Consiglio di Stato, sezione seconda, Sentenza 3 settembre 2019, n. 6067.
La massima estrapolata:
Il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse, diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata, che impongono la rimozione dell’abuso. Il principio in questione non ammette deroghe neanche nell’ipotesi in cui l’ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso.
Sentenza 3 settembre 2019, n. 6067
Data udienza 30 aprile 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7551 del 2012, proposto dai signori Gi. Lo. ed altri, in qualità di eredi degli originari appellanti signori Da. Lo. e Al. Da. Fi., e dal signor Ad. Lo., rappresentati e difesi dagli avvocati St. Ce. e Il. Ro., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Il. Ro. in Roma, via (…);
contro
il Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, non costituito in giudizio;
per la riforma della sentenza breve del Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, sezione seconda, n. 1044/2012, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
visti tutti gli atti della causa;
relatore nell’udienza pubblica del giorno 30 aprile 2019 il consigliere Francesco Frigida e udito per le parti appellanti l’avvocato Il. Ro.;
ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. L’oggetto del presente giudizio è costituito dalle ordinanze di demolizione numeri 71 e 73 del 2012 emanate dal Comune di (omissis) in relazione ad alcuni manufatti (stalla e pollaio la prima ordinanza, fienile e canile la seconda) insistenti su un terreno di proprietà dei signori Da. Lo. ed altri.
2. Avverso siffatte ordinanze, i su citati proprietari hanno proposto due distinti ricorsi di primo grado numeri 16 del 2012 e 17 del 2012, dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Veneto.
Il Comune di (omissis) non si è costituito nei due giudizi.
3. Con l’impugnata sentenza in forma semplificata n. 1044 del 27 luglio 2012, il T.a.r. per il Veneto, dopo aver riunito i ricorsi, li ha respinti.
In particolare il collegio di primo grado ha osservato che gli ordini di demolizione sono atti vincolati e non richiedono, pertanto, una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione di quest’ultimo con gli interessi privati coinvolti. Il T.a.r. ha peraltro affermato di essere a conoscenza dell’orientamento giurisprudenziale che richiede una congrua e più articolata motivazione in considerazione del notevole lasso di tempo intercorso tra la sanzione e l’abuso nelle ipotesi in cui l’inerzia dell’amministrazione abbia ingenerato un affidamento del privato; tuttavia ha precisato che i ricorrenti non avevano fornito alcuna prova certa circa l’epoca della realizzazione degli abusi e l’effettiva conoscenza di questi da parte dell’amministrazione.
4. Con ricorso ritualmente notificato e depositato – rispettivamente in data 28 settembre 2012 e 25 ottobre 2012 – i signori Da. Lo. ed altri hanno interposto appello avverso la su menzionata sentenza, articolando due motivi.
4.1. Con il primo motivo gli appellanti hanno dedotto un travisamento dei fatti ed un’omessa valutazione delle risultanze documentali, sostenendo che l’amministrazione sia stata senz’altro a conoscenza della presenza dei manufatti oggetto di demolizione.
Al riguardo le parti private hanno rappresentato di aver prodotto nel giudizio di primo grado un documento da cui emergeva chiaramente la risalente conoscenza, da parte dell’amministrazione, dell’esistenza della stalla. Segnatamente si tratta del provvedimento di rigetto emesso dal Comune di (omissis) in data 1° settembre 2012 in relazione alla richiesta di concessione edilizia avanzata dagli appellanti per la ristrutturazione ed ampliamento della stalla; il rigetto è stato motivato anche sulla circostanza che non era stata dimostrata la regolarità dei fabbricati esistenti.
Gli appellanti hanno sostenuto inoltre che non sia possibile indicare una data certa della costruzione delle opere oggetto dei provvedimenti demolitori e che sarebbe provato che queste fossero in loco da molti anni; il che sarebbe stato espressamente riconosciuto anche dalle ordinanze impugnate, laddove il Comune di (omissis) ha dichiarato che “gli interventi sono stati eseguiti molti anni fa”.
Le parti private hanno altresì evidenziato la sussistenza di tre dichiarazioni sostitutive degli atti di notorietà rilasciate da persone che avevano abitato o abitano tuttora nelle immediate vicinanze della famiglia Lovato o che avevano frequentato i luoghi per ragione di amicizia degli appellanti, le quali hanno affermato, come da documentazione versata in atti, di ricordare che i manufatti in questione fossero esistenti “sin dai primi anni ’60”.
4.2. Con il secondo motivo gli appellanti hanno lamentato un’omessa valutazione circa un punto decisivo della controversia, avendo il T.a.r. totalmente ignorato il secondo motivo di ricorso di primo grado, con cui si era specificato che all’epoca della realizzazione delle opere in questione non era necessario preventivamente ottenere alcun titolo edilizio.
5. All’udienza del 18 ottobre 2018 i difensori hanno dichiarato la morte dei signori Da. Lo. e Al. Da. Fi., sicché veniva dichiarata l’interruzione del processo, che veniva riassunto dai signori Gi. Lo. ed altri, in qualità di eredi dei defunti originari appellanti, nonché dal signor Ad. Lo. in proprio.
6. Il Comune non si è costituito nel presente grado di giudizio.
7. La causa è stata trattenuta in decisione all’udienza pubblica del 30 aprile 2019.
8. L’appello è infondato e deve essere respinto alla stregua delle seguenti considerazioni in fatto e diritto.
9. I due motivi d’appello – attesa la loro stretta embricazione – posso essere trattati congiuntamente.
Il T.a.r. ha correttamente evidenziato che in presenza di un atto vincolato, qual è l’ordine di demolizione, non è richiesta una specifica motivazione delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione di quest’ultimo con gli interessi privati coinvolti.
In particolare, come statuito dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato con la sentenza numero 9 del 2017, in materia di abusivismo edilizio non può essere invocato il legittimo affidamento del privato e la necessaria presenza di particolari ragioni di pubblico interesse alla demolizione, in guisa che “il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell’abuso. Il principio in questione non ammette deroghe neanche nell’ipotesi in cui l’ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso”.
In ogni caso, anche volendo ritenere sussistente un più pregnante onere di motivazione in considerazione del notevole lasso di tempo intercorso tra la sanzione e l’abuso, questo non trova applicazione nel caso de quo, come correttamente rilevato dal collegio di primo grado, vista la mancata dimostrazione – mediante prova inequivocabile riferita ad elementi documentali incontrovertibili – dell’effettiva conoscenza della datazione delle opere abusive da parte dell’amministrazione.
In proposito preme sottolineare che, seppure l’amministrazione comunale fosse a conoscenza dell’esistenza dei manufatti, presenti con certezza sin dagli anni novanta (epoca del provvedimento di rigetto della concessione edilizia), gli appellanti non hanno in alcun modo dimostrato che i predetti manufatti fossero stati costruiti in un’epoca in cui non era necessario alcun provvedimento autorizzatorio, ovverosia prima della legge n. 765 del 1967, posto che, come chiarito dalla giurisprudenza amministrativa, nel periodo tra la legge urbanistica e la legge ponte non sussisteva l’obbligo di licenza per edificare fuori dai centri abitati (cfr. Cons. Stato, sezione VI, sentenze 7 agosto 2015, n. 3899 e 28 gennaio 2014, n. 435).
In sostanza, la circostanza che i manufatti siano stati realizzati negli anni sessanta del secolo scorso è asseverata soltanto da un atto di notorietà sottoscritto da alcuni conoscenti degli appellanti, che, com’è noto, sono dichiarazioni stragiudiziali, come tali non costituenti prova nel processo amministrativo.
10. In conclusione l’appello deve essere respinto.
11. Nulla per le spese di lite del presente grado di giudizio, attesa la mancata costituzione dell’amministrazione appellata.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione seconda, definitivamente pronunciando sull’appello n. 7751 del 2012, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata; nulla per le spese di lite del presente grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 30 aprile 2019, con l’intervento dei magistrati:
Gabriele Carlotti – Presidente
Italo Volpe – Consigliere
Francesco Frigida – Consigliere, Estensore
Giovanni Orsini – Consigliere
Carla Ciuffetti – Consigliere
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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