Consiglio di Stato, sezione sesta, Sentenza 19 ottobre 2018, n. 5983.
La massima estrapolata:
Il rilascio del permesso di costruire per la realizzazione di una tettoia è necessario solo quando, per le sue caratteristiche costruttive, essa sia idonea ad alterare la sagoma dell’edificio; l’installazione della tettoia è invece sottratta al regime del permesso di costruire ove la sua conformazione e le ridotte dimensioni ne rendano evidente e riconoscibile la finalità di mero arredo e di riparo e protezione dell’immobile cui accedono.
Sentenza 19 ottobre 2018, n. 5983
Data udienza 25 settembre 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4101 del 2012, proposto da:
Od. Be. ed altri, rappresentati e difesi dagli avvocati Maurizio Mansutti, Alessandro Tozzi, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Gi. Pl. in Roma, via (…);
contro
ROMA CAPITALE, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Umberto Garofoli, con domicilio eletto in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del T.a.r. Lazio – Roma – n. 4021 del 2011;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Roma Capitale;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza smaltimento del giorno 25 settembre 2018 il Cons. Dario Simeoli e uditi per le parti gli avvocati Al. To. e Um. Ga.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1.- Con il ricorso promosso in primo grado, il signore Vi. Gi. – proprietario di un appezzamento di terreno ubicato in Roma, in via (omissis) distinto in catasto al foglio (omissis), particella (omissis) soggetto a vincolo paesaggistico essendo sito all’interno del Parco (omissis) – impugnava la determinazione dirigenziale del 30 marzo 2006, prot. n. 16018, notificata il 26 aprile 2006, recante l’ordine di demolire alcune opere realizzate sul predetto fondo, ritenute abusive in quanto prive di permesso di costruire, consistenti in: – una tettoia con travi portanti in lamellare in legno, copertura in travi e tavolato di legno e guaina ardesiata, avente la superficie di 64 mq (con altezza media di mt 2,40); – un bagno in muratura di 4 mq, collocati su un plateatico in calcestruzzo.
L’istante, in estrema sintesi, lamentava la violazione dell’art. 27, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001 e l’eccesso di potere per difetto di istruttoria, rilevando che: – il manufatto sarebbe esistito sin dal 1927, quindi antecedentemente all’approvazione del primo piano regolatore generale del Comune di Roma del 1934; – la tettoia, originariamente più ampia perché in parte demolita, era stata fatta oggetto di lavori di consolidamento e di risanamento o, al più, di ristrutturazione, per i quali sarebbe bastata una d.i.a.; – in ogni caso sarebbero state presentate sia la domanda di conformità ambientale al Parco (omissis) sia l’istanza di accertamento di conformità ai sensi dell’art. 37 del d.P.R. n. 380 del 2001 al Comune stesso.
2.- Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, con sentenza n. 4021 del 2011, rigettava il ricorso in epigrafe.
3.- Avverso tale sentenza proponeva appello i signori Od. Be., Pi. Gi., Lu. Gi., nella qualità di eredi del signor Vi. Gi. (nel frattempo deceduto in data 7 luglio 2011), deducendo che:
– la motivazione sarebbe contraddittoria in quanto, prima definisce l’opera come nuova, e successivamente la qualifica come ristrutturazione pesante, laddove sia le perizie giurate depositate dal ricorrente che la sentenza del giudice penale sarebbero dell’avviso che l’opera fosse preesistente e che l’intervento fosse di tipo conservativo;
– il T.a.r. non avrebbe tenuto conto della preesistenza della tettoia fin dal 1927, o anteriore al 1967 (come comprovato da documento notarile);
– il giudice penale ha ritenuto (in ordine alla medesima fattispecie) di dover pronunciare assoluzione con formula piena in quanto: “l’opera in questione (ovvero la ristrutturazione della tettoia), doveva essere intesa come manutenzione straordinaria e restauro, e non ha inciso in alcun modo sull’edificio preesistente (ciò anche sotto il profilo del problema paesaggistico, ai sensi dell’art. 149, lettera a), del d.lgs. n. 42 del 2004, ritenuto non rilevante, per il mancato aumento volumetrico del manufatto)”;
– non vi sarebbe dubbio sulla legittimità della ristrutturazione la quale peraltro non ha comportato alcun aumento della cubatura, bensì l’avrebbe addirittura diminuita.
– dovendosi considerare l’intervento posto in essere come conservativo di manutenzione, lo stesso non necessiterebbe del permesso di costruire, bensì semplicemente della dichiarazione di inizio attività, con la conseguenza che la mancata presentazione della stessa comporterebbe non la demolizione, ma una sanzione pecuniaria;
– anche per quanto riguarda il bagno in muratura ricavato sull’estremità del manufatto, si sarebbe trattato di un’opera di ristrutturazione di un precedente bagno di campagna.
4.? Roma Capitale si è costituita in giudizio, chiedendo che l’appello venga dichiarato inammissibile o comunque respinto.
5.? All’udienza del 25 settembre 2018, la causa è stata discussa e trattenuta per la decisione.
DIRITTO
1.- Il presente giudizio di appello riguarda il provvedimento del Comune di Roma prot. n. 16018, notificato il 26 aprile 2006, recante demolizione d’ufficio di una tettoia di 64 mq e di un bagno di 4 mq, collocati su un plateatico in calcestruzzo, realizzati su terreno di proprietà degli odierni appellanti, ubicato in Roma, via (omissis), gravato da vincolo paesaggistico.
2.- Secondo il Collegio, la sentenza appellata ha correttamente rilevato che per la realizzazione delle opere in contestazione sarebbe stato necessario il previo rilascio del permesso di costruire.
2.1.- In termini generali costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia quegli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possano portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. In tale prospettiva, la ristrutturazione ? nelle forme dell’intervento “conservativo” o “ricostruttivo” ? si pone in continuità con tutti gli altri interventi edilizi cosiddetti minori (manutenzione ordinaria, manutenzione straordinaria, restauro e risanamento conservativo), che hanno per finalità il recupero del patrimonio edilizio esistente.
Ai sensi dell’art. 10, comma l, lettera c), del TUE, le opere di ristrutturazione edilizia necessitano di permesso di costruire se consistenti in interventi che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino, modifiche del volume, dei prospetti, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d’uso (ristrutturazione edilizia). In via residuale, la SCIA assiste invece i restanti interventi di ristrutturazione c.d. “leggera” (compresi gli interventi di demolizione e ricostruzione che non rispettino la sagoma dell’edificio preesistente). In relazione, invece, agli immobili sottoposti a vincolo ai sensi del d.lgs. n. 42 del 2004 sono soggetti a SCIA solo gli interventi che non alterano la sagoma dell’edificio.
L’art. 22, comma 3, del TUE prevede tre diverse tipologie di interventi edificatori ? di cui la prima è costituita proprio da quelli di ristrutturazione, come individuati dal precedente art. 10, comma 1, lettera c) ? sottoposti al regime del permesso di costruire, per i quali, per ragioni di carattere acceleratorio, si consente all’interessato di optare per la presentazione della DIA (c.d. “super DIA”). Tale facoltà di opzione esaurisce i propri effetti sul piano prettamente procedimentale, atteso che su quello sostanziale (dei presupposti), penale e contributivo resta ferma l’applicazione della disciplina dettata per il permesso di costruire.
2.2.- Il rilascio del permesso di costruire per la realizzazione di una tettoria è necessario solo quando, per le sue caratteristiche costruttive, essa sia idonea ad alterare la sagoma dell’edificio (Consiglio di Stato, sez. VI, 16 febbraio 2017, n. 694). L’installazione della tettoia è invece sottratta al regime del permesso di costruire ove la sua conformazione e le ridotte dimensioni ne rendano evidente e riconoscibile la finalità di mero arredo e di riparo e protezione dell’immobile cui accedono (Consiglio di Stato, sez. V, 13 marzo 2014 n. 1272).
2.3.- Nel caso in esame, la realizzazione di una tettoia di rilevanti dimensioni e di un nuovo volume (il bagno), avendo innovato il preesistente fabbricato, sia dal punto di vista morfologico che funzionale, era soggetta al regime autorizzatorio. Peraltro, l’esecuzione delle opere in discorso è avvenuta all’interno del Parco (omissis), istituito per l’elevato valore paesaggistico dell’area.
3.- Sotto altro profilo, non è assistita da prova la tesi secondo cui la tettoia sarebbe stata assai risalente nel tempo – segnatamente, si tratterebbe di una tettoia preesistente sin dal 1927, usata come concimaia, per la quale all’epoca non abbisognava alcun tipo di permesso autorizzatorio -, cosicché l’intervento edilizio contestato si sarebbe limitato ad un’opera di manutenzione straordinaria e restauro.
3.1.- Costituisce principio consolidato che l’onere di provare la data di realizzazione dell’immobile abusivo spetti a colui che ha commesso l’abuso e che solo la deduzione, da parte di quest’ultimo, di concreti elementi ? i quali non possono limitarsi a sole allegazioni documentali a sostegno delle proprie affermazioni ? trasferisce il suddetto onere di prova contraria in capo all’amministrazione. Solo l’interessato infatti può fornire inconfutabili atti, documenti ed elementi probatori che siano in grado di radicare la ragionevole certezza dell’epoca di realizzazione di un manufatto e, in difetto di tali prove, resta integro il potere dell’Amministrazione di negare la sanatoria dell’abuso e il suo dovere di irrogare la sanzione demolitoria.
3.2.- Nel caso di specie, gli appellanti non hanno fornito elementi idonei a comprovare la preesistenza del manufatto, nella sua attuale consistenza.
Dall’atto di divisione in data 11 gennaio 2006, risulta sì una tettoia ma, a quel tempo “fatiscente” e dunque bisognevole di sostanziale rispristino, che dunque ha subito – come confermato anche dalle foto – una radicale alterazione di struttura e fisionomia.
Che la “concimaia” esistente prima degli interventi edilizi realizzati dal Sig. Vi. Gi., fosse un manufatto del tutto diverso da come oggi appare -collocato peraltro su un plateatico di calcestruzzo – risulta dalle stesse dichiarazioni del perito depositate in atti, secondo cui: – “il sottoscritto non conoscendo personalmente, lo stato di fatto dell’immobile prima dell’esecuzione delle opere di manutenzione effettuate, può determinare l’entità di queste per confronto tra lo stato attuale e quello precedente riferendosi esclusivamente ad una descrizione del fabbricato preesistente, che seppur in forma sommaria è stata riportata nell’atto di divisione dell’11 gennaio 2006 rep 48061 racc. 17534”;
– “dalla stringata descrizione si evince che si trattava di una tettoia fatiscente che per maggior precisazione riportata in via verbale al sottoscritto dai proprietari, era realizzata con profilati metallici e lamiere posticce, quindi i lavori di manutenzione straordinaria hanno senza dubbio riguardato il rinnovo delle pareti strutturali principali e la sostituzione della copertura con i materiali descritti che hanno reso definitiva la tettoia”; – “nulla può essere detto a riguardo del piccolo bagno adiacente la tettoia coperto dalle falde di tetto della stessa, in quanto in nessuna descrizione precedente lo stesso è stato citato”;
4.- Il precedente penale invocato dagli appellanti non impone conclusioni diverse da quelle appena rassegnate.
4.1.- É vero che l’art. 654 c.p.p. postula l’efficacia extrapenale della sentenza penale irrevocabile di condanna o di assoluzione pronunciata in seguito a dibattimento quando nel giudizio amministrativo “si controverte intorno a un diritto o a un interesse legittimo il cui riconoscimento dipende dall’accertamento degli stessi fatti materiali che furono oggetto del giudizio penale”. Ma il punto è che, secondo un condiviso orientamento, la nozione di “fatti materiali” deve essere limitata alla realtà fenomenica, materiale e storica che ha determinato il convincimento del giudice penale e non può essere anche riferita all’ulteriore procedimento di sussunzione logica del materiale probatorio svolta dal giudice stesso anche attraverso processi argomentativi (la cui articolazione non riguarda l’accertamento del fatto, ma la valutazione di esso). Si tratta di un corollario del principio secondo cui i mutamenti della disciplina del processo penale giustificano sempre meno la compressione del diritto alla prova e del principio del libero convincimento del giudice che l’efficacia extrapenale del giudicato penale comporta. Pertanto, il fatto materiale accertato in sede penale può e deve essere autonomamente valutato nell’ambito del presente giudizio amministrativo senza che operi al riguardo alcun vincolo di pregiudizialità (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, n. 1487 del 2016).
Sotto il profilo soggettivo, inoltre, il giudicato è vincolante solo nei confronti dell’imputato, della parte civile e del responsabile civile che si sia costituito o che sia intervenuto nel processo civile. Non, quindi, nei confronti di altri soggetti che siano rimasti estranei al processo penale, pur essendo in qualche misura collegati alla vicenda penale: ad esempio, il Comune danneggiato che non si sia costituito parte civile (ai fini della opponibilità e vincolatività dell’accertamento di fatto contenuto nel giudicato penale, non è dunque neppure sufficiente la circostanza che il comune sia stato citato, per il dibattimento, nella veste di parte offesa del reato).
4.2.- Nel caso di specie: non risulta dimostrato in atti che la sentenza di assoluzione sia divenuta irrevocabile (anche se è vero che la circostanza non risulta contestata dal Comune, costituitosi in giudizio); la sentenza penale non incide sui poteri decisori nel presente giudizio amministrativo, poiché Roma Capitale non si è costituita parte civile nel processo penale; si ritiene di non poter condividere la qualificazione giuridica del fatto (opere non soggette a permesso di costruire, in quanto di natura meramente manutentiva), come accertato nella sentenza penale, per le ragioni sopra espresse.
5.- Alla luce dei rilievi appena svolti, l’appello deve essere respinto.
6.? Le spese del secondo grado di giudizio possono compensarsi atteso il carattere risalente della controversia.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Compensa interamente le spese di lite tra le parti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 25 settembre 2018 con l’intervento dei magistrati:
Sergio Santoro – Presidente
Oreste Mario Caputo – Consigliere
Dario Simeoli – Consigliere, Estensore
Francesco Gambato Spisani – Consigliere
Davide Ponte – Consigliere
Leave a Reply