Il principio di non contestazione ha ad oggetto fatti storici

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|6 luglio 2022| n. 21403.

Il principio di non contestazione ha ad oggetto fatti storici

Il principio di non contestazione di cui all’art. 115 c.p.c. ha ad oggetto fatti storici sottesi a domande ed eccezioni e non può riguardare questioni che attengono allo svolgimento del processo. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva escluso potesse essere provata per il tramite della non contestazione la mancata trasmissione al giudice d’appello del fascicolo di primo grado da parte della cancelleria del giudice “a quo”).

Ordinanza|6 luglio 2022| n. 21403. Il principio di non contestazione ha ad oggetto fatti storici

Data udienza 6 dicembre 2021

Integrale

Tag/parola chiave: Responsabilità per tardiva attuazione delle direttive comunitarie – Ordinanza ex art.. 702 ter cpc – Rimessione in termini – Presupposti – Principio di non contestazione

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Presidente

Dott. RUBINO Lina – Consigliere

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – rel. Consigliere

Dott. GORGONI Marilena – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 14066/2019 proposto da:
(OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’Avvocato (OMISSIS), li rappresenta e difende unitamente all’Avvocato (OMISSIS);
– ricorrenti –
contro
STATO ITALIANO PRESIDENZA CONSIGLIO DEI MINISTRI, elettivamente domiciliato in Roma, Via Dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 752/2019 della Corte di Appello di BOLOGNA, depositata il 7/3/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 06/12/2021 dal Consigliere Dott. STEFANO GIAIME GUIZZI.

Il principio di non contestazione ha ad oggetto fatti storici

FATTI DI CAUSA

1. (OMISSIS) e (OMISSIS) ricorrono, sulla base di sette motivi, per la cassazione della sentenza n. 752/19, del 7 marzo 2019, della Corte di Appello di Bologna, che ha dichiarato inammissibile il gravame dagli stessi esperito contro l’ordinanza pronunciata il 6 ottobre 2016 dal Tribunale di Bologna, ex articolo 702-ter c.p.c., di rigetto della domanda risarcitoria proposta per tardivo e parziale recepimento della direttiva comunitaria 2004/80/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004.
2. Riferiscono, in punto di fatto, gli odierni ricorrenti di aver adito il giudice di prime cure, con ricorso ex articolo 702-bis c.p.c., per chiedere – sul presupposto che il loro padre, uxoricida reo confesso, era stato condannato alla pena di trenta anni di reclusione ed al risarcimento dei danni nei loro confronti, con il riconoscimento di una provvisionale di 50.000,00 – il risarcimento dei danni da tardivo recepimento della suddetta direttiva Europea, che ha previsto un indennizzo a favore delle vittime di reati violenti.
Rigettata la domanda dall’adito Tribunale, sul duplice rilievo, da un lato, dell’assenza di prova sia dell’impossidenza dell’omicida che del danno patrimoniale subito dai figli della vittima, nonche’, dall’altro, dell’irrisarcibilita’, nella specie, del danno tanatologico, gli attori soccombenti esperivano gravame.
Il mezzo, tuttavia, veniva dichiarato inammissibile dal giudice di appello, per essere stato proposto tardivamente, ovvero oltre il termine di trenta giorni fissato dall’articolo 702-ter c.p.c., comma 6, decorrente, nella specie, dalla comunicazione del provvedimento impugnato da parte della cancelleria del giudice “a quo”. Il giudice di seconde cure, inoltre, escludeva la ricorrenza delle condizioni per la rimessione in termini degli appellanti, argomentata sulla mancata riconsegna, da parte della cancelleria del Tribunale, del fascicolo di primo grado. La Corte territoriale, infatti, riteneva “inidonea la dichiarazione scritta, allegata all’atto di appello, asseritamente proveniente da collega di studio del difensore dell’appellante”, reputando, invece, “necessaria un’attestazione di cancelleria che la parte avrebbe potuto facilmente procurarsi”.
3. Ha resistito all’avversaria impugnazione, con controricorso, il Presidente del Consiglio dei ministri, chiedendone la declaratoria di inammissibilita’ ovvero, in subordine, il rigetto.
4. I ricorrenti hanno presentato memoria, insistendo nelle proprie argomentazioni.

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RAGIONI DELLA DECISIONE

5.1. Con il primo motivo i ricorrenti denunciano – ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4) – “violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 116 c.p.c., in relazione all’articolo 2697 c.c. e all’articolo 153 c.p.c.”.
Censurano la sentenza impugnata per aver escluso la riflessione in termini, ritenendo inidonea la dichiarazione scritta della collega di studio del difensore degli (allora) appellanti, cosi’ disattendendo il principio relativo alla “inesistenza di qualsiasi gerarchia aprioristicamente precostituita fra le diverse fonti di prova disponibili”, giacche’ la Corte territoriale, nella sostanza, avrebbe sostenuto la tesi secondo cui, “in assenza di una prova legale, una prova soggetta al libero apprezzamento del giudice non sarebbe valutabile perche’ “meno certa””.
5.2. Con il secondo motivo denunciano ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – “violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 116 c.p.c., in relazione all’articolo 2697 c.c. e all’articolo 153 c.p.c.”.
Censurano nuovamente, la mancata rimessione in termini “per avere il giudice di merito negato qualsivoglia valore, immotivatamente, ad una prova liberamente apprezzabile, come la dichiarazione scritta e/o orale di una collaboratrice forense”.
5.3. I motivi primo e secondo – suscettibili di trattazione unitaria, data la loro connessione, censurando la decisione della Corte territoriale di negare rilievo: ai fini della rimessione in termini, alla dichiarazione scritta relativa alla mancata possibilita’ di acquisizione del fascicolo di primo grado – non sono fondati.
Sul punto, occorre muovere dal rilievo che l’applicazione dell’istituto della rimessione in termini, quanto al termine per proporre impugnazione, “richiede pur sempre che vi sia una causa non imputabile, riferibile ad un evento che presenti il carattere della assolutezza – e non gia’ una impossibilita’ relativa, ne’ tantomeno una mera difficolta’ – e che sia in rapporto causale determinante con il verificarsi della decadenza in questione” (cosi’, da ultimo, in motivazione, Cass. Sez. Un., sent. 4 dicembre 2020, n. 27773, Rv. 659663-02; in senso analogo, tra le altre, Cass. Sez. 1, sent. 23 novembre 2018, n. 30512; Cass. Sez. 3, sent. 4 aprile 2013, n. 8216, Rv. 625831-01).
Gia’ sotto questo profilo, dunque, deve dubitarsi della legittimita’ della richiesta di rimessione in termini, ovvero per il difetto dei tre presupposti richiesti da questa Corte – non imputabilita’, assolutezza ed efficienza causale determinante rispetto alla maturata decadenza dall’impugnazione – nell’impedimento allegato (ovvero, la mancata disponibilita’ del fascicolo di primo grado), anche alla stregua del principio enunciato da questo giudice di legittimita’ e secondo cui “lo smarrimento del fascicolo d’ufficio” (come pure di quello di parte), relativo al giudizio di primo grado, “non puo’ considerarsi causa impeditiva della proposizione dell’impugnazione” entro il termine di legge, “tale da giustificare una richiesta di rimessione in termini, potendo la parte chiedere al giudice la ricostituzione di detti fascicoli e l’eventuale integrazione dei motivi d’appello” (Cass. Sez. Lav., sent. 25 marzo 2013, n. 7393, Rv. 626119-01).

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Cio’ supera, dunque, la questione relativa alla – dedotta illegittima – preferenza accordata alla certificazione documentale proveniente dalla cancelleria, rispetto alla dichiarazione della collaboratrice/collega del difensore, ferma in ogni caso restando la necessita’ che la prova dei presupposti legittimanti la rimessione in termini, in caso di decadenza dall’impugnazione, sia “puntuale e rigorosa, stante l’eccezionalita’ della fattispecie derogatoria” (Cass. Sez. 1, sent. 20 gennaio 2006, n. 1180, Rv. 589674-01), giacche’ la “inammissibilita’ dell’impugnazione derivante dall’inosservanza dei termini all’uopo stabiliti a pena di decadenza e’ correlata alla tutela d’interessi di carattere generale e, come tale, e’ insanabile, oltre che rilevabile d’ufficio” (Cass. Sez. Un., sent. 5 aprile 2005, n. 6983, Rv. 580150-01, nello stesso senso, piu’ di recente, Cass. Sez. 2, sent. 5 giugno 2015, n. 11666, Rv. 635597-01).
5.4. Con il terzo motivo denunciano – ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – “violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 116 c.p.c., in relazione all’articolo 2697 c.c. e all’articolo 153 c.p.c.”.
Rilevano come la Presidenza del Consiglio dei Ministri non abbia posto in discussione il fatto dell’impossibilita’ del ritiro del fascicolo di primo grado, ma abbia solo prospettato che i documenti contenuti nello stesso non fossero essenziali per la formazione dell’appello, sicche’ il fatto su cui si fondava l’istanza di rimessione doveva ritenersi incontestato.
5.5. Con il quarto motivo, in stretta continuita’ con quello precedente, denunciano – ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4) – “violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 115 c.p.c., in relazione all’articolo 2697 c.c. e all’articolo 167 c.p.c.”, censurando la sentenza impugnata “per avere la Corte di merito non rilevato l’esistenza di un fatto pacifico”.
5.6. Con il quinto motivo, anch’esso strettamente collegato ai due precedenti, denunciano – ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4) – “violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 115 c.p.c., in relazione all’articolo 2697 c.c. e all’articolo 167 c.p.c.”, censurando la sentenza impugnata “per avere la Corte di merito non rilevato l’esistenza di un fatto pacifico”, ovvero l’impossibilita’ per la collaboratrice del difensore degli appellati di accedere al fascicolo d’ufficio.
5.7. I motivi terzo, quarto e quinto – suscettibili anch’essi di trattazione unitaria, data la loro connessione, censurando la decisione impugnata per non aver ritenuto la mancata trasmissione del fascicolo di primo grado quale fatto “non contestato” (o addirittura “ammesso”) dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri – sono in parte inammissibili e in parte infondati.

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Difatti, “quando il motivo di impugnazione si fondi sul rilievo che la controparte avrebbe tenuto condotte processuali di non contestazione”, e’ onere del ricorrente – nella specie, non soddisfatto – di predisporre l’atto di impugnazione in modo tale sia da “indicare la sede processuale di adduzione delle tesi ribadite o lamentate come disattese”, sia di “contenere la trascrizione dei relativi passaggi argomentativi” merce’ “la riproduzione degli atti del giudizio nella misura necessaria” a tale scopo (Cass. Sez. 3, sent. 9 agosto 2016, n. 16655, Rv. 641486-01), occorrendo “indicare specificamente il contenuto della comparsa di risposta avversaria e degli ulteriori atti difensivi, evidenziando in modo puntuale la genericita’ o l’eventuale totale assenza di contestazioni sul punto” (cfr. Cass. Sez. (3-3, ord. 22 maggio 2017, n. 12840, Rv. 644383-01). Siffatti adempimenti non risultano, invero, assolti dagli odierni ricorrenti.
Va d’altro canto osservato che “il principio di non contestazione di cui all’articolo 115 c.p.c., ha per oggetto fatti storici sottesi a domande ed eccezioni” (da ultimo, Cass. Sez. 3, sent. 5 marzo 2020, n. 6172, Rv. 657154-01), le une e le altre da intendersi in senso sostanziale, atteso che il principio e’ stato sempre interpretato nel senso che, “imponendo al convenuto l’onere di prendere posizione sui fatti costitutivi del diritto preteso dalla controparte” (o, per converso, all’attore di prendere posizione sui fatti modificativi o estintivi allegati dal convenuto; cfr. Cass. Sez. 3, sent. 3 maggio 2016, n. 8647, Rv. 639713-01), determina “effetti vincolanti per il giudice, che dovra’ astenersi da qualsivoglia controllo probatorio del fatto non contestato acquisito al materiale processuale e dovra’, percio’, ritenerlo sussistente, in quanto l’atteggiamento difensivo delle parti espunge il fatto stesso dall’ambito degli accertamenti richiesti” (cosi’, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 21 giugno 2013, n. 15658, Rv. 626904-01).
Orbene, nel caso che occupa, gli odierni ricorrenti pretendono di attribuire alla “non contestazione” – che e’, come detto, “comportamento univocamente rilevante ai fini della determinazione dell’oggetto del giudizio” (Cass. Sez. 3, n. 15658 del 2013, cit.) -una portata che gli e’ estranea, riconoscendo ad essa efficacia vincolante persino in relazione alla risoluzione di questioni che attengono allo svolgimento del processo e non, propriamente, alla “res in iudicium deducta”.
Il tutto, infine, non senza rilevare come il fatto oggetto della (asserita) non contestazione – la mancata consegna del fascicolo di primo grado, ad opera della cancelleria del giudice “a qua” – non sarebbe stato idoneo a giustificare la rimessione in termini, per le ragioni gia’ illustrate nello scrutinare i primi due motivi di ricorso.
5.8. Con il sesto motivo denunciano – ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma l’, n. 5) – “omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia”, ovvero la richiesta di assunzione di prova orale, mediante l’escussione della predetta collaboratrice di studio, in relazione all’impossibilita’ di acquisizione del fascicolo di primo grado.
5.8.1. Il motivo e’ inammissibile.

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Premesso – per le medesime ragioni gia’ indicate, in particolare nella disamina del primo e secondo motivo di ricorso – che la circostanza oggetto della richiesta prova testimoniale non sarebbe stata affatto “decisiva”, deve rilevarsi che la “conformazione” che i ricorrenti hanno inteso attribuire alla presente censura, per un verso, sconta l’inconferenza del richiamo all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5), che contempla quale vizio di legittimita’ “l’omesso esame” (e non l’omessa motivazione) di un “fatto” (e non di un punto) decisivo”; formula con la quale il legislatore ha inteso riferirsi ad un “fatto vero e proprio”, e, quindi, “un fatto principale, ex articolo 2697 c.c. (cioe’ un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) od anche un fatto secondario (cioe’ un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale), purche’ controverso e decisivo” (cosi’, in motivazione, Cass. Sez. 5, sent. 8 settembre 2016, n. 17761, Rv. 641174-01; nello stesso senso Cass. Sez. 6-5, ord. 4 ottobre 2017, n. 23238, Rv. 646308-01), vale a dire “un preciso accadimento, ovvero una precisa circostanza da intendersi in senso storico-naturalistico” (Cass. Sez. 5, sent. 8 ottobre 2014, n. 21152, Rv. 632989-01; Cass. Sez. Un., sent. 23 marzo 2015, n. 5745, non massimata), “un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante, e le relative ricadute di esso in termini di diritto” (cfr. Cass. Sez. 1, ord. 5 marzo 2014, n. 5133, Rv. 629647-01), e “come tale non ricomprendente questioni o argomentazioni” (Cass. Sez, 6-1, ord. 6 settembre 2019, n. 22397, Rv. 655413-01) e non certo istanze istruttorie.
D’altra parte, anche a ritenere – ad onta del testuale riferimento dell’articolo 360 c.p.c., n. 5) – che i ricorrenti abbiano voluto denunciare un difetto di motivazione in merito al rigetto dell’istanza istruttoria da essi formulata, risulta evidente la ricorrenza, nella specie, di una motivazione implicita (giacche’ “la superfluita’ dei mezzi non ammessi puo’ implicitamente dedursi dal complesso delle argomentazioni contenute nella sentenza”; cfr. Cass. Sez. 3, sent. 12 luglio 2005, n. 14611, Rv. 584883-01), desumibile, in particolare, dal rilievo che, secondo la Corte territoriale, la prova della mancata consegna del fascicolo di primo grado avrebbe dovuto essere offerta mediante certificazione di cancelleria.
5.9. Con il settimo motivo denunciano – ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – “violazione di legge”, e cio’ “in relazione all’articolo 113 c.p.c.”, oltre che “overruling dell’AGO con sfaldamento degli argini”.
Lamentano che “se i fatti non sono contestati” l’autorita’ giudiziaria ordinaria “non puo’ sollevare eccezioni o introdurre questioni nuove e mai dibattute”, sicche’, nella specie, “ci si poteva attendere una decisione diversa in relazione al quid disputandum ed altresi’ al decisum”.
5.9.1. Il motivo e’ inammissibile.
Premesso, invero, che e’ “inammissibile “il motivo di ricorso per cassazione che, per la sua oscura formulazione, non consente di intendere il significato e la portata della censura svolta” (cosi’ Cass. Sez. Lav., sent. 15 dicembre 1979, n. 6530, Rv. 403284-01; in senso sostanzialmente analogo, gia’ in passato, Cass. Sez. 3, sent. 6 agosto 1974, n. 2363, Rv. 370753-01, nonche’, in tempi piu’ recenti, Cass. Sez. 3, sent. 4 febbraio 2000, n. 1238, Rv. 533471-01), deve rilevarsi che la censura non si correla in alcun modo al “decisum” della sentenza impugnata, come invece necessario. Necessita’ derivante dal fatto che il motivo di impugnazione “e’ rappresentato dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo e’ regolato dal legislatore, della o delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, la decisione e’ erronea, con la conseguenza che, in quanto per denunciare un errore bisogna identificarlo e, quindi, fornirne la rappresentazione, l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale puo’ considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali e’ esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa e’ errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito considerarsi nullo per inidoneita’ al raggiungimento dello scopo”, sicche’, in riferimento al ricorso per Cassazione “tale nullita’, risolvendosi nella proposizione di un “non motivo”, e’ espressamente sanzionata con l’inammissibilita’ ai sensi dell’articolo 366 c.p.c., n. 4)” (cosi’ Cass. Sez. 3, sent. 11 gennaio 2005, n. 359, Rv. 579564-01; in senso analogo anche Cass. Sez. 3, sent. 31 agosto 2015, 17330, Rv. 636872-01, nonche’, in motivazione, Cass. Sez. Un., sent. 20 marzo 2017, n. 7074, non massimata sul punto; conforme anche Cass. Sez. 1, ord. 24 settembre 2018, n. 22478, Rv. 650919-01).

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6. I ricorrenti, infine, reiterano in questa sede la questione di legittimita’ costituzionale gia’ posta all’attenzione del giudice di appello, ipotizzando violazione degli articoli 3 e 24 Cost., dell’articolo 702-quater c.p.c., “nella parte in cui si presta ad essere interpretato nel senso che la semplice comunicazione dell’ordinanza ex articolo 702-bis c.p.c., da parte della cancelleria determini, contrariamente alle altre (normali) ipotesi di appello, il decorso del termine breve, dunque anche in assenza di notificazione”.
Formulano, inoltre, richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, affinche’ stabilisca se il termine per impugnare debba essere unico o possa risultare anche plurimo, ovvero se un termine differente senza ragioni specifiche sia ragionevole, o se non sia piu’ opportuno un termine unitario.
6.1. Entrambe le richieste vanno disattese.
Questa Corte ha gia’ affermato che e’ “manifestamente infondata la questione di legittimita’ costituzionale – per asserita violazione degli articoli 24 e 117, comma l’, Cost. in relazione agli articoli 47 della Carta di Nizza e articolo 6 della CEDU, quali norme interposte – dell’articolo 702-quater c.p.c., nella parte in cui stabilisce che l’ordinanza conclusiva del procedimento sommario di cognizione e’ appellabile entro il termine breve di trenta giorni dalla sua comunicazione ad opera della cancelleria, trattandosi di schema procedimentale che, rispondendo allo scopo di garantire la stabilita’ delle decisioni non impugnate entro un determinato termine, ritenuto dall’ordinamento nazionale adeguato ai fini di una ponderata determinazione della parte interessata, non e’ incompatibile con “il principio di effettivita’ della tutela giurisdizionale” (Cass. Sez. 3, ord. 4 febbraio 2020, n. 2467, Rv. 656727-01), potendo, inoltre, aggiuntivamente osservarsi che pure in questo caso, come in ogni altro in cui sia prevista la decadenza dalla facolta’ di impugnare per decorso di un termine, l’effetto della “inammissibilita’ dell’impugnazione, che consegue all’inosservanza del termine, non integra una sanzione sproporzionata rispetto alla finalita’ di salvaguardare elementari esigenze di certezza giuridica (Corte EDU, 15 settembre 2016, Trevisanato c. Italia)” (Cass. Sez. 1, ord. 10 febbraio 2021, n. 3340, Rv. 660721-01).
7. In conclusione, il ricorso va rigettato.
8. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo.
9. A carico dei ricorrenti sussiste l’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto secondo accertamento spettante all’amministrazione giudiziaria (Cass. Sez. Un., sent. 20 febbraio 2020, n. 4315, Rv. 657198-01), ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.
Condanna i ricorrenti al pagamento, in solido, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio, che liquida in 7.000,00, piu’ spese prenotate a debito, oltre spese forfetarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 -quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, la Corte da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti, se dovuto, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis.

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In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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