Consiglio di Stato, Sezione seconda, Sentenza 1 luglio 2020, n. 4193.
La massima estrapolata:
L’imputazione giuridica allo Stato degli effetti delle ordinanze contingibili e urgenti adottate dal sindaco ha natura meramente formale, in quanto quest’ultimo, pur agendo nella veste di ufficiale di governo, resta incardinato nel complesso organizzativo dell’ente locale, con la conseguente responsabilità per tali atti dello stesso ente e non dello Stato. Tanto che, in caso di domanda di risarcimento di danni derivanti da ordinanze contingibili e urgenti – peraltro non presentata nella fattispecie – sussiste la legittimazione passiva della sola amministrazione comunale “in quanto, pur agendo il sindaco in veste di organo dello Stato (ufficiale del governo) e quindi di organo a servizio di più enti, egli opera nel quadro del complesso organizzatorio comunale quale elemento di tale complesso con la conseguente responsabilità del comune, e non dello Stato, degli atti posti in essere dal sindaco nella suddetta qualità.
Sentenza 1 luglio 2020, n. 4193
Data udienza 9 giugno 2020
Tag – parola chiave: Enti locali – Ordinanze contingibili ed urgenti – Imputazione giuridica degli effetti – Impugnative – Legittimazione passiva
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6048 del 2010, proposto dai signori
Da. Ce. e Di. Ce., rappresentati e difesi dagli avvocati An. Br. e Al. Si., con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultima in Roma, via (…);
contro
Il Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ar. An. e Vi. Lu. As., con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Ar. An. in Roma, corso (…);
Il Ministero dell’Interno, Prefettura – Ufficio territoriale del Governo di Ancona, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (…);
nei confronti
I signori Re. Ti. ed altri non costituiti in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche Sezione Prima n. 1442/2009, resa tra le parti, concernente l’ordine di demolizione di un fabbricato.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di (omissis) e del Ministero dell’interno, Prefettura – Ufficio territoriale del Governo di Ancona;
Visti tutti gli atti della causa;
Viste le brevi note depositate dagli appellanti e dal Comune di (omissis), ai sensi dell’art. 84, co. 5, secondo periodo, del decreto – legge 17 marzo 2020 n. 18, convertito in legge 24 aprile 2020, n. 27;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 9 giugno 2020 il Cons. Carla Ciuffetti, dati per presenti i difensori delle parti, ai sensi dell’articolo 84, comma 5, del decreto – legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito in legge 24 aprile 2020, n. 27;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. La vicenda riguarda un edificio di proprietà condominiale sito nel territorio del Comune di (omissis). In ragione dello stato di pericolosità in cui versava, l’immobile era stato oggetto dell’ordinanza sindacale di sgombero n. 6, in data 21 giugno 1980, prot. n. 1499/1, rimasta ineseguita. Lo sgombero trovava esecuzione solo a seguito dell’ulteriore ingiunzione disposta dall’ordinanza sindacale n. 5, in data 1 aprile 1993, prot. n. 1207/1. Entrambe le ordinanze avevano ingiunto ai proprietari dell’immobile, tuttavia rimasti inerti, di provvedere agli interventi necessari per risolvere i problemi di staticità dell’edificio.
In seguito veniva emanata l’ordinanza sindacale n. 11, in data 10 aprile 2007, che ingiungeva agli stessi proprietari di adottare, entro 30 giorni, ogni misura idonea a garantire la pubblica incolumità e la sicurezza dell’area su cui insisteva il fabbricato, con l’avvertimento che, in caso di inottemperanza si sarebbe provveduto d’ufficio con spese a carico degli inadempienti. Perdurando l’inerzia dei condomini, con nota in data 27 ottobre 2007, il Comune li diffidava ad attuare entro 20 giorni dalla data del 7 novembre 2007, fissata per l’assemblea dei condomini in seconda convocazione, “quanto ordinato con l’Ordinanza N. 11, significando che in caso contrario si procederà all’abbattimento dell’immobile”.
Nell’assemblea condominiale in data 20 novembre 2007, poste in votazione le possibili strategie di intervento, tutti i condomini si esprimevano a favore della demolizione dell’edificio, tranne gli appellanti, che si dichiaravano a favore ad interventi di ristrutturazione o di messa in sicurezza dell’immobile. I medesimi appellanti chiedevano quindi al Sindaco del Comune di (omissis) di indicare a “tutti i condomini, le opere minimali e sufficienti per la obbligatoria messa in sicurezza della zona manifestando la piena disponibilità a conformarsi alle indicazioni dell’Ufficio Tecnico comunale”. Con nota in data 4 dicembre 2007, prot. n. 3721/10, il Comune rispondeva che le richieste indicazioni non appartenevano alla propria competenza e, in data 5 dicembre 2007, con nota prot. n. 6763/ 10, comunicava ai condomini l’avvio del procedimento finalizzato ad assicurare la pubblica incolumità e la sicurezza dell’area.
1.2. Veniva quindi emanata, ai sensi dell’art. 54, co.2, del d.lgs. n. 267/2000, l’ordinanza sindacale n. 1, in data 2 gennaio 2008, di ingiunzione ai condomini di demolire l’edificio, che veniva impugnata dagli odierni appellanti per violazione del citato art. 54 co 2, per difetto: del presupposto della sussistenza di un rischio assoluto per l’incolumità delle persone e la sicurezza del transito veicolare e pedonale; di un’istruttoria di esperti specializzati, piuttosto dell’Ufficio tecnico comunale, tesa ad accertare la possibilità di ricorrere a interventi alternativi alla demolizione, pure ipotizzati da nota in data 29 novembre 2006 del Comando provinciale dei Vigili del fuoco di Ancona. Gli odierni appellanti impugnavano pure la nota prefettizia, in data 13 marzo 2007, prot. n. 151622007 con cui il sindaco di Offagna veniva invitato a provvedere “data l’attuale situazione di riscontrato pregiudizio e pericolosità all’abbattimento dell’immobile” e convenivano in giudizio, oltre al Sindaco del Comune di (omissis), anche il Ministero dell’interno e la Prefettura Ufficio territoriale di governo di Ancona.
1.3. Nel procedimento di primo grado, gli interessati avversavano con motivi aggiunti anche l’ordinanza, in data 15 marzo 2008, prot. n. 1591/10, con la quale essi venivano diffidati dal Sindaco, in ragione delle già avviate le procedure di demolizione, dal realizzare una recinzione dell’immobile, opera della cui esecuzione i medesimi appellanti avevano fatto richiesta all’Amministrazione,
1.4. Con la sentenza in epigrafe, il Tar respingeva il ricorso principale e i motivi aggiunti, in quanto infondati.
2. Con il presente appello i ricorrenti avversano la sentenza di primo grado sulla base di motivi riconducibili ai seguenti gruppi di censure:
a) il Tar aveva respinto il motivo di ricorso della violazione dell’art. 54, co. 2, d.lgs. n. 267/2000 per difetto dei presupposti, ravvisati invece nell’attualità del pericolo e nell’idoneità della misura ingiunta con l’ordinanza n. 1/2008 a salvaguardare la pubblica incolumità ; ma, contraddittoriamente, il primo giudice avrebbe riferito il requisito dell’attualità del pericolo ad atti risalenti nel tempo, vale a dire l’ordinanza di sgombero del 1980 e una nota della Prefettura – Ufficio territoriale del Governo di Ancona, in data 9 dicembre 2006, che aveva rilevato la situazione di equilibrio instabile dell’edificio; la sussistenza del requisito dell’idoneità sarebbe stata contraddetta dal parere tecnico, in data 7 marzo 2008, redatto da professionista incaricato dagli appellanti, depositato agli atti del procedimento di primo grado, ma non menzionato nella sentenza impugnata, che aveva escluso “radicalmente ogni rischio per la pubblica incolumità mediante la semplice realizzazione di una adeguata recinzione e delimitazione dell’area interessata”; il medesimo requisito dell’idoneità della misura della demolizione sarebbe stato smentito anche dalla nota del Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco di Ancona, n. 26447, in data 29 novembre 2006, e dalla nota in data 9 dicembre 2006 della Prefettura – Ufficio territoriale del Governo di Ancona, che non si limitavano ad invitare il Comune di (omissis) a procedere all’abbattimento dell’edificio, ma ipotizzavano soluzioni diverse e alternative alla demolizione; ulteriore elemento di contraddittorietà della sentenza di primo grado sarebbe l’aver ritenuto inerti nel tempo i proprietari dell’immobile, circostanza non corrispondente alla realtà dei fatti; infatti, gli appellanti, in sede di assemblea condominiale, si erano espressi a favore della ristrutturazione del fabbricato e poi avevano invano chiesto al Comune convenuto sia l’indicazione di misure indispensabili per la messa in sicurezza della zona, sia di poter recintare l’area a propria cura e spese; l’atto di diffida ad effettuare la recinzione era motivato dal già avvenuto avvio dei lavori di demolizione; tuttavia, tali lavori nel mese di aprile 2008 non sarebbero stati ancora iniziati e, anche ad ammettere che lo fossero stati, il primo giudice avrebbe giustificato una demolizione illegittima per eccesso di potere per il solo fatto che fosse già in corso;
b) il Tar avrebbe respinto il motivo di ricorso diretto ad evidenziare il difetto del requisito dell’inevitabilità della demolizione dell’edificio, in ragione di circostanze che sarebbero state contraddette dalla realtà dei fatti: infatti, gli appellanti non sarebbero rimasti inerti rispetto alle richieste dell’Amministrazione e gli organi pubblici che avevano effettuato accertamenti tecnici non avevano escluso l’ipotesi di misure alternative alla demolizione, come dimostrerebbero la nota del Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco di Ancona in data 29 novembre 2006 n. 26447 e la nota in data 9 dicembre 2006 della Prefettura – Ufficio territoriale del Governo di Ancona; quanto alle censure degli interessati dirette ad evidenziare il difetto di istruttoria da parte del Comune appellato circa la possibilità di ricorrere a misure alternative alla demolizione, il Tar si sarebbe limitato ad affermare che, in mancanza dell’adozione delle misure idonee alla messa in sicurezza dell’area da parte dei proprietari, non avrebbe potuto “pretendersi la continua ridiscussione dei presupposti di fatto della vicenda, ed il protrarsi (peraltro da lunghi anni) di una situazione di pericolo per la pubblica incolumità “: eppure, non solo i presupposti di fatto della vicenda non avrebbero potuto ritenersi pacificamente stabiliti – alla luce dei diversi esiti delle consulenze tecniche d’ufficio, esperite in procedimento davanti al giudice ordinario in merito alle responsabilità dello stato dell’immobile – ma tali presupposti non avrebbero avuto alcuna attinenza con la questione delle indagini necessarie per individuare le misure alternative alla demolizione che le relazioni dei consulenti escludevano che costituisse l’unica via percorribile.
3. Il Comune di (omissis) ha chiesto il rigetto del ricorso in quanto infondato. Reso noto che, nelle more, il fabbricato è stato demolito, l’Ente ha pure rilevato che “non è dato comprendere l’utilità di proseguire un’impugnativa (infondata) a dodici anni dalla demolizione del bene ed essendo ormai venuto meno ogni interesse al riguardo”.
4. Il Ministero dell’interno, Prefettura – Ufficio territoriale del Governo di Ancona, rilevata la propria estraneità alla materia del contendere, ha chiesto l’estromissione dal giudizio.
5. Il Collegio passa quindi all’esame dell’appello.
6. Va preliminarmente esaminata l’istanza di estromissione dal giudizio formulata dal Ministero dell’interno, Prefettura Ufficio territoriale di Governo di Ancona.
In proposito si osserva che, con il ricorso di primo grado, gli interessati avevano chiesto l’annullamento anche della nota, in data 9 dicembre 2006, della Prefettura-Ufficio territoriale del Governo di Ancona; tuttavia con tale ricorso, come in appello, essi non hanno formulato alcuna censura avverso tale atto. Dunque, pare che si possa ritenere che i medesimi interessati non abbiano inteso avversare la suddetta nota, quanto piuttosto menzionarla nel ricorso in appello a supporto delle proprie allegazioni.
Perciò, sembra che si possa escludere la legittimazione passiva dell’Amministrazione statale, anche constatato l’orientamento di questo Consiglio secondo il quale l’imputazione giuridica allo Stato degli effetti delle ordinanze contingibili e urgenti adottate dal sindaco ha natura meramente formale, in quanto quest’ultimo, pur agendo nella veste di ufficiale di governo, resta incardinato nel complesso organizzativo dell’ente locale, con la conseguente responsabilità per tali atti dello stesso ente e non dello Stato, (cfr. e plurimis, Cons. Stato, sez. IV, 29 aprile 2014, n. 2221). Tanto che, in caso di domanda di risarcimento di danni derivanti da ordinanze contingibili e urgenti – peraltro non presentata nella fattispecie – sussiste la legittimazione passiva della sola amministrazione comunale “in quanto, pur agendo il sindaco in veste di organo dello Stato (ufficiale del governo) e quindi di organo a servizio di più enti, egli opera nel quadro del complesso organizzatorio comunale quale elemento di tale complesso con la conseguente responsabilità del comune, e non dello Stato, degli atti posti in essere dal sindaco nella suddetta qualità ” (Cons. Stato, sez. V, 13 luglio 2010, n. 4529; cfr. Cons. Stato, sez. V, 13 agosto 2007, n. 4448).
Pertanto, va disposta l’estromissione dal presente giudizio del Ministero dell’interno, Prefettura – Ufficio territoriale di Governo di Ancona.
7. In merito al rilievo del Comune resistente circa la mancanza di interesse e di utilità per i ricorrenti a coltivare l’appello, il Collegio osserva che non ricorrono nella presente controversia elementi che consentano (soprattutto in assenza di univoca manifestazione di volontà in tal senso da parte degli appellanti) di escludere l’interesse degli appellanti medesimi alla coltivazione dell’impugnazione, la cui decisione è stata anzi dagli stessi chiesta da ultimo con la nota depositata in data 4 giugno 2020.
8. Venendo all’esame dei motivi di appello, giova ricordare che l’art. 54, co. 2, del d.lgs. n. 267/2000, nella formulazione vigente alla data di adozione dell’ordinanza 1/2008, disponeva che “il sindaco, quale ufficiale del Governo, adotta, con atto motivato e nel rispetto dei princì pi generali dell’ordinamento giuridico, provvedimenti contingibili e urgenti al fine di prevenire ed eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità dei cittadini”.
9. In merito alle censure esposte sub 2. lett. a), il Collegio non ravvisa alcuna contraddittorietà nella motivazione della sentenza di primo grado in merito alla motivazione del requisito dell’attualità del pericolo attraverso il riferimento ad atti del Comune risalenti al 1980 e alla nota della Prefettura di Ancona del 9 dicembre 2006, in conformità all’indirizzo espresso da questo Consiglio con riferimento al citato art. 54, co.2, del d.lgs. n. 267/2000, secondo il quale “la circostanza di fatto che la situazione di pericolo duri da tempo non rende illegittimo l’esercizio di tale potere, atteso che la situazione di pericolo, quale ragionevole probabilità che l’evento dannoso accada, può protrarsi anche per un lungo periodo senza cagionare il fatto temuto” (Cons. Stato, Sez. VI, 7 ottobre 2008, n. 4812), il che rende “irrilevante che la fonte del pericolo sia risalente nel tempo” (Cons. Stato, sez. V, 9 marzo 2020, n. 1670).
Considerato che gli appellanti non forniscono alcun elemento diretto a provare che non sussistesse la situazione di pericolo, documentata in atti anche dalla nota del Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco di Ancona del 29 novembre 2006, n. 26447, si deve ritenere che, correttamente, il primo giudice abbia considerato che il decorso del tempo non avesse consumato il potere sindacale di emanare l’ordinanza n. 1/2008, dato che “l’immediatezza dell’intervento urgente del Sindaco va rapportata all’effettiva esistenza di una situazione di pericolo al momento di adozione dell’ordinanza, mentre la circostanza che la situazione di pericolo perduri da tempo può addirittura aggravare la situazione di pericolo” (Cons. Stato, Sez. II, 22 luglio 2019, n. 5150).
La contestazione da parte degli appellanti dell’idoneità della misura della demolizione ad ovviare al rischio per la pubblica incolumità involge la questione della valutazione della proporzionalità della misura della demolizione rispetto all’obiettivo di eliminare i “gravi pericoli che minacciano l’incolumità dei cittadini” sotto un profilo comparativo rispetto ad altre misure di altra natura, ma comunque “idonee a garantire la pubblica incolumità e la sicurezza dell’area” richieste ai condomini già con l’ordinanza sindacale n. 11/2007.
Ai fini di tale valutazione, contribuisce la già citata nota del Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco di Ancona in data 29 novembre 2006, n. 26447, dalla quale risulta che le misure alternative alla demolizione avrebbero dovuto avere la natura di “drastici e definitivi interventi” con lo scopo di “rimediare alle lesioni strutturali dell’edificio che ne compromettevano la statica”. Ciò porta a concludere che le misure alternative alla demolizione, per tutelare la pubblica incolumità, avrebbero dovuto avere carattere strutturale.
Alla luce di tale indispensabile requisito risulta quindi infondata la contestazione dell’inidoneità dell’ingiunzione di demolizione a tutelare la pubblica incolumità, asserendo che tale tutela avrebbe potuto essere raggiunta realizzando la recinzione dell’area del fabbricato. E’ evidente infatti che la recinzione avrebbe costituito un intervento di carattere non strutturale, perciò inidoneo a rimediare in modo drastico e definitivo alla situazione di pericolosità dell’edificio.
Si rammenta in proposito che manifestazioni di lata discrezionalità tecnica quali quelle che concernono in pericolo di dissesto di un immobile e, ancor di più, la potenziale sussistenza di un pericolo per l’incolumità dei consociati e le misure tecniche da apprestare per elidere il detto pericolo, possono essere sindacate soltanto laddove siano frutto di apprezzamenti macroscopicamente abnormi, illogici, od arbitrari (il che non sembra sia stato né dimostrato, né neppure persuasivamente adombrato).
10. Anche le censure esposte sub 2. lett. b) sono infondate.
La proposta di recinzione dell’area, come sopra evidenziato, non valeva ad escludere l’inerzia nell’adozione di idonee misure strutturali da parte dei condomini (che, peraltro, si erano tutti espressi in assemblea condominiale, ad eccezione dei ricorrenti, in favore dell’abbattimento dell’immobile). Al più, una tale opera avrebbe costituito un intervento meramente dilatorio rispetto alle necessarie ed indilazionabili misure strutturali.
Quindi, a differenza di quanto gli appellanti vorrebbero dimostrare, la realtà dei fatti da essi invocata evidenzia che i condomini non si erano attivati in alcun modo per porre in essere misure idonee alternative alla demolizione. Tali misure, come sopra evidenziato, avrebbero dovuto essere drastiche e definitive, secondo il richiamato documento del Comando provinciale dei Vigili del Fuoco, per evitare l’attivazione di un meccanismo di collasso dell’edificio che la stessa nota in data 19 marzo 2008, redatta da parte del professionista incaricato dagli appellanti dello svolgimento di perizia tecnica, non ha, in ipotesi, escluso.
L’insistente richiamo effettuato dagli appellanti alle risultanze delle consulenze tecniche d’ufficio esperite nel corso del procedimento civile, in particolare a quelle contenute nella relazione del terzo consulente incaricato, pare al Collegio del tutto controproducente: infatti, se, come ritenuto dai ricorrenti, dalle relazioni dei consulenti d’ufficio emergevano soluzioni tecniche strutturali alternative alla demolizione, risulta del tutto immotivato il comportamento dei condomini, e in particolare contraddittorio quello degli appellanti, che non si sono attivati per porre in opera una di esse.
Infine, va escluso il preteso difetto di istruttoria nel procedimento che ha messo capo all’ordinanza 1/2008. Tale ordinanza – che esprime una scelta discrezionale dell’Amministrazione che non presenta alcun profilo di illogicità alla luce dell’intera vicenda quale si è venuta svolgendo a partire dal 1980 – è stata emanata non solo sulla base del parere dell’Ufficio tecnico comunale, ma anche degli atti sopra richiamati del competente comando provinciale dei Vigili del Fuoco e della nota della Prefettura di Ancona, atti tutti in merito ai quali i ricorrenti non hanno dedotto alcuna censura.
11. Per quanto sopra esposto, l’appello deve essere respinto in quanto infondato e la sentenza impugnata deve essere confermata.
Il regolamento delle spese processuali del presente grado di giudizio, liquidate nel dispositivo, segue la soccombenza.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto:
dispone l’estromissione dal presente giudizio del Ministero dell’interno, Prefettura – Ufficio territoriale di Governo di Ancona;
lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.
Condanna in solido gli appellanti alla rifusione delle spese processuali del grado di giudizio in favore del Comune di (omissis), liquidate in complessivi euro 5.000,00 (cinquemila/00), oltre alle maggiorazioni di legge, se dovute.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso dalla Sezione Seconda del Consiglio di Stato con sede in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 giugno 2020, convocata con modalità da remoto e con la contemporanea e continuativa presenza dei magistrati:
Fabio Taormina – Presidente
Giancarlo Luttazi – Consigliere
Italo Volpe – Consigliere
Francesco Frigida – Consigliere
Carla Ciuffetti – Consigliere, Estensore
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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