Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 12 ottobre 2018, n. 46222.
La massima estrapolata:
In materia di reati edilizi, l’ampliamento di un fabbricato preesistente non puo’ considerarsi pertinenza, ma parte integrante dell’edificio e privo di autonomia rispetto ad esso, perche’, una volta realizzato, ne completa la struttura per meglio soddisfare i bisogni cui e’ destinato.
La pertinenza – cioe’ – richiede che si tratti di un manufatto distinto e separato da quello principale a cui e’ asservito, essendovi in caso contrario ampliamento dell’edificio che, laddove avvenga “all’esterno della sagoma esistente” e’ da considerarsi intervento di nuova costruzione ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 3, comma 1, lettera e.1), assoggettato a permesso di costruire ai sensi del successivo articolo 10, comma 1, lettera a).
Per questo la giurisprudenza ha sempre ritenuto necessario detto provvedimento (o la previgente concessione edilizia) nel caso, ad es., di trasformazione di balconi in verande, di tettoie realizzate sul lastrico solare, di porticato addossato ad un fabbricato.
Sentenza 12 ottobre 2018, n. 46222
Data udienza 4 luglio 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SARNO Giulio – Presidente
Dott. ANDREAZZA Gastone – Consigliere
Dott. DI STASI Antonella – Consigliere
Dott. REYNAUD Gianni F. – rel. Consigliere
Dott. MACRI’ Ubalda – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 06/07/2017 della Corte di appello di Roma;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Gianni Filippo Reynaud;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Cuomo Luigi, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilita’ del ricorso;
udito il difensore avv. (OMISSIS) che ha concluso chiedendo accogliersi le conclusioni del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 6 luglio 2017, la Corte d’appello di Roma – giudicando sull’appello proposto dall’odierno ricorrente – ha confermato la sentenza con cui (OMISSIS) era stato condannato alle pene di legge per i reati di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 44, comma 1, lettera c), e articolo 95, nonche’ per il reato di cui al Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, articolo 181, per aver abusivamente realizzato, in zona sismica e paesaggisticamente vincolata ed in aderenza all’abitazione, un portico in legno di ml. 4 x 5.
2. Avverso la sentenza di appello, ha proposto ricorso il difensore dell’imputato, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ai sensi dell’articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1.
3. Con il primo motivo si deduce, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), il vizio di contraddittorieta’ della motivazione per travisamento della prova avendo la sentenza escluso la natura pertinenziale sull’errato presupposto che la stessa non avesse un’individualita’ fisica e strutturale rispetto all’edificio principale.
4. Con il secondo motivo si deduce la violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articoli 3, 44 e 95 perche’ l’opera – da qualificarsi pertinenza – non sarebbe soggetta a permesso di costruire e l’abuso sarebbe sanzionabile soltanto in via amministrativa.
5. Con il terzo motivo si lamenta l’assenza di motivazione circa l’incidenza dell’opera sul bene penalmente protetto dal Decreto Legislativo n. 42 del 2004, articolo 181.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo ed il secondo motivo – da esaminarsi congiuntamente perche’ obiettivamente connessi – sono inammissibili per manifesta infondatezza.
Secondo il consolidato orientamento di questa Corte – che va ribadito – in materia di reati edilizi, l’ampliamento di un fabbricato preesistente non puo’ considerarsi pertinenza, ma parte integrante dell’edificio e privo di autonomia rispetto ad esso, perche’, una volta realizzato, ne completa la struttura per meglio soddisfare i bisogni cui e’ destinato (Sez. 3, n. 4139 del 13/12/2017, dep. 2018, Rv. 272077; Sez. 3, n. 20349 del 16/03/2010, Catania, Rv. 247108; Sez. 3, n. 28504 del 29/05/2007, Rossi, Rv. 237138). La pertinenza – cioe’ – richiede che si tratti di un manufatto distinto e separato da quello principale a cui e’ asservito, essendovi in caso contrario ampliamento dell’edificio che, laddove avvenga “all’esterno della sagoma esistente” e’ da considerarsi intervento di nuova costruzione ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 3, comma 1, lettera e.1), assoggettato a permesso di costruire ai sensi del successivo articolo 10, comma 1, lettera a). Per questo la giurisprudenza ha sempre ritenuto necessario detto provvedimento (o la previgente concessione edilizia) nel caso, ad es., di trasformazione di balconi in verande (Sez. 3, n. 1483 del 03/12/2013, dep. 2014, Summa, Rv. 258295; Sez. 3, n. 35011 del 26/04/2007, Camarda, Rv. 237532; Sez. 3, n. 45588 del 28/10/2004, D’Aurelio, Rv. 230419), di tettoie realizzate sul lastrico solare (Sez. 3, n. 21351 del 06/05/2010, Savino, Rv. 247628; Sez. 3, n. 40843 del 11/10/2005, Daniele, Rv. 232363), di porticato addossato ad un fabbricato (Sez. 3, n. 33657 del 12/07/2006, Rossi, Rv. 235382; Sez. 3, n. 8521 del 17/03/2000, Capone, Rv. 217363; Sez. 3, n. 7613 del 06/05/1994, Petrillo, Rv. 198409).
1.1. Nel caso di specie, la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione di questi principi, dando atto che il manufatto abusivamente realizzato era costituito da una tettoia di apprezzabili dimensioni (circa ml. 5 x 3 per mt. 3 di altezza) aperta su tre lati, essendo sul quarto addossata all’edificio di abitazione dell’imputato.
Contrariamente a quanto deduce il ricorrente – lamentando il travisamento della prova – la sentenza impugnata non afferma che il manufatto fosse unito (sembra da intendersi, comunicante) con l’edificio principale, ma che, appunto, vi fosse addossato si’ da escludere che lo stesso potesse avere una propria individualita’ fisica e strutturale, costituendo invece ampliamento dello stesso (non importa se accessibile soltanto dall’esterno).
L’opera, dunque, era certamente soggetta al rilascio del permesso di costruire con la conseguente sussistenza del contestato e ritenuto reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 44, comma 1, lettera c), (stante il pacifico vincolo paesaggistico).
1.3. Trattandosi di manufatto realizzato in zona sismica in violazione delle prescrizioni di cui all’articolo 93 (mancato preavviso scritto di denuncia dei lavori) e articolo 94 (esecuzione dei lavori in assenza della prescritta autorizzazione), sussiste certamente anche il contestato reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 95, che si applica a tutte le costruzioni realizzate in zona sismica la cui sicurezza possa interessare la pubblica incolumita’ e per le quali si rende pertanto necessario il controllo preventivo da parte della pubblica amministrazione, a nulla rilevando l’impiego di materiali diversi rispetto alla muratura e al cemento armato (Sez. 3, n. 48950 del 04/11/2015, Baio, Rv. 266033; Sez. 3, n. 30224 del 21/06/2011, Floridia, Rv. 251284).
2. Quanto alla contestazione circa la mancanza di motivazione sulla ritenuta sussistenza del reato di cui al Decreto Legislativo n. 42 del 2004, articolo 181 per mancata valutazione dell’incidenza dannosa dell’opera sul bene tutelato, si tratta – stando alla sentenza impugnata – di doglianza che non era stata specificamente dedotta con il gravame.
Richiamando consolidati principi affermati con riguardo alla causa di inammissibilita’ di cui all’articolo 606 c.p.p., comma 3, u.p., deve ribadirsi che laddove si deduca con il ricorso per cassazione il mancato esame da parte del giudice di secondo grado di un motivo dedotto con l’atto d’appello, occorre procedere alla specifica contestazione del riepilogo dei motivi di gravame, contenuto nel provvedimento impugnato, che non menzioni la doglianza proposta in sede di impugnazione di merito, in quanto, in mancanza della predetta contestazione, il motivo deve ritenersi proposto per la prima volta in cassazione (Sez. 2, n. 31650 del 03/04/2017, Ciccarelli e a., Rv. 270627; Sez. 2, n. 9028/2014 del 05/11/2013, Carrieri, Rv. 259066).
Nella specie cio’ non e’ stato fatto, ne’ il ricorrente specificamente attesta di aver dedotto la doglianza quale motivo di gravame, e per cio’ solo il ricorso e’ inammissibile per genericita’.
2.1. La doglianza e’ comunque inammissibile anche per manifesta infondatezza, dovendosi richiamare il consolidato principio secondo cui il reato di pericolo previsto dal Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, articolo 181, non richiede ai fini della sua configurabilita’ un effettivo pregiudizio per l’ambiente, essendo sufficiente l’esecuzione, in assenza di preventiva autorizzazione, di interventi che siano astrattamente idonei ad arrecare nocumento al bene giuridico tutelato (Sez. 3, n. 11048 del 18/02/2015, Murgia, Rv. 263289; Sez. 3, n. 6299 del 15/01/2013, Simeon e a., Rv. 254493), tali certamente essendo gli interventi che incidano sull’aspetto esteriore degli edifici (Sez. 3, del 21/06/2011, Fanciulli, Rv. 251244), come avvenuto con l’ampliamento effettuato nel caso di specie.
Che, poi, la realizzazione di tettoie su aree paesaggisticamente vincolate in assenza di autorizzazione integri la contravvenzione di cui al Decreto Legislativo n. 42 del 2004, articolo 181, comma 1, e’ stato anche di recente affermato (Sez. 3, n. 2288 del 28/11/2017, dep. 2018, Esposito e a., Rv. 272487) e la conclusione trova conferma nel recente Decreto del Presidente della Repubblica 13 febbraio 2017, n. 31 (“Regolamento recante individuazione degli interventi esclusi dall’autorizzazione paesaggistica o sottoposti a procedura autorizzatoria semplificata”), Che ribadisce come anche detti manufatti siano assoggettati al rilascio dell’autorizzazione di cui all’articolo 146, sia pur prevedendo una procedura semplificata laddove gli stessi abbiano contenute dimensioni. L’Allegato B al suddetto decreto – che individua gli interventi soggetti ad autorizzazione paesaggistica da rilasciarsi con procedura semplificata – contempla infatti, al punto B.17, la “realizzazione di tettoie, porticati, chioschi da giardino di natura permanente e manufatti consimili aperti su piu’ lati, aventi una superficie non superiore a 30 mq”. Non e’ revocabile in dubbio, dunque, che l’intervento oggetto di giudizio richiedesse la previa valutazione della compatibilita’ paesaggistica.
3. Alla declaratoria di inammissibilita’ del ricorso, tenuto conto della sentenza Corte cost. 13 giugno 2000, n. 186 e rilevato che nella presente fattispecie non sussistono elementi per ritenere che la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’, consegue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., oltre all’onere del pagamento delle spese del procedimento anche quello del versamento in favore della Cassa delle Ammende della somma equitativamente fissata in Euro 2.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.