Il muro di contenimento tra due fondi posti a livelli differenti

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|| n. 18108.

Il muro di contenimento tra due fondi posti a livelli differenti

Il muro di contenimento tra due fondi posti a livelli differenti, qualora il dislivello derivi dall’opera dell’uomo o il naturale preesistente dislivello sia stato artificialmente accentuato, deve considerarsi costruzione a tutti gli effetti e soggetta, pertanto, agli obblighi delle distanze previste dall’articolo 873 del Cc e dalle eventuali norme integrative. Ai fini dell’osservanza delle norme in materia di distanze legali stabilite dagli articoli 873 e seguenti del Cc, e delle norme dei regolamenti locali integrativi della disciplina codicistica, infatti, la nozione di costruzione è unica e non si identifica con quella di edificio, ma si estende a qualsiasi manufatto non completamente interrato avente i caratteri della solidità, stabilità e immobilizzazione al suolo anche mediante appoggio, incorporazione o collegamento fisso a un corpo di fabbrica contestualmente realizzato o preesistente e ciò indipendentemente dal livello di posa ed elevazione dell’opera stessa, sicché soggiace alla disciplina sulle distanze anche il muro di sostegno di un terrapieno.

In caso di violazione delle distanze, il giudice, nel liquidare in via equitativa il danno, deve indicare, almeno sommariamente e nell’ambito dell’ampio potere discrezionale che gli è proprio, i criteri seguiti per determinare l’entità del danno, tenendo conto della riduzione di fruibilità della proprietà, del suo valore e di altri elementi che devono essere allegati e provati dall’attore anche in via presuntiva. Non costituisce parametro per determinare il danno risarcibile la modifica dello stato dei luoghi o la complessità delle opere di ripristino, che sono poste a carico dell’autore della violazione (Principio enunciato in motivazione, ai sensi dell’articolo 384 Cpc).

Ordinanza|| n. 18108. Il muro di contenimento tra due fondi posti a livelli differenti

Data udienza 15 marzo 2023

Integrale

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere

Dott. PAPA Patrizia – Consigliere

Dott. GIANNACCARI Rosanna – rel. Consigliere

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 4418/2021 R.G. proposto da:

(OMISSIS), (OMISSIS), rappresentati e difesi dall’avvocato (OMISSIS), ( (OMISSIS));

– ricorrente –

contro

(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), ( (OMISSIS)), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS), ( (OMISSIS));

– controricorrente –

avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO FIRENZE n. 1236/2020 depositata il 02/07/2020;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15/03/2023 dal Consigliere Dott. ROSSANA GIANNACCARI.

FATTI DI CAUSA

Il giudizio trae origine dalla domanda proposta innanzi al Tribunale di Arezzo da (OMISSIS) nei confronti di (OMISSIS) e (OMISSIS), con la quale l’attrice, proprietaria di un compendio immobiliare ubicato nel comune di (OMISSIS), lamento’ a che i convenuti avevano realizzato un terrapieno artificiale in violazione delle distanze dal confine; chiedeva, pertanto, la riduzione in pristino ed il risarcimento dei danni subiti in considerazione della diminuita amenita’, areazione e visuale cui godeva la sua proprieta’.

Si costituirono in giudizio i convenuti per resistere alla domanda.

La Corte d’appello di Firenze, in riforma della sentenza di primo grado accolse, per quanto di ragione la domanda; evidenzio’ che, in conseguenza della modifica di quasi due metri apportata al piano di campagna dai convenuti, erano stati eretti muri di oltre due metri di altezza. Trattandosi di terrapieno artificiale, esso doveva essere considerato costruzione ai fini del rispetto delle distanze.

La Corte d’appello condanno’, quindi, i convenuti ad arretrare i manufatti, oltre al risarcimento del danno nella misura di Euro 15.000.

Per la cassazione della sentenza d’appello hanno proposto ricorso (OMISSIS) e (OMISSIS) sulla base di tre motivi.

Ha resistito con controricorso (OMISSIS).

In prossimita’ dell’udienza, i ricorrenti hanno depositato memorie illustrative.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso, si deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 873 c.c., del Decreto Ministeriale n. 1444 del 1968 e del regolamento edilizio del Comune di (OMISSIS), la violazione dei principi generali di cui all’articolo 115 c.p.c. in materia di prova e l’omessa valutazione di circostanze decisive; i ricorrenti contestano che la Corte abbia considerato il terrapieno come artificiale, senza tener conto ne’ del dislivello naturale, ne’ del fatto che il CTU non avesse stabilito quale fosse il piano di campagna, determinando solamente la variazione altimetrica.

Il motivo e’ infondato.

La Corte d’appello ha accertato che i muri realizzati dai convenuti avevano modificato il profilo altimetrico del piano di campagna (pag11 della sentenza impugnata) e, soprattutto, avevano modificato l’andamento della scarpata.

Sotto tale profilo, il CTU ha accertato, convenendo con i CTU, che vi era stata una variazione massima di quota pari a ml 1,9.

Va, pertanto, dato seguito al principio costantemente affermato da questa Corte, secondo cui il muro di contenimento tra due fondi posti a livelli differenti, qualora il dislivello derivi dall’opera dell’uomo o il naturale preesistente dislivello sia stato artificialmente accentuato, deve considerarsi costruzione a tutti gli effetti e soggetta, pertanto, agli obblighi delle distanze previste dall’articolo 873 c.c. e dalle eventuali norme integrative (Cassazione civile sez. II, 29/05/2019, n. 14710; Cassazione civile sez. II, 22/01/2010, n. 1217).

Ai fini dell’osservanza delle norme in materia di distanze legali stabilite dagli articoli 873 c.c. e ss., e delle norme dei regolamenti locali integrativi della disciplina codicistica, infatti, la nozione di “costruzione” e’ unica e non si identifica con quella di edificio, ma si estende a qualsiasi manufatto non completamente interrato avente i caratteri della solidita’, stabilita’ e immobilizzazione al suolo anche mediante appoggio, incorporazione o collegamento fisso a un corpo di fabbrica contestualmente realizzato o preesistente e cio’ indipendentemente dal livello di posa ed elevazione dell’opera stessa, sicche’ soggiace alla disciplina sulle distanze anche il muro di sostegno di un terrapieno (Cassazione civile sez. II, 17/10/2017, n. 24473, non massimata).

Il ricorso, lungi dal denunciare il vizio di violazione di legge, che ricorre nelle ipotesi in cui vi e’ una erronea ricognizione di fattispecie astratta (ex multis Cass. n. 24414 del 2019) o la violazione dell’articolo 115 c.p.c. (Cass. S.S.U.U. 20867/2020) e lungi dal denunciare l’omesso esame di un fatto decisivo (Cass. SS.U.U. 8053/2014), si risolve in un’alternativa valutazione delle risultanze istruttorie volte a confutare l’apprezzamento del giudice di merito sulla natura artificiale del terrapieno e sull’assoggettabilita’ dei muri al regime delle costruzioni.

Con il secondo motivo di ricorso, si deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 1226 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la Corte d’appello erroneamente ritenuto che dalla violazione delle distanze derivasse un danno in re ipsa, senza considerare l’intervento edilizio nel suo complesso, dando, quindi, rilievo alla parte d’intervento che risultava legittima e non lesiva dei diritti della (OMISSIS). Inoltre, la Corte d’appello non avrebbe fatto riferimento ad alcun criterio che desse conto dell’iter logico seguito per giungere alla determinazione della somma in concreto liquidata.

Il motivo e’ fondato.

Le Sezioni Unite, con sentenza del 15.11.2022, n. 33645, in tema di prova del danno da violazione del diritto di proprieta’ e di altri diritti reali, hanno optato per una mediazione fra la teoria normativa del danno, emersa nella giurisprudenza della II Sezione Civile, e quella della teoria causale, sostenuta dalla III Sezione Civile.

La questione se la violazione del contenuto del diritto, in quanto integrante essa stessa un danno risarcibile, sia suscettibile di tutela non solo reale ma anche risarcitoria e’ risolta dalle Sezioni Unite in senso positivo.

E’ stato dato seguito al principio di diritto, piu’ volte affermato da questa Corte, secondo cui, in caso di violazione della normativa sulle distanze tra costruzioni, al proprietario confinante compete sia la tutela in forma specifica finalizzata al ripristino della situazione antecedente, sia la tutela in forma risarcitoria (ex multis Cass. Sez. 2, Sentenza n. 17635 del 18/07/2013, Rv. 627242 – 01).

Le Sezioni Unite confermano la linea evolutiva della giurisprudenza della II Sezione Civile, nel senso che la locuzione “danno in re ipsa” va sostituita con quella di “danno presunto” o “danno normale”, privilegiando la prospettiva della presunzione basata su specifiche circostanze da cui inferire il pregiudizio allegato.

Le Sezioni Unite hanno, altresi’, definito il danno risarcibile in presenza di violazione del contenuto del diritto di proprieta’: esso riguarda non la cosa ma il diritto di godere in modo pieno ed esclusivo della cosa stessa sicche’ il danno risarcibile e’ rappresentato dalla specifica possibilita’ di esercizio del diritto di godere che e’ andata persa quale conseguenza immediata e diretta della violazione. Il nesso di causalita’ giuridica si stabilisce cosi’ fra la violazione del diritto di godere della cosa, integrante l’evento di danno condizionante il requisito dell’ingiustizia, e la concreta possibilita’ di godimento che e’ stata persa a causa della violazione del diritto medesimo, quale danno conseguenza da risarcire.

Nel caso in cui la prova sia fornita attraverso presunzioni, l’attore ha l’onere di allegare il pregiudizio subito, anche mediante le nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza.

Nel caso in cui sia stata disposta la riduzione in pristino dell’opera posta in essere in violazione delle distanze legali, il pregiudizio subito dalla proprieta’ del vicino per aver dovuto sopportare temporaneamente una costruzione a distanza inferiore a quella legale, va risarcito in quanto frutto di un’illegittima imposizione di un peso avente le caratteristiche della servitu’. Ove sia disposta la demolizione dell’opera illecita, il risarcimento del danno va computato tenendo conto della temporaneita’ della lesione del bene protetto dalle norme, della diminuzione temporanea del valore della proprieta’ e di altri elementi che il danneggiato ha l’onere di allegare, al fine di consentire al giudice la valutazione equitativa del danno.

Nel caso di specie, la Corte distrettuale ha liquidato il danno in Euro 15.000,00 sulla base della modifica dello stato dei luoghi e della particolare complessita’ dei lavori di ripristino.

Tale motivazione non indica i criteri di liquidazione del danno in termini di perdita o diminuzione del godimento del diritto ma collega il danno risarcibile alle opere necessarie per la riduzione in pristino cui e’, peraltro, tenuto l’autore della violazione e non certo il danneggiato.

La realizzazione di dette opere non costituiscono un danno per il mancato godimento del bene ma le modalita’ per procedere alla riduzione in pristino laddove, ai fini della liquidazione anche presuntiva del danno, il giudice doveva tener conto di altri elementi come la riduzione di fruibilita’ della proprieta’, del suo valore, la perdita di aria e luce, la potenzialita’ edificatoria ed altri elementi oggetto di allegazione da parte dell’attore.

In tema di liquidazione equitativa del danno, al fine di evitare che la relativa decisione si presenti come arbitraria e sottratta ad ogni controllo, e’ necessario che il giudice indichi, almeno sommariamente e nell’ambito dell’ampio potere discrezionale che gli e’ proprio, i criteri seguiti per determinare l’entita’ del danno e gli elementi su cui ha basato la sua decisione in ordine al “quantum” (Sez. 3 -, Ordinanza n. 2327 del 31/01/2018, Rv. 647590 – 01).

Il motivo di ricorso deve, pertanto, essere accolto.

La sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Corte d’appello di Firenze in diversa composizione che applichera’ il seguente principio di diritto “in caso di violazione delle distanze, il giudice, nel liquidare in via equitativa il danno, deve indicare, almeno sommariamente e nell’ambito dell’ampio potere discrezionale che gli e’ proprio, i criteri seguiti per determinare l’entita’ del danno, tenendo conto della riduzione di fruibilita’ della proprieta’, del suo valore e di altri elementi che devono essere allegati e provati dall’attore anche in via presuntiva. Non costituisce parametro per determinare il danno risarcibile la modifica dello stato dei luoghi o la complessita’ delle opere di ripristino, che sono poste a carico dell’autore della violazione”.

Va logicamente dichiarato assorbito il terzo motivo, con il quale e’ dedotta l’erronea regolamentazione delle spese di lite. L’accoglimento del secondo motivo esclude in radice la possibilita’ di condanna dell’attore per lite temeraria, ai sensi dell’articolo 96 c.p.c.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione accoglie il secondo motivo di ricorso, rigetta il primo e dichiara assorbito il terzo, cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di legittimita’, alla Corte d’Appello di Firenze in diversa composizione.

 

 

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