Consiglio di Stato, Sentenza|7 gennaio 2021| n. 172.
Il principio di precauzione, di matrice eurounitaria, impone che l’ordine di bonifica, in quanto posto a tutela di interessi evidentemente “sensibili”, sia eseguito sollecitamente, senza che possano trovare spazio incertezze o differimenti, in conseguenza dei quali il danno ambientale potrebbe ampliarsi. Il problema non è la natura solidale o parziaria dell’obbligo di bonifica, in quanto di tale natura potrebbe discutersi solo ove fossero stati in concreto individuati soggetti responsabili in grado di provvedere sollecitamente Viceversa, la questione afferisce al se, in presenza di potenziali corresponsabili, sia possibile attendere l’evolversi dell’attività amministrativa, finalizzata ad una loro eventuale individuazione, per procedere alle operazioni di bonifica, e la risposta a tale questione, in un’ottica di corretta azione amministrativa, non può che essere negativa, atteso che il protrarsi del tempo, necessario all’espletamento di una congrua istruttoria, potrebbe compromettere ulteriormente il valore costituzionale costituito dalla tutela dell’ambiente. Di contro, ove dovessero essere individuati ulteriori responsabili dell’inquinamento, il soggetto giuridico che ha posto in essere gli interventi di bonifica potrebbe agire in rivalsa, ai sensi dell’art. 253, comma 4, seconda parte, del d.lgs. n. 152 del 2006, nei confronti del corresponsabile o dei corresponsabili nella misura a loro imputabile.
Data udienza 11 novembre 2020
Integrale
Tag – parola chiave: Inquinamento del suolo – Rifiuti – Bonifica siti contaminati – Titolo V parte IV, d.lgs. 152/2006 – Ratio del rapporto tra disposizione dell’art. 244 e dell’art. 252 – Fondamento art. 244, d.lgs. n. 152/2006 – Giurisprudenza
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9082 del 2017, proposto dal Comune di Torino, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ma. La. e Ma. Co., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Ma. Co. in Roma, viale (…);
contro
la Fi. Ch. Au. N.V., già Fi. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Fe. Pe., Lu. Bu. e Lu. Ma., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Lu. Ma., in Roma, via (…);
Ministero dell’Interno, Ufficio Territoriale del Governo di Torino, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, con domicilio eletto ope legis in Roma, via (…);
nei confronti
la Città Metropolitana di Torino, in persona del Vice Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ci. Pi. e Pa. Sc., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Lu. Di Ra. in Roma, via (…);
il Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Sa. Mi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
il Gr. To. Tr. – G.T.. s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Ed. Th. de Co., con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia;
la Ca. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Al. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
la dottoressa Al. Cu., rappresentata e difesa dagli avvocati Te. Ma. e An. Cr., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato An. Cr., in Roma, via (…);
il Comune di (omissis) e i signori ed altri, non costituiti in giudizio;
per la riforma
quanto all’appello proposto dal Comune di Torino,
in parte qua, della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte, Sezione Prima, n. 717 del 9 giugno 2017
quanto all’appello incidentale autonomo proposto dalla Fi. Ch. Au. N.V.,
per la parziale riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte, Sezione Prima, n. 717 del 9 giugno 2017
quanto all’appello proposto dal Gr. To. Tr. – GT. s.p.a.,
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte, Sezione Prima, n. 717 del 9 giugno 2017, limitatamente alla parte in cui ha disposto il riavvio, anche nei confronti di GT., quale società derivante da SA. (Società per Azioni To. Tr. In.), del procedimento promosso ai sensi dell’art. 244 del n. 152 del 2006.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Fi. Ch. Au. N.V., del Gr. To. Tr. – GT. s.p.a., della Città Metropolitana di Torino, del Comune di (omissis), della Ca. S.r.l., della dottoressa Al. Cu. e del Ministero dell’Interno, Ufficio Territoriale del Governo di Torino;
Visti i ricorsi incidentali autonomi proposti dalla Fi. Ch. Au. N.V. e dal Gr. To. Tr. – GT. s.p.a.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 11 novembre 2020, svoltasi da remoto ai sensi dell’art. 25 del decreto legge n. 137 del 2020, il Cons. Roberto Caponigro e uditi per le parti gli avvocati Ma. Co., Fe. Pe., Ed. Th. de Co., Te. Ma. e Al. Ma., che partecipano alla discussione orale ai sensi del detto art. 25 del decreto legge n. 137 del 2020;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Il Tar per il Piemonte, con l’impugnata sentenza n. 717 del 2017, ha operato un’analitica ricostruzione della complessa vicenda contenziosa.
In particolare, ha rappresentato che:
– il fondo indicato nell’ordinanza di bonifica, meglio conosciuto come “ex area Ca.”, era un tempo adibito a cava ed è stato di proprietà della Fi. s.p.a. dal 1967 al 1991;
– nel 2003, in occasione dell’avvio di lavori di realizzazione di una infrastruttura produttiva ad opera dei nuovi proprietari, la Ca. s.r.l. e la signora Al. Cu., furono rinvenuti rifiuti interrati che rischiavano di compromettere la falda sotterranea e per tale ragione il Dirigente del Settore Servizi Tecnici e Ambientali del Comune di (omissis) aveva ordinato la bonifica del sito;
– nel 2004 veniva approvato il piano di caratterizzazione dell’area Ca. (ex Fi.);
– nel 2006 interveniva la approvazione dei progetti definitivi di bonifica, fase I, e nel 2007 la approvazione dei progetti definitivi di bonifica, fase II;
– nel 2010, tuttavia, in occasione del collaudo delle nuove opere realizzate sul sito, veniva effettuato un campionamento dal quale emergeva la presenza di gas che superavano i limiti di esplosività;
– la Provincia chiedeva allora di valutare l’opportunità di apportare una variante al progetto di bonifica;
– nel 2012 veniva rilevata dall’ARPA la presenza di gas interstiziali nei locali interrati dei fabbricati realizzati sull’area di interramento dei rifiuti, e nel 2013 veniva apprezzata la presenza di gas metano anche nei locali interrati dei fabbricati posti nella zona a sud ed a est dell’area stessa;
– per tale ragione, con ordinanza n. 50 del 2013, il Sindaco del Comune di (omissis) ordinava a Ca. s.r.l. ed alla signora Cu. di implementare le misure di sicurezza allo scopo di riportare la concentrazioni di gas indooor e outdoor entro i limiti di sicurezza;
– la Ca. s.r.l. e la signora Cu. provvedevano ad installare, sulle aree di rispettiva proprietà, un impianto di estrazione del biogas, in relazione al quale il Sindaco, con la successiva ordinanza n. 24 del 2014, ordinava l’adozione di migliorie. Parallelamente il Sindaco, con ordinanza n. 145 del 2013 ordinava ai residenti ed ai proprietari di stabili nella vicina Via della Cava n. 14, di posizionare sistemi di monitoraggio continuo del gas all’interno dei locali interrati o, in alternativa, di ivi dismettere l’impianto elettrico.
Nel descritto contesto, il Sindaco del Comune di (omissis), con l’ordinanza contingibile ed urgente n. 50 del 24 giugno 2014, ha esteso anche alla Fi. Ch. Au. N.V. (di seguito anche FC. o Fi.) – in qualità di soggetto responsabile della realizzazione della discarica di rifiuti industriali, realizzata presso le aree ricomprese tra strada (omissis) – l’ordine di predisporre un piano di monitoraggio di metano e gas interstiziali nocivi, di eseguire degli interventi di messa in sicurezza e di adottare ogni altra misura utile a garantire il corretto monitoraggio di gas e vapori sulle aree contigue, in particolare nella zona sud della discarica tra Viale (omissis) e Via (omissis).
La Fi. ha impugnato l’ordinanza n 50 del 2014 del Comune di (omissis) dinanzi al Tar Piemonte con il ricorso R.G. n. 1217 del 2014, chiedendo, in subordine, la condanna del Comune di (omissis) al risarcimento del danno conseguente alla necessità di dare esecuzione all’ordinanza, da quantificare in non meno di euro 833.052,38, vale a dire all’ammontare delle somme di denaro già pagate dalla Fi. alla Ca. a rimborso delle spese da questa sostenute per la bonifica del sito.
Con motivi aggiunti al ricorso R.G. n. 1217 del 2014, la FI. Ch. Au. N.V., succeduta alla Fi. s.p.a, ha impugnato l’ordinanza contingibile ed urgente n. 9 del 18 febbraio 2015, con cui il Sindaco del Comune di (omissis), ad integrazione della ordinanza n. 50 del 2014, ha ordinato alla Fi. di intensificare il piano di monitoraggio nelle more della adozione degli interventi di messa in sicurezza appropriati.
In proposito, la Fi. ha evidenziato di avere ottemperato alla ordinanza n. 50 del 2014, implementando un sistema di monitoraggio dei gas, ed ha riferito che il 2 febbraio 2015 sono stati avviati i primi campionamenti dai quali risultava che in uno dei quattro pieziometri i valori di metano erano compresi nel limite di esplosività, per cui l’ARPA Piemonte ha chiesto agli Enti competenti la adozione dei provvedimenti del caso.
La Provincia di Torino, nelle more, ha avviato il procedimento finalizzato alla adozione dell’ordine di bonifica, a conclusione del quale ha emanato il provvedimento n. 44-11235 del 9 aprile 2015, che ha individuato la FC. quale responsabile dell’inquinamento, insieme ai signori Ri. e Bo. (danti causa della società in quanto proprietari dell’area prima del trasferimento della proprietà nel 1967).
Di talché, la Fi. ha impugnato l’ordine di bonifica del 9 aprile 2015 dinanzi al Tar per il Piemonte, con il successivo ricorso R.G. n. 657 del 2015.
Con motivi aggiunti, depositati nell’ambito del ricorso R.G. n. 657 del 2015, la Fi., premettendo di aver avviato, a mero titolo collaborativo e senza ammettere la propria responsabilità, gli interventi di bonifica ambientale e di aver quindi proposto, una volta eseguito i monitoraggi, un piano per l’estrazione ed il trattamento del biogas, ha impugnato l’ordinanza del Comune di (omissis) n. 338 del 9 novembre 2015, nella parte in cui ha affermato che tale intervento non sarebbe esaustivo di quanto richiesto dalla Città Metropolitana con l’ordinanza n. 44-11235 del 9 aprile 2015.
La Fi., in quanto atti presupposti, ha inoltre impugnato: la comunicazione di avvio del procedimento del 21 ottobre 2015; il verbale del Tavolo Tecnico del 22 settembre 2015 nonché la comunicazione della Città Metropolitana del 13 agosto 2015, nella parte in cui tali atti hanno evidenziato che le misure contemplate nel progetto presentato dalla FI. sono da inquadrarsi esclusivamente tra gli interventi di messa in sicurezza, presso un settore limitato dell’area.
Con ulteriori motivi aggiunti, proposti nel ricorso R.G. n. 1214 del 2014, la FC. ha impugnato: a) la nota del Comune di (omissis) n. 37318 del 29 giugno 2016, nella parte in cui ha imposto il collegamento del punto di monitoraggio LFG01 alla zona est del parcheggio, la effettuazione di nuove prove di aspirazione costante presso il punto LFG01, al fine di tenere monitorato, in via continuativa, l’andamento delle concentrazioni di gas metano e la acquisizione di informativa aggiornata in ordine alle campagne di monitoraggio condotti da Ca. s.r.l. e Cu.; b) la nota del Comune di (omissis) n. 46186 del 18 agosto 2016, trasmessa per conoscenza.
2. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte, Sezione Prima, con la sentenza n. 717 del 2017, previa riunione dei relativi giudizi, ha così provveduto:
– ha respinto il ricorso n. 1217/2014 R.G. ed i relativi motivi aggiunti;
– ha accolto il ricorso n. 657/2015 R.G. nei limiti e nei sensi di cui in motivazione;
– ha respinto i motivi aggiunti depositati nell’ambito del ricorso n. 657/2015 R.G.
– ha dichiarato inammissibile il ricorso incidentale spiegato, nell’ambito del giudizio n. 657/2015 R.G., dai signori Ca. An. Me., Ca. Bo., To. Gi. Bo.;
– visto l’art. 34 comma 1 lett. e), ha disposto “che la Città Metropolitana di Torino, entro trenta giorni dalla comunicazione della presente decisione, avvii il procedimento finalizzato a riesaminare l’ordinanza di bonifica n. 44-11235 del 9 aprile 2015, al solo fine di verificare, ovviamente in contraddittorio con gli interessati, se in relazione al conferimento di rifiuti solidi urbani, ascrivibile alla gestione della ex-cava Ca. da parte dei signori Ri. Do. e Bo. To., possano e debbano essere chiamati a rispondere gli eredi di costoro, e/o i Comuni di (omissis), (omissis) e Torino e/o la S.A..”.
Per quanto concerne il limitato accoglimento del ricorso R.G. n. 657 del 2015, infatti, il Tar sabaudo ha statuito che: “il ricorso n. 657/2015 va accolto nella sola parte in cui non prende in alcuna considerazione l’ipotesi che altri soggetti, meglio indicati in motivazione, possono essere responsabili per l’inquinamento derivante dal deposito di rifiuti solidi urbani. Tale illegittimità non giustifica, allo stato, l’annullamento, in tutto o in parte, della ordinanza di bonifica 9 aprile 2015 della Città Metropolitana, fermo restando che questa ultima dovrà riaprire il procedimento per valutare la posizione degli eredi dei signori Ri. e Bo., quella dei Comuni di (omissis), (omissis) e Torino nonché quella di S.A.. e decidere se ed in che misura tali soggetti debbano ritenersi corresponsabili insieme ad FC., limitatamente alla condotta di conferimento di rifiuti solidi urbani nel periodo 1964-1967/68”.
3. Il presente giudizio è stato introdotto dal Comune di Torino, che ha impugnato in parte qua la sentenza del Tar per il Piemonte n. 717 del 2017.
Il Comune ha rammentato, sotto il profilo fattuale, che, cessata l’attività di cava, autorizzata nell’anno 1956 in un’area sita in località (omissis). (Comune di (omissis)), lo scavo, colmatosi d’acqua per le precipitazioni naturali, venne utilizzato dai gestori, signori Ri. e Bo., quale deposito per il conferimento di rifiuti di provenienza urbana, impiegati in funzione di un allevamento suinicolo.
Ha altresì rappresentato che, negli anni 1964 e 1965, per problemi di natura sanitaria, il Comune di (omissis) intimò la cessazione dell’attività che, però, in forza di un accordo tra i gestori ed il Comune, venne autorizzata in prosecuzione sino al febbraio 1968, allorché venne ordinata la definitiva cessazione dello scarico di immondizie.
Peraltro, ha proseguito l’amministrazione comunale, nel febbraio 1967, la proprietà dell’area era stata acquistata dalla Fi. s.p.a. in funzione dello stoccaggio in sito di autoveicoli resi inservibili a seguito dell’alluvione di Firenze, ma l’area, ancorché le carcasse di tali veicoli fossero state asportate dopo alcuni anni (1972-1975), continuò ad essere ininterrottamente utilizzata in funzione del conferimento dei rifiuti di origine industriale, sin tanto che, nell’anno 1991, essa venne ceduta dalla Fi. s.p.a. alla Ca. s.r.l., intenzionata ad un utilizzo edificatorio.
Il Comune di Torino ha altresì premesso che, nei primi anni 2000, essendo stati avviati i lavori edificatori, veniva alla luce lo stato di grave inquinamento in cui versava l’area, interessata da materiali inquinanti di origine industriale e che, in epoca più recente (anni 2010/2012) si riscontravano nella medesima zona forti concentrazioni di gas e (anno 2013) di biogas, donde l’adozione, da parte degli Enti competenti, di ulteriori misure di monitoraggio e di bonifica.
L’Amministrazione comunale ha proposto appello avverso la sentenza di primo grado, nella parte in cui ha ipotizzato una possibile corresponsabilità del Comune di Torino nella produzione del danno ambientale ed ha imposto alla Città Metropolitana di Torino di esperire una istruttoria orientata in tal senso.
In particolare, il Comune ha evidenziato che, dall’annullamento di un provvedimento amministrativo per parziale vizio di motivazione, scaturirebbe un mero obbligo motivazionale, non certamente e necessariamente l’impulso allo svolgimento di nuovi accertamenti istruttori funzionali all’acquisizione al procedimento precedentemente concluso di nuovi elementi valutativi.
4. L’appello avverso tale sentenza, per motivi sostanzialmente analoghi, è stato proposto anche dal Gr. To. Tr. GT., Società succeduta alla SA., gestore del servizio di raccolta rifiuti solidi urbani del Comune di Torino.
Il GT. ha proposto appello per la lesività di alcuni capi della decisione impugnata, in particolare là dove SA. (e per essa il GT.) è individuata, seppure in via meramente astratta, quale corresponsabile e là dove afferma la sussistenza di solidarietà degli eventuali corresponsabili.
A tal fine ha dedotto i seguenti motivi:
Violazione dell’art. 244 del d.lgs. 152 del 2006. Errata interpretazione dell’ordinanza della Città Metropolitana n. 44-11235. Errata interpretazione del principio di causalità.
La Città Metropolitana di Torino, a differenza di quanto erroneamente ritenuto dal Tar, avrebbe circoscritto l’ambito dei responsabili a quei soli soggetti (Fi. e signori Ri. e Bo.), che per anni hanno avuto la disponibilità dell’area ex Ca. e per anni vi hanno svolto attività (autorizzate o meno) comportanti ammasso/depositi di rifiuti, con modalità che si sono rivelate inidonee a salvaguardare l’ambiente.
Se anche la SA. avesse conferito rifiuti, tale attività di per sé non potrebbe generare responsabilità ex art. 244 del d.lgs. n. 152 del 2008 perché la presenza di biogas non deriverebbe causalmente dal mero conferimento dei rifiuti, ma dalla modalità impropria con cui l’area è stata gestita a discarica da operatori professionali.
Se la Fi. è stata individuata dal giudice civile quale unico soggetto responsabile della contaminazione, con statuizione giurisdizionale alla quale la stessa Fi. ha prestato acquiescenza, non dovrebbe esservi spazio per l’esercizio di discrezionalità tecnica contraria alla predetta pronuncia.
Violazione del principio di irretroattività (cfr artt. 10 preleggi c.c. nonché artt. 264 e ss. d.lgs. n. 152 del 2006 recanti disposizioni transitorie e finali sulla parte IV). Violazione dell’art. 34/2 c.p.a.
Il Tar ha chiesto alla Città Metropolitana di effettuare approfondimenti istruttori in relazione a soggetti, diversi da quelli già individuati (la Fi. ed i signori Ri. e Bo.), che risulterebbero avere contribuito causalmente a generare l’inquinamento/contaminazione dell’area per aver autorizzato la discarica o avervi conferito rifiuti.
Nel caso di specie e con riguardo al periodo considerato (1964-1967/1968), imporre alla Città Metropolitana un accertamento della responsabilità fondato esclusivamente sull’esistenza di un nesso causale si risolverebbe in una inammissibile applicazione retroattiva delle norme sulla responsabilità oggettiva, contenute in disposizioni sopravvenute (art. 244 e ss d.lgs. n. 152 del 2006), a comportamenti risalenti a circa cinquanta anni fa.
Non risulterebbe comunque acquisita idonea prova di conferimenti significati nella discarica da parte della SA..
Violazione del principio dell’art. 244 d.lgs. n. 152 del 2006 e contraddittorietà sotto altro profilo.
Dai documenti acquisiti, il coinvolgimento di GT. avrebbe dovuto essere immediatamente escluso.
In subordine, sulla parziarietà.
Se l’azione di bonifica deve essere unitaria, ciò non toglie che ad essa siano chiamati a partecipare gli eventuali corresponsabili in relazione alle singole percentuali di responsabilità che rileverebbero immediatamente, non solo in sede di regresso.
5. La Fi. Ch. Au. N.V., già Fi. s.p.a., ha proposto un controricorso con un appello incidentale autonomo.
5.1. Con tale appello ha analiticamente censurato la sentenza di primo grado che ha riconosciuto la sua responsabilità per l’inquinamento dell’area ex Ca..
Il tema centrale dell’appello incidentale presentato dalla FC., infatti, riguarda la sua asserita responsabilità così come ritenuta nell’ordinanza di bonifica adottata dalla Città Metropolitana di Torino e nelle ordinanze contingibili ed urgenti dal Sindaco del Comune di (omissis).
Di talché, la FC. ha proposto il gravame in via incidentale ed autonoma contro la sentenza nella parte in cui, pur non escludendo responsabilità di altri soggetti terzi pubblici e privati, ha ritenuto che fosse, in ogni caso, sussistente una responsabilità della FC. per omessa vigilanza o anche per responsabilità diretta.
In particolare, ha dedotto quattro articolati motivi, così sintetizzati:
1. A) La sentenza ha erroneamente attribuito a Fi. una responsabilità per omessa vigilanza.
Vi è stato un abbandono abusivo di rifiuti da parte di terzi, così come segnalato dal Comune, e la Fi. ha riscontrato la segnalazione precisando che avrebbe diffidato l’autore, un terzo estraneo, dal proseguire la condotta abusiva; tuttavia il Tar non ha ritenuto sufficiente tale condotta, ritenendo che la Fi. avrebbe dovuto installare recinzioni e attuare un sistema di sorveglianza.
Il tema, quindi, atterrebbe alla responsabilità che, all’epoca dei fatti, gravava sul proprietario di un’area nella quale terzi hanno illecitamente abbandonato rifiuti.
L’art. 192 d.lgs. n. 152 del 2006 prevede la responsabilità del proprietario che abbia concorso con dolo o colpa, ma tale responsabilità non implicherebbe l’adozione, da parte del proprietario, di un comportamento attivo.
L’installazione di una recinzione o di un sistema di sorveglianza non eviterebbero con certezza abbandoni abusivi, soprattutto in presenza di aree molto vaste, difficilmente controllabili, contemporaneamente, in tutto il perimetro, per cui né la recinzione né il sistema di sorveglianza erano (e sono) obblighi la cui omissione possa essere valutata in termini di colpa e responsabilità.
La normativa vigente all’epoca dei fatti non solo non contemplava una responsabilità concorrente del proprietario, ma nemmeno vietava l’abbandono di rifiuti su un’area privata, atteso che l’art. 9 del d.P.R. n. 915 del 1982 vietava “l’abbandono, lo scarico o il deposito incontrollato dei rifiuti in aree pubbliche e private soggette ad uso pubblico”.
La cultura ambientale sarebbe patrimonio recente, per cui non sorprenderebbe che la normativa speciale sui rifiuti, all’epoca, vietasse l’abbandono di rifiuti solo in area pubblica o ad uso pubblico e non in area privata.
Il Tar avrebbe equivocato sulla violazione dell’art. 4 del decreto 20 maggio 28 del Capo del Governo, in quanto la FC. non ha realizzato e non ha mai consentito che terzi realizzassero una discarica nell’area di sua proprietà.
Se il proprietario nemmeno oggi è tenuto a recintare o sorvegliare l’area di sua proprietà, nonostante vi sia una norma che astrattamente lo considera come potenziale corresponsabile, a maggior ragione l’omessa vigilanza o l’omessa recinzione non potevano ritenersi, all’epoca, comportamenti contrari al buon senso.
Per l’individuazione del soggetto responsabile dell’inquinamento, sarebbe necessario un rigoroso accertamento, nonché sarebbe necessario accertare il nesso di causalità che lega il comportamento del responsabile all’effetto consistente nella contaminazione, accertamento che presupposte un’adeguata istruttoria, non essendo configurabile una sorta di responsabilità oggettiva facente capo al proprietario o al possessore dell’immobile in ragione di tale sola qualità.
Gli obblighi riguarderebbero il proprietario attuale del sito contaminato, per cui il tema – che trova origine nell’onere reale che, a partire dal d.lgs. n. 22 del 1997, graverebbe sul fondo – potrebbe porsi rispetto alla Società Ca. e alla signora Cu., odierni proprietari, ma non rispetto a chi è stato, in passato, il proprietario di un’area della quale altri soggetti hanno oggi la piena ed esclusiva disponibilità.
1. B) La tesi della responsabilità diretta, ove non consista in un obiter dictum, risulta manifestamente infondata e sprovvista di elementi di prova o anche solo di mere presunzioni.
Una responsabilità diretta della Fi. sarebbe solo accennata, ma il Tar non la porrebbe a base della sua decisione, esprimendosi in termini ipotetici e dubitativi.
Le deduzioni del giudice di primo grado, che sembrerebbero integrare un obiter dictum, non sarebbero condivisibili, in quanto non vi sarebbe alcuna prova che le autovetture abbiano rilasciato sostanze inquinanti.
L’alluvione si è verificata nel 1966, nel 1968 i signori Ri. e Bo. ancora gettavano rifiuti, mentre il conferimento delle auto avvenne in epoca successiva e durò sino al 1970, sicché, verosimilmente, le auto danneggiate avevano già perso le sostanze inquinanti durante l’alluvione o, comunque, negli anni successivi di stoccaggio in altri luoghi e, quindi, ben prima di arrivare in area Ca..
1. C) Le valutazioni sull’obbligazione, ove non consistano in un obiter dictum, risultano infondate in diritto.
La parziarietà dell’obbligo risarcitorio consistente nella realizzazione della bonifica costituirebbe una puntuale applicazione del principio chi inquina paga, atteso che sarebbe ingiusto ritenere che, in presenza di contributi diversi tra loro, per durata o per sostanze, un soggetto debba pagare per tutti.
Solo se ed in quanto, dopo che tutti i responsabili sono stati chiamati dalla Provincia ad attivarsi, dovesse emerge una concreta impossibilità di distinguere gli apporti dei singoli e dovesse parimenti emergere una concreta impossibilità di realizzare, ciascuno per quanto di propria competenza, interventi parziali che, messi insieme, potrebbero portare al risanamento totale, sarebbe possibile interrogarsi sulla possibilità di pretendere, da uno soltanto, l’esecuzione del tutto.
1. D) La contraddittorietà della sentenza nella parte in cui, pur avendo accolto il ricorso che chiedeva l’annullamento dell’ordinanza, l’ha mantenuta in vigore ed efficacia rispetto a FC..
La sentenza ha accolto il motivo di ricorso con cui si è censurato il mancato coinvolgimento di tutti i soggetti che, nelle diverse vesti, gestirono, autorizzarono o sfruttarono la discarica di rifiuti urbani.
Tuttavia, in modo atipico, la sentenza ha lasciato che tale ordinanza restasse vigente nei confronti della ricorrente.
La contraddittorietà sarebbe evidente, in quanto il Tar, correttamente, ha ritenuto che l’obbligazione sia parziaria, ed ha riconosciuto che altri soggetti potrebbero essere tenuti a bonificare e, di conseguenza, ha ritenuto che la FC. debba intervenire solo su ciò che le compete.
Ciò nonostante, la Fi. dovrebbe comunque andare avanti con il procedimento, non per la sua parte, ma per tutto il resto.
5.2. La FC. ha contestato la fondatezza dell’atto di appello proposto dal Comune di Torino.
5.3. Parimenti, ha contestato la fondatezza dei primi tre motivi dell’appello incidentale autonomo proposto dal G.T.., mentre ha aderito al quarto motivo d’appello proposto, in subordine, dal Gr. To. Tr. in merito alla parziarietà dell’obbligo.
La sentenza, nell’accogliere il motivo di ricorso in cui è stato contestato l’omesso coinvolgimento di altri soggetti, e ciò in ragione della parziarietà dell’obbligazione, ha negato la solidarietà dell’obbligo, e ciò sarebbe contraddittorio con il mancato annullamento dell’ordinanza.
6. La Città Metropolitana di Torino ha analiticamente controdedotto, chiedendo la reiezione sia dell’appello principale proposto dal Comune di Torino sia degli appelli incidentali autonomi proposti dalla Fi. Ch. Au. N.V. e dal Gr. To. Tr..
7. La dottoressa Cu., in qualità di proprietaria, ha chiesto che siano dichiarati improcedibili gli appelli proposti dal Comune di Torino e dal GT. s.p.a., che sia respinto l’appello proposto dalla Fi. e che sia accertata, ai sensi dell’art. 101 c.p.a., la formazione del giudicato interno, in quanto non investito da censura da parte delle appellanti, sul capo della sentenza che esclude il nesso causale tra le opere da lei realizzate ed il fenomeno relativo alle esalazioni di biogas, per come concretamente sviluppatesi, dovendosi queste ultime ritenere ascrivibili allo stato di inquinamento dell’area Ca..
La formazione del giudicato interno atterrebbe, in particolare, al capo della sentenza del Tar Piemonte n. 717 del 2017, secondo cui:
“ – il c.d. “capping”, cioè la copertura che Ca. s.r.l. e la signora Cu. hanno collocato a copertura dei rifiuti in esecuzione dei progetti di bonifica da essi predisposti ed approvati, non pare abbia avuto un ruolo causale di per sé determinante e, quindi, idoneo a recidere il nesso di causalità con la condotta causativa di danno in ipotesi ascrivibile a FI.: il “capping” è infatti stato infatti concepito per contenere l’evaporazione nell’aria di VOC già formatisi o in formazione, ad evitare che le persone potessero inspirarli, e non si può affermare con certezza che in mancanza di esso i VOC e/o il metano non si sarebbero prodotti; d’altro canto, il mancato approntamento, sin dall’origine, di un impianto di monitoraggio e di evacuazione controllata di tali gas può semmai ritenersi causa del solo fatto che ad un certo momento essi hanno cercato e trovato “sfogo” in aree densamente popolate, ma tale constatazione – ove pure corretta – non potrebbe considerarsi di per sé causativa del danno ambientale, rispetto al quale l’emersione dei gas interstiziali costituisce solo una conseguenza”.
8. La Ca. s.r.l., attuale proprietaria dell’area, tra l’altro, ha rappresentato che sia il giudice di primo grado (pag. 18 della sentenza impugnata) sia la Città Metropolitana di Torino (pag. 28 dell’ordinanza di diffida ex art. 244 d.lgs. n. 152 del 2006) hanno tratto ampio materiale di prova e di valutazione dalla consulenza tecnica esperita in occasione del contenzioso civile tra la Ca., quale proprietaria non responsabile dell’inquinamento che ha spontaneamente provveduto alla bonifica, e la Fi. s.p.a. (ora Fi. Ch. Au. N.V.) quale soggetto evocato in giudizio ai sensi dell’art. 253 del d.lgs. n. 152 del 2006 al fine della condanna in sede di rivalsa in relazione alle spese sostenute per la bonifica dei territori contaminati.
Ad ogni buon conto, la Ca. ha sostenuto che, anche a voler prescindere dalle statuizioni civili passate in giudicato, la sentenza appellata meriterebbe integrale conferma, in quanto si fonda, per quel che riguarda la responsabilità diretta, sull’accertata compatibilità tra la tipologia dei rifiuti rinvenuti in sito e l’attività industriale condotta dalla FC. e, quanto al profilo dell’omessa vigilanza, sull’enorme mole di rifiuti impiegati per colmare la cava nel periodo in cui il sito era nella detenzione della FC..
9. La Città Metropolitana di Torino ha riavviato il procedimento in ottemperanza della sentenza del Tar Piemonte n. 717 del 2017 ed ha concluso lo stesso con la determinazione n. 144-4209 del 15 aprile 2019, con cui ha così disposto:
– ha dato atto che sono emersi elementi che consentono di individuare in capo al Comune di (omissis) una condotta che, da un punto di vista rigorosamente causale, e in ordine al conferimento di rifiuti solidi urbani nel periodo 1964-1967/1968, ha contribuito nell’aggravamento dell’inquinamento in parola insieme a FC.;
– ha concluso il procedimento avviato con nota del 6 luglio 2017, individuando il Comune di (omissis) quale corresponsabile ex art. 244 del d.lgs. n. 152 del 2006, insieme ad FC., della situazione di contaminazione delle matrici ambientali;
– ha diffidato il Comune di (omissis) a dare corso, insieme ad FC., alle procedure di cui al Titolo V della Parte Quarta del d.lgs. n. 152 del 2006 e s.m.i. in materia di bonifica dei siti contaminati.
10. Il Comune di (omissis) – nel premettere che la sentenza impugnata ha indotto la Città Metropolitana di Torino ad effettuare una nuova istruttoria che ha portato all’emanazione della determina n. 144-4209 del 15 aprile 2019, con cui è stata configurata una responsabilità anche in capo al detto Comune, e nell’evidenziare di avere impugnato tale provvedimento dinanzi al Tar Piemonte – ha aderito all’appello proposto dal Comune di Torino, sostenendo che la sentenza di primo grado avrebbe dovuto limitarsi, se del caso, ad evidenziare un eventuale difetto di motivazione, mentre, invece, avrebbe limitato e circoscritto la discrezionalità dell’Amministrazione.
Lo stesso Comune ha contraddetto alle argomentazioni sviluppate dalla Fi. chiedendone il rigetto dell’appello.
11. Il Ministero dell’Interno, Ufficio Territoriale del Governo di Torino, si è costituito in giudizio per resistere all’appello introdotto dal Comune di Torino.
12. Le parti hanno depositato altre analitiche memorie a sostegno ed illustrazione delle rispettive difese.
13. Il T.a.r. per il Piemonte, Sezione Prima, con la sentenza 31 ottobre 2020, n. 653, riuniti i ricorsi proposti dal Comune di (omissis) e dalla FC. per l’annullamento della determinazione della Città Metropolitana di Torino n. 144-4209 del 15 aprile 2019, ha accolto gli stessi nei sensi e nei limiti di cui in motivazione.
13.1. In particolare, in accoglimento del ricorso proposto dal Comune di (omissis), il Tar Piemonte ha annullato il provvedimento impugnato nella parte in cui ha affermato la responsabilità ex art. 244 del d.lgs. n. 152 del 2006 del detto Comune.
13.2. Inoltre, in parziale accoglimento del ricorso proposto dalla Fi., ha annullato il provvedimento impugnato nella parte in cui ha astrattamente escluso la responsabilità degli eredi Ri. e Bo., salvo ogni eventuale ulteriore atto o valutazione con riferimento all’identità degli eredi ed al merito di tale responsabilità.
14. Di talché, a seguito della pubblicazione della sentenza del Tar Piemonte n. 653 del 2020, stante la confermata estraneità dell’Amministrazione comunale di Torino rispetto alla vicenda di inquinamento ambientale, il Comune di Torino ha dichiarato il venire meno dell’interesse alla coltivazione dell’appello proposto ed ha chiesto che l’impugnativa sia dichiarata improcedibile.
15. Il GT. s.p.a., analogamente, visto il contenuto della determinazione dirigenziale della Città Metropolitana di Torino del 15 aprile 2019 prot. 144-4209 e della sentenza del Tar Piemonte, Sezione Prima, n. 653 del 31 ottobre 2020, ha dato atto della sopravvenuta carenza di interesse alla decisione del proprio ricorso incidentale.
16. All’udienza pubblica dell’11 novembre 2020, svoltasi da remoto ai sensi dell’art. 25 del decreto legge n. 137 del 2020, la causa è stata trattenuta per la decisione.
DIRITTO
17. Il Collegio, in primo luogo, dà atto dell’improcedibilità per sopravvenuta carenza d’interesse degli appelli proposti dal Comune di Torino e dal G.T.. s.p.a., dichiarata dagli stessi appellanti.
Ciò consente di prescindere da ogni valutazione relativa all’ammissibilità dei detti appelli, in ordine alla presenza di un interesse concreto ed attuale allo loro proposizione.
18. Nel merito, il presente giudizio è pertanto incentrato sull’esame dell’appello incidentale autonomo proposto dalla FC., che già costituiva il “cuore” dell’intera controversia.
19. L’appello proposto dalla FC. è infondato e va di conseguenza respinto.
19.1. Con i primi due articolati motivi, la Fi. ha dedotto l’illegittimità degli atti e l’erroneità della relativa sentenza di reiezione dall’assenza della propria responsabilità per omessa vigilanza, nonché dall’assenza di una propria responsabilità diretta, per cui sarebbe stata illegittimamente individuata come responsabile dell’inquinamento.
Il punto nevralgico della vicenda contenziosa, quindi, afferisce alla effettiva sussistenza della responsabilità della Fi. così come individuata nella ordinanza di bonifica adottata dalla Città Metropolitana di Torino ai sensi dell’art. 244 del d.lgs. n. 152 del 2006 e nelle ordinanze contingibili ed urgenti adottate dal Sindaco del Comune di (omissis).
19.1.1. L’art. 244 del d.lgs. n. 152 del 2006 dispone, al primo comma, che le pubbliche amministrazioni che nell’esercizio delle proprie funzioni individuano siti nei quali accertino che i livelli di contaminazione sono superiori ai valori di concentrazione soglia di contaminazione, ne danno comunicazione alla regione, alla provincia e al comune competenti.
Il secondo comma dell’art. 244 indica che la provincia, ricevuta la comunicazione di cui al primo comma, dopo aver svolto le opportune indagini volte ad identificare il responsabile dell’evento di superamento e sentito il comune, diffida con ordinanza motivata il responsabile della potenziale contaminazione a provvedere ai sensi del presente titolo.
19.1.2. Con il provvedimento del 9 aprile 2015, l’Amministrazione provinciale di Torino ha ritenuto di individuare come corresponsabili della situazione di contaminazione delle matrici ambientali riscontrata presso l’area ex cava Ca., i signori Tommaso Bo. e Domenico Ri. e la Fi. Ch. Au. N.V. e, dato atto del decesso dei signori Ri. e Bo., ha diffidato, ai sensi dell’art. 244 del d.lgs. n. 152 del 2006, il responsabile, ancora individuabile, della situazione descritta, vale a dire la FC., affinché attivi le procedure di cui al titolo V della parte IV del d.lgs. n. 152 del 2006 e s.m.i. in materia di bonifica dei siti contaminati.
La Città Metropolitana di Torino, con il detto provvedimento, ha altresì disposto quanto segue:
– il soggetto responsabile FC. dovrà dare integralmente corso alle procedure di cui al titolo V della parte quarta del d.lgs. n. 152 del 2006 e s.m.i., entro il termine di sessanta giorni dalla notifica dell’atto;
– di notificare, ai sensi del combinato disposto dell’art. 244, comma 3, e dell’art. 253 del d.lgs. n. 152 del 2006, la diffida anche al proprietario del sito, che, sulla base delle indagini svolte, risulta identificato nei soggetti elencati nell’allegato 1;
– di dare atto che, ai sensi dell’art. 245, comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006 e s.m.i., fatti salvi gli obblighi del responsabile della potenziale contaminazione di cui all’articolo 242, il proprietario o il gestore dell’area deve attuare le misure di prevenzione secondo la procedura di cui all’art. 242 e che è comunque riconosciuta al proprietario o ad altro soggetto interessato la facoltà di intervenire in qualunque momento volontariamente per la realizzazione degli interventi di bonifica necessari nell’ambito del sito in proprietà o disponibilità;
– di dare atto che:
* è in corso un procedimento di bonifica per le aree di proprietà Ca. s.r.l. e Cu., identificate rispettivamente con i codici 1215 e 1281 dell’Anagrafe Regionale dei Siti Contaminati. Dette aree non comprendono tutta l’area dell’ex cava Ca. e comunque gli interventi non risultano al momento completati. Gli interventi suddetti sono condotti dai proprietari delle aree, quali soggetti interessati, ma non individuabili come responsabili della contaminazione;
* in conseguenza della sentenza di primo grado n. 4321/2009, in data 25 maggio 2009, del Tribunale di Torino, Sezione Nona Civile, e della sentenza di secondo grado del 26 settembre 2013 della Corte di Appello di Torino, Sezione Terza Civile, risulta che la società Fi. s.p.a. (ora Fi. Ch. Au. N.V.) sia stata condannata, tra l’altro, al pagamento a favore della Società Ca. s.r.l. delle spese sostenute per gli interventi di bonifica già realizzati e ancora da realizzarsi, nell’area oggetto di intervento della stessa Ca. s.r.l.;
* permangono alcune porzioni dell’area ex cava Ca., mai sottoposte a procedimento di bonifica, come, a esempio, l’area lungo corso (omissis) e l’area di via della Cava;
* è necessario accertare l’effettiva estensione dell’area di cava, che potrebbe essere più ampia di quanto al momento risulta;
* è necessario gestire l’emergenza legata alla presenza di gas di discarica (metano) in modo uniforme e coordinato sull’intera area della ex cava;
* è necessario che il responsabile della contaminazione individuato attivi le procedure di cui al titolo V della parte quarta del d.lgs. n. 152 del 2006 e s.m.i. coordinandosi con gli Enti di controllo ed i soggetti che già hanno avviato parte degli interventi.
In sostanza, la Città Metropolitana di Torino, nell’esercizio dei poteri attribuiti dall’art. 244, comma 2, del T.U. in materia ambientale, ha identificato nella FC. l’unico responsabile ancora individuabile della contaminazione.
Il provvedimento è stato adottato a fronte di una corposa istruttoria, in cui – ricostruita l’articolata situazione fattuale e rappresentato con abbondanza di argomentazioni il permanere di una contaminazione delle matrici ambientali, acque sotterranee e sottosuolo e, quindi, di una situazione ambientale grave, anche di tutela della salute pubblica – l’Amministrazione ha evidenziato, tra l’altro, che:
– dalla documentazione agli atti, emerge anche l’utilizzo nel 1967 della cava da parte di Fi., ora Fi. Ch. Au. N.V., come deposito temporaneo delle carcasse di auto prevenienti dall’alluvione di Firenze del 1966, riesumate intorno al 1975, per potervi estrarre i materiali riutilizzabili. Sostanze fuoriuscite dalle carcasse possono aver determinato una contaminazione delle matrici ambientali. Risulta anche che Fi., ora Fi. Ch. Au. N.V., utilizzò l’area per lo stoccaggio di terre di fonderia, materiali di demolizione, sfridi;
– la nota della FC. del 12 febbraio 2015 faceva riferimento alla presunta assenza di responsabilità in capo a Fi. s.p.a., in relazione all’asserito conferimento unicamente di rifiuti solidi urbani da parte degli allora gestori della discarica (Ri. e Bo.), ammettendo unicamente, per quanto riguarda il comportamento di Fi., l’avvenuto deposito temporaneo delle carcasse di auto derivanti dall’alluvione. Tale asserzione è in contrasto con numerosi fatti accertati nell’istruttoria espletata, con particolare riferimento alle conclusioni cui è pervenuto il consulente tecnico d’ufficio ing. Gi., anche con riguardo al rilascio di sostanze pericolose dalle carcasse stesse, rimaste in sito per molti anni, nonché all’interramento di rifiuti di origine industriale provenienti dalla Fi., come accertato dalla citata CTU, e da diversi altri documenti;
– in conseguenza della sentenza di primo grado n. 4312 del 2009, in data 25 maggio 2009, del Tribunale di Torino, Sezione Nona Civile, e della sentenza di secondo grado del 26 settembre 2013 della Corte di Appello di Torino, Sezione Terza Civile, risulta che la società Fi. s.p.a., ora Fi. Ch. Au. N.V., sia stata condannata, tra l’altro, al pagamento a favore della Società Ca. s.r.l. delle spese sostenute per gli interventi di bonifica già realizzati e ancora da realizzarsi nell’area oggetto di intervento della stessa Ca. s.r.l.;
– dalla relazione di consulenza tecnica d’ufficio, relativa alla vertenza tra Ca. s.r.l. (attrice) e Fi. s.p.a. (convenuta), a cura dell’ing. Arch. An. Gi., si afferma:
“La contaminazione riguarda il sottosuolo e le acque sotterranee e la natura della stessa è identificabile con una contaminazione derivante dal deposito di rifiuti di origine prevalentemente industriale, dal deposito di rifiuti solidi urbani (RSU) e, verosimilmente, da residui di contaminazione derivanti dallo stoccaggio in sito di una notevole quantità di carcasse di autovetture derivanti dalla alluvione di Firenze del 1966 (e forse anche da altri siti).
In proposito lo scrivente osserva che, come giustamente rilevato nella memoria del C.T. attoreo, i contaminanti maggiormente presenti sono gli olii minerali e lubrificanti, categoria di composti raggruppati nelle analisi chimiche di laboratorio sotto la denominazione C>12.
Tale circostanza comporta una correlazione con attività produttive di tipo metalmeccanico (scarti di una delle tante fasi produttive tipiche di un’industria) ma – come già in precedenza evidenziato – non esclude che gli stessi materiali contaminanti possano essere in parte derivati dalle carcasse delle autovetture stoccate per molti anni nel sottosuolo, ancorché poi asportate”.
Ne consegue che la Fi. è stata individuata quale responsabile (rectius: corresponsabile) dell’inquinamento sulla base di un’istruttoria che ha accertato essenzialmente condotte commissive, non meramente omissive.
19.1.3. La Ca. s.r.l., in sede civile, in via subordinata, ha chiesto l’accertamento della responsabilità della Fi., quale soggetto inquinante, ai sensi dell’art. 14 del d.lgs. n. 22 del 1997, all’epoca vigente, con conseguente condanna di questa al rimborso delle spese sostenute per la bonifica.
Il Tribunale di Torino, Nona Sezione Civile, con la sentenza del 4 giugno 2009, ha accolto, per quanto di ragione, la domanda subordinata proposta dalla Ca. ed ha condannato la Fi. al pagamento della complessiva somma di euro 514.939,28, oltre accessori di legge.
La Corte di Appello di Torino, Terza Sezione Civile, con la sentenza 26 settembre 2013, n. 1922, nell’accogliere, per quanto di ragione, l’appello principale della Ca. e nel disattendere l’appello incidentale della Fi., ha determinato la misura del risarcimento in euro 833.052,38, oltre accessori.
La Corte di Cassazione, Seconda Sezione Civile, con la sentenza n. 7170 del 22 marzo 2018, intervenuta quindi posteriormente all’adozione dei provvedimenti in contestazione, ha rigettato il relativo ricorso proposto dalla Fi..
Dalla sentenza della Corte di Appello di Torino n. 1922 del 2013, per quanto di maggiore interesse in questa sede, emerge che, in punto di responsabilità ai sensi dell’art. 14 del d.lgs n. 22 del 1997, poi sostituito dall’art. 152 della legge n. 152 del 1996, il primo Giudice ha così motivato:
“- l’art. 14 del D.lvo 5.2.97 n. 22, come già, l’art. 9 del DPR 915/82 e quindi l’art. 192 del D.lvo 152/2006 impongono al soggetto inquinatore di terreni per abbandono e deposito incontrollato di rifiuti nocivi, in solido con il proprietario o titolare di diritti reali sui terreni, al quale sia imputabile la violazione per dolo o colpa, il ripristino;
– la Ca. era da ritenersi assolutamente estranea all’inquinamento del sito, in quanto il riempimento della cava era avvenuto prima del suo acquisto;
– il soggetto responsabile dell’inquinamento era Fi., tranne che per gli sversamenti di materiali effettuati dai precedenti proprietari, come rilevato dal CTU a pag. 24, in quanto, pure dopo la rimozione delle carcasse delle auto, aveva proceduto al riempimento della ex cava con materiali inquinanti di matrice metalmeccanica, come rilevato dal CTU a pag. 26;
– la normativa sopraindicata era ritenuta in giurisprudenza applicabile a qualunque situazione di inquinamento in atto all’entrata in vigore del c.d. decreto Ronchi, indipendentemente dall’epoca del fatto generatore dell’inquinamento, dando luogo l’inquinamento ad una situazione a carattere permanente perdurante fino all’avvenuta completa rimozione dei suoi effetti;
– l’obbligo del risanamento gravava dunque sul soggetto inquinatore anche per fatti antecedenti e, in caso di bonifica operata da altro soggetto, come la proprietaria Ca., questa aveva diritto di ricuperare le spese dal soggetto responsabile, in virtù del diritto di regresso sancito dall’art. 253 del codice dell’ambiente (D.lvo 152/2006), con conseguente fondatezza dell’azione extracontrattuale esperita da Ca. nei confronti di Fi.;
– la clausola di manleva contrattuale di cui all’art. 3 del contratto di compravendita non operava, in considerazione della sua genericità e della sua non diretta ed esplicita riferibilità alle spese derivanti da obblighi di bonifica;
– in materia di atto illecito non è applicabile la limitazione di responsabilità di cui all’art. 2056 c.c., ai soli danni prevedibili”.
La stessa sentenza della Corte di Appello di Torino n. 1922 del 2013, in tema di responsabilità per l’inquinamento, ha affermato che:
“Non ritiene, invece, questa Corte, diversamente da quanto valutato dal primo Giudice, che la circostanza che l’interramento dei veicoli sia stato autorizzato dalle Autorità del tempo, in occasione dell’emergenza alluvione del 1966, scrimini in qualche modo la parte appellata, dal momento che l’illecito che le viene qui attribuito non consiste, in sé e per sé, nell’interramento (autorizzato) delle carcasse dei veicoli alluvionati, ma nella mancata bonifica degli stessi veicoli, prima del sotterramento, da carburanti, oli, batterie e quanto altro di inquinante e pernicioso per la sua diffondibilità nel sottosuolo che un’azienda dotata di competenze specialistiche del settore automobilistico quale, notoriamente, FI., avrebbe dovuto operare e che non risulta attuata.
Per non parlare poi dell’ulteriore inquinamento da attività industriale, i cui rifiuti sono stati riversati massicciamente nella cava, che nulla ha a che fare con l’emergenza alluvione”.
19.1.4. Il giudice di primo grado, con riferimento alla responsabilità da inquinamento ascritta alla Fi. ha così argomentato:
– con riferimento alle ordinanze contingibili ed urgenti del Sindaco del Comune di (omissis), che ha esteso nei confronti della Fi. l’ordine di implementare i sistemi di monitoraggio dei gas interstiziali di cui al ricorso R.G. n. 1217 del 2014:
“34.1.1. La responsabilità di FI. non può essere negata in relazione al formarsi di quei gas tossici quali il cloruro di vinile e gli altri composti aromatici, la cui formazione potrebbe ascriversi, non solo a rifiuti solidi urbani, ma anche a parti delle carcasse delle auto (ad esempio: alla vernice della carrozzeria), o a rifiuti depositati in epoca posteriore, in particolare a resine o solventi utilizzati dalle fonderie, o nei procedimenti di stampaggio e verniciatura.
34.1.2. Relativamente ai rifiuti depositati nella ex-cava dopo la asportazione delle carcasse delle auto alluvionate si è detto, in particolare, che non appare credibile che FI. non ne fosse a conoscenza e non vi avesse prestato consenso; all’esatto opposto, considerato il fatto che nell’insieme la mole di rifiuti rinvenuti e la qualità delle sostanze inquinanti presenti nell’aria indica la provenienza dalla industria metalmeccanica dell’automobile dei rifiuti medesimi, tutto indica che FI. diede disposizioni perché tali rifiuti fossero depositati su quell’area. Ma anche a voler accreditare la tesi per cui tutti quei rifiuti, che si sono sovrapposti ai rifiuti solidi urbani depositati negli anni Sessanta, siano stati depositati da ignoti non si potrebbe non ravvisare in capo a FI. una responsabilità per omissione di vigilanza e di custodia, essendo inaccettabile che una così imponente mole di rifiuti possa essere stata allocata su suolo di proprietà della ricorrente, anche per il tramite di automezzi che entravano comodamente da un ingresso posteriore, senza che FI. abbia mai pensato di recintare l’intera proprietà, di munire gli accessi di cancelli chiusi ed inamovibili ed al limite di implementare un servizio di sorveglianza e/o video sorveglianza, in modo da scoraggiare eventuali “smaltitori clandestini.
34.1.3. L’omissione di una simile attività di vigilanza costituisce indubbiamente un fattore che ha permesso e favorito l’attività dei terzi che (in ipotesi) si sarebbero introdotti clandestinamente sul terreno di proprietà FI. per depositarvi i rifiuti che ivi sono ancora oggi giacenti nel sottosuolo: dal punto di vista causale, dunque, un tale comportamento omissivo, tenuto da FI., costituisce a tutti gli effetti una concausa dell’inquinamento delle varie matrici ambientali e costituisce pertanto, in base ai principi generali vigenti in materia di causalità, segnatamente in applicazione del principio di equivalenza delle cause, titolo di responsabilità equivalente.
34.1.4. Trattasi, inoltre, di comportamento omissivo colpevole in quanto contrario al divieto di abbandono di rifiuti vigente nell’ordinamento quantomeno a far tempo dalla entrata in vigore dell’art. 9 del D.P.R. 915/82, di comportamento contrario, almeno in parte, a disposizioni di igiene vigenti nel Comune di (omissis), ed in particolare dell’art. 4 del decreto 20 maggio 1928 del Capo del Governo, che il Comune di (omissis) aveva richiamato per intimare, inizialmente, ai signori Ri. e Bo. la cessazione della attività di raccolta di rifiuti solidi urbani, che appunto non risultava essere stata autorizzata ai sensi di tale norma; inoltre va detto che FI. aveva ragione di credere che il terreno fosse utilizzato per il deposito abusivo di rifiuti.
34.1.5. Si rammenta a tale ultimo proposito che già nel 1972 era stato segnalato a FI. l’episodio del lavaggio di griglie per verniciatura effettuato sul terreno oramai di sua proprietà, in ordine al quale FI. si era difesa dichiarando che si era trattato in effetti di un terzista che aveva preso una autonoma iniziativa e che era stato nel frattempo diffidato affinché la condotta non fosse reiterata…; si rammenta ancora che anche l’area circostante era utilizzata da terzi per il deposito di rifiuti e che, comunque, funzionari della Provincia di Torino nel 1985 avevano segnalato la presenza sul terreno di proprietà di FI. di cartelli che affermavano il divieto di rifiuti, circostanza questa che dimostra che FI. era a conoscenza quantomeno del pericolo che sull’area potessero introdursi dei terzi allo scopo di depositarvi abusivamente dei rifiuti. Tale consapevolezza avrebbe dovuto indurre FI. ad adottare ben più efficaci misure idonee ad evitare l’introduzione di terzi sul terreno di sua proprietà e/o a scoraggiare tale pratica (ad esempio la sorveglianza intermittente a mezzo di guardie giurate), almeno per un periodo di tempo, tanto più che, trattandosi di soggetto “economicamente forte” l’adozione di misure costose era comunque soggettivamente “esigibile”.
34.1.6. Premesso e ricordato, poi, che la colpa costituisce quel coefficiente soggettivo che caratterizza il comportamento contrario a norme imperative o anche solo a regole di comportamento da osservarsi in un determinato settore o contesto o, infine, contrario a canoni di buon senso, colpa deve essere contestata a FI. in quanto la condotta omissiva da essa tenuto nella fattispecie risulta contraria: a) ad una norma di legge imperativa, quantomeno a far tempo dal 1982, allorché il deposito incontrollato di rifiuti è divenuto condotta espressamente vietata; b) all’art. 4 del decreto 20 maggio 1928 del Capo del Governo, evocato dal Comune di (omissis) nei rapporti con i signori Ri. e Bo., che evidentemente affermava la necessità di chiedere una autorizzazione per realizzare una discarica; c) quantomeno al comune buon senso, se non a regolamenti di igiene già vigenti all’epoca, considerato il fatto che già a fine del 1972 il Comune di (omissis), nel momento in cui avvisava FI. del fatto che sull’area ignoti avevano effettuato il lavaggio abusivo di griglie per verniciatura “con sostanze che si presumono inquinanti”, faceva presente che le acque di falda alimentanti i pozzi privati della zona circostante erano già stati trovati inquinati “per cui ci si permette di fare cortese urgenza per l’individuazione delle cause sia prossima che remote dei responsabili dei danni ai privati per il loro deferimento alla Autorità Giudiziaria “(missiva del Comune di (omissis) n. prot. 27585/2641/III del 21 dicembre 1972): tale missiva doveva quantomeno indurre in FI. a dubitare che il deposito degli scarti dei processi di verniciatura potesse determinare fenomeni di inquinamento delle acque, che potesse integrare comportamenti di interesse per la Autorità Giudiziaria e/o contrari a norme vigenti nel Comune di (omissis), e più in generale che il deposito di rifiuti di qualsiasi tipo potesse ritenersi una attività soggetta a determinate cautele.
34.1.7. FI. deve dunque ritenersi, quantomeno a titolo di concorso, per omessa vigilanza e custodia colpevole dell’area, responsabile per il deposito dei rifiuti rinvenuti sull’area per cui è causa e per l’inquinamento che tali rifiuti hanno indotto, sia contaminando di metalli pesanti il sottosuolo e la falda acquifera, sia contaminando la falda e l’aria di gas interstiziale la cui provenienza e formazione (ad eccezione del solo metano) non può ascriversi unicamente al deposito di rifiuti solidi urbani effettuato negli anni Sessanta”;
– con riferimento alla successiva ordinanza di bonifica della Città metropolitana di Torino adottata ai sensi dell’art. 244 del d.lgs. n. 152 del 2006, di cui al ricorso R.G. n. 657 del 2015
“42. Sulla responsabilità di FI./FC. si è già detto al precedente paragrafo 34, e relativi sottoparagrafi: il fatto che essa debba rispondere per l’inquinamento da metallo pesanti constatato nelle matrici suolo e acque e per la presenza di gas interstiziali non dipende dal mero fatto che essa era proprietaria dell’area adibita a discarica abusiva negli anni in cui essa è stata oggetto di conferimento di rifiuti, sibbene dal fatto che, nella migliore delle ipotesi, essa colpevolmente ha omesso una attività di vigilanza e custodia del sito, e con ciò facendo ha concretamente agevolato la condotta di coloro che per circa 15 anni hanno depositato nella ex-cava un ingentissimo volume di rifiuti. La responsabilità di FC. si basa quindi su una specifica condotta omissiva e su uno specifico coefficiente di colpevolezza, e non già su una oggettiva responsabilità per custodia ai sensi dell’art. 2050 c.c.
42.1. Che la responsabilità per danno ambientale possa essere integrata da una condotta omissiva è già stato infatti chiarito dalla giurisprudenza: si veda al proposito la pronuncia del Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 4099/2016, secondo la quale” “Ai sensi degli artt. 242, comma 1, e 244, comma 2, del Testo Unico dell’ambiente, una volta riscontrato un fenomeno di potenziale contaminazione di un sito, gli interventi di caratterizzazione, messa in sicurezza d’emergenza o definitiva, di bonifica e di ripristino ambientale possono essere imposti dalla Pubblica Amministrazione solamente ai soggetti responsabili dell’inquinamento, quindi ai soggetti che abbiano in tutto o in parte generato la contaminazione tramite un proprio comportamento commissivo od omissivo, legato all’inquinamento da un preciso nesso di causalità; risulta, pertanto, necessario un rigoroso accertamento al fine di individuare il responsabile dell’inquinamento, nonché del nesso di causalità che lega il comportamento del responsabile all’effetto consistente nella contaminazione, accertamento che presuppone un’adeguata istruttoria non essendo configurabile una sorta di responsabilità oggettiva facente capo al proprietario o al possessore dell’immobile in ragione di tale sola qualità (nella specie, difetta il necessario e preventivo accertamento della qualità di soggetto responsabile dell’inquinamento in capo alla società appellata, con la conseguenza che gli obblighi imposti risultano derivare dalla mera qualifica di proprietario o possessore dell’area e, dunque, dal mero collegamento materiale con essa, a prescindere dalla preliminare e necessaria verifica della qualità del soggetto responsabile dell’inquinamento)”. Nel senso della rilevanza di una condotta anche solo negligente, v. Consiglio di Stato, sez. V, 17/07/2014, n. 3786; nello stesso senso anche Consiglio di Stato, sez. VI, 05/10/2016, n. 4119, e più recentemente T.A.R. Bologna, (Emilia-Romagna), sez. II, 15/02/2017, n. 125, che ha affermato che “L’obbligo di messa in sicurezza e di successiva bonifica è la semplice conseguenza oggettiva dell’aver cagionato l’inquinamento e il complesso delle norme in tema di bonifica non sono altro che l’applicazione alla materia in esame (si potrebbe dire, la procedimentalizzazione nella materia in esame) della norma generale dell’art. 2043 c.c., secondo cui ogni soggetto è tenuto a reintegrare il danno che abbia cagionato con il proprio comportamento, che, d’altronde, è a sua volta espressione del principio, ancor più generale, di responsabilità, in base al quale ciascuno risponde delle proprie azioni ed omissioni, risultando dunque il c.d. principio comunitario del chi inquina paga un’ulteriore specificazione in materia ambientale, con la conseguenza che laddove il danno sia scoperto a distanza di anni o decenni ciò non impedisce di attivare la norma dell’art. 2043 c.c. né evita l’applicazione del principio di responsabilità.”
42.2. A stretto rigore, dunque, gli obblighi di bonifica ambientale non richiedono che sia ravvisabile in capo al responsabile dell’inquinamento un coefficiente soggettivo di colpevolezza, che è invece richiesto dall’art. 192 del D.L.vo 152/2006 al fine di ordinare al proprietario del sito interessato dall’abbandono incontrollato di rifiuti la rimozione degli stessi. La differenza sussistente tra tale situazione e quella divisata dagli articoli 242 e 244 del D. L.vo 152/2006 è che in questo secondo caso si è in presenza di una contaminazione ambientale (con o senza presenza di rifiuti da asportare), la quale giustifica l’inasprimento della responsabilità, che scatta in presenza del mero riscontro di una condotta attiva od omissiva causativa del danno ambientale, e prescindere dal riscontro di un coefficiente di colpevolezza.
42.3. Nel caso che occupa, tuttavia, si è già chiarito che a FI. può essere rimproverato non solo di non aver adottato alcuna misura idonea ad evitare che l’area fosse letteralmente trasformata in una discarica abusiva, ma anche di aver tenuto tale comportamento omissivo in modo colpevole, trattandosi di comportamento contrario a buon senso, a quanto le Autorità si attendevano e poi, a partire dal 1982, ad una norma imperativa. La responsabilità di FI./FC. può quindi essere predicata in base alle norme generali vigenti in materia di responsabilità aquiliana, che prevedono anche l’obbligo di ripristino quale forma di risarcimento in forma specifica”.
19.1.5. In ragione di quanto riportato, si ribadisce, innanzitutto, che la responsabilità (o, meglio, corresponsabilità) della contaminazione è stata ascritta alla Fi. sia a titolo diretto (condotta commissiva), sia per culpa in vigilando (condotta omissiva).
19.1.6. In limine ed in via generale, al fine di ricostruire il quadro normativo in cui si inserisce la vicenda, occorre rilevare che il titolo V della parte IV del testo unico in materia ambientale (d.lgs. n. 152 del 2006) disciplina la bonifica di siti contaminati.
L’art. 242 del titolo V, al primo comma, prevede che, al verificarsi di un evento che sia potenzialmente in grado di contaminare il sito, il responsabile dell’inquinamento mette in opera entro ventiquattro ore le misure necessarie di prevenzione e ne dà immediata comunicazione; la medesima procedura si applica all’atto di individuazione di contaminazioni storiche che possono ancora comportare rischi di aggravamento della situazione di contaminazione.
Ai sensi del successivo art. 244, come in precedenza riportato, le pubbliche amministrazioni che nell’esercizio delle proprie funzioni individuano siti nei quali accertino che i livelli di contaminazione sono superiori ai valori di concentrazione soglia di contaminazione, ne danno comunicazione alla regione, alla provincia e al comune competenti, mentre, ai sensi del secondo comma, la provincia, ricevuta la comunicazione di cui al comma 1, dopo aver svolto le opportune indagini volte ad identificare il responsabile dell’evento di superamento e sentito il comune, diffida con ordinanza motivata il responsabile della potenziale contaminazione a provvedere ai sensi del presente titolo.
L’art. 252 dello stesso titolo V prevede, al comma primo, che i siti di interesse nazionale, ai fini della bonifica, sono individuabili in relazione alle caratteristiche del sito, alle quantità e pericolosità degli inquinanti presenti, al rilievo dell’impatto sull’ambiente circostante in termini di rischio sanitario ed ecologico, nonché di pregiudizio per i beni culturali ed ambientali. Il secondo comma indica che, all’individuazione dei siti di interesse nazionale, si provvede con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, d’intesa con le regioni interessate, secondo determinati principi e criteri direttivi e che, comunque, sono individuati quali siti di interesse nazionale, ai fini della bonifica, i siti interessati da attività produttive ed estrattive di amianto.
Il quarto comma dell’art. 252, poi, attribuisce la procedura di bonifica di cui all’art. 242 dei siti di interesse nazionale alla competenza del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentito il Ministero delle attività produttive.
La ratio del rapporto tra la disposizione dell’art. 244 e dell’art. 252, infatti, è quella di assicurare che l’ente più vicino al luogo della contaminazione possa agire tempestivamente, non quella di sottrarre al Ministero dell’Ambiente la competenza ad agire attribuendola alla provincia, per cui il fondamento della disposizione dell’art. 244 del d.lgs. n. 152 del 2006 è nel senso dell’attribuzione di poteri alla provincia, non sottrattivo di poteri al Ministero (cfr. Cons. Stato, II, n. 1762 del 2018).
Il provvedimento adottato dalla Città Metropolitana di Torino, quindi, non trattandosi di sito di interesse nazionale, è stato adottato dall’Autorità competente per legge non solo ad individuare il responsabile dell’inquinamento, ma anche a diffidare lo stesso a provvedere ai sensi del titolo V, parte IV, del codice dell’ambiente, imponendo, ove del caso, le misure di prevenzione ritenute necessarie o di messa in sicurezza d’emergenza.
19.1.7. Con talune doglianze, l’appellante ha sostanzialmente dedotto la violazione del principio di irretroattività delle norme.
In particolare, ha sostenuto che la normativa vigente all’epoca dei fatti non solo non avrebbe contemplato alcuna responsabilità concorrente del proprietario, ma nemmeno avrebbe vietato l’abbandono di rifiuti su area privata, atteso che la cultura ambientale sarebbe patrimonio recente, per cui non sorprenderebbe che la normativa speciale sui rifiuti vietasse un tempo l’abbandono di rifiuti solo in area pubblica o ad uso pubblico e non in area privata.
In proposito, sono dirimenti i principi espressi dalla recente pronuncia dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 10 del 2019.
La questione, oggetto di contrasti di giurisprudenza, rimessa alla Adunanza Plenaria ha riguardato la possibilità di ordinare la bonifica di siti inquinati ex art. 244 del c.d. codice dell’ambiente di cui al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, per un inquinamento di origine industriale risalente ad epoca antecedente a quella in cui l’istituto della bonifica è stato introdotto nell’ordinamento giuridico, ed inoltre nei confronti di una società non responsabile dell’inquinamento, ma da questa avente causa per effetto di successive operazioni di fusione di società per incorporazione.
La questione, quindi, per quanto concerne la responsabilità ascritta al precedente proprietario del sito inquinato per un inquinamento risalente a data antecedente l’entrata in vigore del c.d. decreto Ronchi (d.lgs. n. 22 del 1997), è in qualche modo simile a quella dedotta dall’appellante Fi. o, quantomeno, dalla detta sentenza dell’Adunanza Plenaria possono trarsi principi di diritto sicuramente applicabili anche alla presente fattispecie.
Il supremo consesso della giustizia amministrativa ha affrontato i seguenti tre punti controversi, posti in rapporto di consecuzione logica:
1. a) innanzitutto se la condotta di inquinamento ambientale commessa prima che nell’ordinamento giuridico fosse introdotta la bonifica dei siti inquinati sia qualificabile come illecito, fonte di responsabilità civile per il suo autore, e in quale fattispecie normativa di quest’ultimo istituto il fatto possa essere inquadrato;
2. b) quindi, in caso di risposta positiva al primo punto, quali siano i rapporti tra la figura di illecito così individuato e la bonifica e pertanto se, incontestata la discontinuità normativa tra i due istituti, sia nondimeno possibile ordinare la bonifica per fatti risalenti ad epoca antecedente alla sua introduzione a livello legislativo;
3. c) infine, ammessa l’ipotesi positiva per il secondo punto, se gli obblighi e le responsabilità conseguenti alla commissione dell’illecito siano trasmissibili per effetto di operazioni societarie straordinarie quale la fusione, secondo la legislazione civilistica vigente a quell’epoca vigente.
Il principio di diritto affermato è stato il seguente: “la bonifica del sito inquinato può essere ordinata anche a carico di una società non responsabile dell’inquinamento, ma che sia ad essa subentrata per effetto di fusione per incorporazione, nel regime previgente alla riforma del diritto societario, e per condotte antecedenti a quando la bonifica è stata introdotta nell’ordinamento giuridico, i cui effetti dannosi permangano al momento dell’adozione del provvedimento”.
Di talché, l’Adunanza Plenaria ha concluso, sulla base di un cospicuo itinerario argomentativo che il Collegio condivide pienamente, che, anche prima dell’introduzione dell’istituto della bonifica, con l’art. 17 del decreto legislativo n. 22 del 1997 (c.d. decreto Ronchi), il danno all’ambiente costituiva un illecito civile, per cui può senz’altro opinarsi che, nell’ipotesi, non sussiste alcuna retroazione di istituti giuridici introdotti in epoca successiva alla commissione dell’illecito, bensì l’applicazione da parte della competente autorità amministrativa degli istituti a protezione dell’ambiente previsti dalla legge al momento in cui si accerta una situazione di pregiudizio in atto.
Sulla base di tale esegesi, risulta del tutto irrilevante, essendo stato accertato un vulnus al bene ambiente, la prospettazione secondo cui la normativa vigente all’epoca dei fatti non avrebbe vietato l’abbandono di rifiuti su area privata.
D’altra parte, accedere alla tesi secondo la quale le contaminazioni “storiche” non potrebbero mai porre in capo al loro autore un obbligo di bonifica, determinerebbe la paradossale conclusione che tali necessarie attività, a tutela della salute e dell’ambiente, debbano essere poste a carico della collettività e non del soggetto che le ha poste in essere e ne ha beneficiato.
Ne consegue che deve ritenersi del tutto ragionevole porre l’obbligo di eseguire le opere di bonifica a carico del soggetto che tale contaminazione ebbe in passato a cagionare, avendo questi beneficiato, di converso, dei corrispondenti vantaggi economici (sub specie, in particolare, dell’omissione delle spese necessarie per eliminare o, quanto meno, arginare l’immissione nell’ambiente di sostanze inquinanti).
L’ambiente, infatti, è oggetto di protezione costituzionale diretta (art. 9) ed indiretta (art. 32), in virtù di norme non meramente programmatiche, ma precettive, che, pertanto, impongono l’ascrizione all’area dell’illecito giuridico di ogni condotta lesiva del bene protetto, tanto più se posta in essere:
– nello svolgimento di attività già per loro natura intrinsecamente pericolose;
– nell’ambito di un’iniziativa imprenditoriale, che, in quanto costituzionalmente conformata dal canone del rispetto della “utilità sociale” (art. 41), è inter alia vincolata alla salvaguardia della salubrità dell’ambiente, la cui compromissione è evidentemente contraria alla “utilità sociale”.
Pertanto, il danno all’ambiente (inteso quale diminuzione della relativa integrità, anche mediante l’immissione, il rilascio o l’abbandono di sostanze non bio-degradabili) deve ritenersi ab imis ed ab origine ingiusto (cfr. la richiamata sentenza dell’Adunanza plenaria n. 10 del 2019).
In altri termini, il soggetto individuato quale responsabile dell’inquinamento è e resta senz’altro tenuto ad eseguire le attività di bonifica del sito, anche ove, in epoca successiva agli episodi di contaminazione, abbia ceduto a terzi la proprietà dell’area ovvero abbia ceduto la società o il ramo d’azienda.
Deve, in definitiva, ribadirsi che l’articolo 242, comma 1, del codice dell’ambiente, nel fare riferimento specifico anche alle “contaminazioni storiche”, ha inteso affermare il principio per cui la condotta inquinante, anche se risalente nel tempo e verificatasi (rectius: conclusasi) in momenti storici passati, non esclude il sorgere di obblighi di bonifica in capo a colui che ha inquinato il sito, ove il pericolo di “aggravamento della situazione” sia ancora attuale.
19.1.8. Con la parte più consistente delle doglianze proposte, l’appellante ha sostenuto che la sentenza ha erroneamente attribuito alla Fi. una responsabilità per omessa vigilanza e, ove non costituisca un mero obiter dictum, una forma di responsabilità diretta.
In primo luogo, come già precisato, occorre rilevare che sia l’ordinanza di bonifica sia le statuizioni contenute nella sentenza impugnata, considerate nel loro complesso, hanno accertato anche una responsabilità commissiva da parte della Fi., non solo una responsabilità omissiva da culpa in vigilando.
L’art. 192, comma 3, del d.lgs. n. 152 del 2006 stabilisce che chiunque violi i divieti di abbandono e deposito incontrollato di rifiuti sul suolo ovvero il divieto di immissione di rifiuti di qualsiasi genere, allo stato solido o liquido, nelle acque superficiali e sotterranee è tenuto a procedere alla rimozione, all’avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti ed al ripristino dello stato dei luoghi in solido con il proprietario e con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull’area, ai quali “tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa”, in base agli accertamenti effettuati, in contraddittorio con i soggetti interessati, dai soggetti preposti al controllo.
Pertanto, è indubbio che la responsabilità del proprietario postuli l’accertamento di una sua condotta dolosa o colposa, essendo da escludere un’ipotesi legale di responsabilità oggettiva o di responsabilità per fatto altrui, ma è altrettanto indubbio che la responsabilità dell’inquinamento, per dolo o per colpa, possa sorgere anche a seguito di una condotta omissiva, oltreché di una condotta attiva (cfr., ex multis, Cons. Stato, IV, 7 settembre 2020, n. 5372).
A tal fine, è necessario condurre un rigoroso accertamento per individuare il responsabile dell’inquinamento, che abbia posto in essere una condotta attiva o omissiva, nonché il nesso di causalità che lega il comportamento del responsabile all’effetto consistente nella contaminazione e tale accertamento presuppone un’adeguata istruttoria, non essendo configurabile, come detto, una sorta di responsabilità oggettiva facente capo al proprietario o al possessore dell’immobile in ragion e di tale sua qualità.
La configurabilità della culpa in vigilando, come condotta omissiva colposa del proprietario cui è ascrivibile la responsabilità in solido per lo sversamento di rifiuti in una propria area, quindi, concreta una forma di responsabilità soggettiva (e, in tal senso, diretta) e sussiste laddove la res, come nel caso di specie, sia nel pieno ed esclusivo godimento del proprietario.
La giurisprudenza (cfr. Cons. Stato, V, 28 settembre 2015, n. 4504) ha escluso che possa integrare la sussistenza della culpa in vigilando la richiesta di un impegno di entità tale da essere in concreto inesigibile ed implicare una responsabilità oggettiva che esula dal dovere di custodia di cui all’art. 2051 c.c., che consente sempre la prova liberatoria in presenza di caso fortuito, da intendersi in senso ampio, comprensivo anche del fatto del terzo.
Tuttavia, non può ritenersi inesigibile l’impegno di custodia dell’area richiesto ad un’impresa delle dimensioni della Fi. al fine di evitare il sorgere o l’aggravamento di un danno ambientale, sicché era certamente ascrivibile alla stessa un onere di vigilare e di apprestare strumenti utili ad evitare che sull’area di proprietà fossero sversati e abbandonati rifiuti in quantità tale da costituire una serie minaccia per la salute pubblica.
In altri termini, è condivisibile quanto affermato dal primo giudice che, trattandosi di soggetto “economicamente forte”, era soggettivamente esigibile dalla Fi. l’adozione di misure costose, per cui deve ritenersi caratterizzata da colpa, integrando quindi un’ipotesi di responsabilità soggettiva e non oggettiva, l’inerzia dimostrata dall’impresa nel non essersi adoperata con mezzi efficaci per evitare il ripetersi di episodi persistenti nel tempo e già conosciuti, tanto che la stessa appellante, nel primo motivo, dà conto di avere riscontrato la segnalazione del Comune circa un abbandono abusivo di rifiuti, diffidando l’autore dal proseguire la condotta abusiva.
Ciò premesso, l’azione amministrativa contestata ha individuato in modo puntuale la responsabilità della Fi..
In particolare, come in precedenza riportato, la Città Metropolitana di Torino, nell’ordinanza del 9 aprile 2015, in esito ad una analitica istruttoria ha evidenziato, tra l’altro, che:
– le sostanze fuoriuscite dalle carcasse di auto prevenienti dall’alluvione di Firenze del 1966, riesumate intorno al 1975, per potervi estrarre i materiali riutilizzabili, possono aver determinato una contaminazione delle matrici ambientali;
– la Fi. utilizzò l’area per lo stoccaggio di terre di fonderia, materiali di demolizione, sfridi;
– il consulente tecnico d’ufficio ing. Gi. è pervenuto a conclusioni anche con riguardo al rilascio di sostanze pericolose dalle carcasse stesse, rimaste in sito per molti anni, nonché all’interramento di rifiuti di origine industriale provenienti dalla Fi.;
– in conseguenza della sentenza di primo grado n. 4312 del 2009, in data 25 maggio 2009, del Tribunale di Torino, Sezione Nona civile, e della sentenza di secondo grado del 26 settembre 2013 della Corte di Appello di Torino, Sezione terza civile, risulta che la società Fi. s.p.a., ora Fi. Ch. Au. N.V., sia stata condannata, tra l’altro, al pagamento a favore della Società Ca. s.r.l. delle spese sostenute per gli interventi di bonifica già realizzati e ancora da realizzarsi nell’area oggetto di intervento della stessa Ca. s.r.l.;
– dalla relazione di consulenza tecnica d’ufficio, relativa alla vertenza tra Ca. s.r.l. (attrice) e Fi. s.p.a. (convenuta), a cura dell’ing. Arch. An. Gi., è stato accertato che:
“La contaminazione riguarda il sottosuolo e le acque sotterranee e la natura della stessa è identificabile con una contaminazione derivante dal deposito di rifiuti di origine prevalentemente industriale, dal deposito di rifiuti solidi urbani (RSU) e, verosimilmente, da residui di contaminazione derivanti dallo stoccaggio in sito di una notevole quantità di carcasse di autovetture derivanti dalla alluvione di Firenze del 1966 (e forse anche da altri siti).
In proposito lo scrivente osserva che, come giustamente rilevato nella memoria del C.T. attoreo, i contaminanti maggiormente presenti sono gli olii minerali e lubrificanti, categoria di composti raggruppati nelle analisi chimiche di laboratorio sotto la denominazione C>12.
Tale circostanza comporta una correlazione con attività produttive di tipo metalmeccanico (scarti di una delle tante fasi produttive tipiche di un’industria) ma – come già in precedenza evidenziato – non esclude che gli stessi materiali contaminanti possano essere in parte derivati dalle carcasse delle autovetture stoccate per molti anni nel sottosuolo, ancorché poi asportate”.
Pertanto, l’Amministrazione ha accertato, sulla base di una ampia ed articolata istruttoria, un nesso di causalità tra l’attività svolta dalla Fi. sull’area in questione, nel periodo in cui la stessa è stata di sua proprietà (dal 1967 al 1971) e la contaminazione del sito.
In proposito, occorre sottolineare che, come noto, il principio “chi inquina paga” è stato riconosciuto dal Trattato U.E. (art. 191, comma 2, del TFUE, ex art. 174, comma 2, Trattato CE), secondo cui l’azione comunitaria in materia ambientale deve essere informata ai principi di precauzione, dell’azione preventiva, della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all’ambiente, e del principio “chi inquina paga”. Su detti principi si basa anche la disciplina comunitaria in materia di prevenzione e riparazione del danno all’ambiente (direttiva 2004/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004).
La responsabilità della FC., come individuata dall’Amministrazione, si rivela del tutto coerente con il principio di derivazione europea “chi inquina paga” – secondo cui chi è autore di un fenomeno di inquinamento, o di deterioramento dell’ambiente, deve sostenere i costi necessari ad evitare o riparare l’inquinamento o il danno ambientale causato – ed è stata accertata dall’Amministrazione sulla base di un iter argomentativo decisamente plausibile, con una motivazione puntuale ed articolata.
La giurisprudenza, infatti, ha posto in rilievo che l’individuazione della responsabilità per l’inquinamento di un’area si basa sul criterio causale del “più probabile che non”, sicché è sufficiente perché il responsabile si intenda legittimamente accertato che il nesso eziologico ipotizzato dall’Amministrazione sia più probabile della sua negazione (cfr. Cons. Stato, IV, n. 2301 del 2020; Cons. Stato, IV, n. 7121 del 2018; Cons. Stato, IV, n. 5668 del 2018).
La Città Metropolitana di Torino, in ragione di cospicui elementi, ha ragionevolmente attribuito, sulla base del criterio del “più probabile che non”, ovvero dell’id quod plerumque accidit, la corresponsabilità dell’inquinamento alla Fi. non soltanto con riferimento ad una condotta omissiva, ma anche con riferimento a condotte commissive.
D’altra parte, successivamente all’adozione dei provvedimenti impugnati, la Corte di Appello di Torino, Sezione Terza Civile, con la sentenza n. 1649 del 10 ottobre 2019 – resa in un giudizio nuovamente instaurato dalla Ca. contro la Fi. in cui detta Società, allegando il giudicato sulla responsabilità di Fi. per l’inquinamento dei terreni, ha chiesto per lo stesso titolo dell’art. 253 del d.lgs. n. 152 del 2006, il rimborso degli ulteriori costi di bonifica – ha specificato che:
“Ora, se è vero che sia pacifico che i primi rifiuti solidi urbani siano stati riversati nel sito prima dell’acquisto dell’area da parte di Fi., negli anni 1966/1967, ed è dunque ovvio e incontrovertibile giuridicamente che quegli specifici sversamenti non possano essere materialmente attribuiti a condotte, lecite o illecite, di Fi., si osserva che, in realtà, il precedente giudizio si era incentrato sugli inquinanti di origine metalmeccanica perché è da quelli che era derivata l’esigenza di bonifica, ma che, lo stesso CTU, sempre alla pag. 26 cit., aveva specificato che anche dopo l’asportazione delle carcasse di autoveicoli, dunque in pieno regime di proprietà da parte di Fi., l’ex cava era stata riempita con materiali inquinanti di varia provenienza, e precisamente di rifiuti di origine industriale a prevalente matrice metalmeccanica, ma anche rifiuti di origine solida urbana, pur essendosi rilevato che i contaminanti maggiormente presenti erano gli olii minerali e lubrificanti correlabili con un’attività produttiva di tipo metalmeccanico.
Alle pagg. 42 e 43 il CTU, sin da allora, aveva specificato che la contaminazione riguardava il sottosuolo e le acque sotterranee e che la natura delle stesse era identificabile con una contaminazione derivante dal deposito di rifiuti di origine prevalentemente industriale, dal deposito di rifiuti solidi urbani e, verosimilmente, da residui di contaminazione derivanti dallo stoccaggio in sito di una notevole quantità di carcasse derivanti dall’alluvione di Firenze del 1996 (e forse anche da altri siti).
Si deve dunque ritenere, conformemente alla sentenza impugnata, che l’accertamento della responsabilità di Fi. per inquinamento del sito, abbia avuto riguardo al composito complesso di contaminanti rinvenuti e al periodo di titolarità e gestione dell’area da parte della Fi., che dunque include anche l’inquinamento da r.s.u. operato in tale periodo, così che è definitivamente escludibile, perché caduto nel giudicato interno di quel processo, solamente la rilevanza, dal punto di vista causale e risarcitorio, delle condotte inquinanti dei proprietari dei terreni precedenti all’acquisto di Fi., in relazione alla contaminazione rilevata, per cui è in corso la bonifica.
All’incontrovertibilità del giudicato, si aggiunge, tuttavia, un ulteriore accertamento, contenuto nella sentenza impugnata in questo giudizio, a pag. 17, provocato dalla contestazione della responsabilità da parte di FC., e fondato sui medesimi elementi in fatto allegati trattati dalle parti, dell’ulteriore profilo di responsabilità, omissiva, questa volta giuridico, in capo a FC., dato dalla riferibilità ad essa dell’inquinamento anche come mera proprietaria dell’area, tenuta a vigilare e a impedire eventuali sversamenti di materiali inquinanti ulteriori, ovvero un profilo di culpa in vigilando”.
19.2. Con ulteriori motivi di appello, la FC., da un lato, ha dedotto che la parziarietà dell’obbligo risarcitorio, consistente nella realizzazione della bonifica, costituirebbe una puntuale applicazione del principio chi inquina paga, atteso che sarebbe ingiusto ritenere che, in presenza di contributi diversi tra loro, per durata o per sostanze, un soggetto debba pagare per tutti, dall’altro, ha sostenuto la contraddittorietà della sentenza nella parte in cui, pur avendo accolto il ricorso che chiedeva l’annullamento dell’ordinanza, l’ha mantenuta in vigore ed efficace rispetto alla FC..
In altri termini, la FC. ha prospettato che, solo se dovesse emergere una concreta impossibilità di distinguere gli apporti dei singoli o di realizzare interventi parziali, potrebbe eventualmente pretendersi da uno soltanto dei procedenti l’esecuzione di un tutto, mentre, pur avendo accolto il motivo di ricorso con cui si è censurato il mancato coinvolgimento di tutti i soggetti che, nelle diverse vesti, gestirono, autorizzarono o sfruttarono la discarica di rifiuti urbani, la sentenza, contraddittoriamente, ha lasciato che tale ordinanza restasse vigente nei confronti della ricorrente.
Le censure non colgono nel segno, atteso che il Collegio ritiene di condividere le statuizioni assunte in proposito dal giudice di primo grado.
In particolare, il Tar Piemonte, con la sentenza appellata, ha argomentato nel modo seguente:
“44. In ordine alla censura relativa alla natura parziaria e non solidale della obbligazione che nella specie sarebbe nata a carico dei responsabili dell’inquinamento, osserva anzitutto il Collegio che allo stato appare alquanto prematuro configurare un effettivo concorso di responsabili, tenuto conto del fatto che la sussistenza dell’obbligo di effettuare la bonifica ambientale a carico dei Comuni di (omissis), (omissis) e Torino nonché degli eredi dei signori Ri. e Bo. allo stato deve essere ancora istruita e non è ancora stata accertata. Come già precisato al paragrafo che precede, tuttavia, la bonifica ambientale, in qualsiasi modo essa debba avvenire, non tollera che essa sia procrastinata sine die in attesa che siano individuati in via definitiva i responsabili dell’inquinamento.
44.1. Si deve poi considerare che la ritenuta parziarietà degli obblighi di bonifica potrebbe comportare l’onere, per i vari responsabili, di implementare distinte azioni solo nel caso in cui si riscontrasse che le varie condotte causative di danno hanno in concreto determinato danni-conseguenza ontologicamente distinti e distinguibili e tali da poter essere rimossi con distinte azioni di bonifica: solo in tal caso si potrebbe affermare il principio secondo il quale ciascuno dei responsabili “paga per quanto ha inquinato”, essendo tenuto a porre in essere solo le azioni di bonifica necessarie e sufficienti a rimuovere i singoli danni conseguenti alle rispettive azioni causative di danno. Quando, viceversa, per qualsiasi ragione non sia possibile stabilire o riconoscere gli effetti conseguenti alle singole condotte causative di danno ambientale, allora risulta di fatto impossibile identificare singole azioni di bonifica da porre a carico di distinti responsabili. L’azione di bonifica in tal caso non potrà che tradursi in una unica azione di bonifica, che dal punto di vista esecutivo non potrà che gravare in modo solidale tra tutti i responsabili, fermo restando il principio per cui dal punto di vista economico la relativa spesa dovrà essere suddivisa, nei rapporti interni, secondo le rispettive percentuali di responsabilità.
44.2. Per tale ragione, ove pure nella fattispecie per cui è causa fosse ritenuta la responsabilità concorrente di più soggetti, non necessariamente la ritenuta “parziarietà” degli obblighi relativi alla bonifica ambientale potrebbe in concreto tradursi nell’onere, per ciascuno dei responsabili, di effettuare prestazioni distinte. Ad esempio, i gas interstiziali si sono formati in conseguenza sia della condotta posta in essere dai signori Ri. e Bo., sia per effetto del successivo deposito di rifiuti ascrivibile a responsabilità di FI., che ha costituito una autonoma causa indipendente. Come si dovrebbe suddividere, allora, l’obbligo di implementare il sistema di monitoraggio dei gas interstiziali? Forse che tale impianto può essere frazionato in “lotti” corrispondenti, per il costo, a quelle che potrebbero essere le rispettive responsabilità? Anche per quanto riguarda eventuali ed ulteriori azioni di bonifica non pare possibile, nel caso che occupa, stabilire quali, tra i danni-conseguenza (ossia l’inquinamento delle varie matrici ambientali) siano ascrivibili alla condotta concretizzatasi nel deposito dei rifiuti solidi urbani e quali siano invece ascrivibili al successivo deposito di rifiuti di originale industriale; né v’è certezza che le varie stratificazioni di rifiuti possano oggi essere compiutamente identificate – in vista di una improbabile rimozione di essi -, essendo trascorsi decenni di fenomeni di fermentazione, di movimenti naturali indotti dalla formazione dei gas ed essendo stati nel frattempo effettuati gli scavi necessitati dalla realizzazione del PEC approvato nel 1999. Così, se si dovesse effettuare una qualche stratigrafia della zona non sarebbe stupefacente constatare che la decomposizione dei rifiuti organici potrebbe oggi aver fatto sprofondare quelli depositati in origine nello strato superiore, in guisa da impedire di identificare la loro stratificazione.
44.3. Allo stato appare dunque assai difficile e prematuro esprimersi in ordine alla possibilità che le prestazioni necessarie al ripristino ambientale possano essere poste a carico, distintamente, di vari soggetti, e d’altro canto solo ove fosse ritenuta possibile una tale frazionabilità si potrebbe pervenire ad affermare che FC. è responsabile solo per la realizzazione di talune opere, ossia di quelle strettamente necessarie per rimuovere l’inquinamento provocato dal deposito incontrollato di rifiuti industriali.
44.4. Ora, venendo in considerazione la tutela dell’ambiente nonché la tutela della salute umana, in applicazione del principio di precauzione non si può pensare di bloccare l’inizio di una bonifica solo perché non è ancora chiaro quali opere sia necessario implementare per dare corso ad una bonifica e, quindi, cosa debbano fare esattamente i vari soggetti responsabili; deve quindi considerarsi legittimo, come già precisato, che si proceda nei confronti dei responsabili già identificati, e che questi siano obbligati a fare tutto quanto in concreto ritenuto necessario dagli organi tecnici per bonificare un sito, fermi restando gli obblighi di subentro e di concorso nelle operazioni di bonifica a carico degli altri soggetti identificati come corresponsabili dell’inquinamento, nonché l’azione interna di rivalsa sui terzi di cui dovesse emergere la responsabilità ad opere di bonifica iniziate od ultimate, ovvero, in ultima analisi, l’azione di rivalsa nei confronti dell’attuale proprietario non responsabile, nei limiti del valore del bene.
45. Come già detto anche con riferimento alle ordinanze contingibili ed urgenti del Comune di (omissis), non è illogica la prescrizione apposta alla ordinanza di bonifica, secondo la quale FC. si deve coordinare con gli Enti e con i soggetti che già hanno intrapreso delle opere di bonifica: la prescrizione va letta, secondo l’opinione del Collegio, nel senso che FC. si deve orientare, nel progetto di bonifica, tenendo conto e possibilmente giovandosi delle opere di bonifica e di sicurezza già implementate da Ca. e da Cu., fermo restando che ove i tecnici di FC. rilevino l’opportunità di apportare cambiamenti ai progetti di bonifica già approvati, essi potranno e dovranno farlo presente agli Enti competenti ai fini di pervenire alla approvazione di un progetto di bonifica nuovo o modificato”.
Dette statuizioni sono senz’altro da confermare.
19.2.1. Il principio di precauzione, di matrice eurounitaria, impone che l’ordine di bonifica, in quanto posto a tutela di interessi evidentemente “sensibili”, sia eseguito sollecitamente, senza che possano trovare spazio incertezze o differimenti, in conseguenza dei quali il danno ambientale potrebbe ampliarsi.
Nel caso di specie, peraltro, l’unico soggetto responsabile dell’inquinamento (oltre ai deceduti signori Ri. e Bo. ed a prescindere dalla successiva attività posta in essere dalla Città Metropolitana di Torino, parzialmente censurata con la sentenza del Tar Piemonte n. 653 del 2020) individuato con l’ordine di bonifica in contestazione, in grado di porre sollecitamente in essere l’attività di bonifica è la FC., mentre l’esistenza di ulteriori responsabili in grado di provvedere si poneva al momento e si pone ancora oggi come una ipotesi priva di reale concretezza.
Ne consegue che il problema non è la natura solidale o parziaria dell’obbligo di bonifica, in quanto di tale natura potrebbe discutersi solo ove fossero stati in concreto individuati soggetti responsabili in grado di provvedere sollecitamente, il che non è, perché i corresponsabili all’epoca individuati, i signori Ri. e Bo., sono nel frattempo deceduti.
Viceversa, la questione afferisce al se, in presenza di potenziali corresponsabili, sia possibile attendere l’evolversi dell’attività amministrativa, finalizzata ad una loro eventuale individuazione, per procedere alle operazioni di bonifica, e la risposta a tale questione, in un’ottica di corretta azione amministrativa, non può che essere negativa, atteso che il protrarsi del tempo, necessario all’espletamento di una congrua istruttoria, potrebbe compromettere ulteriormente il valore costituzionale costituito dalla tutela dell’ambiente.
Di contro, ove dovessero essere individuati ulteriori responsabili dell’inquinamento, oltre alla Fi. la cui responsabilità è stata già accertata, il soggetto giuridico che ha posto in essere gli interventi di bonifica potrebbe agire in rivalsa, ai sensi dell’art. 253, comma 4, seconda parte, del d.lgs. n. 152 del 2006, nei confronti del corresponsabile o dei corresponsabili nella misura a loro imputabile.
19.2.2. Sulla base di analoghe considerazioni, deve pure escludersi che la sentenza sia affetta da contraddittorietà.
L’ordine di bonifica emanato dalla Città Metropolitana di Torino in data 9 aprile 2015 è un provvedimento plurimo, caratterizzato da un’unitarietà formale, ma non sostanziale, in quanto scindibile in più atti di diverso contenuto.
Ciò riflette il precetto di cui all’art. 244, comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006, secondo cui la provincia svolge le opportune indagini volte ad identificare il responsabile dell’evento di superamento della soglia di contaminazione e diffida lo stesso responsabile a provvedere alla bonifica.
Di talché, il provvedimento ha concluso le indagini per l’individuazione del responsabile dell’inquinamento, e questo è il primo atto di cui si compone, e ha diffidato lo stesso responsabile a provvedere ai sensi della normativa in materia ambientale, e questo è il secondo atto di cui il provvedimento ex art. 244, comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006 si compone.
Infatti, il provvedimento del 9 aprile 2015, sebbene il primo atto sia contenuto nel “ritenuto pertanto di” e non nella determinazione dispositiva finale, ha individuato come corresponsabili della situazione di contaminazione delle matrici ambientali i signori Ri. e Bo., deceduti, e la FC. (primo atto) ed ha diffidato il responsabile ancora individuabile della situazione di contaminazione, vale a dire la FC., affinché attivi le procedure di bonifica (secondo atto).
Il parziale annullamento disposto dal Tar Piemonte con la impugnata sentenza n. 717 del 2017 riguarda evidentemente il primo atto, non il secondo, sicché la diffida allo svolgimento delle operazioni di bonifica non può dirsi toccata dalla pronuncia giurisdizionale.
Peraltro, anche il primo atto, relativo alla individuazione dei responsabili della contaminazione, è stato annullato con riferimento alla carenza di istruttoria sulla possibile esistenza di altri corresponsabili, ma non certo con riferimento all’accertamento della responsabilità della Fi., in quanto, come visto, il giudice di primo grado ha esaurientemente ed in modo articolato respinto i relativi motivi di impugnativa.
20. In definitiva, gli appelli proposti dal Comune di Torino e dal GT. devono essere dichiarati improcedibili per sopravvenuta carenza di interesse, mentre l’appello proposto dalla Fi. deve essere respinto in quanto infondato.
21. Il complessivo esito della controversia esime il Collegio dal pronunciarsi sulla richiesta, formulata dalla dottoressa Cu., peraltro con memoria non notificata, di accertamento della formazione del giudicato interno sull’assenza del nesso causale tra le opere da lei realizzate ed il fenomeno relativo alle esalazioni di biogas.
22. Le spese del giudizio di appello, complessivamente liquidate in euro 15.000,00 (quindicimila/00), oltre accessori di legge, sono poste a carico della Fi. ed a favore, per euro 10.000,00 (diecimila/00), della Città Metropolitana di Torino e, per euro 5.000,00 (cinquemila/00), del Comune di (omissis); le spese sono invece compensate con riferimento a tutte le altri parti costituite in giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sugli appelli di cui al giudizio in epigrafe (R.G. n. 9082 del 2017), così provvede:
– dichiara improcedibili gli appelli proposti dal Comune di Torino e dal Gr. To. Tr. G.T.. s.p.a.;
– respinge l’appello proposto dalla Fi. Ch. Au. N.V., già Fi. s.p.a.
Condanna la Fi. Ch. Au. N.V al pagamento delle spese del giudizio, liquidate complessivamente in euro 15.000,00 (quindicimila/00), oltre accessori di legge, a favore, per euro 10.000,00 (diecimila/00), della Città Metropolitana di Torino e, per euro 5.000,00 (cinquemila/00), del Comune di (omissis); compensa le spese nei confronti delle altre parti costituite in giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 novembre 2020, svoltasi da remoto ai sensi dell’art. 25 del decreto legge n. 137 del 2020, con l’intervento dei magistrati:
Roberto Giovagnoli – Presidente
Daniela Di Carlo – Consigliere
Nicola D’Angelo – Consigliere
Silvia Martino – Consigliere
Roberto Caponigro – Consigliere, Estensore
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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