Corte di Cassazione, sezione lavoro, Sentenza 16 novembre 2018, n. 29627.

La massima estrapolata:

Il requisito dell’immediatezza della contestazione è posto a tutela del lavoratore ed ha la finalità di consentire una difesa adeguata in relazione agli addebiti contestati. Lo svolgimento di più approfondite indagini da parte del datore di lavoro sui fatti passibili di responsabilità disciplinare non ostacola la difesa effettiva del lavoratore, ma il datore di lavoro deve contestare i fatti addebitati al dipendente non appena ne venga a conoscenza e gli stessi appaiano ragionevolmente sussistenti.

Sentenza 16 novembre 2018, n. 29627

Data udienza 4 luglio 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente

Dott. CURCIO Laura – rel. Consigliere

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 9359/2014 proposto da:
(OMISSIS) S.P.A., (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata l’avvocato in (OMISSIS), presso l’avvocato (OMISSIS) dell’Area Legale Territoriale Centro di (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS), giusta delega in atti;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS), giusta delega in atti;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 459/2013 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, depositata il 25/10/2013 R.G.N. 235/2013;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 04/07/2018 dal Consigliere Dott. LAURA CURCIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MASTROBERARDINO Paola, che ha concluso per inammissibilita’ o in subordine rigetto;
udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega verbale Avvocato (OMISSIS);
udito l’Avvocato (OMISSIS).

FATTI DI CAUSA

Con sentenza del 25.10.2013 la corte d’Appello di Brescia ha confermato la sentenza del tribunale della stessa citta’ che aveva respinto la domanda di (OMISSIS) spa diretta a far dichiarare la legittimita’ della sanzione della multa di quattro ore inflitta alla dipendente (OMISSIS). Il Tribunale aveva accertato la tardivita’ della contestazione – e quindi la conseguente illegittimita’ della sanzione- con la quale la societa’ aveva addebitato alla dipendente, sportellista incaricata di sostituire la responsabile in varie giornate nel periodo tra il 1 gennaio 2001 e il 27 giugno 2001, di non aver effettuato i dovuti controlli, in contraddittorio con la sostituita, dei valori presenti incassa e nel dispensatore di banconote e di non aver formalizzato i c.d. passaggi di chiavi, cosi’ non rilevando ammanchi per un complessivo importo di 1880,00 Euro.
La corte di merito, confermando l’iter argomentativo del giudice di prime cure, ha ritenuto la tardivita’ della contestazione in ragione del tempo trascorso, di oltre tre mesi, dalla conoscenza dei fatti sostanzialmente ammessi dalla lavoratrice in sede di indagini compiute in data 8.7.2008 e la formale contestazione effettuata l’11 ottobre 2008, escludendo che nel caso di specie potessero ravvisarsi esigenze istruttorie in relazione ai fatti contestati, in ragione sia delle dichiarazioni confessorie della (OMISSIS), sia dell’assenza di qualsiasi ulteriore indagine sui fatti da parte della societa’, cosi’ dovendosi configurare una inerzia.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS) affidato a tre motivi, a cui ha resistito la lavoratrice con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso la ricorrente deduce la violazione dell’articolo 113 c.p.c., degli articoli 1418 e 2106 c.c., della L. n. 300 del 1070 articolo 7: nessuna delle due ultime disposizioni stabilisce il dies a quo e il dies ad quem nell’adozione dell’atto di contestazione, o sancisce una qualche forma di invalidita’ per un mero fatto “a decorso temporale”, laddove e’ invece noto che la nullita’ ex articolo 1418 c.c., deve discendere da qualche violazione di legge imperativa, quanto meno di ordine pubblico, mentre la sentenza impugnata dichiara “invalida” la sanzione comminata in violazione dell’articolo 113 c.p.c..
Con il secondo motivo di gravame Poste spa deduce la violazione degli articoli 1175 e 1375 c.c., per avere la corte di merito ritenuto che la lavoratrice avesse potuto far affidamento sulla rinuncia di (OMISSIS) spa all’esercizio del potere disciplinare e che percio’ la societa’ aveva contravvenuto ai principi di correttezza e di buona fede. Per la ricorrete sarebbe la sentenza a violare detti principi, atteso che il semplice ritardo nell’esercizio di un proprio diritto, non finalizzato a produrre un danno alla controparte, non darebbe luogo ad alcuna violazione di tali canoni.
Con il terzo motivo di ricorso la ricorrente lamenta la violazione dell’articolo 2967 c.c., e dell’articolo 1218 c.c., in relazione agli articoli 1175 e 1375 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto poiche’ il potere disciplinare costituisce un diritto potestativo contrattuale, in assenza di altri limiti di legge, l’unico sindacato cui puo’ essere positivamente sottoposto il suo esercizio e’ quello della buona fede in senso oggettivo, discendendone sul piano probatorio che il datore di lavoro dovra’ provare solo i fatti costitutivi – addebito, contestazione e possibilita’ di difesa- spettando al lavoratore dimostrare che l’esercizio del potere e’ contrario alle regole della buona fede. Avrebbe pertanto errato la corte di merito nel ritenere che sussisteva in atti la prova processuale della “scorrettezza datoriale”.
I motivi, che possono esaminarsi congiuntamente in quanto connessi perche’ tutti diretti a censurare in realta’ l’interpretazione offerta dalla sentenza impugnata delle norme che regolano il potere disciplinare del datore di lavoro ed il relativo procedimento disciplinare, sono infondati.
Va premesso che, proprio in quanto il potere disciplinare e’ un diritto potestativo contrattuale del datore di lavoro, l’esercizio di tale potere che lo pone un una posizione non paritetica rispetto al lavoratore, deve essere improntato ai canoni di correttezza e buona fede, cio’ significando anche che va esercitato nel rispetto di alcuni presupposti imprescindibili che lo legittimano, quali appunto l’immutabilita’ della contestazione e la sua tempestivita’.
Come piu’ volte rilevato da questa corte (cfr per tutte Cass. n. 13167/2009) il requisito dell’immediatezza della contestazione e’ posto a tutela del lavoratore ed ha la finalita’ di consentire una difesa adeguata in relazione agli addebiti contestati ed altresi’ di tutelare il legittimo affidamento del medesimo dipendente, in presenza di un ritardo nella contestazione, sulla mancanza di rilievo disciplinare attribuito dal datore alla condotta inadempiente.
Inoltre come precisato da Cass. n. 13482/2004, uno dei fondamenti del principio di immediatezza della contestazione disciplinare e’ costituito dal rispetto del concreto esercizio del diritto di difesa del lavoratore; sicche’ piu’ approfondite indagini del datore di lavoro sui fatti passibili di responsabilita’ disciplinare non contraddicono tale esercizio, anzi lo rafforzano, ma il datore di lavoro deve contestare i fatti addebitati al dipendente non appena ne venga a conoscenza e gli stessi appaiano ragionevolmente sussistenti (cosi’ da ultimo anche Cass. n. 7839/2018).
Ancora deve rilevarsi che il principio di tempestivita’ dell’azione disciplinare va messo in relazione con il tempo necessario al datore per acquisire una compiuta e meditata conoscenza dei fatti oggetto di addebito, nonche’ della loro riconducibilita’ al lavoratore.
Conseguentemente “il ritardo nella contestazione puo’ costituire un vizio del procedimento disciplinare solo ove sia tale da determinare un ostacolo alla difesa effettiva del lavoratore, tenendo anche conto che il prudente indugio del datore di lavoro, ossia la ponderata e responsabile valutazione dei fatti, puo’ e deve precedere la contestazione anche nell’interesse del prestatore di lavoro, che sarebbe palesemente colpito da incolpazioni avventate o comunque non sorrette da una sufficiente certezza da parte del datore di lavoro” (Cass. 3 maggio 2017, n. 10688; v. anche Cass. n. 1101/2007, Cass. n. 241/2006; Cass. n. 5308/2000).
Nel caso in esame la corte di distrettuale non si e’ discostata da tali principi, perche’ ha rilevato come la societa’ datrice di lavoro era venuta a conoscenza del fatti, poi addebitati alla dipendente solo nell’ottobre del 2008, gia’ nel giugno del 2008 ed anche in ragione delle dichiarazioni confessorie della stessa, senza che quindi il tempo trascorso fosse stato necessitato da indagini ulteriori. Tale valutazione, nel merito non sindacabile, e’ comunque esente da vizi anche sotto il profilo della coerenza logica, oltre che della correttezza giuridica. Il ricorso deve essere pertanto respinto, con condanna della societa’ ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo. Sussistono i presupposto per il pagamento del doppio contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte respinge il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite del presente giudizio che liquida in Euro 200,00 per esborsi, Euro 4000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.

Avv. Renato D’Isa

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