto al quantitativo di stupefacente caduto in sequestro, questa Corte di legittimita’, ha dunque costantemente affermato – e va qui ribadito – che in tema di sostanze stupefacenti, il solo dato ponderale dello stupefacente rinvenuto – e l’eventuale superamento dei limiti tabellari indicati dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73-bis, comma 1, lettera a), – non determina alcuna presunzione di destinazione della droga ad un uso non personale, dovendo il giudice valutare globalmente, anche sulla base degli ulteriori parametri normativi, se, assieme al dato quantitativo (che acquista maggiore rilevanza indiziaria al crescere del numero delle dosi ricavabili), le modalita’ di presentazione e le altre circostanze dell’azione siano tali da escludere una finalita’ meramente personale della detenzione (cfr. ex multis, Sez. 3, n. 46610 del 9/10/2014, Salaman, Rv. 260991).
Tuttavia, va al contempo riaffermato che il possesso di un quantitativo di droga superiore al limite tabellare previsto dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 1 bis, lettera a), se da solo non costituisce prova decisiva dell’effettiva destinazione della sostanza allo spaccio, puo’ comunque legittimamente concorrere a fondare, unitamente ad altri elementi, tale conclusione (cosi’ Sez. 6, n. 11025 del 6/3/2013, De Rosa ed altro, Rv. 255726, fattispecie in cui la Corte ha rigettato il ricorso avverso la decisione del giudice di merito che aveva ritenuto l’illiceita’ penale della detenzione dell’equivalente di 27,5 dosi di eroina anche in considerazione della accertata incapacita’ economica dell’imputato ai fini della costituzione di “scorte” per uso personale; conf. Sez. 6, n. 9723 del 17/1/2013, Serafino, Rv. 254695).
Conclusivamente sul punto, dunque, va ribadito che il considerevole numero di dosi ricavabili, ben puo’ essere ritenuto un indizio della destinazione della droga ad un uso non esclusivamente personale (cfr. Sez. 3, n. 43496 del 2/10/2012, Romano, Rv. 253607) e, se come nel caso che ci occupa, e’ accompagnato da altri elementi (la pluralita’ e diversita’ di sostanze detenute, la sproporzione tra le possibilita’ economiche dell’imputato ed una siffatta scorta, la divisione in dosi, il possesso del bilancino di previsione) costituire valida motivazione per escludere l’utilizzo dello stupefacente, in tutto o in parte, ad uso esclusivamente personale.
3. Infondati si palesano anche gli ulteriori profili di doglianza.
La capacita’ drogante dello stupefacente caduto in sequestro non e’ stata mai posta in discussione. Ed in ogni caso, trattandosi di processo celebrato con le forme del rito abbreviato, sono pienamente utilizzabili i narcotest dei c.c. di Cecina effettuati nell’immediatezza del sequestro.
Il Collegio sul punto intende ribadire il condivisibile principio, reiteratamente affermato negli ultimi anni da questa Corte, secondo cui per accertare la natura di stupefacente di una sostanza non e’ necessaria la perizia o un accertamento tecnico da svolgersi secondo le disposizioni di cui all’articolo 360 c.p.p., essendo all’uopo sufficiente il materiale probatorio costituito da dichiarazioni dell’imputato, indagine con narcotest “et similia” (cosi’ Sez. 6, n. 43226 del 26/9/2013, Hu, Rv. 257462, nel giudicare un caso relativo a narcotest effettuato su Ketamina; conf. Sez. 4, n. 22238 del 29/1/2014, Feola ed altri, Rv. 259157; conf. Sez. 4, n. 4817 del 20/11/2003, De Lorenzo ed altri, Rv. 229364).
Come detto, inoltre, in primo grado si e’ proceduto con rito abbreviato e che questa Corte regolatrice ha un dictum consolidato nel ritenere che nel giudizio abbreviato sono rilevabili e deducibili solo le nullita’ di carattere assoluto e le inutilizzabilita’ c.d. patologiche, con la conseguenza che l’irritualita’ dell’acquisizione dell’atto probatorio e’ neutralizzata dalla scelta negoziale delle parti di tipo abdicativo, che fa assurgere a dignita’ di prova gli atti di indagine compiuti senza rispetto delle forme di rito (cosi’ sez. 2, n. 19483 del 16.4.2013, Avallone ed altri, rv. 256038, conf. sez. 5, n. 46046 del 6.6.2012, Paludi ed altro, rv. 254081 e gia’ questa sez. 3 n. 29240 del 9.6.2005, Fiero, rv. 232374 in un caso di giudizio abbreviato in cui e’ stata ritenuta corretta l’utilizzazione di un’intercettazione telefonica non trascritta ritualmente, a seguito di consulenza tecnica ex articolo 268 c.p.p., ma riprodotta su cosiddetto “brogliaccio”; e sez. 4 n. 5801 del 3.11.1999 dep. 19.5.2000, Alice F. e altri, rv. 216600).
Tuttavia, ancorche’ ci si trovasse di fronte ad una quantita’ non modica di cocaina (g. 4,5 lordi) e ad una pluralita’ di sostanze, la Corte territoriale ha correttamente ritenuto che, in assenza di una perizia tossicologica (che avrebbe potuto consentire di valutare il grado di purezza dello stupefacente e quindi il suo valore di mercato), la fattispecie andasse ricondotta all’ipotesi di reato meno grave di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5.
4. Quanto al diniego di concessione della sospensione condizionale della pena, invece, fondatamente i ricorrenti lamentano la illogicita’ della motivazione del provvedimento impugnato laddove i giudici del gravame del merito, hanno ritenuto di ancorarlo ad un giudizio prognostico ex articolo 164 c.p. sfavorevole agli imputati in ragione di un non meglio precisato “fatto che l’attivita’ di spaccio si palesasse alquanto strutturata, il che presuppone una rete di clientela ampia e variegata”.
Un’affermazione siffatta, non meglio circostanziata, si palesa in contraddizione con i quantitativi di stupefacente rinvenuti, con le modalita’ dell’azione e con lo stesso riconoscimento dell’ipotesi attenuata di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73. Peraltro, a fronte di due soggetti, all’epoca dei fatti ventitreenni, che – come risulta dai certificati penali in atti – sono incensurati.
Tale profilo andra’ dunque rivalutato dal giudice del rinvio che dovra’ tenere conto che, in tema di sospensione condizionale della pena, il giudice di merito, nel valutare la concedibilita’ del beneficio, non ha l’obbligo di prendere in esame tutti gli elementi indicati nell’articolo 133 c.p., potendo limitarsi ad indicare in motivazione quelli da lui ritenuti prevalenti (cfr. Sez. 3, n. 30562 del 19/3/2014, Avveduto ed altri, Rv. 260136; conf. Sez. 2, n. 19298 del 15/4/2015, Di Domenico, Rv. 263534; Sez. 3, n. 6641 del 17/11/2009 dep. il 2010, Miranda, Rv. 246184).

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente al diniego della sospensione condizionale della pena e rinvia sul punto ad altra Sezione della Corte di Appello di Firenze.
Rigetta nel resto il ricorso.
Dichiara, ai sensi dell’articolo 624 c.p.p., irrevocabile l’affermazione di responsabilita’ penale degli imputati.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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