In materia di compensazione delle quote latte

Consiglio di Stato, Sezione seconda, Sentenza 4 febbraio 2020, n. 918.

La massima estrapolata:

In materia di compensazione delle quote latte la determinazione del Q.R.I. sulla base di un dato “storico” crea una sorta di presunzione di conoscenza che soddisfa pienamente le esigenze imprenditoriali delle aziende, quand’anche la comunicazione dello stesso sopraggiunga tardivamente.

Sentenza 4 febbraio 2020, n. 918

Data udienza 19 novembre 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6685 del 2012, proposto dall’Associazione “Co. Sp. Pr. La.” (CO.), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati An. Ba. e Gi. Co., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Gi. Co. in Roma, via (…);
contro
l’AIMA -Azienda di Stato per gli interventi nel mercato agricolo, ora AGEA -Agenzia per le erogazioni in agricoltura, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via (…);
per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Seconda n. 4790/2012, resa tra le parti, concernente la compensazione nazionale delle quote latte per le annate lattiere 1997/1998 e 1998/1999;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Agea-Agenzia per le erogazioni in agricoltura;
Viste le memorie;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 19 novembre 2019 il Cons. Antonella Manzione e uditi per le parti l’avvocato Gi. Co. e gli avvocati dello Stato Lo. Vi. e Pa. Ge.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. Con il ricorso in appello, indicato in epigrafe, l’Associazione Co. Sp. Pr. La. (d’ora in avanti per comodità CO.), che raggruppa aziende agricole specializzate nella produzione del latte vaccino, in quanto tali soggette al prelievo supplementare, premesso il quadro ordinamentale di riferimento, censura la sentenza di primo grado con cui è stato dichiarato inammissibile per difetto di legittimazione attiva il ricorso introduttivo avverso le comunicazioni dell’AIMA aventi ad oggetto i risultati delle compensazioni nazionali e la conseguente determinazione del prelievo supplementare per le annate lattiere 1997/98 e 1998/99.
In particolare, l’appellante deduce violazione di legge per mancanza del contraddittorio, avendo il giudice di prime cure erroneamente qualificato l’Associazione come “primo acquirente”, in quanto tale non legittimato ad impugnare le richieste di prelievo supplementare rivolte ai produttori. La CO., infatti, aggrega produttori, non acquirenti, occupandosi istituzionalmente della “tutela e valorizzazione della produzione e della commercializzazione del latte” (art. 4 dell’atto costitutivo). In conseguenza di tale rilievo preliminare, ha riproposto gli originari motivi di doglianza, in quanto non esaminati dal giudice di prime cure, chiedendo il rinvio allo stesso della decisione ai sensi dell’art. 105 c.p.a. Nello specifico si duole:
a) della incompatibilità comunitaria dell’art. 1 del d.l. 1° marzo 1999, n. 43, convertito dalla l. 27 aprile 1999, n. 118, stante che l’assegnazione del quantitativo individuale (Q.R.I.), posto a base del calcolo delle eccedenze, è stato comunicato soltanto il 21 gennaio 2000, ovvero otto mesi dopo il termine normativamente previsto, oltre che a distanza di anni dalla chiusura delle annate lattiere di riferimento;
b) dell’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 8, del medesimo d.l. n. 43/1999, in relazione all’art. 3 della Costituzione, stante il regime di favore a vantaggio di talune categorie di produttori, già agevolati dalla pregressa riduzione della cd. “quota B” (ai sensi dell’art. 2, comma 1, lett. b) della l. 24 febbraio 1995, n. 46), riveniente dal meccanismo di compensazione nazionale ivi previsto. Ciò si porrebbe anche in contrasto con la normativa comunitaria che non consente di privilegiare alcune categorie di produttori (art. 2, comma 4, del Reg. CE n. 3950/1992 e 3, comma 3, del Reg. CE n. 536/1993);
c) della violazione e falsa applicazione dell’art. 4, comma 2, del d.l. 1° dicembre 1997, n. 411, convertito in l. 27 gennaio 1998, n. 5, per avere l’AIMA utilizzato anche i modelli cd. “L1” irricevibili, ovvero carenti dei requisiti richiesti nelle dichiarazioni di produzione degli acquirenti, così da generare un dato inattendibile, facendo lievitare fittiziamente la produzione lattiera nazionale;
d) della violazione dell’art. 1, commi 5 e 7, del d.l. 1° marzo 1999, n. 43, convertito in l. 27 aprile 1999, n. 118 e 3 del D.M. 21 maggio 1999, n. 159, nonché dell’art. 2, comma 2, del Reg. CEE 9 marzo 1993, n. 536 e 8, commi 9 e 10 del d.P.R. 23 dicembre 1993, n. 569 e di eccesso di potere per difetto di istruttoria. Non sarebbe stata rispettata la procedura di verifica dei dati mediante coinvolgimento delle Regioni e delle Province autonome nella segnalazione delle anomalie riscontrate. Di ciò sarebbe prova documentale nella relazione depositata dall’AIMA in Parlamento, attestante proprio la mancata verifica da parte di tali Enti territoriali del 50,2 % delle anomalie e del 20,9 % delle istanze di riesame presentate dai produttori. Infine la “relazione di approfondimento sui dati utilizzati per il calcolo del prelievo supplementare”, pubblicata dal Comando Carabinieri Politiche agricole e alimentari il 15 aprile 2010, egualmente conferma che a partire dalla campagna 1995/1996 e fino alla campagna 2008/2009 l’incidenza percentuale tra quantitativo consegnato e quantitativo rettificato ha determinato un aumento del prelievo dovuto alla Comunità europea pari, per quanto qui di interesse, di più del 15,29 % per il 1997/1998 e di più dello 0,77 % per il 1998/1999.
4. Si è costituita in giudizio l’AGEA, subentrata per competenza all’AIMA, con atto meramente di stile. Con successiva memoria depositata in data 7 ottobre 2019, ha argomentato circa la legittimità del procedimento seguito, nonché, a monte, circa la mancata prova da parte del CO. nel corso del giudizio di primo grado della propria legittimazione attiva, conseguentemente del tutto correttamente disconosciuta dal T.A.R.
L’Associazione appellante, a sua volta, in vista dell’odierna udienza ha versato in atti documentazione inerente il lamentato difetto di istruttoria sui dati di calcolo originari, ovvero i provvedimenti resi dal G.I.P. del Tribunale di Roma, nel corso di specifico procedimento penale, nel novembre 2013, nel maggio 2017 e nel giugno 2019, nonché il decreto ministeriale del 13 giugno 2019, di istituzione di apposita “Commissione ministeriale di verifica sulla questione “quote latte”” che tenga conto delle sopravvenienze più recenti, ivi comprese quelle penali, con ciò prendendo definitivamente atto dell’inadeguatezza del sistema per come in concreto gestito dall’Amministrazione. Infine, con memoria depositata in data 17 ottobre 2019, ha in particolare richiamato gli arresti giurisprudenziali comunitari nel frattempo sopravvenuti, ovvero la sentenza della Corte di Giustizia U.E. del 27 giugno 2019, nella causa C-348/18, con la quale, in risposta alla questione sollevata dal Consiglio di Stato, è stato definitivamente affermato che l’articolo 2, paragrafo 1, secondo comma, del regolamento (CEE) n. 3950/92 “deve essere interpretato nel senso che, qualora uno Stato membro decida di procedere alla riassegnazione dei quantitativi di riferimento inutilizzati, tale riassegnazione deve essere effettuata, tra i produttori che hanno superato i propri quantitativi di riferimento, in modo proporzionale ai quantitativi di riferimento a disposizione di ciascun produttore”.
5. All’udienza pubblica del 19 novembre 2019, sentite le parti, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. Preventivamente è opportuno rilevare che non sussistono i presupposti per disporre l’annullamento con rinvio della causa al T.A.R. ex art. 105 c.p.a. Vanno richiamati al riguardo i consolidati principi elaborati dalla giurisprudenza dell’adunanza plenaria che si è pronunciata più volte, nell’arco del 2018, sui limiti applicativi della norma invocata (cfr. sentenza 30 luglio 2018, n. 10; sentenza 30 luglio 2018, n. 11; sentenza 5 settembre 2018, n. 14; sentenza 28 settembre 2018, n. 15). In tali occasioni, si è osservato in primo luogo che le ipotesi di annullamento con rinvio al giudice di primo grado previste dall’art. 105 c.p.a. hanno carattere eccezionale e tassativo e non sono, pertanto, suscettibili di interpretazioni analogiche o estensive.
2. La ritenuta carenza di legittimazione attiva riveniente dalla qualifica di “primi acquirenti” attribuita agli aderenti alla Associazione consegue ad un evidente errore di inquadramento della stessa: come dimostrato per tabulas attraverso la produzione dell’atto costitutivo, l’Associazione costituisce invece un Ente consociativo di produttori agricoli, finalizzato a garantire una gestione omogenea dei relativi procedimenti e nel contempo rafforzarne la tutela e la rappresentatività . Ciò, d’altro canto, risulta perfino “incoraggiato” dal legislatore del settore che con l’art. 3 della l. 26 novembre 1992, n. 468, ha appunto previsto la possibilità che siano le associazioni di produttori di cui all’articolo 12, lettera c), del regolamento CEE n. 857/84 del Consiglio del 31 marzo 1984, e successive modificazioni, integrazioni e codificazioni, a presentare all’AIMA, entro il 31 dicembre dell’anno antecedente l’inizio del periodo interessato, domanda per la gestione unitaria delle quote spettanti ai produttori loro associati. L’avvenuta legittimazione in tal senso da parte del CO. è incontestata tra le parti, oltre che documentata dai numerosi contenziosi ad ana contenuto di cui lo stesso si è fatto pacificamente promotore (cfr. ex multis T.A.R. per il Lazio, sez. II ter, 30 ottobre 2013, n. 9294; Cons. Stato, sez. III, 2 maggio 2019, n. 2839). La statuizione in rito odiernamente censurata, in disparte ogni altro rilievo sollevato, va quindi senz’altro rimossa ed il ricorso di primo grado va esaminato nel merito delle deduzioni in esso sollevate e riproposte in questa sede, non ricorrendo alcuna delle ipotesi scolpite sub art. 105 c.p.a. di annullamento con rinvio della causa al primo giudice.
3. Quand’anche peraltro, rileva ancora la Sezione, l’Associazione avesse agito in rappresentanza di “primi acquirenti”, la valorizzazione del ruolo degli stessi riveniente dalle fonti comunitarie (il Regolamento (CE) n. 3950/1992 già comportava, infatti, che il’primo acquirentè potesse trattenere l’importo dovuto dai produttori sul prezzo del latte, ovvero, in mancanza della ritenuta, riscuotere il medesimo importo “con ogni mezzo appropriato”), pur tenendo ben distinta la responsabilità per le somme dovute a carico dei produttori, non implica affatto la affermata estraneità degli stessi al meccanismo delle quote latte, impattando se mai su altri aspetti di specifico interesse, quali quelli inerenti la relativa qualificazione soggettiva.
4. La fitta rete di ulteriori motivi di appello, intersecantisi l’uno nell’altro, è caratterizzata dal denominatore comune del non rivolgersi specificamente sugli atti impugnati, bensì più propriamente sul meccanismo nella sua globalità, criticando promiscuamente sia la fase, a monte, di assegnazione del quantitativo individuale (QRI), sia quella, a valle, di calcolo del prelievo supplementare. Ciò in quanto le presunte illegittimità delle modalità di individuazione del Q.R.I. si ripercuoterebbero inevitabilmente su tutte le fasi successive della procedura, invalidandola.
5.L’Associazione lamenta in particolare la retroattività nella determinazione del Q.R.I., ampiamente scrutinata dalla giurisprudenza amministrativa: ciò che si contesta, in questo come in molteplici altri analoghi casi, talvolta attraverso l’impugnativa della determinazione del Q.R.I., talaltra, come nel caso di specie, attraverso la contestazione del prelievo supplementare, non è soltanto l’avvenuta individuazione ex post del quantitativo massimo di latte assegnato in relazione alle annate lattiere di riferimento; bensì il procedimento attraverso il quale si è addivenuti a tale quantificazione, ovvero la ‘storicizzazionè del dato di partenza, questo sì basato, in forza di un intreccio di determinazioni e rettifiche, sulla retroazione del dato rispetto ad annate lattiere pregresse.
6.Le indicazioni contenute nel ricorso, infatti, non fanno mai riferimento ad un presunto errore di calcolo commesso dall’amministrazione in relazione al prelievo nei confronti delle aziende agricole associate al CO.S.P.LAT:, che ragionevolmente avrebbe potuto indirizzare il giudice a svolgere ulteriori accertamenti di carattere istruttorio secondo il metodo dispositivo acquisitivo. Le censure si soffermano invece sui criteri di ordine generale utilizzati e sulla inattendibilità complessiva del sistema delle quote latte in violazione del principio di affidamento.
7.Al riguardo, il Collegio ritiene opportuno richiamare l’orientamento del Consiglio di Stato in forza del quale proprio la determinazione del Q.R.I. sulla base di un dato “storico” crea una sorta di presunzione di conoscenza che soddisfa pienamente le esigenze imprenditoriali delle aziende, quand’anche la comunicazione dello stesso sopraggiunga tardivamente (cfr. Cons. Stato, sez. III, 15 ottobre 2014 n. 5141, nonché id., 15 ottobre 2014, n. 5149, ove si legge che “tutti e ciascun produttore, al di là d’ogni eventuale sprovvedutezza del singolo, non possono opporre gli errori di AIMA o varie incertezze alla determinazione dei QRI, avendo contezza perlomeno della produzione storica fissata nella l. 468/1992 ed ai sensi dell’art. 4 del regol. n. 3950/92/CEE”).
8.La previsione della sottoscrizione di un modello (il cosiddetto modello ‘L1′), pure contestata, da parte del produttore, contenente indicazioni espresse sul quantitativo di latte prodotto nonché sull’eventuale prelievo dovuto, se vi è superamento della quota assegnata, realizza il massimo coinvolgimento possibile sia in termini di verifica partecipativa, sia in termini di possibilità di confutazione degli eventuali dati riscontrati come erronei (cfr. sul punto Cons. Stato, sez. VI, 19 marzo 2009, n. 1629).
9. Epurata, dunque, la vicenda, dagli asseriti profili di illegittimità rivenienti dal procedimento di determinazione a monte dei quantitativi individuali, occorre circoscrivere lo scrutinio ai soli aspetti mirati alla fase finale della determinazione del prelievo supplementare.
10.Tale fase, tuttavia, rileva la Sezione, in quanto conseguente all’effettuazione della compensazione nazionale, impatta inevitabilmente con i principi affermati dalla Corte di Giustizia U.E. nella pronuncia da ultimo richiamata anche dall’Associazione appellante (sez. VII, 27 giugno 2019) in esito a quesito formulato da questo Consiglio di Stato (ordinanza n. 3074 del 2018). Il meccanismo di compensazione basato su categorie prioritarie, infatti, di cui all’art. 1, comma 8, del d.l. n. 43 del 1° marzo 1999, convertito, con modificazioni, dalla l. 118/1999, si pone in palese contrasto con l’art. 2 del Reg. 3950/1992, applicabile ratione temporis, trattandosi di una compensazione “diversa”, fondata su criteri “difformi” rispetto al disposto del regolamento comunitario. Da qui la pregiudizialità della disamina di tale questione, che rende del tutto superfluo scrutinare gli ulteriori specifici addebiti mossi al meccanismo compensativo concretamente seguito.
11.La Corte ha affermato (ai paragrafi 35-37) quanto di seguito testualmente si riporta:”[…] risulta dall’articolo 2, paragrafo 1, secondo comma, del regolamento n. 3950/92, nonché dall’articolo 3, paragrafo 3, del regolamento n. 536/93 che lo Stato membro dispone della facoltà di procedere alla riassegnazione dei quantitativi di riferimento inutilizzati alla fine del periodo, o a livello nazionale, direttamente ai produttori interessati, o a livello degli acquirenti affinché detti quantitativi vengano ripartiti tra i produttori in questione. Tuttavia, contrariamente a quanto sostenuto dal governo italiano, l’articolo 2, paragrafo 1, secondo comma, del regolamento n. 3950/92, pur concedendo agli Stati membri la facoltà di riassegnare i quantitativi di riferimento inutilizzati alla fine del periodo, non li autorizza a decidere in base a quali criteri tale riassegnazione debba essere effettuata. Infatti, risulta dalla formulazione stessa della disposizione suddetta che, qualora uno Stato membro decida di procedere alla riassegnazione dei quantitativi di riferimento inutilizzati, tali quantitativi vengono ripartiti in modo “proporzionale ai quantitativi di riferimento a disposizione di ciascun produttore””. E’ stata in tal modo smentita la tesi prospettata dallo Stato italiano circa l’indifferenza dell’utilizzazione di altri criteri rispetto ai principi europei di proporzionalità, di certezza del diritto e di tutela del legittimo affidamento, sottolineando (ai paragrafi da 38 a 46 della sentenza) quanto segue: “L’argomento del governo italiano, secondo cui la disposizione summenzionata non stabiliva nulla circa i criteri della riassegnazione stessa e menzionava il criterio proporzionale soltanto ai fini di regolare i calcoli che l’acquirente avrebbe dovuto operare qualora fosse spettato a lui applicare il prelievo a carico dei produttori, è espressamente contraddetto dalla giurisprudenza della Corte. Infatti, la Corte ha già statuito che risulta chiaramente da tutte le versioni linguistiche dell’articolo 2, paragrafo 1, secondo comma, del regolamento n. 3950/92 che è senz’altro la ripartizione dei quantitativi di riferimento inutilizzati, vale a dire la riassegnazione di tali quantitativi, a dover essere effettuata in modo “proporzionale ai quantitativi di riferimento a disposizione di ciascun produttore” e che il contributo dei produttori al pagamento del prelievo dovuto è, quanto ad esso, stabilito in base al superamento del quantitativo di riferimento di cui dispone ciascun produttore (sentenza del 5 maggio 2011, Kurt und Thomas Etling e a., C-230/09 e C-231/09, EU:C:2011:271, punto 64)”. L’articolo 2, paragrafo 1, secondo comma, del regolamento n. 3950/92 stabilisce dunque un criterio in base al quale deve essere effettuata la riassegnazione dei quantitativi di riferimento inutilizzati. Così, dato che tale disposizione non menziona nessun altro criterio, né rinvia alla competenza degli Stati membri per stabilire criteri che siano loro propri, il suddetto criterio di ripartizione proporzionale deve essere considerato come il solo in base al quale deve essere effettuata la riassegnazione dei quantitativi di riferimento inutilizzati. Tale interpretazione è confermata dal contesto nel quale la norma si inserisce. La diversa previsione contenuta nel medesimo articolo 2, ma al paragrafo 4, del regolamento summenzionato, come pure d’altronde dal sesto considerando del regolamento n. 536/93, si riferisce infatti al ben diverso caso in cui uno Stato membro abbia giudicato opportuno non operare nel proprio territorio la riassegnazione totale di quantitativi di riferimento inutilizzati, destinando l’eccedenza riscossa al finanziamento delle misure di cui all’articolo 8, primo trattino, del regolamento n. 3950/92, e/o rimborsarla ai produttori, essendo possibile in questo caso individuarli sulla base di categorie prioritarie, individuate dagli Stati membri in base ad uno o più criteri obiettivi, previsti dall’articolo 5 del regolamento n. 536/93, elencati in ordine di priorità . La facoltà di riassegnare la totalità o una parte dei quantitativi di riferimento inutilizzati, prevista dall’articolo 2, paragrafo 1, secondo comma, del regolamento n. 3950/92, e la facoltà, di cui uno Stato membro può avvalersi qualora non proceda a tale riassegnazione totale dei quantitativi inutilizzati, di rimborsare ai produttori l’eccedenza del prelievo riscossa, in conformità dell’articolo 2, paragrafo 4, del regolamento n. 3950/92, obbediscono dunque a logiche differenti. Infatti, la disciplina contenuta nel paragrafo 1 dell’art. 2 del regolamento n. 3950/92 mira a diminuire proporzionalmente il superamento dei quantitativi di riferimento dei produttori, al fine di ridurre anche il contributo di questi ultimi al prelievo dovuto; il successivo paragrafo 4, invece, si propone di determinare la destinazione del prelievo riscosso in eccesso, prevedendo che il relativo rimborso, ove deciso da uno Stato membro, venga effettuato a beneficio dei produttori che rientrano in categorie prioritarie, stabilite secondo i criteri obiettivi previsti dalla Commissione. “A motivo della diversità delle logiche sottese ai meccanismi previsti, rispettivamente, dall’articolo 2, paragrafo 1, secondo comma, e dall’articolo 2, paragrafo 4, del regolamento n. 3950/92, la rilevanza, ai fini dell’applicazione della prima di queste disposizioni, dei criteri stabiliti dalla seconda di esse non può essere presunta e potrebbe discendere soltanto da un esplicito riferimento in tal senso nel regolamento. Orbene, né il regolamento n. 3950/92 né il regolamento n. 536/93 prevedono l’applicazione di detti criteri nell’ambito dell’attuazione dell’articolo 2, paragrafo 1, secondo comma, del regolamento n. 3950/92” (cfr. Cons. Stato, sez. VI, n. 8504 del 16 dicembre 2019).
12. Dalle statuizioni della Corte di Giustizia discende dunque che il meccanismo di “compensazione-riassegnazione” applicato dall’Amministrazione italiana è stato alterato dall’utilizzazione di un criterio normativo nazionale non conforme al dettato europeo. Nel quadro dell’organizzazione comune dei mercati nel settore del latte e dei prodotti lattiero-caseari, il regolamento (CEE) n. 3950/92 del Consiglio europeo (il quale ha prorogato di sette annualità il regime di prelievo supplementare già previsto dal regolamento (CEE) n. 856/84 del Consiglio, del 31 marzo 1984, teso a ridurre sia lo squilibrio tra offerta e domanda di latte e prodotti lattiero-caseari, sia le conseguenti eccedenze strutturali) ha stabilito che ciascuno Stato membro disponga di un quantitativo totale garantito di produzione lattiera (quota nazionale) che non può essere superato dalla somma dei quantitativi di riferimento individuali (quote individuali) concessi ai produttori di latte nazionali. Se la quota nazionale viene superata, la conseguenza per lo Stato membro è che i produttori che hanno contribuito al superamento devono versare un prelievo supplementare. Nel corso del periodo contingentale, lo Stato membro ha la possibilità di “compensare” i superamenti delle quote individuali restituendo i quantitativi di riferimento individuali (QRI) inutilizzati dei produttori che non hanno esaurito le proprie quote per ridurre la produzione eccedentaria di altri produttori (articolo 2, paragrafo 1, del regolamento (CEE) n. 3950/92). Il settimo considerando del citato regolamento spiega che “allo scopo di mantenere una certa duttilità nella gestione del regime, occorre prevedere la perequazione dei superamenti su tutti i quantitativi di riferimento individuali dello stesso tipo all’interno del territorio dello Stato membro; e che “per quanto riguarda le consegne, che costituiscono la quasi totalità dei quantitativi commercializzati, la necessità di garantire la piena efficacia del prelievo in tutta la Comunità giustifica, in linea di principio, il mantenimento della possibilità per gli Stati membri di scegliere tra due modalità di perequazione dei superamenti dei quantitativi di riferimento individuali, tenuto conto della diversità delle strutture di produzione e di raccolta lattiere; che, a tale proposito, occorre autorizzare gli Stati membri a non riassegnare i quantitativi di riferimento inutilizzati alla fine del periodo, a livello nazionale o tra gli acquirenti, e a destinare l’importo riscosso che supera il prelievo dovuto al finanziamento di programmi nazionali di ristrutturazione e/o a restituirlo ai produttori facenti parte di talune categorie o che si trovano in una situazione eccezionale”. L’art. 2 del testo normativo ha coerentemente previsto che “1. Il prelievo si applica a tutti i quantitativi di latte o di equivalente latte, commercializzati nel periodo di dodici mesi in questione, che superano l’uno o l’altro dei quantitativi di cui all’articolo 3. Esso è ripartito tra i produttori che hanno contribuito al superamento. A seconda della decisione dello Stato membro, il contributo dei produttori al pagamento del prelievo dovuto è stabilito, previa riassegnazione o meno dei quantitativi di riferimento inutilizzati, a livello dell’acquirente in base al superamento sussistente dopo la ripartizione, proporzionale ai quantitativi di riferimento a disposizione di ciascun produttore, dei quantitativi di riferimento inutilizzati oppure a livello nazionale in base al superamento del quantitativo di riferimento a disposizione di ciascun produttore […] 4. Qualora il prelievo sia dovuto e l’importo riscosso sia superiore, lo Stato membro può destinare l’eccedenza riscossa al finanziamento delle misure di cui all’articolo 8, primo trattino, e/o rimborsarlo ai produttori che rientrano in categorie prioritarie stabilite dallo Stato membro in base a criteri obiettivi da determinarsi o confrontati ad una situazione eccezionale risultante da una disposizione nazionale non avente alcun nesso con il presente regime”. Dalla lettura dell’art. 2 paragrafo 1, secondo capoverso del regolamento (CEE) n. 3950/92 – invero non agevole forse anche a causa delle sua non felice traduzione nella lingua italiana – operata con il conforto esegetico fornito dal settimo considerando, si evince che la perequazione dei superamenti dei quantitativi di riferimento individuali, ossia la “compensazione”, a livello nazionale, tra gli sforamenti e le sotto produzioni rispetto alle quote individuali assegnate è fase procedimentale autonoma, anche se facoltativa per gli Stati. Essa dovrebbe svolgersi ordinariamente a monte della quantificazione e riscossione del prelievo supplementare per lo “sforamento”, e servire per quantificare il livello di sforamento nonché, conseguentemente, il quantum dell’importo dovuto a titolo di prelievo dai singoli produttori. Emerge altresì, rileva ancora la Sezione, che gli Stati membri sono autorizzati ad una modalità alternativa di perequazione che dovrebbe operare a valle della quantificazione e riscossione del prelievo supplementare operato sui singoli produttori che hanno sforato, prevedendo ? ove la riscossione a livello nazionale sia eccedente rispetto alla quota di riferimento (non individuale, ma) nazionale, ossia sussistano le stesse ragioni a base delle esigenze di perequazione già viste – che l’eccedenza riscossa possa essere rimborsata ai produttori che rientrano in “categorie prioritarie” stabilite dallo Stato membro. Siffatta articolazione logica delle due distinte modalità perequative risultava in effetti già chiarita dalla pronuncia della Corte giustizia Unione Europea Sez. I, 5 maggio 2011, n. 230/09, secondo la quale “Va poi osservato che l’operazione di riassegnazione della parte inutilizzata del quantitativo di riferimento nazionale destinato alle consegne e quella di determinazione del contributo dei produttori al pagamento del prelievo dovuto costituiscono due operazioni distinte, seppure collegate, poiché la prima è un’operazione facoltativa preliminare alla seconda e incide sul risultato della medesima” (per una dettagliata analisi delle varie versioni del meccanismo previste dai diversi Stati membri, compreso quello italiano, scaturenti dalla diversa traduzione nella lingua nazionale del disposto di cui all’art. 10 comma 3 del regolamento (CE) 29/09/2003, n. 1788/2003, sostanzialmente riproduttivo dell’art. 2 del regolamento (CEE) n. 3950/92, v. Cons. Stato, n. 8504/2019).
13.L’art. 1, comma 8, del d.l. 1° marzo 1999, n. 43, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 aprile 1999, n. 118, laddove individua, per l’effettuazione della compensazione nazionale, una gerarchia di beneficiari fa emergere la chiara scelta, da parte del legislatore italiano, fra le due forme di perequazione astrattamente consentite dall’art. 2 del regolamento n. 3950/92, di quella della perequazione (ridefinita nell’ordinamento nazionale quale “compensazione”) dei quantitativi di riferimento inutilizzati. La norma è stata cioè applicata dall’amministrazione nel senso che le operazioni di compensazione tra quote eccedentarie e quote non interamente sfruttate, nonché le conseguenti riassegnazioni ai produttori eccedentari dei quantitativi di riferimento individuali inutilizzati, sono state fatte per categorie secondo l’ordine indicato, e non già “proporzionalmente ai quantitativi di riferimento a disposizione di ciascun produttore”. Il che non è consentito dalla normativa comunitaria vigente ratione temporis.
14. La fondatezza della predetta censura determina l’accoglimento dell’appello, senza che sia necessario procedere all’esame di quelle ulteriori, poiché l’annullamento dei provvedimenti impugnati in prime cure ? derivante dalla disapplicazione della disposizione interna posta a fondamento dei calcoli sottostanti all’operazione di compensazione-riassegnazione ? implica la necessità dell’Amministrazione di procedere ad una complessiva attività di rideterminazione.
15. Le difficoltà interpretative della disciplina di settore e le oscillazioni giurisprudenziali giustificano la compensazione integrale delle spese del doppio grado di giudizio.compensazione nazionale

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull’appello n. r. 6685/2012, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi e limiti di cui in motivazione, e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, annulla i provvedimenti impugnati in primo grado.
Compensa integralmente tra le parti le spese di lite del doppio grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 novembre 2019 con l’intervento dei magistrati:
Gianpiero Paolo Cirillo – Presidente
Fulvio Rocco – Consigliere
Italo Volpe – Consigliere
Antonella Manzione – Consigliere, Estensore
Giovanni Orsini – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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