Corte di Cassazione, sezione terza civile, Ordinanza 27 settembre 2018, n. 23162.
La massima estrapolata:
Il parametro fondamentale di interpretazione della natura dell’arbitrato, dal quale, in permanenza del dubbio, discende il canone residuo e “di chiusura”, e’ in effetti lo scopo che le parti intendono perseguire tramite la clausola compromissoria e, poi, tramite il conseguente lodo. Laddove le parti perseguono una soluzione definitiva della controversia mediante l’introduzione di un ulteriore strumento negoziale ad integrazione di quello da cui e’ sortita la controversia stessa, le parti optano per l’arbitrato irrituale, affinche’ la soluzione non sia frutto, appunto, di una valutazione lato sensu giurisdizionale bensi’ integri una ulteriore manifestazione della loro volonta’.
Nell’arbitrato rituale le parti mirano a pervenire ad un lodo suscettibile di essere reso esecutivo e di produrre gli effetti di cui all’articolo 825 c.p.c., con l’osservanza delle regole del procedimento arbitrale, mentre nell’arbitrato irrituale esse intendono affidare all’arbitro la soluzione di controversie soltanto attraverso lo strumento negoziale, mediante una composizione amichevole o un negozio di accertamento riconducibile alla volonta’ delle parti stesse, le quali si impegnano a considerare la decisione degli arbitri come espressione della loro volonta’. Ne consegue che ha natura di arbitrato irrituale quello previsto da una clausola compromissoria che enunci l’impegno delle parti di considerare il carattere definitivo e vincolante del lodo, al pari del negozio concluso e quindi come espressione della propria personale volonta’, restando di contro irrilevanti sia la previsione della vincolativita’ della decisione, anche se firmata solo dalla maggioranza degli arbitri (dato che pure l’arbitrato libero ammette tale modalita’), e sia la previsione di una decisione secondo diritto, senza il rispetto delle forme del codice di rito, ma nel rispetto del contraddittorio, attesa la sua compatibilita’ con l’arbitrato libero e il necessario rispetto anche in quest’ultimo del principio del contraddittorio, in ragione dello stretto collegamento tra l’articolo 101 c.p.c. e gli articoli 2, 3 e 24 Cost., ed in linea con l’articolo 6 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo
Ordinanza 27 settembre 2018, n. 23162
Data udienza 15 maggio 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SESTINI Danilo – Presidente
Dott. CIGNA Mario – Consigliere
Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere
Dott. GRAZIOSI Chiara – rel. Consigliere
Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 49/2017 proposto da:
(OMISSIS) SNC, in persona dell’amministratore unico e legale rappresentante protempore (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS) che la rappresenta e difende giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) SRL, (OMISSIS) SRL;
– intimate –
avverso la sentenza n. 5892/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 06/10/2016;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 15/05/2018 dal Consigliere Dott. CHIARA GRAZIOSI.
RILEVATO
che:
Avendo (OMISSIS). s.n.c. impugnato un lodo emesso 18 luglio 2011 riguardante un rapporto tra essa e ed (OMISSIS) S.r.l., ed essendosi quest’ultima costituita eccependo l’inammissibilita’ dell’impugnazione – essa nelle more del giudizio veniva poi cancellata dal registro delle imprese, e si costituiva (OMISSIS) S.r.l. ex articolo 111 c.p.c., quale cessionaria del relativo ramo d’azienda, riportandosi alle sue difese -, la Corte d’appello di Roma, con sentenza del 6 ottobre 2016, dichiarava inammissibile l’impugnazione per essere l’arbitrato irrituale, compensando le spese.
(OMISSIS). s.n.c. ha proposto ricorso – basato su due motivi – nei confronti di (OMISSIS) S.r.l. in persona del legale rappresentante e/o del difensore o in persona del liquidatore nel suo domicilio e nei confronti di (OMISSIS) S.r.l. in persona del legale rappresentante e/o il suo difensore nel suo domicilio per la carica.
CONSIDERATO
che:
1.1 Il primo motivo denuncia, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli articoli 820, 821 c.p.c., articoli 1322 e 1362 c.c. e segg., per avere la corte territoriale erroneamente ritenuto che il breve termine concesso all’arbitro per pronunciare il lodo e l’incertezza della clausola compromissoria “imporrebbero di optare per la configurabilita’ dell’arbitrato irrituale”, laddove la corte avrebbe dovuto tenere conto della effettiva volonta’ delle parti e del tenore della clausola compromissoria, che attribuiva all’arbitro un potere decisionale e non conteneva specificazioni a favore di un arbitrato libero.
Nello stesso motivo viene altresi’ denunciato vizio motivazionale ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in ordine a un fatto discusso e decisivo, in riferimento all’avere la corte territoriale “erroneamente interpretato la clausola” compromissoria e ritenuto, ai fini della inammissibilita’ della impugnazione, la natura irrituale del lodo.
Osserva la ricorrente che il termine per emettere il lodo e’ necessario per entrambe le specie di arbitrato, essendo diverso soltanto lo strumento per sopperire all’omessa previsione: nell’arbitrato rituale, l’articolo 820 c.p.c., che direttamente prevede 240 giorni dall’accettazione della nomina; nell’arbitrato libero, il ricorso al giudice ai sensi dell’articolo 1183 c.c.. Il termine peraltro puo’ avere qualsiasi durata, per cui la corte territoriale avrebbe errato ritenendo la brevita’ del termine (60 giorni, prorogati poi di altri 60) un elemento qualificante la irritualita’: in tal modo verrebbe a violare o a effettuare falsa applicazione dell’articolo 820 c.p.c..
La corte territoriale ritiene che l’aver previsto “una sorta di declinatoria di arbitrato in caso di ritardo, in pendenza di un giudizio arbitrale, esprime la volonta’ delle parti di non rinunciare affatto alla tutela giurisdizionale”; a cio’ oppone la ricorrente che, invece, l’inutile decorso del termine per la pronuncia del lodo scioglierebbe il vincolo derivante dalla clausola compromissoria rituale, esaurendosi ogni possibile potere decisionale dell’arbitro. Per interpretare la clausola compromissoria sarebbe necessario esaminare le circostanze di fatto, i comportamenti delle parti e il significato grammaticale delle espressioni, nonche’ indagare in ordine alla comune intenzione delle parti: pertanto la corte territoriale avrebbe dovuto accertare la concreta volonta’ delle parti secondo le norme ermeneutiche destinate ad interpretare i contratti, per stabilire se si trattava appunto di arbitrato rituale o irrituale. Il giudice avrebbe dovuto tenere in conto che la clausola attribuiva all’arbitro un potere decisionale e non manifestava la volonta’ delle parti di arbitrato atipico. L’arbitro avrebbe dovuto fissare il termine di efficacia finale del contratto preliminare; ed (OMISSIS), nel suo quesito, gli aveva chiesto espressamente di avvalersi di un potere decisionale e di pronunciare un lodo immediatamente esecutivo con effetti ai sensi dell’articolo 325 c.p.c.. Sulla base di questo, per la natura derogatoria dell’arbitrato irrituale, nel dubbio si dovrebbe qualificare l’arbitrato rituale.
1.2 Il secondo motivo denuncia vizio di motivazione ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in ordine a un fatto discusso e decisivo, per avere la corte territoriale dichiarato inammissibile l’impugnazione ritenendo erroneamente che il lodo fosse irrituale senza interpretare la clausola compromissoria ai sensi degli articoli 1362 c.c. e segg., cercando di ricostruire la concreta volonta’ negoziale delle parti in base agli elementi letterali e al comportamento complessivo, anche posteriore alla conclusione del contratto, e tenendo conto che le espressioni ambigue devono essere interpretate nel senso piu’ conveniente alla natura e all’oggetto del contratto ex articolo 1369 c.c.. Il motivo prospetta quindi una valutazione diversa da quella adottata dalla corte territoriale e adduce che la devoluzione delle controversie ad arbitri e’ sempre la rinuncia alla giurisdizione statale, per cui la distinzione tra rituale e irrituale non potrebbe fondarsi sulla devoluzione agli arbitri della funzione di giudice. Segue la confutazione di vari passi della motivazione della sentenza impugnata.
2.1 I motivi sopra sintetizzati costituiscono evidentemente, in sostanza, la ripetizione delle stesse argomentazioni, per cui meritano un vaglio congiunto.
La corte territoriale ha interpretato la clausola compromissoria del caso in esame definendola equivoca e quindi compatibile sia con un arbitrato rituale che con un arbitrato irrituale; la corte peraltro e’ giunta alla qualificazione dell’arbitrato come irrituale, sulla base delle seguenti ragioni: perche’ il tempo a disposizione dell’arbitro sarebbe stato breve; perche’ non emergerebbe la volonta’ delle parti di un lodo immediatamente esecutivo e con gli effetti ex articolo 825 c.p.c., con l’osservanza del regime formale del procedimento arbitrale; perche’ l’incertezza condurrebbe alla prevalenza dell’arbitrato irrituale essendo l’arbitrato rituale una eccezione; perche’ irrilevante dal punto di vista ermeneutico sarebbe la qualificazione data dall’arbitro stesso alla sua decisione.
E’ chiaro che la qualificazione dell’arbitrato come irrituale o irrituale incide su una questione processuale, cioe’ sull’ammissibilita’ della impugnazione del lodo per nullita’, onde giudice di fatto – si tratta, logicamente, di un accertamento di fatto perche’ diretto ad evincere la volonta’ negoziale delle parti quanto alla clausola compromissoria – in tale fattispecie e’ anche questa Suprema Corte.
2.2 La corte territoriale richiama la giurisprudenza tradizionale per cui, nell’ipotesi di dubbio sulla natura dell’arbitrato, si deve propendere per la sua natura irrituale, e in particolare cita Cass. sez. 2, 28 giugno 2000 n. 8788, il cui insegnamento (“Al fine di accertare se una determinata clausola compromissoria configuri un arbitrato rituale o irrituale deve aversi riguardo alla volonta’ delle parti desumibile dalle regole di ermeneutica contrattuale, ricorrendo l’arbitrato rituale quando debba ritenersi che le parti abbiano inteso demandare agli arbitri una funzione sostitutiva di quella del giudice e, ricorrendo invece un arbitrato irrituale quando debba ritenersi che abbiano inteso demandare ad essi la soluzione di determinate controversie in via negoziale, mediante un negozio di accertamento, ovvero strumenti conciliativi o transattivi, dovendosi optare, nel caso in cui residuino dubbi sull’effettiva volonta’ dei contraenti, per l’irritualita’ dell’arbitrato, tenuto conto che l’arbitrato rituale, introducendo una deroga alla competenza del giudice ordinario, deve ritenersi abbia natura eccezionale”) si innesta appunto in uno stabile orientamento in tal senso (sono sostanzialmente conformi Cass. sez. 1, 24 luglio 1997 n. 6928, Cass. sez. 1, 23 giugno 1998 n. 6248, Cass. sez. 2, 22 febbraio 1999 n. 1476, Cass. sez. 1, 13 aprile 2001 n. 5527, Cass. sez. 1, 8 agosto 2001 n. 10935, Cass. sez. L, 4 aprile 2002 n. 4841, e la chiarissima Cass. sez. L, 24 gennaio 2005 n. 1398, per cui “al fine di accertare se una determinata clausola compromissoria configuri un arbitrato rituale o irrituale, deve aversi riguardo alla volonta’ delle parti desumibile dalle regole di ermeneutica contrattuale, ricorrendo l’arbitrato rituale quando e’ da ritenersi che le parti abbiano inteso demandare agli arbitri una funzione sostitutiva di quella del giudice e ricorrendo invece un arbitrato irrituale quando debba ritenersi che abbiano inteso demandare ad essi la soluzione di determinate controversie in via negoziale, mediante un negozio d’accertamento, ovvero strumenti conciliativi o transattivi. Nel caso in cui residuino dubbi sull’effettiva volonta’ dei contraenti, si deve optare per l’irritualita’ dell’arbitrato, tenuto conto che l’arbitrato rituale, introducendo una deroga alla competenza del giudice ordinario, ha natura eccezionale”; e sui criteri ermeneutici gia’ sopra evidenziati v. pure Cass. sez. 1, 10 novembre 2006 n. 24509 e Cass. sez. 2, 12 ottobre 2009 n. 21585). Anche piu’ recentemente questa Suprema Corte ha confermato l’eccezionalita’ dell’arbitrato rituale quale canone interpretativo estremo con Cass. sez. 1, 21 novembre 2013 n. 26135, per cui “al fine di determinare se si verta in tema di arbitrato rituale o irrituale, occorre interpretare la clausola compromissoria alla stregua dei normali canoni ermeneutici ricavabili dall’articolo 1362 c.c. e, dunque, fare riferimento al dato letterale, alla comune intenzione delle parti, e al comportamento complessivo delle stesse, anche successivo alla conclusione del contratto, senza che, il mancato richiamo nella clausola alle formalita’ dell’arbitrato rituale deponga univocamente nel senso dell’irritualita’ dell’arbitrato, ovvero possa essere invocato il criterio, residuale, della natura eccezionale dell’arbitrato rituale, dovendosi tenere conto delle maggiori garanzie offerte da tale forma di arbitrato quanto all’efficacia esecutiva del lodo, al regime delle impugnazioni, alle possibilita’ per il giudice di concedere la sospensiva”.
2.3 Una incrinatura dell’orientamento si e’ peraltro riscontrata, di recente, in Cass. sez. 1, 7 aprile 2015 n. 6909, per cui nella interpretazione del patto corrrifssorio “il dubbio sull’interpretazione dell’effettiva volonta’ dei contraenti va risolto nel senso della ritualita’ dell’arbitrato, tenuto conto della natura eccezionale della deroga alla norma per cui il lodo ha efficacia di sentenza giudiziaria”. Dalla motivazione emerge che a tale risultato questo arresto e’ giunto in base a interventi delle Sezioni Unite: si afferma infatti la necessita’ di “richiamare il recente arresto delle Sezioni unite di questa Corte le quali, con la sentenza n. 24153 del 2013, resa in materia di arbitrato estero ma sulla base di una rivisitazione dell’essenza dell’istituto, hanno consapevolmente compiuto una overruling in materia processuale (cfr. Sez. U, Ordinanza n. 23675 del 2014), affermando, tra l’altro, il principio di diritto secondo cui “l’attivita’ degli arbitri rituali, anche alla stregua della disciplina complessivamente ricavabile dalla L. 5 gennaio 1994, n. 5 e dal Decreto Legislativo 2 febbraio 2006, n. 40, ha natura giurisdizionale e sostitutiva della funzione del giudice ordinario, sicche’ lo stabilire se una controversia spetti alla cognizione dei primi o del secondo si configura come questione di competenza, mentre il sancire se una lite appartenga alla competenza giurisdizionale del giudice ordinario e, in tale ambito, a quella sostitutiva degli arbitri rituali, ovvero a quella del giudice amministrativo o contabile, da luogo ad una questione di giurisdizione”… Sulla base di tale nuova affermazione, avente valore centrale nella ricostruzione della disciplina dell’arbitrato…le Sezioni unite hanno messo in moto un vero e proprio processo di revisione interpretativa”; e dovendo decidere su una fattispecie in cui, appunto, si era fatto valere, nel dubbio interpretativo sulla natura dell’arbitrato, “il principio di diritto (varie volte enunciato da questa stessa Corte) del favor ermeneutico per l’arbitrato irrituale”, si adduce che tale principio, affermato in pronunce risalenti e “tutte anteriori al mutamento interpretativo espresso dalle Sezioni unite civili, con l’arresto del 2013”, deve essere abbandonato perche’ “va in questa sede portato a compimento, in parte qua, il cennato processo di revisione interpretativa…sulla base del principio, evincibile dal complesso ragionamento svolto dalle Sezioni unite, secondo cui il lodo pronunciato nell’arbitrato rituale, per la volonta’ delle parti che l’hanno preferito alla giurisdizione ordinaria, ha valore ed efficacia di sentenza, come se essa fosse stata pronunciata dai giudici statuali…sulla base di tale rovesciamento della prospettiva interpretativa (non piu’ derogatoria della giurisdizione ordinaria, come connotato eccezionale negativo, ma come possibilita’ alternativa di un diverso giudizio, nell’ambito dei diritti disponibili), appare considerazione condivisibile, emergente nella dottrina, anche prima della riforma del 2006, quella secondo cui, agli occhi del legislatore, il modello principale di arbitrato, capace di assicurare le maggiori garanzie per le parti che l’hanno voluto, e’ quello rituale mentre l’arbitrato libero e’ previsione cui potra’ farsi ricorso solo con disposizione espressa e per iscritto, al punto che la nuova regola di diritto positivo…ossia l’articolo 808-ter c.p.c., ha attuato proprio tale programma, riaffermando l’applicabilita’ sic et simpliciter della disciplina codicistica dell’arbitrato (rituale) a tutti i possibili patti compromissori, salvo solo il potere delle parti di stabilire che, in deroga alla norma per cui il lodo ha l’efficacia della sentenza giudiziaria (articolo 824-bis c.p.c.), “la controversia sia definita dagli arbitri, mediante determinazione contrattuale”…In sostanza, la nuova legge processuale ha espressamente stabilito la necessita’ di una apposita previsione di arbitrato irrituale, a fronte della regola applicabile normalmente, in caso di devoluzione della controversia in arbitri, di chiaro ed opposto tenore”. E dunque, poiche’ il lodo ha l’efficacia della sentenza, si dovrebbe ritenere eccezionale l’arbitrato irrituale.
2.4 Questa impostazione, pur specificamente motivata, non e’, a ben guardare, consistente: anche nella giurisprudenza che l’arresto in esame reputa (con qualche eccesso) risalente e ormai venuta meno di fronte ai richiamati interventi delle Sezioni Unite si era gia’ evidenziato, in realta’, che nell’arbitrato rituale le parti orientano la loro volonta’ verso un lodo riconducibile ad una soluzione di genere giurisdizionale, in quanto idoneo ad essere reso esecutivo e a produrre gli effetti ex articolo 825 c.p.c., laddove con l’arbitrato irrituale perseguono una soluzione negoziale della controversia, tale da qualificarsi espressione diretta della loro volonta’ e pertanto non essere impugnata (cfr. in particolare Cass. sez. 1, 13 aprile 2001n. 5527, cit., che in tal modo rettifica gli argomenti, da alcune pronunce utilizzati – come Cass. sez. 2, 22 settembre 1999 n. 1476, cit. -, per cui l’arbitrato rituale sarebbe stato eccezione in quanto derogante la giurisdizione ordinaria).
Il parametro fondamentale di interpretazione della natura dell’arbitrato, dal quale, in permanenza del dubbio, discende il canone residuo e “di chiusura” adottato dalla corte territoriale, e’ in effetti lo scopo che le parti intendono perseguire tramite la clausola compromissoria e, poi, tramite il conseguente lodo. Laddove le parti perseguono una soluzione definitiva della controversia mediante l’introduzione di un ulteriore strumento negoziale ad integrazione di quello da cui e’ sortita la controversia stessa, le parti optano per l’arbitrato irrituale, affinche’ la soluzione non sia frutto, appunto, di una valutazione lato sensu giurisdizionale bensi’ integri una ulteriore manifestazione della loro volonta’.
2.5 La tradizionale individuazione del discrimen e’ d’altronde poco dopo riemersa in Cass. sez. 1, 2 dicembre 2015 n. 24558, il cui insegnamento conferma quanto si e’ appena rilevato e quindi in ordine alle modalita’ accertatorie della specie di arbitrato coincide con quel che e’ stato effettuato dalla corte territoriale nel caso in esame: “Nell’arbitrato rituale le parti mirano a pervenire ad un lodo suscettibile di essere reso esecutivo e di produrre gli effetti di cui all’articolo 825 c.p.c., con l’osservanza delle regole del procedimento arbitrale, mentre nell’arbitrato irrituale esse intendono affidare all’arbitro la soluzione di controversie soltanto attraverso lo strumento negoziale, mediante una composizione amichevole o un negozio di accertamento riconducibile alla volonta’ delle parti stesse, le quali si impegnano a considerare la decisione degli arbitri come espressione della loro volonta’. Ne consegue che ha natura di arbitrato irrituale quello previsto da una clausola compromissoria che enunci l’impegno delle parti di considerare il carattere definitivo e vincolante del lodo, al pari del negozio concluso e quindi come espressione della propria personale volonta’, restando di contro irrilevanti sia la previsione della vincolativita’ della decisione, anche se firmata solo dalla maggioranza degli arbitri (dato che pure l’arbitrato libero ammette tale modalita’), e sia la previsione di una decisione secondo diritto, senza il rispetto delle forme del codice di rito, ma nel rispetto del contraddittorio, attesa la sua compatibilita’ con l’arbitrato libero e il necessario rispetto anche in quest’ultimo del principio del contraddittorio, in ragione dello stretto collegamento tra l’articolo 101 c.p.c. e gli articoli 2, 3 e 24 Cost., ed in linea con l’articolo 6 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo”.
In ultima analisi, quello che costituisce l’effettivo criterio e’ l’obiettivo della clausola compromissoria, il quale viene a identificarsi, se si tratta di arbitrato irrituale, nella natura negoziale del compito deferito all’arbitro; e in questo caso indice dirimente, alla luce di un’evidente logica, e’ l’enunciazione nella clausola dell’impegno delle parti a considerare definitivo e vincolante il lodo, in quanto espressione della loro volonta’ (l’appena citata Cass. sez. 1, 2 dicembre 2015 n. 24558 evidenzia proprio questo profilo). Nella fattispecie in esame, a prescindere dal rilievo del termine effettivamente breve concesso all’arbitro, la clausola compromissoria qualifica in tal senso il suo contenuto, proprio perche’ stabilisce che la decisione, pur secondo diritto pronunciata, rimane inappellabile. Il che, assorbendo ogni altro aspetto, comporta la condivisione della valutazione della corte territoriale e il conseguente rigetto del ricorso.
Non vi e’ luogo a pronuncia sulle spese non essendosi difeso nessuno degli intimati. Sussistono invece Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2012, ex articolo 13, comma 1 quater, i presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e dichiara non luogo a provvedere sulle spese.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.
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