Consiglio di Stato, Sezione quarta, Sentenza 3 giugno 2020, n. 3465.
La massima estrapolata:
Ai sensi dell’art. 27 comma 2, r.d. 14 novembre 1926 n. 1953, in materia di concorsi per l’accesso alla professione di notaio, i componenti della Commissione di esame (effettivi e supplenti) sono fra loro sostituibili ed intercambiabili, quando qualcuno non possa assumere o continuare l’esercizio delle sue funzioni, vigendo anche per detti concorsi il criterio, rispondente a principi di economicità ed efficienza dell’azione amministrativa, della piena fungibilità di tutti i componenti della Commissione, anche solo in relazione ad esigenze contingenti e senza necessità alcuna di far constare a verbale le esigenze medesime.
Sentenza 3 giugno 2020, n. 3465
Data udienza 7 maggio 2020
Tag – parola chiave: Concorsi pubblici – Concorso notarile – Commissione – Componenti – Sostituibilità ed intercambiabilità – Art. 27 comma 2, r.d. 14 novembre 1926 n. 1953 – Applicazione
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6586 del 2019, proposto da
Ministero della Giustizia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (…);
contro
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Ma. Sa., Lo. Co., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Ma. Sa. in Roma, viale (…);
-OMISSIS-, -OMISSIS-non costituiti in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Prima n. -OMISSIS-, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di -OMISSIS-;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 7 maggio 2020 svoltasi in videoconferenza ai sensi dell’art. 84, commi 5 e 6, d.l. n. 18 del 2020 il Cons. Antonino Anastasi;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
La appellata ha partecipato al concorso notarile per l’anno 2016 ed ha superato le prove scritte, riportando il punteggio complessivo di 105 punti.
All’esito della prova orale la candidata è stata però giudicata inidonea (punteggio: 86) per le significative carenze dimostrate in molte delle materie fondamentali oggetto del colloquio, quali il diritto commerciale, civile, tributario e l’ordinamento del notariato.
L’interessata ha impugnato la negativa valutazione con ricorso al TAR Lazio, supportato da cinque profili di censura.
Successivamente l’interessata ha proposto motivi aggiunti coi quali, per quanto di interesse, ha lamentato la presenza nella seduta della commissione che valutò la sua prova orale di un notaio già condannato in sede penale e quindi incompatibile ai sensi dell’art. 35 bis TU pubblico impiego n. 165 del 2001.
Con ord.za n. -OMISSIS-il TAR ha respinto la richiesta cautelare versata dalla ricorrente; tale pronuncia è stata però riformata dall’ord.za di questa Sezione n. -OMISSIS-con la quale è stata disposta in via propulsiva la rinnovazione della prova orale.
Tale seconda prova risultò superata dalla candidata, che è stata quindi inserita con riserva nella graduatoria finale dei vincitori del concorso e, in seguito, nominata alla funzione.
Con la sentenza in epigrafe indicata l’adito TAR ha accolto il ricorso per motivi aggiunti, annullando per quanto di ragione l’atto di nomina a membro della commissione di quel notaio e la originaria prova orale della ricorrente. Di conseguenza il TAR visto l’esito della rinnovata prova orale ha dichiarato improcedibili le censure di cui al ricorso introduttivo.
La sentenza è stata impugnata con l’atto di appello oggi in esame dalla soccombente Amministrazione che ne ha chiesto l’integrale riforma, previa sospensione dell’esecutività .
Si è costituita in resistenza l’appellata, che ha tra l’altro eccepito l’inammissibilità dell’appello.
Alla camera di consiglio del 29 agosto 2019 l’istanza cautelare è stata rinviata al merito.
Le Parti hanno scambiato memorie e la appellata ha altresì versato note di replica.
All’Udienza del 7 maggio 2020 l’appello è stato spedito in decisione ai sensi dell’art. 84 D.L. n. 18 del 2020.
L’appellata ha eccepito l’inammissibilità dell’appello per difetto di interesse, derivante dall’avvenuto superamento – in seconda battuta – della prova orale e dai successivi provvedimenti dell’Amministrazione.
L’eccezione non può essere positivamente valutata in quanto per costante giurisprudenza di questo Consiglio, nel caso in cui il Giudice amministrativo abbia sospeso in sede cautelare gli effetti di un provvedimento e l’Amministrazione si sia adeguata con un atto consequenziale al contenuto propulsivo dell’ordinanza cautelare, non è configurabile l’improcedibilità del ricorso, atteso che l’adozione non spontanea dell’atto conseguenziale, con cui l’Amministrazione dia esecuzione all’ordinanza di sospensione degli effetti di un provvedimento, non comporta la revoca del precedente provvedimento sospeso ed ha una rilevanza provvisoria, in attesa che la sentenza di merito accerti se il provvedimento sospeso sia o meno legittimo. (ex multis V Sez. n. 3272 del 2016).
Nel caso all’esame appare evidente al Collegio, dallo scrutinio degli atti di causa e della cronologia parallela del procedimento e del processo ove complessivamente considerata e valutata, che è nel giusto l’Amministrazione allorchè – a fronte delle opposte contestazioni dell’interessata – afferma di aver posto in essere esclusivamente attività esecutiva della citata ordinanza cautelare e poi della sentenza di merito di primo grado.
Ne consegue, secondo ragionevolezza, che non sussistono motivi per ravvisare l’inammissibilità (né soprattutto l’improcedibilità ) dell’appello col quale l’Amministrazione – tutelando il suo diritto di resistere in giudizio ex art. 24 Cost. – insiste per vedere dichiarata la legittimità del provvedimento originario, mai spontaneamente revocato o annullato.
E’ infatti evidente, secondo i principi, che ove il ricorso introduttivo sia all’esito del giudizio di merito respinto, il provvedimento originario (giudizio di insufficienza) riprende pieno vigore ed efficacia, con automatico travolgimento della pronuncia cautelare e conseguente radicale caducazione di tutta la attività amministrativa posta in essere a seguito di questa.
In tal senso infatti la giurisprudenza di questa Sezione è consolidata nell’affermare che il provvedimento, adottato in esecuzione di un’ordinanza cautelare del giudice amministrativo, non implica di per sé il ritiro dell’atto impugnato ed oggetto della pronuncia stessa e ha una rilevanza solo provvisoria in attesa che la decisione di merito accerti se l’atto stesso sia, o no, legittimo; la misura cautelare, infatti, non configura una radicale consumazione della potestà amministrativa e l’effetto caducante dell’eventuale sentenza definitiva si estende comunque a tutti gli ulteriori atti adottati dalla Pubblica amministrazione a seguito dell’adozione dell’ordinanza cautelare. (cfr. per tutte IV Sez. n. 5801 del 2014).
Quanto sopra, naturalmente, in assenza di misure legislative di sanatoria che però nel caso all’esame non si rinvengono.
E’ infatti del tutto pacifica in giurisprudenza l’inapplicabilità alle procedure di concorso come quella in controversia (in quanto comparative) della sanatoria legale dei casi di ammissione con riserva alle procedure idoneative desumibile dall’art. 4, comma 2 bis, d.l. n. 115 del 2005, convertito dalla l. n. 168 del 2005, secondo il quale ” conseguono ad ogni effetto l’abilitazione professionale o il titolo per il quale concorrono i candidati, in possesso dei titoli per partecipare al concorso, che abbiano superato le prove d’esame scritte od orali previste dal bando, anche se l’ammissione alle medesime o la ripetizione della valutazione da parte della Commissione sia stata operata a seguito di provvedimenti giurisdizionali o di autotutela “.
E ciò indipendentemente dal fatto che i posti messi a concorso comparativo siano o meno integralmente ricoperti.
Nel merito l’appello dell’Amministrazione è fondato.
Con il primo motivo l’appellante torna a contestare, come già eccepito in prime cure, l’ammissibilità dei motivi aggiunti, a causa dell’omessa impugnazione del decreto di nomina di quel notaio nella commissione.
Sempre col primo motivo l’appellante deduce il vizio di extra petizione, avendo il TAR annullato un provvedimento formale e costitutivo mai tempestivamente impugnato nel termine decadenziale.
Con il secondo e centrale motivo l’appellante deduce che la normativa evocata dalla ricorrente a supporto dei motivi aggiunti è in realtà inapplicabile al concorso notarile.
In riferimento a questa nodale problematica di tipo sostanziale, il Collegio osserva che gli elementi ermeneutici evocati dall’appellante per sostenere l’inapplicabilità dell’art. 35 bis comma 46 TU 165/2001 al concorso notarile sono oltremodo convincenti.
In primo luogo c’è da rilevare che il TU 165/2001, nel quale la norma è inserita, disciplina ” l’organizzazione degli uffici e i rapporti di lavoro e di impiego alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche..” (art. 1 c. 1) e che il notaio (ancorchè pubblico ufficiale titolare di una funzione pubblicistica di rilievo fondamentale) non rientra ovviamente tra i dipendenti pubblici.
In aggiunta a ciò, risulta decisivo altresì notare sul piano sistematico che come ben posto in luce dall’appellante Avvocatura l’art. 35 bis in questione è stato inserito nel TU 165/2001 dall’art. 1 comma 46 della legge n. 190 del 2012 recante Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione, e quindi da una legge finalizzata all’adozione di misure di contrasto destinate ad incidere in via pressochè esclusiva sugli apparati amministrativi pubblici.
Altrettanto significativo, dal punto di vista sostanziale, è il fatto che la disciplina dell’art. 1 comma 46 spazia in ambiti essenzialmente organizzativi (A.N.C., responsabili anticorruzione, trasparenza, codici di comportamento etc.) che non riguardano assolutamente la funzione professionale del notaio, come pure non la riguardano assolutamente le cautele (del tutto prevalenti anche in seno allo stesso comma 46) destinate a presidiare il settore dei contratti pubblici, ovviamente il più esposto ai fenomeni di cui sopra.
Per contro il concorso per l’accesso alla professione notarile e la composizione della commissione preposta ha nel tempo sempre ricevuto una disciplina specifica (in applicazione delle leggi nn. 89 del 1913 e 1365 del 1926 fino all’attuale D. L.vo n. 166 del 2006) ben differenziata da quella che governa l’accesso al pubblico impiego.
Ne consegue che l’art. 35 bis di per sé (e cioè direttamente) è palesemente inapplicabile al concorso notarile, come del resto a chiare lettere riconosciuto dallo stesso TAR.
La sentenza impugnata ha quindi superato tale rilievo sull’assunto che la preclusione ex art. 35 bis sarebbe espressiva di un principio generale, destinato ad applicarsi in ogni ordinamento settoriale: ma, come osserva l’appellante Avvocatura, non appare conseguente alle regole di ermeneutica legale fornire un’applicazione estensiva o addirittura analogica ad una norma sicuramente speciale perché introduttiva di limiti e deroghe rispetto alla disciplina generale dei concorsi, e, di conseguenza, di stretta interpretazione.
Nello specifico poi tale applicazione analogica appare vieppiù ardua al cospetto di un settore (ordinamento notarile in senso lato) caratterizzato da una autonoma disciplina di accesso alla funzione, da un sub-sistema disciplinare del tutto peculiare e le cui controversie – in estrema sintesi – sono devolute a giudice diverso da quello amministrativo.
In questo complesso quadro di riferimento in cui da un lato risulta assolutamente preclusa una interpretazione estensiva costituzionalmente orientata del nuovo divieto introdotto nel pubblico impiego dal Legislatore, dall’altro potrebbe emergere l’esigenza di valorizzare la più che condivisibile finalità sottostante al nuovo divieto introdotto dal Legislatore, la via maestra per l’interprete sarebbe, almeno secondo i canoni più consolidati e a tutto voler concedere, quella di prospettare l’irragionevolezza ex art. 3 Cost. dell’art. 1 della legge 190/2012 nella misura in cui esso non estende la garanzia di cui al comma 46 allo specifico concorso per l’accesso ad una pubblica funzione così rilevante per l’ordinamento, ancorchè non ascrivibile al pubblico impiego, come quella notarile.
Come sia di ciò, ogni ulteriore approfondimento su un punto così delicato si rivela non necessario, in quanto la ulteriore fondatezza del primo motivo d’appello priva la relativa questione di ogni concreta rilevanza.
Va infatti accolto il motivo mediante il quale l’appellante deduce che come pacifico in atti la ricorrente non ha nel termine di decadenza espressamente impugnato l’atto presupposto, e cioè il decreto di nomina della commissione giudicatrice, che il TAR conseguentemente non avrebbe potuto annullare.
Infatti, secondo il prevalente orientamento della Sezione, al quale il Collegio intende dare continuità, i provvedimenti impugnati devono essere puntualmente inseriti nell’oggetto della domanda ed a questi devono essere direttamente collegate le specifiche censure e ciò perché solo l’inequivoca indicazione del petitum dell’azione di annullamento consente alle controparti la piena esplicazione del loro diritto di difesa. (cfr. IV Sez. n. 4207 del 2016 ma vedi anche III Sez. n. 2843 del 2019).
In difetto di specifica impugnazione, le precisazioni offerte dalla ricorrente nella memoria di primo grado del 5 febbraio 2019 e nella successiva replica del 19 febbraio risultano irrilevanti.
In tale contesto soprattutto, avendo la ricorrente scelto di non impugnare nei termini il presupposto decreto di nomina e di limitarsi a contestare la presenza di quel componente in quella seduta, da un lato il TAR non avrebbe potuto pronunciarne l’annullamento pena l’evidente oggettiva ultrapetizione; dall’altro – sul piano della ragionevole logica di metodo – il Tribunale non avrebbe comunque potuto annullare la nomina “incriminata” per quanto di ragione, e cioè con effetti limitati ex ante alla prova orale di quella unica candidata.
Senza voler approfondire il complesso argomento dell’efficacia erga omnes delle sentenze di annullamento di atti amministrativi in relazione alla natura dei vizi riscontrati o alla natura dell’atto annullato, certo è che già prima facie l’annullamento del decreto di nomina di una commissione di concorso appare infatti suscettibile di determinare potenziali effetti processuali e sostanziali sicuramente più complessi di quelli empiricamente e apoditticamente perimetrati dalla sentenza impugnata.
La sentenza gravata va quindi riformata integralmente, risultando perciò necessario esaminare le censure versate in primo grado e qui ritualmente riproposte.
In primo grado la ricorrente, sempre nei motivi aggiunti, aveva lamentato la omessa dichiarazione, da parte di quel notaio, della sanzione disciplinare ricevuta all’epoca dell’avvio del processo penale di cui sopra (inabilitazione ex art. 139 L. n. 89 del 1913).
Questa censura, assorbita dal TAR e appunto riproposta dalla appellata, è in via assorbente del tutto infondata: come insegna la giurisprudenza infatti l’inabilitazione all’esercizio delle funzioni notarili di cui agli art. 139 e 140 della legge notarile è misura cautelare e non disciplinare, destinata a caducarsi quando vengono a cessare le condizioni che la hanno determinata. (ad es. Cass. civ. Sez. III, n. 10133 del 1998).
La misura di cui sopra a differenza delle eventuali sanzioni disciplinari non doveva dunque essere obbligatoriamente dichiarata dalla destinataria, indipendentemente dalla successiva riabilitazione civile e cioè dalla intervenuta riammissione dell’interessata alla funzione.
Proseguendo nell’esame, con la prima censura del ricorso introduttivo la ricorrente aveva dedotto che la Commissione non ha fatto uso di un criterio valutativo omogeneo nell’arco complessivo dei suoi lavori, approdando nei fatti a valutazioni prima estremamente concessive poi troppo selettive o rigorose.
Il mezzo non merita positiva considerazione, in primo luogo perché sollecita inammissibili valutazioni sul pieno merito dell’azione amministrativa e quindi incede in un ambito precluso nel giudizio di legittimità, se non in presenza di ipotesi liminari di irragionevolezza o illogicità che qui non si ravvisano.
Ciò chiarito, va inoltre osservato che le deduzioni della ricorrente risultano obiettivamente impalpabili e generiche ad un livello tale da rappresentare, come eccepisce l’appellante, mere (e del tutto comuni e frequenti in ogni procedura selettiva, secondo massime di esperienza) rimostranze soggettive di un candidato ritenuto inadeguato dalla commissione più che principi o indizi di prova di una ipotetica discontinuità nel metro valutativo della commissione.
Ma soprattutto, dal punto di vista che qui rileva, occorre considerare che
la valutazione di una prova concorsuale va rapportata al contenuto complessivo dell’esame sostenuto dal candidato di talchè una effettiva disparità di trattamento può sussistere solo se la commissione si sia diversamente determinata in relazione a situazioni di base identiche, cioè – in termini piani – nel caso di sovrapponibilità delle domande e delle risposte fornite da diversi candidati, il che nella specie la ricorrente non perviene assolutamente a dimostrare con un benchè minimo grado di affidabilità o verosimiglianza.
Con la seconda censura la ricorrente lamentava la presenza, nella commissione che la esaminò, di un componente diverso da quelli previsti nel programma dei lavori dell’organo.
Il mezzo è del tutto infondato, essendo acquisito nella giurisprudenza della Sezione che ai sensi dell’art. 27 comma 2, r.d. 14 novembre 1926 n. 1953, in materia di concorsi per l’accesso alla professione di notaio, i componenti della Commissione di esame (effettivi e supplenti) sono fra loro sostituibili ed intercambiabili, quando qualcuno non possa assumere o continuare l’esercizio delle sue funzioni, vigendo anche per detti concorsi il criterio, rispondente a principi di economicità ed efficienza dell’azione amministrativa, della piena fungibilità di tutti i componenti della Commissione, anche solo in relazione ad esigenze contingenti e senza necessità alcuna di far constare a verbale le esigenze medesime. (cfr. ex multis IV Sez. n. 4722 del 2008 e n. 805 del 2010)
Con la terza censura si deduceva che illegittimamente la commissione ha approvato i criteri di valutazione delle prove orali in composizione non plenaria.
Questo mezzo non è fondato in quanto la Sezione ha già chiarito (peraltro con riferimento ai ben più complessi criteri di valutazione delle prove scritte) che non è motivo di illegittimità degli impugnati provvedimenti il fatto che la Commissione esaminatrice abbia fissato criteri e modalità di valutazione delle prove scritte del concorso notarile in questione non alla presenza di tutti i suoi componenti effettivi e supplenti. (cfr. IV Sez. n. 8656 del 2010).
In tal senso la Sezione, nel citato precedente, ha chiarito che ” Se pure è vero, infatti, che le deliberazioni della commissione devono essere prese con l’intervento di tutti i commissari” (art. 27, comma 1, del R.D. 14 novembre 1926, n. 1953), nessuna particolare disposizione prevede che i criteri stessi siano approvati dal plenum della Commissione composto dei suoi membri effettivi e supplenti, sì che gli stessi devono ritenersi del tutto conformemente al veduto dettato normativo adottati dalla Commissione nella sua composizione-tipo di 5 membri (ordinari o supplenti ch’essi siano, secondo la regola di piena fungibilità anzidetta), alla quale soltanto deve ritenersi che il citato art. 27 faccia riferimento.
Né può opinarsi che la sua concreta composizione nell’esercizio della legittima attività deliberativa (in quanto effettuata da un organo, come s’è detto, comunque regolarmente costituito ed operante nella composizione prevista dal legislatore) in ordine alla fissazione dei criteri di cui si tratta rischi comunque di “influire sulla valutazione degli elaborati”, come paventato dall’appellante, non essendo tutti i componenti della Commissione concordi sui criteri di correzione, dal momento che la continuità, risultante dai verbali versati in atti, delle operazioni di individuazione dei criteri con quelle di correzione degli elaborati consente di ritenere accertato che tutti i componenti effettivi e supplenti della Commissione siano stati resi edotti delle relative determinazioni e che essi (non risultando dai verbali alcun dissenso in ordine ai criteri prescelti) li abbiano dunque conosciuti, condivisi ed applicati” (sentenza citata).
Con il quarto motivo la ricorrente lamenta l’illegittima composizione dell’organo, in quanto dello stesso faceva parte il prof. -OMISSIS- già componente di commissione nel precedente concorso e dunque incompatibile ex art. 5 comma 3 D. l.vo n. 166 del 2006 secondo cui i commissari che hanno partecipato, anche in parte, alla procedura concorsuale, non possono essere nominati nella commissione dei due concorsi successivi.
Replica l’amministrazione che il suddetto docente, già nominato componente di commissione nel precedente concorso, rassegnò le sue dimissioni ex ante senza prendere alcuna parte nei lavori di quell’organo.
La censura deve però essere respinta senza necessità di approfondimenti istruttori in quanto, come risulta dagli atti, il prof. -OMISSIS- non partecipò alla seduta di interrogazione orale della ricorrente, la quale dunque non ha interesse processuale a dolersi sul punto.
Con l’ultima censura la ricorrente osserva che il modello di auto dichiarazione predisposto dal Consiglio Nazionale del Notariato al fine di formare l’elenco dei notai disponibili a far parte della Commissione d’esame, prevede il possesso di una serie di requisiti, tra i quali (punto f) non aver esercitato attività di insegnamento in scuole di preparazione al concorso negli ultimi 5 anni.
In proposito, uno dei membri della commissione in sede di autodichiarazione aveva rappresentato quanto segue: “In relazione al punto f) preciso di aver ricoperto il ruolo di responsabile del -OMISSIS-e di essere stata correlatore in alcuni eventi formativi/lezioni organizzate dalla detta Scuola, l’ultimo dei quali tenutosi l’11 aprile 2013”.
Di qui, secondo la ricorrente, l’illegittimità della nomina del predetto notaio.
Il mezzo non è fondato, con assorbimento di ogni ulteriore considerazione.
In limine si osserva che la causa di incompatibilità ora in rassegna, ancorchè rispondente a del tutto condivisibili criteri di imparzialità e trasparenza e all’esigenza di prevenire ogni ipotesi di intrecci di interessi fra candidati e commissari/docenti, non è in realtà prevista all’art. 5 del D. L.vo 166/2006 né ovviamente nella normativa anteriore.
Ne consegue che la stessa è verosimilmente stata introdotta da determinazioni amministrative o regolamentari del Consiglio Nazionale del Notariato che la ricorrente però non individua e che non risultano rintracciabili nelle banche dati di pubblica consultazione: cosicché qui è difficile comprendere, a fronte di tale purtroppo generica deduzione di parte, se la causa abbia portata ex se escludente oppure costituisca per il Consiglio proponente un auto vincolo in chiave valutativa per la successiva designazione e soprattutto in che misura la stessa vincoli il Ministero, autorità competente alla successiva formale nomina.
In tal senso sembra significativo il rilievo che come risulta dal fascicolo di primo grado, pur avendo il C.N.N. espressamente richiamato l’attenzione ministeriale sul contenuto di quella specifica dichiarazione, il Ministero abbia dato corso alla nomina, non ravvisando evidentemente profili di incompatibilità .
Come sia di ciò, la questione non merita approfondimenti istruttori, atteso che le funzioni dichiarate da quel notaio per il quinquennio di riferimento (di correlatore in eventi formativi e/o lezioni della scuola regionale del notariato del Consiglio stesso) non integrano in alcun modo a giudizio del Collegio l’ipotesi escludente, che è quella – dettata ripetesi da commendevoli fini di imparzialità e trasparenza – dell’insegnamento in senso proprio e ragionevolmente continuativo nelle tante scuole di preparazione al prestigioso concorso.
A maggior ragione del tutto irrilevante ai fini di causa è l’espletamento (fra l’altro in periodo imprecisato) della funzione di un responsabile di un settore della Scuola, che è del resto organismo istituzionale riconosciuto e patrocinato dal Consiglio stesso.
Sulla scorta delle considerazioni che precedono l’appello dell’Amministrazione va quindi accolto, con rigetto del ricorso introduttivo, mentre i motivi aggiunti di primo grado sono in parte respinti in parte dichiarati inammissibili.
La peculiarità del procedimento amministrativo e i diversi orientamenti assunti nel corso del giudizio dalla Sezione consigliano l’integrale compensazione delle spese del giudizio tra le parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto respinge in toto il ricorso introduttivo, respinge in parte i motivi aggiunti e in parte li dichiara inammissibili.
Spese del giudizio interamente compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità dell’appellata.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 7 maggio 2020 con l’intervento dei magistrati, riuniti in video conferenza:
Antonino Anastasi – Presidente, Estensore
Daniela Di Carlo – Consigliere
Francesco Gambato Spisani – Consigliere
Alessandro Verrico – Consigliere
Silvia Martino – Consigliere
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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