Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|13 aprile 2023| n. 9839.
Il solo ripristino della convivenza tra soggetti divorziati non è sufficiente a provare l’intervenuta riconciliazione
Il solo ripristino della convivenza tra soggetti divorziati non è sufficiente a provare l’intervenuta riconciliazione, infatti a tal fine è necessario che, stante la natura del matrimonio, vi sia una comunione di intenti delle parti, una progettualità comune, collaborazione ed assistenza materiale e morale reciproca, tali da dare prova della ricostituzione di quell’affectio propria del legame di coniugo.
Ordinanza|13 aprile 2023| n. 9839. Il solo ripristino della convivenza tra soggetti divorziati non è sufficiente a provare l’intervenuta riconciliazione
Data udienza 17 marzo 2023
Integrale
Tag/parola chiave: Separazione – Divorzio – Determinazione dell’assegno divorzile – Operatività dell’art. 157 c.c. – Diversa valutazione delle risultanze istruttorie – Rigetto
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. IOFRIDA Giulia – Presidente
Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere
Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere
Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere
Dott. RUSSO Rita E. A. – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3565/2022 R.G. proposto da:
(OMISSIS), rappresentata e difesa dell’avv. (OMISSIS), indirizzo PEC: (OMISSIS), domiciliato in Roma, presso l’Avv. (OMISSIS), nello studio ivi situato alla (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– controricorrente ricorrente incidentale –
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO BOLOGNA n. 2047/2021 depositata il 09/08/2021;
Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 17/03/2023 dal Consigliere RITA E. A. RUSSO.
Il solo ripristino della convivenza tra soggetti divorziati non è sufficiente a provare l’intervenuta riconciliazione
RILEVATO
Che:
La ricorrente espone che con sentenza n. 1060/2019 il Tribunale di Modena ha dichiarato la cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario celebrato con (OMISSIS), disponendo a carico di quest’ultimo un assegno divorzile di Euro 500,00 mensili (con rivalutazione monetaria annuale), disattendendo l’eccezione di riconciliazione proposta da essa (OMISSIS), che proponeva appello, ribadendo che la coabitazione fra le parti dopo la separazione esclude la configurabilita’ dei presupposti per la declaratoria di cessazione degli effetti civili del matrimonio e in subordine contestando il quantum dell’assegno, che aveva chiesto nella misura di Euro 2500,00 mensili.
La Corte bolognese ha respinto l’appello sul punto della intervenuta riconciliazione e lo ha parzialmente accolto sul quantum dell’assegno divorzile osservando: a) che la mera ripresa della coabitazione non costituisce in se’ riconciliazione, e analogamente il protrarsi della coabitazione se non e’ stato ricostituito l’intero complesso dei rapporti che caratterizzano il vincolo matrimoniale, non solo di quelli riguardanti l’aspetto materiale del consorzio, ma altresi’ di quelli che sono alla base dell’unione spirituale tra i coniugi; b) che sull’an dell’assegno non vi e’ contestazione da parte del (OMISSIS); sul quantum dell’assegno osserva che la sperequazione tra le condizioni economiche delle parti e’ di un certo rilievo poiche’ la donna e’ priva di redditi e di beni e a breve dovra’ anche reperire un alloggio poiche’ il marito ha manifestato l’intenzione di ottenere il rilascio della casa familiare, mentre l’uomo ha un reddito variabile tra i 44.000,00 e 49.000,00 Euro annui ed ha molteplici beni immobili tra cui la casa familiare. La Corte ha quindi determinato l’assegno divorzile in Euro 800,00 mensili.
Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la (OMISSIS), affidandosi a due motivi. Si e’ costituito resistendo il (OMISSIS), proponendo ricorso incidentale sul capo della sentenza relativo alle spese.
La causa e’ stata trattata l’udienza camerale non partecipata del 17 marzo 2023.
Il solo ripristino della convivenza tra soggetti divorziati non è sufficiente a provare l’intervenuta riconciliazione
RITENUTO
Che:
1.- Con il primo motivo del ricorso si lamenta ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3, la violazione o falsa applicazione della L. n. 898 del 1970, articolo 5, per mancanza dei presupposti per la dichiarazione della cessazione degli effetti civili del matrimonio. La ricorrente deduce che la legge italiana non ammette una separazione nella quale, pur venendo meno gli obblighi principali del matrimonio (come la fedelta’, l’assistenza morale e materiale) rimane invece in essere quello della coabitazione. La separazione personale tra i coniugi si giustifica perche’ la convivenza e’ divenuta intollerabile non potendo, di contro, coesistere una situazione di convivenza intollerabile con una coabitazione ininterrotta. Osserva che, come e’ gia’ stato rilevato nel giudizio di primo grado, nonostante la pronuncia di separazione e l’ordinanza del Presidente del Tribunale di Modena, la quale disponeva che i coniugi vivessero separati, i coniugi hanno continuato a vivere nella stessa abitazione, mantenendo la residenza comune e continuando a condividere la loro quotidianita’ nello stesso immobile; inoltre, nelle dichiarazioni dei redditi del (OMISSIS) nel quadro relativo ai familiari a carico, figurava indicato il coniuge, a conferma che ella continuava con stabilita’ a far parte del nucleo familiare del (OMISSIS). Osserva infine che la testimonianza della figlia sulla circostanza che la madre avesse una relazione extraconiugale e’ inattendibile, data la conflittualita’ tra di esse mentre altro teste ha dichiarato che non gli risulta che la ricorrente avesse una relazione extra coniugale.
2.- Il motivo e’ infondato.
La ricorrente non tiene conto della circostanza che tra i coniugi e’ stata ritualmente dichiarata la separazione giudiziale e non risulta che la predetta sentenza sia stata impugnata – e segnatamente che la (OMISSIS) abbia opposto la insussistenza dei relativi presupposti – e pertanto essa spiega pienamente tra le parti i suoi effetti, che possono venir meno, secondo quanto dispone l’articolo 157 c.c., solo in virtu’ di una espressa dichiarazione dei coniugi (qui pacificamente non intervenuta) o di un comportamento incompatibile con lo stato di separazione, vale a dire per effetto di una piena riconciliazione tra essi coniugi, con la ricostituzione del consorzio familiare attraverso la ripresa di relazioni reciproche oggettivamente rilevanti, che si siano concretizzate in un comportamento inequivoco (Cass. 16/06/2020, n. 11636).
2.1- Vero e’ che il ripristino della coabitazione puo’ essere uno degli indici attraverso i quali valutare l’intervenuta riconciliazione, ma solo in quanto essa sia espressione di una effettiva ripresa della convivenza coniugale, che non e’ data dal mero fatto di dividere l’abitazione, ma dalla esistenza di un progetto di vita comune, attuato nella quotidianita’ e improntato alla solidarieta’, alla reciproca collaborazione e alla assistenza morale e materiale; nel nostro ordinamento, il matrimonio e’ una comunione materiale e spirituale di vita, come espressamente affermato dalla L. n. 898 del 1970, articolo 1, e come si evince dall’articolo 143 c.c., che disciplina il matrimonio attraverso la previsione di un insieme di doveri che integrandosi reciprocamente ne definiscono i contenuti.
La coabitazione e’ uno di questi doveri, non a caso indicato per ultimo, che ha una sua consistenza e significato in quanto costituisca la base materiale della esplicazione degli altri doveri, che devono connotare la vita comune. Pertanto, la giurisprudenza di questa Corte afferma che la mera coabitazione non e’ sufficiente a provare la riconciliazione tra coniugi separati, essendo necessario il rispristino della comunione di vita e d’intenti, materiale e spirituale, che costituisce il fondamento del vincolo coniugale. Il coniuge che ha interesse a far accertare l’avvenuta riconciliazione, dopo la separazione, ha l’onere di fornire una prova piena e incontrovertibile della ricostituzione del consorzio familiare, che il giudice di merito e’ chiamato a verificare, compiendo un apprezzamento insindacabile in sede di legittimita’ (Cass. n. 19535 del 17/09/2014; Cass. n. 1630 del 23/01/2018; Cass. n. 20323 del 26/07/2019; Cass. n. 27963 del 23/09/2022).
Nella specie, la Corte di merito ha accertato che tra i coniugi non sussisteva alcuna vita comune, posto che essi vivevano nella stessa casa, ma separatamente, senza alcun rapporto ne’ di affetto ne’ di amore, dormendo separati e vivendo come estranei, senza neppure collaborare nella gestione della casa, organizzandosi autonomamente e intrattenendo la moglie relazioni affettive con altri uomini. La Corte ha pertanto escluso che fosse intervenuta tra i coniugi alcuna riconciliazione, distinguendo tra il mero protrarsi della coabitazione nonostante la pronuncia della separazione, e la convivenza, osservando peraltro che vi erano delle specifiche ragioni di tolleranza da parte del marito (la tutela della figlia, le condizioni della moglie) al mancato rilascio della casa familiare da parte della moglie e che si tratta di una evenienza non infrequente nelle vicende di separazione qualora vi siano ragioni economiche, in caso di incapacita’ a provvedere al pagamento al canone dell’abitazione e di sostenerne le spese.
La Corte di merito ha quindi correttamente inquadrato in punto di diritto l’istituto della riconciliazione e reso un giudizio in punto di fatto di cui in questa sede non puo’ sollecitarsi la revisione, ne’ e’ ammissibile la censura nella parte in cui prospetta una diversa valutazione del risultanze istruttorie, fondata su generici rilievi riguardo pretesi conflitti con la teste principale, ovvero oppone circostanze irrilevanti quali il contenuto delle dichiarazioni a fini fiscali che non sono indicative di alcunche’, se non della intenzione di beneficiare un trattamento tributario favorevole.
Il solo ripristino della convivenza tra soggetti divorziati non è sufficiente a provare l’intervenuta riconciliazione
3.- In sintesi, gli effetti della separazione non possono essere posti nel nulla dalla mera circostanza che uno dei due coniugi non abbia rilasciato la casa familiare in favore dell’altro coniuge, proprietario esclusivo, e che quest’ultimo abbia tollerato tale situazione, se la persistenza della coabitazione non e’ connotata dal mantenimento o dal ripristino della comunione spirituale e materiale di vita tra i coniugi; la riconciliazione deve essere manifestata per mezzo di un comportamento inequivoco, che esprima senza possibilita’ di dubbio la ricostituzione di un progetto di vita comune, connotato da tutti i doveri che discendono dal matrimonio.
4.- Con il quarto motivo del ricorso si lamenta ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5, l’omesso esame di un fatto storico, che ha costituito oggetto di discussione tra le parti e ha natura decisiva, in particolare il mancato esame delle dichiarazioni contenute all’interno della cartella clinica del (OMISSIS) e della documentazione attestante la consistenza patrimoniale del Sig. (OMISSIS) (proprietario al 100% dei numerosi immobili siti nel Comune di (OMISSIS) che gli garantiscono i proventi delle locazioni, oltre alla titolarita’ di una polizza vita con valorizzazione a circa Euro 100.000,00 stipulata con (OMISSIS)). La ricorrente deduce che la sentenza impugnata non valuta adeguatamente il suo sacrificio personale ed il suo apporto alla conduzione ed alla gestione della vita familiare, che hanno contribuito al formarsi del benessere familiare, nonche’ le dichiarazioni e la documentazione attestante la consistenza patrimoniale de (OMISSIS). Illustra il divario economico tra ex coniugi, e aggiunge che ella e’ in cura presso il Dipartimento di Salute Mentale – a far tempo dall’01/02/2002 a tutt’oggi – per problematiche di stabilita’ psichica e psicologica; cio’ attesta l’impossibilita’ oggettiva, anche alla luce delle sue precarie condizioni di salute, di reperire una stabile occupazione.
Il motivo e’ inammissibile.
4.1.- Qualora la parte censuri la sentenza ex articolo 360 c.p.c., n. 5, occorre che sia chiara la enunciazione di un fatto storico non valutato (e non l’errore sulla valutazione del medesimo), e la decisivita’ del fatto o dei fatti il cui esame e’ stato omesso; costituisce principio consolidato nella giurisprudenza della Corte che non puo’ farsi riferimento all’articolo 360 c.p.c., n. 5, per censurare l’apprezzamento delle prove (Cass. sez. un., 16/03/2021, n. 7335)
La Corte ha ben tenuto presente la condizione economico patrimoniale delle parti e segnatamente che il (OMISSIS) gode di un reddito variabile fra i 44.000 e i 49.000 Euro annuali e di molteplici beni immobili, fra i quali la casa familiare, nella quale intende rimanere a vivere in via esclusiva; ha altresi’ valutato che la ricorrente e’ priva di redditi e di beni, pur avendo pregresse esperienze lavorative e il titolo di studio di ragioniera. Le condizioni economico patrimoniali ed anche personali delle parti sono state quindi esaminate per intero e da questo esame e’ stata tratta una valutazione sulla congruita’ dell’assegno, stabilito nella misura di Euro 800 mensili; di conseguenza non puo’ dirsi che sia stato omesso esame di fatti decisivi, e la censura avanzata dalla ricorrente si risolve in definitiva in una censura di merito, inammissibile in questa sede.
5.- Con il motivo di ricorso incidentale, la parte lamenta ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3, la violazione dell’articolo 92 c.p.c., comma 2.
Il ricorrente incidentale deduce che sulle spese la Corte ha tenuto in conto “il parziale accoglimento dell’appello con la prevalente soccombenza della stessa appellante (stante l’infondatezza del motivo principale d’appello, sul vincolo, nonche’ la notevole riduzione, comunque, dell’importo dell’assegno riconosciuto rispetto a quello richiesto fin dal primo grado 2.500 Euro mensili), e pertanto, tenuto conto anche delle condizioni di salute dell’appellante, si ritiene giustificata la compensazione delle spese in misura della meta’, con condanna della (OMISSIS) alla rifusione all’appellato della meta’ delle spese per entrambi i gradi del giudizio”.
Il ricorrente osserva che essendo risultato infondato il gravame principale presentato dalla ex moglie, dovra’ essere modificata la decisione di secondo grado, disponendo che (OMISSIS) sia condannata a rifondere integralmente (OMISSIS) le spese legali del giudizio, sia del primo che del secondo grado. In subordine, poiche’ la soccombenza e’ prevalente, chiede a questa Corte di voler quantomeno cassare la sentenza di secondo grado in punto liquidazione delle spese del giudizio e statuire la rifusione in suo favore nella misura di due terzi.
6. Il motivo e’ infondato.
La liquidazione spese operata dalla Corte di merito e’ basata sulla reciproca soccombenza, posto che e’ stata respinto l’eccezione sulla insussistenza dei presupposti per il divorzio, mentre e’ stata accolta la domanda di assegno e il motivo di appello sulla relativa quantificazione, sia pure in misura minore a quella richiesta; sussiste dunque il presupposto previsto dall’articolo 92 c.p.c., per operare la compensazione delle spese, restando discrezionale la decisione sulla misura di detta compensazione (per intero o in frazione). Si richiama qui l’orientamento gia’ affermato nella giurisprudenza di questa Corte, cui il Collegio intende dare continuita’, secondo il quale in tema di condanna alle spese processuali, il principio della soccombenza va inteso nel senso che soltanto la parte interamente vittoriosa non puo’ essere condannata, nemmeno per una minima quota, al pagamento delle spese stesse e il suddetto criterio non puo’ essere frazionato secondo l’esito delle varie fasi del giudizio ma va riferito unitariamente all’esito finale della lite. Il sindacato della Corte di Cassazione e’ limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa, con la conseguenza che esula da tale sindacato e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito la valutazione dell’opportunita’ di compensare in tutto o in parte le spese di lite, e cio’ sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca, sia nelle altre ipotesi previste dalla legge, restando non sindacabile in sede di legittimita’, decidere quale delle parti debba essere condannata e se ed in quale misura debba farsi luogo a compensazione (Cass. sez. un., 31/10/2022, n. 32061; Cass. 27/12/2022, n. 37825; Cass. n. 26912 del 26/11/2020 Cass. n. 12295 del 05/10/2001).
Ne consegue il rigetto del ricorso principale e del ricorso incidentale; in ragione della reciproca soccombenza le spese del giudizio di legittimita’ si compensano interamente tra le parti.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso principale e il ricorso incidentale. Compensa integralmente tra le parti le spese processuali.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale e per il ricorso incidentale, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuti.
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