Corte di Cassazione, civile, Sentenza|11 ottobre 2022| n. 29621.
Il mutamento di destinazione di una unità immobiliare
Il mutamento di destinazione di una unità immobiliare può essere impedito dal condominio solo ove detta limitazione sia prevista dal regolamento condominiale di natura contrattuale; né tale scopo può essere indirettamente perseguito frapponendo ostacoli all’uso di quei servizi comuni indispensabili all’eventuale mutamento, in violazione del diritto del condomino di esercitare sui beni comuni i poteri attribuitigli dall’articolo 1102, comma 1, del codice civile.
Sentenza|11 ottobre 2022| n. 29621. Il mutamento di destinazione di una unità immobiliare
Data udienza 1 marzo 2022
Integrale
Tag/parola chiave: Risarcimento danni – Condominio – Mancato pagamento da parte della società dei servizi comuni – Periodo di fruizione – Non incidenza sul suo diritto di proprietà – Rigetto dei ricorsi – Comportamento dei condomini – Artt. 1102 e 1223 cc
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Felice – Presidente
Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere
Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere
Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere
Dott. SCARPA Antonio – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 7514/2017 proposto da:
(OMISSIS) s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS), del foro di Monza ed elettivamente domiciliata in (OMISSIS) presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS) del foro di Roma;
– ricorrente –
contro
CONDOMINIO DI (OMISSIS), in persona dell’Amministrazione pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS) del foro di Milano, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS) del foro di Roma;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
avverso la sentenza n. 3450/2016 della Corte di appello di Milano, depositata il 19 settembre 2016;
udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 1 marzo 2022 dal Consigliere relatore Dott.ssa Milena Falaschi;
lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PEPE Alessandro, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Il mutamento di destinazione di una unità immobiliare
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 12 aprile 2010, la (OMISSIS) s.r.l. – in qualita’ di condomina e proprietaria di due edifici ad uso industriale poi ristrutturati in cinque unita’ abitative – evocava, dinanzi al Tribunale di Milano, il CONDOMINIO (OMISSIS), al fine di ottenere la condanna al risarcimento dei danni derivanti dall’illegittimo diniego di autorizzazione all’utilizzo delle parti comuni, in particolare degli impianti di acqua, luce, gas, citofono, antenna TV e fognature, il cui allacciamento con i cinque lofts realizzati dalla societa’ implicava lo scavo del cortile interno condominiale e l’interramento di cavi e tubazioni, operazione espressamente autorizzata dal giudice all’esito di un preventivo procedimento ex articolo 700 c.p.c..
Costituitosi in giudizio il CONDOMINIO che spiegava domanda riconvenzionale, il Tribunale di Milano, con sentenza n. 13546/2013, rigettava le domande attore e, in accoglimento della riconvenzionale, condannava la (OMISSIS) alla rimozione di tutti gli allacciamenti agli impianti ed ai servizi condominiali creati a vantaggio delle unita’ immobiliari di proprieta’ della stessa societa’. Secondo il primo giudice l’utilita’ che l’attrice pretendeva di trarre dall’uso dei beni comuni non violava i limiti di cui all’articolo 1102 c.c., ma costituiva un’utilita’ del tutto nuova e aggiuntiva rispetto a quella preesistente, perche’ non riferita al capannone ma ai singoli lofts, considerato che la creazione delle nove unita’ immobiliari richiedeva la realizzazione di nuove condutture con scavo nel cortile comune, il quale veniva cosi’ gravato dal passaggio di nuove linee prima inesistenti.
Sul gravame interposto dalla societa’, la Corte di appello di Milano, nella resistenza dell’appellato, con sentenza n. 3067/2016, in accoglimento parziale dell’appello, dichiarava inammissibile la domanda di rimozione degli allacciamenti eseguiti dalla societa’ e compensava le spese di lite.
In particolare, la Corte distrettuale affermava che la societa’ appellante, condomina a tutti gli effetti, aveva diritto ad utilizzare la cosa comune (nella specie il cortile e il sottosuolo) per posizionarvi le condutture necessarie ai collegamenti degli immobili di sua proprieta’; sicche’ era del tutto ininfluente accertare se le opere eseguite da DAPR all’interno della porzione immobiliare di sua proprieta’ fossero consistite in ristrutturazione o nuova edificazione o se l’immobile fosse o meno in precedenza allacciato agli impianti condominiali, in quanto il diritto di eseguire le opere di allacciamento derivava dall’essere comproprietario del bene comune.
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Precisava, inoltre, la Corte che la consistenza dell’intervento edilizio avrebbe potuto al piu’ costituire motivo di revisione delle tabelle di ripartizione delle spese relative ai nuovi impianti a servizio dei lofts, questione che tuttavia non rientrava nell’oggetto della controversia. In riferimento alla pretesa risarcitoria dell’appellante principale, la Corte di merito rilevava che delle prime due voci di danno, tra loro alternative, la societa’ non aveva fornito alcuna prova, mancando in atti qualsiasi elemento dal quale desumere che il ritardo nell’esecuzione dei lavori di allacciamento agli impianti avesse comportato la perdita di concreta possibilita’ di vendita dei singoli immobili. Aggiungeva a tal riguardo la Corte che la societa’ aveva unicamente prodotto copia di un incarico di mediazione conferito il 21 settembre 2007 a servizi casa 2000 per la vendita complessiva delle dieci unita’ immobiliari al prezzo di Euro 1.895.000,00, senza dedurre alcuna prova sui motivi dell’esito negativo dell’incarico.
In riferimento alla richiesta alternativa di danno derivante dalla perdita di importi corrispondenti a canoni di locazione asseritamente non percepiti nel periodo 2007/2009 a causa della condotta del CONDOMINIO, la Corte di appello accertava che la (OMISSIS) aveva solo documentato di aver locato alcuni degli immobili nel corso del 2009, senza provare di avere perso delle concrete possibilita’ di locazione in epoca anteriore ed anzi risultando dall’incarico di mediazione un’iniziale intenzione di vendere gli immobili anziche’ locarli.
Ne’ risultava provato il lamentato danno derivante dal costo delle opere di allacciamento, non essendo stato prodotto il contratto di appalto che avrebbe dimostrato – secondo la societa’ – la previsione di dette opere nello stesso.
Infine, la Corte del merito affermava che non poteva nemmeno valere la liquidazione equitativa delle voci di danno patrimoniale, stante le lacune probatorie circa l’ammontare del danno, con conseguente inoperativita’ dell’articolo 1226 c.c., non potendo il giudice sopperire in via equitativa alle mancanze probatorie delle parti.
Per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Milano, la (OMISSIS) propone ricorso fondato su due motivi, cui resiste il CONDOMINIO proponendo altresi’ ricorso incidentale fondato su tre motivi.
In prossimita’ della pubblica udienza il Sostituto Procuratore, Dott. Alessandro Pepe, ha depositato una relazione, con la quale ha rassegnato le conclusioni nel senso del rigetto di entrambi i ricorsi. Entrambe le parti hanno curato il deposito di memorie illustrative.
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CONSIDERATO IN DIRITTO
Con il primo motivo la ricorrente principale deduce ex articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, l’omessa, insufficiente, contraddittoria o apparente motivazione in relazione a fatti decisivi oggetto della di discussione tra le parti, nonche’ la violazione degli articoli 1102 e 1223 c.c., per non aver il giudice del gravame esaminato le conseguenze provocate dall’illegittimo comportamento tenuto dal CONDOMINIO a danno della (OMISSIS).
In particolare, ad avviso della ricorrente, la corte di appello non avrebbe minimamente considerato che il CONDOMINIO, impendendo alla societa’ attrice di poter utilmente vendere o quantomeno locare tempestivamente i cinque lofts, avrebbe determinato di per se’ il danno, sostanzialmente riferibile alla indisponibilita’ degli appartamenti oggetto di causa.
Ebbene, i danni di cui la ricorrente chiede il ristoro consisterebbero nel mancato profitto sulla vendita o sulla locazione delle unita’ immobiliari, nel pagamento degli interessi passivi sul mutuo fondiario concluso dalla societa’ per l’acquisto degli immobili, nei costi sostenuti per il ritardo negli allacciamenti e nelle spese legali sopportate per il procedimento cautelare promosso contro il Condominio.
Pertanto, la societa’ ricorrente si duole della mancata ammissione delle prove testimoniali idonee a dimostrare l’intento della societa’ di vendere l’immobile e della CTU richiesta per la determinazione dell’entita’ della svalutazione monetaria subita dagli immobili e, comunque, dell’omessa quantificazione dei danni subiti dalla societa’, in considerazione della documentazione prodotta e della mancata specifica contestazione del Condominio sul punto.
Il motivo e’ inammissibile sotto vari profili.
In primo luogo, va ribadito che, in linea con le Sezioni Unite di questa Corte, la riformulazione dell’articolo 360 c.p.c., n. 5, disposta con il Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54, convertito con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, secondo cui e’ deducibile esclusivamente “l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti” deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’articolo 12 preleggi, come riduzione al minimo costituzionale del sindacato sulla motivazione denunciabile in sede di legittimita’, per cui l’anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimita’ e’ solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all’esistenza della motivazione in se’, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, e si esaurisce, con esclusione di alcuna rilevanza del difetto di “sufficienza”, nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili”, nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” ” (Cass., Sez. Un., n. 8053 del 2014).
Pertanto, il controllo previsto dall’articolo 360 c.p.c., nuovo n. 5, concerne “l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza (rilevanza del dato testuale) o dagli atti processuali (rilevanza anche del dato extratestuale), che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato.
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avrebbe determinato un esito diverso della controversia)” (sempre Cass., Sez. Un., n. 8053/2014 cit.).
Nella specie, la doglianza oltre a non rispettare il paradigma di cui all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, verte su apprezzamenti di fatto rimessi all’esclusivo esame del giudice di merito, come tali non censurabili in questa sede se esenti da vizi logico – formali.
Difatti, e’ pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che il ricorso per cassazione non conferisce al giudice di legittimita’ il potere di riesaminare l’intera vicenda processuale, ma solo la facolta’ di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico – formale delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta in via esclusiva il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilita’ e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicita’ dei fatti, dando cosi’ prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (Cfr. Cass. n. 331 del 2020; Cass. n. 7523 del 2017; Cass. 24679 del 2013; Cass. n. 27197 del 2011).
Ora, la Corte milanese, nell’esercizio del suo potere discrezionale, ha respinto la richiesta risarcitoria relativa ai danni derivanti dalla mancata messa in vendita degli appartamenti, rilevando la carenza probatoria e la mancanza in atti di qualsiasi elemento dal quale desumere che il ritardo nell’esecuzione dei lavori di allacciamento agli impianti avesse comportato la perdita concreta della possibilita’ di vendere i singoli immobili.
Inoltre, il giudice del gravame ha altresi’ accertato che la societa’ si era limitata a produrre copia di un incarico di mediazione conferito.
il 21 settembre 2007 a servizi casa 2000 per la vendita complessiva delle dieci unita’ immobiliari al prezzo di Euro 1.895.000,00 senza tuttavia dedurre alcuna prova sui motivi dell’esito negativo dell’incarico.
Ancora, in riferimento alla richiesta alternativa di danno derivante dalla perdita di importi corrispondenti a canoni di locazione asseritamente non percepiti nel periodo 2007/2009 a causa della condotta del CONDOMINIO, la Corte di appello ha rilevato che la (OMISSIS) aveva solo documentato di aver locato alcuni degli immobili nel 2009, senza tuttavia provare di avere perso delle concrete possibilita’ di locazione in epoca anteriore, anzi risultando dall’incarico di mediazione un’iniziale intenzione di vendere gli immobili anziche’ locarli.
Anche in relazione al lamentato danno derivante dal costo delle opere di allacciamento il giudice di appello ha riscontrato lacune probatorie, non essendo stato prodotto il contratto di appalto che avrebbe dimostrato – ad avviso della societa’ – la previsione di dette opere nel regolamento contrattuale.
Infine, con riferimento ai capitoli di prova la Corte di appello ha valutato che gli stessi non erano in grado di colmare le evidenti lacune probatorie.
Quanto alla doglianza relativa al mancato espletamento di CTU ai fini di quantificare i danni subiti dalla societa’, osserva il Collegio che la consulenza tecnica d’ufficio e’ mezzo istruttorio (e non una prova vera e propria) sottratta alla disponibilita’ delle parti ed affidata al prudente apprezzamento del giudice di merito, rientrando nel suo potere discrezionale la valutazione di disporre la nomina dell’ausiliario giudiziario e la motivazione dell’eventuale diniego puo’ anche essere implicitamente desumibile dal contesto generale delle argomentazioni svolte e dalla valutazione del quadro probatorio unitariamente considerato effettuata dal suddetto giudice (Cass. n. 15219 del 2007; Cass. 326 del 2020).
In relazione alla dedotta violazione di legge per sussistenza del danno in re ipsa, va chiarito che di tale tipologia di danno puo’ al piu’ parlarsi nella diversa ipotesi di occupazione sine titulo, non ravvisabile nel caso di specie riguardante il (presunto) mancato sfruttamento commerciale delle unita’ abitative ai fini della vendita e della locazione da parte della ricorrente.
Il mutamento di destinazione di una unità immobiliare
In ogni caso, la giurisprudenza di questa Corte anche in riferimento al danno subito dal proprietario per indisponibilita’ del cespite a causa dell’occupazione sine titulo altrui, ha ribadito che detto danno puo’ definirsi “in re ipsa”, inteso in senso descrittivo, ossia di normale inerenza del pregiudizio all’impossibilita’ stessa di disporre del bene, senza comunque far venir meno l’onere per l’attore quanto meno di allegare, e anche di provare con l’ausilio delle presunzioni, il fatto da cui discende il lamentato pregiudizio, ossia che se egli avesse immediatamente recuperato la disponibilita’ dell’immobile, l’avrebbe subito impiegato per finalita’ produttive, quali il suo godimento diretto o la sua locazione (Cass. n. 25898 del 2016). Ebbene, nella specie la Corte di appello, oltre a rilevare la carenza probatoria, ha altresi’ precisato che la (OMISSIS) non aveva fornito nemmeno la prova dell’intenzione di locare gli immobili, assegnati ad un’agenzia di mediazione con l’incarico di provare a venderli e non a locarli.
Con il secondo motivo la ricorrente principale lamenta, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, l’omessa, insufficiente, contraddittoria o apparente motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio, nonche’ la violazione degli articoli 1226 e 2697 c.c., articoli 114 e 115 c.p.c., per aver il giudice di appello ritenuto di non procedere alla liquidazione dei danni in via equitativa, malgrado la formulazione di una specifica domanda subordinata sul punto, essendo particolarmente difficile la quantificazione dei danni.
Il motivo va respinto.
L’esercizio del potere discrezionale di liquidare il danno in via equitativa, conferito al giudice dagli articoli 1226 e 2056 c.c., espressione del piu’ generale potere di cui all’articolo 115 c.p.c., da’ luogo non gia’ ad un giudizio di equita’, ma ad un giudizio di diritto caratterizzato dalla cosiddetta equita’ giudiziale correttiva od integrativa che, pertanto, presuppone che sia provata l’esistenza di danni risarcibili e che risulti obiettivamente impossibile o particolarmente difficile per la parte interessata provare il danno nel suo preciso ammontare, non riguardando – invece anche l’accertamento del pregiudizio della cui liquidazione si tratta, onere quest’ultimo che deve essere gia’ assolto dalla parte.
In sostanza, con il giudizio di equita’ non e’ possibile surrogare il mancato accertamento della prova della responsabilita’ del debitore o la mancata individuazione della prova del danno nella sua esistenza che deve essere gia’ assolto presupponendo gia’ assolto l’onere della parte di dimostrare la sussistenza e l’entita’ materiale del danno, non essendo la parte interessata esonerata dal fornire
gli elementi probatori e i dati di fatto dei quali possa
ragionevolmente disporre, cosi’ da ricondurre l’apprezzamento equitativo alla sua funzione di colmare solo le lacune insuperabili nell’iter della determinazione dell’equivalente pecuniario del danno (Cass. n. 13288 del 2007; Cass. n. 10670 del 2010; Cass. n. 18804 del 2015; Cass. n. 16344 del 2020).
Nella specie, come si evince dalla motivazione della sentenza impugnata, la carenza probatoria non ha consentito al giudice di appello di ricorrere al giudizio in via equitativa a norma dell’articolo 1226 c.c.
Passando all’esame del ricorso incidentale, con il primo motivo il ricorrente lamenta, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione dell’articolo 112 e la nullita’ della sentenza per non essersi il giudice del merito pronunciato sull’eccezione sollevata dal CONDOMINIO relativa alla estraneita’ della (OMISSIS) dagli impianti di causa perche’ di proprieta’ esclusiva degli altri condomini.
Ebbene, sostiene il ricorrente che, nei precedenti gradi di giudizio, pur avendo dettagliatamente illuminato e documentato l’originario stato dei luoghi al fine di dimostrare l’infondatezza della pretesa di controparte di ritenersi in quanto condomina anche proprietaria degli impianti ad uso abitativo di gas, luce, antenna TV, citofono, la Corte distrettuale non si sarebbe pronunciata.
Peraltro, dal materiale probatorio prodotto nelle precedenti fasi di merito, si evincerebbe la collazione dell’originaria installazione delle predette utenze presso il solo stabile di sei piani fuori terra, il posizionamento dei relativi impianti nei locali dello stesso al piano seminterrato, l’assenza – prima dell’interno di (OMISSIS) – di qualsivoglia tubazione o conduttura interrata nel cortile interno, diretta a collegare il capannone agli impianti uso abitativo installati nello stabile residenziale, la conseguente esclusione del proprietario del capannone dalla contribuzione alle relative spese per riscaldamento, impianto elettrico ed ovviamente antenna TV incompatibile con la destinazione d’uso originaria.
Con il secondo motivo il ricorrente incidentale denuncia, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e la falsa applicazione degli articoli 1117, 1118 e 1123 c.c., per non aver la Corte di appello esaminato lo stato dei luoghi come emergente dalla documentazione prodotta, motivato sull’eccezione del CONDOMINIO quanto al mutamento della prospettazione in fatto operata dalla (OMISSIS), nonche’ motivato in ordine alla natura condominiale o meno degli impianti di causa, questione quest’ultima decisiva ed oggetto di contestazione tra le parti.
Il mutamento di destinazione di una unità immobiliare
Ad avviso del ricorrente incidentale, gli impianti sarebbero di proprieta’ esclusiva degli altri condomini dell’edificio principale di sei piani, stante la licenza di occupazione dello stabile condominiale rilasciata dal Comune di Milano che – oltre a dare atto della data di edificazione – non menzionerebbe ne’ il laboratorio ne’ il capannone successivamente acquistati dalla controparte, il regolamento condominiale approvato all’unanimita’ dei partecipanti che – da un lato – non avrebbe indicato i suddetti impianti tra le parti comuni e – dall’altro – avrebbe espressamente esonerato la proprietaria del capannone dalla contribuzione delle spese relative a tali servizi, tra cui il riscaldamento.
Quanto alla destinazione funzionale degli impianti ad uso abitativo oggetto di causa, il CONDOMINIO aggiunge che sarebbero permanentemente destinati ad alimentare le sole unita’ abitative dell’edificio principale di sei piani e, pertanto, sarebbero legittimamente destinati all’uso ed al godimento dei soli condomini proprietari di dette unita’.
Infine, con il terzo motivo il CONDOMINIO lamenta, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e la falsa applicazione degli articoli 1102, 1117, 1118 e 1058 c.c., per aver il giudice del gravame ritenuto legittimo uso discrezionale della cosa comune da parte della (OMISSIS), non valutando che i lavori di escavazione eseguiti dalla predetta societa’ andassero oltre i limiti di cui all’articolo 1102 c.c..
I motivi di ricorso, da trattare congiuntamente in quanto connessi sotto il profilo argomentativo, sono privi di pregio.
La Corte di merito non ha omesso di pronunciarsi sulla questione relativa alla comproprieta’ o meno degli impianti oggetto di causa, ma – al contrario – ha accertato la titolarita’ del diritto di proprieta’ anche in capo alla societa’ appellante, essendo quest’ultima condomina a tutti gli effetti e come tale comproprietaria del cortile comune e degli impianti di gas, luce, acqua, antenna TV, citofono. Del resto, proprio per tale motivo, la (OMISSIS) e’ stata autorizzata – a seguito del procedimento ex articolo 700 c.p.c. – ad eseguire i lavori sul sottosuolo del cortile comune al fine di allacciarsi ai predetti impianti.
Cosi’ operando, la Corte milanese ha fatto buon governo dei principi di diritto enunciati da questa Corte sul tema: difatti e’ pacifico nella giurisprudenza di legittimita’ che il comproprietario di un cortile puo’ porre nel sottosuolo tubature per lo scarico fognario e l’allacciamento del gas a vantaggio della propria unita’ immobiliare, trattandosi di un uso conforme all’articolo 1102 c.c., in quanto non limita, ne’ condiziona, l’analogo uso degli altri comunisti (Cass. n. 18661 del 2015). In altri termini, non ricorre l’ipotesi di una servitu’ ma quella di un uso del bene comune ex articolo 1102 c.c., e la differente sussistenza fra le due fattispecie costituisce un accertamento di fatto, come tale non censurabile in sede di legittimita’ se non nei limitati confini di cui all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
D’altro canto, in tema di Condominio, l’allaccio di nuove utenze ad una rete non costituisce di per se’ una modifica della stessa, perche’ una rete di servizi – sia fognaria, elettrica, idrica o di altro tipo – e’ per sua natura suscettibile di accogliere nuove utenze; sicche’ e’ onere del Condominio, che ne voglia negare l’autorizzazione, dimostrare che – nel caso particolare – l’allaccio di nuove utenze incida nella funzionalita’ dell’impianto, non potendo – peraltro opporre che il divieto all’allaccio sia finalizzato ad impedire un mutamento di destinazione della unita’ immobiliare (Cass. n. 21832 del 2007).
Del resto, che si tratti di comproprieta’ e di condomini anche per quanto attiene allo stabile “ex capannone” costituisce un accertamento di merito formato, oltre che sulla presunzione ex articolo 1117 c.c., anche dall’esame del Regolamento condominiale e dall’attribuzione di una quota millesimale, seppur minima.
Peraltro, il mutamento di destinazione di una unita’ immobiliare puo’ essere impedito dal condominio solo ove detta limitazione sia prevista dal regolamento condominiale di natura contrattuale; ne’ tale scopo puo’ essere indirettamente perseguito frapponendo ostacoli all’uso di quei servizi comuni indispensabili all’eventuale mutamento, in violazione del diritto del condomino di esercitare sui beni comuni i poteri attribuitigli dall’articolo 1102 c.c., comma 1 (Cass. n. 21832/2007, cit.).
Accertata – quindi – la qualita’ di condomino e la relativa comproprieta’ dei beni comuni (tra cui il cortile su cui insistevano gli impianti), ben ha fatto la Corte di merito a ritenere ininfluente l’accertamento dello stato originario dei luoghi, affermando al contempo che la consistenza dell’intervento edilizio avrebbe potuto al piu’ costituire motivo di revisione delle tabelle di ripartizione delle spese relative ai nuovi impianti a servizi dei lofts, questione tuttavia non oggetto della controversia.
Peraltro, la circostanza che la (OMISSIS) non pagasse originariamente le spese relative alle utenze offerte dagli impianti non incide sul suo diritto di proprieta’, ma deriva semplicemente dalla mancata fruizione di tali servizi prima di eseguire le opere di allacciamento agli impianti che – come precisato – sono suscettibili per loro natura di accogliere nuove utenze.
In conclusione vanno rigettatati entrambi i ricorsi, principale e incidentale.
Le spese del giudizio di legittimita’, stante la reciproca soccombenza, vanno interamente compensate fra le parti.
Ne consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese sostenute dalla controricorrente nel presente grado di giudizio, liquidate come da dispositivo.
Poiche’ i ricorsi sono stati proposti successivamente al 30 gennaio 2013 e sono rigettati, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilita’ 2013), che ha aggiunto l’articolo 13, comma 1 quater, del testo unico di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, sia da parte del ricorrente principale sia da parte del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta entrambi i ricorsi;
dichiara interamente compensate fra le parti le spese del giudizio di legittimita’.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13 comma 1 qualer, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte sia del ricorrente principale sia del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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