Corte di Cassazione, sezione quarta penale, Sentenza 27 settembre 2018, n. 42471.
La massima estrapolata:
Il delitto di riciclaggio si consuma con la realizzazione dell’effetto dissimulatorio conseguente alle condotte tipiche previste dall’articolo 648 bis c.p., comma 1, (sostituzione, trasferimento o altre operazioni volte ad ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa di denaro, beni o altre utilita’), non essendo necessario che il compendio “ripulito” sia restituito a chi l’aveva movimentato; tuttavia, il mero trasporto in altro luogo del bene riciclato esula dalla condotta tipica di trasferimento, che deve essere intesa in senso esclusivamente giuridico di movimentazione dissimulatoria
Sentenza 27 settembre 2018, n. 42471
Data udienza 3 luglio 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. IZZO Fausto – Presidente
Dott. FERRANTI Donatella – Consigliere
Dott. NARDIN Maura – Consigliere
Dott. CAPPELLO Gabriella – Consigliere
Dott. PICARDI Francesca – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS) nato il (OMISSIS);
(OMISSIS) nato il (OMISSIS);
avverso la sentenza del 20/11/2017 della CORTE APPELLO di MILANO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere FRANCESCA PICARDI;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore TOCCI STEFANO;
Il Proc. Gen. conclude per l’inammissibilita’ per (OMISSIS);
Il Proc. Gen. conclude per il rigetto per (OMISSIS).
Per (OMISSIS) e’ presente l’avv. (OMISSIS) del foro di Firenze che si riporta ai motivi e ne chiede l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di Appello di Milano, in parziale riforma della sentenza del G.u.p. di Milano, previa rinuncia da parte dei difensori di (OMISSIS) e (OMISSIS) ad ogni motivo di gravame diverso dalla determinazione della pena, ha rideterminato la pena in complessivi anni 4 e mesi 8 di reclusione ed Euro 20.000 di multa nei confronti di (OMISSIS), revocandogli l’interdizione legale ex articolo 32 cod. pen. ed applicandogli l’interdizione dai pubblici uffici per cinque anni, per i reati di cui all’articolo 99 cod. pen. e Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, commi 1 e 6 (capi A e B, per aver organizzato il trasporto di sostanza stupefacente del tipo cocaina, in data 15 e 8 luglio 2015) ed in complessivi anni 6 e mesi 6 di reclusione ed Euro 54.000 di multa nei confronti di (OMISSIS) per i reati di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articoli 73, commi 1 e 6 (capi D e E per avere acquistato sostanza stupefacente di tipo cocaina, in data 25 ottobre 2015); ha altresi’ confermato la sentenza di condanna alla pena di anni due e mesi due di reclusione ed Euro 2000 di multa nei confronti di (OMISSIS) per il reato di cui agli articoli 110 e 648 bis cod. pen. (capo C, per avere ricevuto somme di provenienza illecita dal marito (OMISSIS) e da altri trafficanti e averle trasferite in Olanda ed Albania, ove venivano immesse nel sistema bancario su conti della stessa o del marito, dal (OMISSIS)).
2. Avverso tale sentenza hanno tempestivamente proposto ricorso per cassazione, a mezzo del proprio difensore, (OMISSIS) e (OMISSIS).
3. (OMISSIS) ha dedotto la violazione dell’articolo 648 bis cod. pen. nonche’ la carenza o manifesta contraddittorieta’ della motivazione in relazione alla ritenuta configurabilita’ del reato di riciclaggio, oltre al difetto di correlazione tra accusa e sentenza, evidenziando le asserite lacune motivazionali, l’impossibilita’ di identificare il riciclaggio nel mero trasporto del danaro oltre i confini nazionali e l’accertata responsabilita’ per condotte diverse da quelle specificamente contestate; la violazione della legge penale processuale e sostanziale e la carenza, manifesta illogicita’ o contraddittorieta’ della motivazione in relazione alla ritenuta confisca degli immobili dalla stessa acquistati, ai presupposti di cui al Decreto Legge n. 306 del 1992, articolo 12-sexies ed all’illecita provenienza della provvista usata per l’acquisto nel luglio 2011 e 2015 degli immobili siti in (OMISSIS).
4. (OMISSIS), previa sollecitazione della rimessione alla Consulta della questione di legittimita’ costituzionale dell’articolo 610 c.p.p., comma 5-bis, per contrasto con l’articolo 111 Cost., comma 7, nella parte in cui non consente la proposizione del ricorso per cassazione avverso le sentenze di condanna emesse all’esito del concordato ex articolo 599 bis cod. proc. pen., ha denunciato l’illegittimita’ dell’applicazione della pena accessoria dell’interdizione temporanea dai pubblici uffici, in quanto estranea all’accordo delle parti, e l’illegittima utilizzazione delle intercettazioni, ai sensi degli articoli 268, 271 e 142 cod. proc. pen. e articoli 89 e 115 disp. att. cod. proc. pen., per mancanza del nominativo dell’ausiliario che ha proceduto alla traduzione delle intercettazioni dalla lingua albanese a quella italiana, con conseguente nullita’ della sentenza emessa sulla base di tale attivita’ istruttoria viziata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.Il ricorso di (OMISSIS) non merita accoglimento.
1.1. Il primo motivo risulta inammissibile nella parte in cui e’ diretto a proporre una ricostruzione dei fatti diversa da quella accertata, con una motivazione congrua, logica e priva di contraddizioni, dai giudici di merito. In proposito va ricordato che e’ inammissibile il ricorso per cassazione i cui motivi si limitino genericamente a lamentare l’omessa valutazione di una tesi alternativa a quella accolta dalla sentenza di condanna impugnata, senza indicare precise carenze od omissioni argomentative ovvero illogicita’ della motivazione di questa, idonee ad incidere negativamente sulla capacita’ dimostrativa del compendio indiziario posto a fondamento della decisione di merito (Sez. 2, n. 30918 del 07/05/2015 ud., dep. 16/07/2015, rv. 264441). A cio’ si aggiunga che nel giudizio di legittimita’ non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicita’, dalla sua contraddittorieta’ (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante) su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo; per cui sono inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasivita’, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualita’, la stessa illogicita’ quando non manifesta, cosi’ come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilita’, della credibilita’, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015 Ud., dep. 31/03/2015, Rv. 262965). In proposito deve sottolinearsi che tutti gli elementi probatori evidenziati nel ricorso sono stati puntualmente esaminati e ridimensionati dai giudici di merito, la cui conclusioni non sono condivise dalla ricorrente.
Il motivo e’, invece, infondato laddove denuncia una violazione di legge. Invero, il delitto di riciclaggio si consuma con la realizzazione dell’effetto dissimulatorio conseguente alle condotte tipiche previste dall’articolo 648 bis c.p., comma 1, (sostituzione, trasferimento o altre operazioni volte ad ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa di denaro, beni o altre utilita’), non essendo necessario che il compendio “ripulito” sia restituito a chi l’aveva movimentato; tuttavia, il mero trasporto in altro luogo del bene riciclato esula dalla condotta tipica di trasferimento, che deve essere intesa in senso esclusivamente giuridico di movimentazione dissimulatoria (Sez. 1, n. 32491 del 30/06/2015 Cc., Rv. 264497). Come, pero’, si evince chiaramente dalla sentenza di primo ” (OMISSIS) ha ricevuto danaro provento di attivita’ illecite in diverse occasioni e, se parte del danaro l’ha consegnata al marito all’estero, altra parte l’ha invece depositata sul conto corrente a lei intestato, precisamente quello n. (OMISSIS) acceso presso Unicredit, in tal modo ponendo in essere ostacoli alla tracciabilita’ del percorso del denaro stesso” (v.p. 39) ovvero ponendo in essere una condotta pacificamente riconducibile al reato di cui all’articolo 648-bis cod. pen. (cosi’ da ultimo Sez. 2, n. 52549 del 20/10/2017 Ud., Rv. 271530, secondo cui integra il delitto di riciclaggio il compimento di operazioni consapevolmente volte ad impedire in modo definitivo, od anche a rendere difficile, l’accertamento della provenienza del denaro, dei beni o delle altre utilita’: tra di esse rientra la condotta di chi deposita in banca denaro di provenienza illecita poiche’, stante la natura fungibile del bene, in tal modo esso viene automaticamente sostituito con denaro pulito). Ne’ sussiste alcuna violazione dell’articolo 521 cod. pen., atteso che nel capo di imputazione sono state descritte, unitamente ad operazioni specifiche e puntuali, anche altre attivita’ consistenti nel trasporto del danaro all’estero, nella successiva immissione delle somme nel sistema bancario e negli acquisti immobiliari. I giudici di merito si sono diffusamente soffermati sulla prova sia delle condotte specifiche sia di quelle piu’ generiche e le piccole discrasie emerse in fase di accertamento, riguardo alla condotte specifiche, non sono tali da incidere sul nucleo essenziale del reato. A cio’ si aggiunga che, ai fini della valutazione di corrispondenza tra pronuncia e contestazione di cui all’articolo 521 cod. proc. pen. deve tenersi conto non solo del fatto descritto in imputazione, ma anche di tutte le ulteriori risultanze probatorie portate a conoscenza dell’imputato e che hanno formato oggetto di sostanziale contestazione, sicche’ questi abbia avuto modo di esercitare le sue difese sul materiale probatorio posto a fondamento della decisione (Sez. 6, n. 47527 del 13/11/2013 Ud., Rv. 257278).
1.2. I residui motivi, che possono essere esaminati congiuntamente, in quanto hanno tutti ad oggetto la disposta confisca degli immobili Decreto Legge n. 206 del 1992, ex articolo 12 – sexies convertito in L. n. 356 del 1992, nella versione applicabile ratione temporis, non meritano accoglimento.
Fondamentalmente tali censure denunciano non la contraddittorieta’ o manifesta illogicita’ della motivazione della sentenza impugnata, ma la mancata adesione, da parte dei giudici di merito, alla tesi della difesa, che ha sostenuto essere stati acquistati gli immobili confiscati dall’imputata con danaro proveniente dall’attivita’ di meretricio, da precedenti investimenti o dai prestiti ricevuti dai familiari dell’imputata. Invero, tali prospettazioni difensive sono state respinte dai giudici di merito con una motivazione congrua, logica e priva di contraddizioni, fondata sulla tipologia di prostituzione praticata dall’imputata (da strada), che non e’, secondo l’id quod plerumque accidit, fonte di elevati guadagni, sull’inidoneita’ o insufficienza della documentazione prodotta a giustificare le somme necessarie agli acquisti immobiliari, sulle condizioni della famiglia di origine dell’imputata, che la stessa difesa ammette non essere state accertate. Del resto, in tema di giudizio di cassazione, sono precluse al giudice di legittimita’ la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacita’ esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015 ud., dep. 27/11/2015, rv. 265482).
La decisione in esame risulta, dunque, conforme alla regola secondo cui, ai sensi del Decreto Legge 8 giugno 1992, n. 306, articolo 12-sexies convertito con modificazioni nella L. 7 agosto 1992, n. 356, la prova circa la sproporzione, rispetto alla capacita’ reddituale lecita del soggetto, del valore economico dei beni da confiscare grava sull’accusa e, una volta fornita tale prova, sussiste una presunzione relativa di illecita accumulazione patrimoniale, superabile solo attraverso specifiche e verificate allegazioni dell’interessato (Sez. 6, n. 45700 del 20/11/2012 Cc., Rv. 253816). Nel caso in esame, i giudici di merito, con una motivazione esaustiva e coerente, hanno escluso che la presunzione in esame fosse stata superata, rectius hanno escluso che le allegazioni difensive dell’imputata fossero specifiche e verificate.
Ne’ vi e’ alcuna violazione del principio secondo cui, ai sensi del Decreto Legge n. 306 del 1992, articolo 12 sexies convertito in L. n. 356 del 1992, la presunzione di illegittima acquisizione da parte dell’imputato deve essere circoscritta in un ambito di ragionevolezza temporale, dovendosi dar conto che i beni non siano “ictu oculi” estranei al reato perche’ acquistati in un periodo di tempo eccessivamente antecedente alla sua commissione (Sez. 4, n. 35707 del 07/05/2013 Cc., Rv. 256882), atteso che gli acquisti immobiliari sono o contestuali alla commissione dei delitti presupposti da cui proviene il danaro (2015) o anteriori di qualche anno (2011), ma, comunque, collocati in un’epoca in cui, come sottolineato dal giudice di merito, “con ogni evidenza il gruppo era gia’ attivo nel traffico internazionale degli stupefacenti”. Del resto, si e’ precisato che, in tema confisca disciplinata nel Decreto Legge 8 giugno 1992, n. 306, articolo 12-sexies convertito dalla L. 7 agosto 1992, n. 356, la presunzione di illegittima acquisizione dei beni da parte dell’imputato condannato per delitti rivelatori di illecito arricchimento ha un ambito temporale piu’ esteso laddove alla commissione del reato corrisponda un periodo di nullafacenza, in palese contrasto con l’entita’ delle risorse accumulate dallo stesso in detto periodo (Sez. 1, n. 33330 del 07/10/2016 Cc., dep. 10/07/2017, Rv. 271105). Invero, nel caso di specie, i giudici di merito hanno piu’ volte evidenziato che l’imputata non risulta aver percepito alcun reddito nel 2010 e nel 2012 e ha dichiarato un reddito assai esiguo nel 2011 (Euro 5.699,86) anno dei primi acquisti immobiliari.
2. Il ricorso di (OMISSIS) non merita accoglimento.
In primo luogo appare manifestamente infondata la prospettata questione di legittimita’ costituzionale dell’articolo 610 c.p.p., comma 5-bis, che, nel sancire l’inammissibilita’ del ricorso per cassazione avverso la sentenza di cui all’articolo 599-bis cod. proc. pen., pone una regola procedurale e non sostanziale e, cioe’, si limita a stabilire il rito da seguire laddove sussista una ragione di inammissibilita’ del ricorso proposto, ma non limita affatto il diritto all’impugnazione, come si desume dal confronto tra la disciplina del concordato in appello con quella della sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti, i cui limiti al diritto di impugnazione sono espressamente stabiliti dall’articolo 448 c.p.p., comma 2-bis, come modificato dalla L. n. 103 del 2017.
L’inammissibilita’ del ricorso per cassazione avverso la sentenza ex articolo 599-bis cod. proc. pen. deriva piuttosto dalla regola generale secondo cui la rinuncia parziale ai motivi d’appello determina il passaggio in giudicato della sentenza gravata limitatamente ai capi oggetto di rinuncia, di talche’ e’ inammissibile il ricorso per cassazione con il quale si propongono censure attinenti ai motivi d’appello rinunciati e non possono essere rilevate d’ufficio le questioni relative ai medesimi motivi (Sez. 4, n. 9857 del 12/02/2015 ud., Rv. 262448; cfr. anche Sez. 5, n. 40278 del 06/04/2016 ud., Rv. 268198, secondo cui, in tema di impugnazioni, nel caso di rinuncia parziale ai motivi d’appello, il giudice, in riferimento ai capi della sentenza oggetto dei motivi rinunciati, non e’ tenuto a motivare eventuali cause di improcedibilita’ o nullita’ anche assolute, eccepite con l’impugnazione, ne’ puo’ rilevarle d’ufficio). Peraltro, tale conseguenza e’ frutto di una libera scelta della parte, che non puo’, dunque, lamentare alcuna lesione del suo diritto di difesa.
Da tale premessa deriva l’inammissibilita’ del secondo motivo relativo alla denunciata illegittimita’ delle intercettazioni.
L’altro motivo e’ manifestamente infondato, atteso che l’accordo tra le parti previsto dall’articolo 599 cod. proc. pen. (cd. patteggiamento della pena in appello) puo’ intendersi esteso implicitamente ai punti della sentenza impugnata in stretta correlazione con esso, per cui, qualora in dipendenza delle modificazioni apportate alla pena principale, quest’ultima non comporti piu’ la pena accessoria dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici, ma solo quella temporanea, come avvenuto nel caso di specie, il giudice ha la potesta’ di operare modifiche anche alla pena accessoria (sez. 3, Sentenza n. 39261 del 09/07/2004 Ud. (dep. 07/10/2004) Rv. 229931).
3. In conclusione, il ricorso di (OMISSIS) va rigettato, con condanna della stessa al pagamento delle spese processuali, e quello di (OMISSIS) va dichiarato inammissibile, con condanna dello stesso al pagamento delle spese processuali e della sanzione pecuniaria di Euro 2000,00 alla Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso di (OMISSIS) e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali. Dichiara inammissibile il ricorso di (OMISSIS) e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della cassa delle ammende.
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