Esclusione della condominialità del bene

Corte di Cassazione, sezione civile, ORDINANZA 18 febbraio 2020, n.4041.

La massima estrapolata:

L’esclusione della condominialità del bene – e dunque l’inapplicabilità dell’art. 1119 c.c. – non ne comporta in automatico la divisibilità. Se infatti il bene è oggetto di comunione, ai sensi degli artt. 1111 e 1112 c.c., la divisione è possibile solo se non ne pregiudica la destinazione d’uso.

ORDINANZA 18 febbraio 2020, n.4041

Presidente Manna 

Relatore Casadonte

Rilevato in fatto

che:
– il presente giudizio trae origine dal ricorso notificato il 18 febbraio 2015, con cui D.M.S. chiedeva la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Napoli, meglio indicata in epigrafe, che aveva rigettato la sua domanda di divisione di un cortile interno ad uno stabile sito in (omissis) ;
– afferma il D.M. di essere, insieme ai coniugi P. e D.R. (odierni controricorrenti) unico comproprietario del soprammenzionato cortile interno dello stabile, mentre gli altri condomini vanterebbero solamente una servitù di passaggio sullo stesso;
– in primo grado il D.M. aveva convenuto in giudizio P.A. e D.R. Carola, innanzi al Tribunale di Santa Maria C.V., chiedendo che si disponesse, con ordinanza ex art. 785 c.p.c., lo scioglimento della comunione sul cortile e l’assegnazione del bene in suo favore, ove questo risultasse non comodamente divisibile, ai sensi dell’art. 720 c.c., con la determinazione dei dovuti conguagli in denaro;
– i convenuti si costituirono, contestando la divisione e deducendo l’indivisibilità del cortile, poiché esso era da considerarsi privo di autonoma funzione, essendo utilizzato per vari tipi di attività, dai diversi condomini, attività che lo rendevano incompatibile alla destinazione d’uso esclusivo di uno dei comproprietari;
– con sentenza n. 2036 del 14/11/2006 il Tribunale di Santa Maria C.V. ha rigettato la domanda formulata dal D.M. , condannandolo alle spese di giudizio;
– il tribunale ritenne che si dovesse applicare non l’art. 720 c.c., ma l’art. 1119 c.c., che dispone che la divisibilità delle parti comuni del condominio è ammessa solo ove ciò non renda più incomodo a ciascun condomino l’uso della proprietà singola, servita dalla parte comune e vi sia l’assenso di tutti i condomini alla divisione;
– avverso detta sentenza il D.M. propose impugnazione innanzi alla Corte d’appello di Napoli;
– si costituirono gli appellati, chiedendo il rigetto della domanda e la conferma della sentenza di primo grado e, in subordine, in caso di ammissibilità della divisione, l’attribuzione del bene in loro esclusiva proprietà, con determinazione del conguaglio in denaro dovuto all’appellante;
– la corte napoletana con sentenza n. 3517 del 2014, ha rigettato il gravame, confermando la sentenza di primo grado;
– avverso detta pronuncia D.M. propone ricorso per Cassazione, articolandolo in tre motivi, illustrati da memoria;
– i coniugi P. – D.R. hanno resistito con controricorso.

Considerato in diritto

che:
– con il primo motivo il ricorrente denuncia due profili: con il primo,la violazione e falsa applicazione degli artt. 1117, 1118, 1119 e 1103 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, avendo la corte di merito ritenuto la presunzione di condominialità, con applicazione delle diverse norme degli artt. 1117 e 1119, in materia di condominio; con il secondo profilo denuncia l’omessa ed insufficiente motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, su punti decisivi della controversia;
– il ricorrente contesta l’applicazione dell’art. 1119 c.c., al bene in oggetto, in quanto questa si baserebbe sull’erronea convinzione che il cortile fosse da considerare come un bene condominiale;
-il cortile non sarebbe incluso nella comunione condominiale in base al titolo, atto ad escludere la presunzione di condominialità, ai sensi del 1117 c.c., ma sarebbe solo gravato da un diritto di passaggio pedonale e veicolare in favore di altri condomini;
– non sarebbe quindi applicabile il 1119 c.c., in quanto norma eccezionale, applicabile ai soli beni condominiali;
– contesta, quindi, il ricorrente che la corte d’appello avrebbe operato un asservimento della proprietà del cortile alla mera accessorietà;
– inoltre, che occorre distinguere tra utilità oggettiva del cortile – dare luce e aria all’edificio – e l’uso soggettivo corrispondente all’attività dei vari proprietari dei piani; il primo resterebbe invariato anche in caso di divisione, mentre il secondo sarebbe un uso anonimo, inadatto a determinare una destinazione condominiale;
– anche con il secondo motivo si denunciano due profili: il primo attiene alla violazione e falsa applicazione delle norme degli artt. 1117, 1119 e 1112 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, avendo la corte di merito escluso lo scioglimento della comunione, per effetto della conseguente privazione per i comproprietari dell’uso del bene, secondo la destinazione tra essi convenuta, non limitata alla naturale funzione del cortile di fornire aria e luce;
– con il secondo di denuncia l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, su punti decisivi della controversia;
– afferma il ricorrente che la definizione di uso, cui accenna il 1112 c.c., non può essere recepita in termini di sistematica accessorietà della cosa comune rispetto ad altri beni, perché ciò vanificherebbe l’autonomia della norma, appiattendola sul contenuto del 1119 c.c.;
– la designazione del cortile come bene pertinenziale non può tradursi in un impedimento assoluto alla divisione, in quanto il nesso strumentale va sempre verificato in concreto, pena un’ingiustificata compressione del diritto del proprietario alla divisione;
– si contesta anche la statuizione della sentenza d’appello laddove considera varie attività dei condomini, come funzione primaria del cortile (posteggio di veicoli, scarico merci, passaggio); ad avviso del ricorrente dette attività rappresentano, in realtà, mere funzionalità, rispetto alla funzione principale del cortile che è quella di fornire aria e luce all’edificio (cfr. Cass. 15/06/2012 n. 9875; Cass. 138979/10) e non possono costituire un impedimento alla divisione;
– i primi due profili dei motivi uno e due possono essere esaminati congiuntamente, in ragione della stretta connessione logico-argomentativa;
– essi sono infondati per le seguenti considerazioni;
– si deve premettere che è da condividere la valutazione del ricorrente sulla non applicabilità dell’art. 1119 c.c., infatti, ai sensi dell’art. 1117 c.c., la condominialità di un bene è esclusa dal titolo che disponga diversamente, ma ciò non vuoi dire che il bene sia divisibile;
– infatti detto cortile, pur non condominiale, è comunque, posseduto in comunione (originariamente dal D.M. e dai coniugi P. -D.R. ) ai sensi delle norme del titolo VII, capo I c.c.;
– l’art. 1111 c.c., afferma che ciascuno dei comproprietari può sempre chiedere la divisione della comunione, ma questa norma va letta in connessione con quella immediatamente successiva dell’art. 1112 c.c., la quale esclude che tale divisione possa essere chiesta nel caso di beni che, se divisi, cesserebbero di servire all’uso a cui sono destinati;
– dunque la divisione del bene in comunione non è automaticamente conseguente alla domanda, dovendosi valutare i suoi effetti sulla destinazione d’uso;
– a differenza di quanto afferma il ricorrente la destinazione d’uso di un cortile non è solamente quella principale, oggettiva, di fornire aria e luce, ben potendo i comproprietari decidere di ampliarne le modalità di utilizzo prevedendo delle funzioni accessorie che vanno ad integrare la destinazione d’uso (cfr. Cass. n. 13879 del 2010; n. 621 1977);
– al riguardo la corte d’appello ritiene correttamente (pag. 4 e 5 della sentenza impugnata) che tale destinazione d’uso poteva consistere in varie attività materiali, ulteriori rispetto a quelle consentite dalla servitù di passaggio, come l’apposizione di fioriere, il posteggio del veicolo, lo scarico di merci… che sarebbero divenute impossibili, per gli altri compartecipi, se si fosse proceduto a divisione, con attribuzione della proprietà esclusiva al D.M. ;
– al riguardo questa Corte ha la affermato che lo scioglimento della cosa comune può essere escluso dalla volontà dei comunisti di imprimere al bene una determinata caratteristica d’uso, solo quando siffatta volizione trovi attuazione in una situazione materiale che, venendo meno con la divisione, determini la perdita della possibilità di usare ulteriormente la cosa in conformità della sua convenuta destinazione (cfr. Cass. n. 5261/2011; id. n. 7274/2006, n. 4176/1983; n. 937/1982);
– conseguentemente, se anche si esclude la natura condominiale del bene, esso non è comunque da ritenersi divisibile ex art. 1112 c.c. (cfr. Cass. n. 989/1967; n. 708/1970);
– d’altronde la stessa sentenza d’appello riconosce una possibile applicabilità dell’art. 1112. c.c. (pagg. 10 e 11), pur in subordine rispetto a quella dell’art. 1119 c.c.;
– in ultimo non è condivisibile la tesi del ricorrente, secondo la quale una lettura in questo senso dell’art. 1112 c.c., finirebbe per privare questa norma di significato, appiattendola sul contenuto dell’art. 1119 c.c.;
– le due norme, infatti hanno una ratio diversa e forniscono differenti tutele;
– infatti l’art. 1119 c.c., contempla una forma di protezione rafforzata dei diritti dei condomini, in omaggio al minor favor del legislatore per la divisione condominiale, ed è per questo che esso contiene la prescrizione dell’unanimità e la tutela del mero comodo godimento del bene, in relazione alle parti di proprietà esclusiva;
– invece l’art. 1112 c.c., che costituisce un’eccezione rispetto alla regola generale della divisione della comunione, disposta dall’art. 1111 c.c., ha come ratio la tutela della destinazione d’uso del bene, e per questo esso ammette che la divisione sia richiedibile anche da uno solo dei comproprietari, con la sola subordinazione della stessa alla valutazione giudiziale che il bene, anche se diviso, manterrà l’idoneità all’uso a cui è stato destinato (cfr. Cass. n. 867/2012; id. 7667/1995);
– con riguardo ai due profili attinenti la dedotta violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, essi sono inammissibili, non potendo più a seguito della riforma di cui al D.L. n. 83 del 2012, conv. con mod. con la L. n. 134 del 2012, essere contestata l’insufficienza e contraddittorietà della motivazione nei sensi prospettati dal ricorrente (cfr. Cass. sez. un. 8053/2014);
– con il terzo motivo si denunciano ancora due profili: con il primo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione delle norme degli artt. 1111, 1112 e 720 c.c., avendo la corte di merito ritenuto di escludere l’attribuzione del bene-cortile al ricorrente, costituendo detta attribuzione una modalità della divisione; con il secondo l’omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, su punti decisivi della controversia;
– in particolare, si censura la parte della sentenza in cui la corte d’appello ha ritenuto che, essendo le quote di proprietà del bene uguali, ed avendo entrambe le parti chiesto l’attribuzione esclusiva (gli appellati l’avevano chiesta in via subordinata), non era possibile decidere per l’assegnazione esclusiva ai sensi del 720 c.c., in quanto i diritti sulla cosa erano paritari;
– il ricorrente afferma che la domanda degli appellati, di attribuzione esclusiva del bene, non era stata proposta in primo grado, sicché essa costituiva quindi un’eccezione nuova;
– secondo il ricorrente, avendo i coniugi P. -D.R. venduto la loro proprietà al signor F.A. – non intervenuto, nè chiamato in causa – sarebbe detto cessionario a poter chiedere l’attribuzione del bene ex art. 720 c.c., in quanto abilitato a stare in giudizio a nome proprio;
– l’attribuzione del bene in proprietà esclusiva, avanzata dai coniugi P. -D.R. , costituirebbe una richiesta irricevibile, in quanto proveniente da soggetti non legittimati.
– il primo profilo del motivo è infondato;
– nel giudizio di divisione è ammissibile l’eccezione di attribuzione esclusiva, presentata in grado di appello, in quanto questa costituisce una mera modalità di attuazione della divisione e quindi non integra una nuova domanda ex art. 345 c.p.c., ma solo un specificazione della domanda originaria, non assoggettabile alle preclusioni processuali sulle questioni nuove proposte in appello (cfr. Cass. n. 4938 del 1981 n. 626 1971; n. 4391 del 1985; n. 9689 del 2000);
– la possibilità per le parti originarie di presentare la richiesta di attribuzione esclusiva porta a concludere che questa non dovesse essere presentata, per forza, dal loro avente causa, in quanto il giudizio era idoneo a proseguire tra le parti originarie, essendo il possibile, ma non obbligatorio, intervento del successore particolare, ai sensi dell’art. 111 c.p.c. (cfr. Cass. n. 18937 del 2006; n. 17151 del 2008; n. 23936 del 2007;
– il secondo profilo del terzo motivo – fondato sul richiamo all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, è parimenti inammissibile per quanto già sopra precisato in ordine all’incensurabilità dell’insufficienza e contraddittorietà della motivazione;
-in conclusione, dunque, l’esito sfavorevole di tutti i motivi del ricorso giustifica il rigetto del ricorso e ai sensi dell’art. 384 c.p.c., la motivazione della sentenza va corretta nella parte in cui conclude per l’indivisibilità del bene in comunione ai sensi dell’art. 1119 c.c., anziché secondo il disposto dell’art. 1112 c.c.;
– il rigetto del ricorso comporta poi che in applicazione della soccombenza, parte ricorrente vada condannata alla rifusione delle spese di lite a favore del controricorrente nella misura liquidata in dispositivo;
– ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M

La Corte rigetta il ricorso, condanna parte soccombente alle spese per Euro 4.300,00, di cui 200,00 per spese, oltre 15% per rimborso spese generali, oltre accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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