Corte di Cassazione, penale, Sentenza|9 novembre 2020| n. 31271.
E’ configurabile il delitto di falsità ideologica in provvedimenti decisori adottati da un organo giurisdizionale amministrativo, laddove nella parte descrittiva, che costituisce necessario presupposto per le relative determinazioni, si affermi volutamente l’esistenza di premesse fattuali non corrispondenti al vero, da cui deriva la falsità della disposizione conclusiva assunta dal giudice. (Nella specie la Corte ha escluso la sussistenza del reato con riferimento alla redazione del dispositivo di un’ordinanza del TAR che, in via cautelare, in difformità dalla decisione assunta dal collegio in camera di consiglio, aveva statuito la sospensione, oltre che del procedimento amministrativo interno di recupero di somme versate a titolo di aiuti di Stato, anche della decisione della Commissione Europea cui esso dava esecuzione, ritenendo siffatta estensione del dispositivo inidonea a vulnerare la fede pubblica sotto il profilo della coerenza tra il contenuto dell’ordinanza e la decisione assunta, perchè la decisione europea non era oggetto della domanda cautelare ed, anzi, sottratta alla giurisdizione del giudice nazionale).
Sentenza|9 novembre 2020| n. 31271
Data udienza 21 settembre 2020
Integrale
Tag – parola chiave: Falso – Ex giudice del Tar accusato di aver cambiato il dispositivo di una sentenza per favorire il comune – Finalità – Esecutività del rimborso deciso dalla Commissione Ue – Ricorso – Accoglimento – Ragioni
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MICCOLI Grazia – Presidente
Dott. GUARDIANO Alfredo – rel. Consigliere
Dott. CALASELICE Barbara – Consigliere
Dott. ROMANO Michele – Consigliere
Dott. BORRELLI Paola – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 10/06/2019 della CORTE APPELLO di MILANO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. ALFREDO GUARDIANO;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. LOY Maria Francesca, chiedendo la declaratoria di inammissibilita’ del ricorso;
udito il difensore avvocato (OMISSIS), in sostituzione dell’avv. (OMISSIS), il quale ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza di cui in epigrafe la corte di appello di Milano confermava la sentenza con cui il tribunale di Milano, in data 26.4.2016, aveva condannato (OMISSIS) alla pena di anni due di reclusione, in relazione al delitto ex articolo 479 c.p., in rubrica ascrittogli.
Secondo l’impostazione accusatoria, accolta dai giudici di merito, il suddetto imputato si sarebbe reso responsabile di falsita’ ideologica in atto pubblico.
Il (OMISSIS), infatti, in qualita’ di presidente della terza sezione del T.A.R. Lombardia ed estensore della decisione del ricorso cautelare proposto dal comune di Milano, diretto ad ottenere la sospensione del procedimento amministrativo avviato dal Governo per il recupero delle somme versate da ” (OMISSIS) s.p.a.”, societa’ partecipata dal comune, a ” (OMISSIS) s.p.a.”, ritenute dalla Comunita’ Europea, con decisione C.E. 19.12.12. (SA 2140- C14/2010) “aiuto di stato”, nel dispositivo della ordinanza n. 553/2013, da lui redatta, con cui veniva accolta la domanda cautelare, aveva attestato il falso rispetto al contenuto della decisione del collegio, presieduto, per l’appunto, dal suddetto (OMISSIS).
Nel dispositivo, infatti, veniva statuita la sospensione della menzionata decisione della Commissione Europea e del “gravato relativo procedimento nazionale di recupero somme a carico del comune di Milano”, a differenza di quanto deliberato all’esito della discussione in camera di consiglio, “nel corso della quale il collegio a maggioranza dei suoi componenti (i giudici (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)) si era espresso in senso inequivocabilmente contrario alla sospensione del provvedimento dell’Unione Europea concordando a favore della sola sospensione degli atti interni di esecuzione della citata decisione Europea”.
2. Avverso la sentenza della corte territoriale, di cui chiede l’annullamento, ha proposto tempestivo ricorso per cassazione l’imputato, articolando otto motivi di ricorso.
Con il primo motivo di impugnazione, il (OMISSIS) lamenta violazione di legge, in relazione all’articolo 479 c.p., sotto il profilo della insussistenza dell’elemento oggettivo del delitto di falsita’ ideologica.
Premesso che la contestazione dell’illecito non coinvolge la motivazione del provvedimento, pacificamente redatta dall’imputato e depositata contestualmente al dispositivo, rileva il ricorrente come nella motivazione fossero riportati tutti i passaggi (di fatto e di diritto) concordati tra i giudici in camera di consiglio, non facendosi riferimento alcuno al potere del tribunale di sindacare la validita’ o l’efficacia del provvedimento con cui la C.E. aveva qualificato gli aumenti di capitale disposti in favore della ” (OMISSIS) s.p.a.”, in termini di “aiuti di stato”; che, anzi, nella motivazione si dava atto specificamente, tra l’altro, che l’efficacia della sospensione concessa era temporalmente limitata fino alla decisione del merito della causa al riguardo pendente davanti al Tribunale dell’Unione Europea.
Se ne deduce l’impossibilita’ di configurare l’elemento oggettivo del delitto di cui si discute, integrato dalla necessita’ che nella parte descrittiva dell’atto pubblico avente contenuto dispositivo, che costituisce presupposto necessario alle susseguenti determinazioni, si affermi volutamente l’esistenza di una situazione di fatto contraria al vero.
E’, infatti, configurabile il reato di cui all’articolo 479 c.p., purche’ la falsita’ della conclusione dispositiva assunta dal giudice dipenda non dalla invalidita’ delle argomentazioni, ma dalla falsita’ delle premesse fattuali o di diritto dalle quali tali argomentazioni muovono.
Nel caso in esame, pertanto, non puo’ ritenersi integrato l’elemento oggettivo del reato di falsita’ ideologica, posto che il dispositivo materialmente redatto dal presidente (OMISSIS), giammai si fondava su premesse fattuali o giuridiche false, ma anzi su argomentazioni condivise dall’intero collegio, con particolare riferimento anche al profilo del difetto di giurisdizione sul menzionato provvedimento della C.E., alla luce delle quali andava dunque considerato il dispositivo contestato.
Con il secondo motivo di impugnazione il ricorrente deduce vizio di motivazione, sempre con riferimento alla sussistenza dell’elemento oggettivo del reato ex articolo 479 c.p..
Rileva il ricorrente, al riguardo, che, non avendo formato oggetto del ricorso cautelare del comune di Milano la decisione della C.E., ma solo gli atti interni volti a dare esecuzione a tale decisione, il dispositivo non poteva che essere interpretato alla luce della motivazione dell’ordinanza. Manifestamente illogico appare poi valutare come un artificio per superare le prevedibili contestazioni dei due giudici a latere il comportamento dell’imputato, che espunse dal brogliaccio della motivazione gia’ predisposto le esplicite censure alla qualificazione degli aumenti di capitale SEA in termini di aiuti di Stato, posto che tale condotta dimostra, piuttosto, come egli in tal modo si sia adeguato alla decisione collegiale.
Illogico e del tutto contraddittorio deve ritenersi anche l’assunto della corte territoriale, che ha valorizzato in chiave accusatoria il rifiuto dell’imputato di eliminare il riferimento alla sospensione del provvedimento della C.E. facendo ricorso alla procedura di correzione dell’errore materiale, in quanto, premesso che tale procedura non era attivabile d’ufficio, il comportamento del (OMISSIS) dimostra, invece, come per lui non vi fosse nulla da correggere, in quanto sin dal primo momento egli non aveva affatto inteso sospendere il provvedimento C.E., emergendo dalla motivazione dell’ordinanza che giammai l’imputato ha attribuito al T.A.R. una qualsivoglia giurisdizione in merito.
Contraddittorio ed illogico appare anche il passaggio argomentativo in cui si afferma che (OMISSIS) sarebbe stato pienamente consapevole dei limiti della propria giurisdizione.
Tale passaggio, inteso rettamente, avrebbe dovuto far deporre per la piena consapevolezza da parte dell’imputato della totale carenza di giurisdizione da parte del T.A.R. e, dunque, della completa inutilita’ della sospensione di un provvedimento della C.E., di fatto gia’ sospeso in pendenza del giudizio innanzi al tribunale Europeo, posto che tale affermazione non si concilia con la ritenuta volonta’ di andare oltre i suddetti limiti, che resta priva di giustificazione logica, in quanto, da un lato, non sono emersi indebiti interessi privati al cui soddisfacimento fosse indirizzata la condotta dell’imputato, dall’altro, la tutela dei rilevanti interessi in gioco coinvolti nella decisione assunta, sarebbe stata comunque raggiunta se nel dispositivo fossero stati menzionati come sospesi cautelarmente i soli atti interni.
Del tutto mancante si presenta, infine, la motivazione della sentenza impugnata in ordine a due questioni, l’evidenziata inutilita’ della sospensione del provvedimento C.E. ed il tenore dell’ordinanza del T.A.R., cosi’ come riassunta nel documento della Commissione Europea, acquisito in appello.
Con il terzo motivo di ricorso, l’imputato lamenta il vizio di motivazione in ordine alla mancata configurabilita’ del falso innocuo.
Che la falsa indicazione riportata nel dispositivo sia stata del tutto inoffensiva, a differenza di quanto sostenuto dalla corte territoriale che vi ha ravvisato un vulnus al buon andamento dell’Amministrazione della giustizia, sotto il profilo della violazione degli obblighi previsti dai Trattati dell’Unione Europea, in materia di competenza e leale collaborazione e cooperazione, lo si evince dalle seguenti circostanze: 1) nessun effetto diverso da quello che si e’ verificato in relazione all’interesse del comune di Milano a non subire una decisione che lo costringesse a recuperare le somme da ” (OMISSIS)” (come evidenziato dal giudice di primo grado), si sarebbe prodotto se nel dispositivo si fosse operato il riferimento ai soli provvedimenti interni, in considerazione del gia’ evidenziato contenuto della motivazione dell’ordinanza adottata; 2) nel comunicato stampa della Commissione Europea del 23 luglio 2014, acquisito in atti, ed in particolare nello schema in esso contenuto, denominato “Riepilogo delle tappe principali”, non si effettua alcun riferimento al procedimento tenutosi innanzi al T.A.R. e, tanto piu’ quindi, al contenuto del dispositivo dell’ordinanza cautelare, senza tacere che, con riferimento al fatto di cui si discute, mai nessuna procedura di infrazione fu avviata nei confronti dell’Italia.
Con il quarto motivo di impugnazione il ricorrente denuncia l’inadeguatezza della motivazione anche con riferimento alla ritenuta sussistenza del dolo del delitto di cui all’articolo 479 c.p..
Una volta chiarito che il presidente (OMISSIS) era consapevole dei limiti della giurisdizione del T.A.R.; che il provvedimento della C.E. non aveva formato oggetto di ricorso da parte del comune di Milano; che nessun effetto diverso si sarebbe prodotto se nel dispositivo fosse stato omesso il riferimento alla sospensione del provvedimento della C.E. e che l’imputato, in definitiva, non aveva alcuna intenzione di disporre tale sospensione, ritenendo che l’ordinanza non sospendesse il provvedimento in questione (come si evince dal contenuto delle stesse deposizioni testimoniali), l’elemento soggettivo del reato di cui si discute, nella sua duplice dimensione rappresentativa e volitiva, appare indimostrato.
Al riguardo risulta meramente apodittica e manifestamente illogica la motivazione della sentenza oggetto di ricorso, laddove, sul punto, valorizza in senso contrario il fatto che (OMISSIS) avesse ben vivo nella memoria il ricordo della discussione camerale e si fosse rifiutato di accedere al prospettato procedimento di correzione di errore materiale del dispositivo, nonche’ la circostanza che egli abbia assegnato alla efficacia della sospensione il limite temporale rappresentato dal momento in cui sarebbe intervenuta la decisione del tribunale Europeo. Con il quinto motivo di impugnazione il ricorrente lamenta vizio di motivazione, con riferimento alla valutazione operata dalla corte territoriale in ordine al movente della condotta dell’imputato, individuato nell’indole autoritaria ed arrogante, che lo aveva spinto a perseverare nella sua irremovibile decisione di censurare il provvedimento della C.E. Con tale motivazione, contraddittoria e manifestamente illogica, la corte territoriale afferma in definitiva che l’asserita condotta illecita sarebbe stata tenuta senza una ragione, stante l’insussistenza di interessi privati dell’imputato e la piu’ volte richiamata inutilita’ del riferimento alla sospensione del provvedimento della C.E., derivante dalla circostanza che l’ordinanza del giudice amministrativo avrebbe prodotto gli effetti che ha prodotto sotto il profilo dell’accoglimento della domanda cautelare del comune di Milano, anche se nel dispositivo non fosse stato inserito il suddetto riferimento.
Con il sesto motivo di impugnazione, il ricorrente deduce vizio di motivazione in punto di determinazione dell’entita’ del trattamento sanzionatorio, discostatasi sensibilmente dal minimo edittale, senza che la corte territoriale abbia fornito adeguata risposta ai rilievi difensivi in tema di intensita’ del dolo ed all’assenza di prova del danno.
Con il settimo motivo di impugnazione il ricorrente lamenta mancanza di motivazione in ordine alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, tema che aveva formato oggetto di uno specifico motivo di appello, con cui la difesa aveva evidenziato come l’imputato si fosse prodigato a fornire elementi utili al decidere, non sottraendosi nemmeno all’esame.
Con l’ottavo motivo di impugnazione il ricorrente denuncia violazione di legge e vizio di motivazione, con riferimento alla mancata concessione del beneficio di cui all’articolo 175 c.p., tema che aveva formato oggetto di uno specifico motivo di appello, cui non e’ stata fornita adeguata risposta.
Infine in data 2.9.2020, perveniva in Cancelleria, a mezzo di posta certificata del difensore del ricorrente, avv. (OMISSIS), parere pro veritate a firma (OMISSIS), presidente di sezione del Consiglio di Stato, in favore dell’imputato.
3. Il ricorso e’ fondato e va accolto per le seguenti ragioni.
4. Difetta, invero, nel caso in esame, l’elemento oggettivo del delitto in contestazione.
Per un miglior inquadramento della questione giuridica affrontata e risolta dal Collegio nel senso dell’accoglimento delle doglianze difensive sul punto, in esse assorbita ogni ulteriore censura, occorre partire dalla considerazione della particolare natura dell’atto di cui si discute, che appartiene, come e’ facile intuire, alla categoria degli atti pubblici a contenuto dispositivo, perche’ e’ con riferimento alla natura dell’atto che occorre saggiare la riconducibilita’ della condotta dell’imputato al paradigma normativo ex articolo 479 c.p..
Dopo un primo iniziale orientamento della giurisprudenza di legittimita’, secondo cui il delitto di falsita’ ideologica poteva configurarsi solo con riferimento agli atti a contenuto normativo, con esclusione, dunque, di quelli dispositivi (cfr., ad esempio, Cass., sez. 5, 18.6.1999, Lecci), l’evoluzione giurisprudenziale e’ giunta ad un consolidato approdo interpretativo, che considera configurabile, a determinate condizioni, la falsita’ ideologica anche in relazione agli atti dispositivi.
Si e’, cosi’, affermato che “anche l’atto dispositivo, inteso come quello che rappresenta una dichiarazione di volonta’ (e non di verita’) del suo autore, puo’ essere suscettibile di falso ideologico, se ha come necessario elemento, in vista del quale la dichiarazione di volonta’ viene presa, l’attestata esistenza di una di una data situazione di fatto con l’obbligo per il pubblico ufficiale di indicarla nell’atto stesso, e se, in concreto l’attestazione di essa sia non conforme a verita’” (cfr. Cass., Sez. 6, n. 13132 del 22/02/2001, Rv. 218834).
Come chiarito dalla Suprema Corte nella sua espressione piu’ autorevole, anche nell’atto dispositivo – che consiste in una manifestazione di volonta’ e non nella rappresentazione o descrizione di un fatto – e’ configurabile la falsita’ ideologica in relazione alla parte “descrittiva” in esso contenuta e, piu’ precisamente, in relazione all’attestazione, non conforme a verita’, dell’esistenza di una data situazione di fatto costituente il presupposto indispensabile per il compimento dell’atto, a nulla rilevando che tale attestazione non risulti esplicitamente dal suo tenore formale, poiche’, quando una determinata attivita’ del pubblico ufficiale, non menzionata nell’atto, costituisce indefettibile presupposto di fatto o condizione normativa dell’attestazione, deve logicamente farsi riferimento al contenuto o tenore implicito necessario dell’atto stesso, con la conseguente irrilevanza dell’omessa menzione (talora scaltramente preordinata) ai fini della sussistenza della falsita’ ideologica (cfr. Cass., Sez. U., n. 1827 del 03/02/1995, Rv. 200117).
In questo solco interpretativo si inseriscono quelle decisioni che, approfondendo la natura degli atti dispositivi (o negoziali), ne propongono una ulteriore e piu’ analitica suddivisione in due tipi, rispetto ai quali diverso appare l’atteggiarsi della falsita’.
Si e’, pertanto, evidenziato come il reato di falsita’ ideologica in atti pubblici sia configurabile anche con riguardo ad atti dispositivi o negoziali della pubblica amministrazione qualora questi, oltre a contenere una manifestazione di volonta’, si riferiscono ad una precisa situazione, della cui esistenza fanno indirettamente fede. Tale situazione e’ necessariamente presupposta quando il provvedimento non puo’ essere emanato senza la sua ricorrenza: l’atto stesso allora di per se’ ingenera un affidamento su quest’ultima. Quando invece l’adozione del provvedimento risulta rimessa dalla legge ad apprezzamento cosi’ discrezionale per cui non sono state determinate preventivamente le situazioni che possono causarlo, occorre che testualmente l’atto enunci il presupposto della sua emanazione onde fare pubblicamente fede dell’esistenza di tale presupposto (cfr. Cass., Sez. 6, n. 12305 del 23/10/2000, Rv. 217898).
Sicche’ puo’ ritenersi ormai assunto in subiecta materia al rango di “diritto vivente” il principio secondo cui il falso ideologico in documenti a contenuto dispositivo puo’ investire le attestazioni, anche implicite, contenute nell’atto e i presupposti di fatto giuridicamente rilevanti ai fini della parte dispositiva dell’atto medesimo, che concernano fatti compiuti o conosciuti direttamente dal pubblico ufficiale, ovvero altri fatti dei quali l’atto e’ destinato a provare la verita’ (cfr. Cass., Sez. U., n. 35488 del 28/06/2007, Rv. 236867).
Tale essendo l’approdo interpretativo cui e’ pervenuta la Suprema Corte, nessuna perplessita’ sussiste, sotto il profilo della ricostruzione della portata definitoria ed applicativa della fattispecie codicistica, nell’ipotizzare il delitto di falsita’ ideologica con riferimento ad un provvedimento giurisdizionale, consistente nella manifestazione di volonta’ di un organo titolare del potere di dicere ius dello Stato.
Non puo’ non condividersi, pertanto, il puntuale ragionamento articolato in uno dei non frequenti arresti della giurisprudenza di legittimita’ dedicati a questo particolare caso di falsita’ ideologica in atto pubblico, nel replicare alla tesi prospettata dalla difesa del ricorrente, indagato in relazione al delitto di cui all’articolo 479 c.p. e Decreto Legge n. 152 del 1991, articolo 7, sulla impossibilita’ di configurare il reato di falso ideologico in motivazione giurisdizionale.
Secondo la prospettiva proposta in tale arresto “e’ indiscusso in giurisprudenza che ricorre il reato di falsita’ ideologica in atto pubblico nell’ipotesi di atto a contenuto dispositivo nel quale la parte descrittiva nel riferire una certa realta’, quale necessario presupposto delle relative determinazioni, afferma l’esistenza di una situazione di fatto contraria al vero (v. ex plurimis: Sez. 5, 5 maggio 2003, Pavale, rv 224945). L’atto dispositivo non e’ destinato a provare la verita’ e la sussistenza dei suoi presupposti fattuali, ma, quando venga adottato in mancanza dei presupposti in esso indicati, e’ sempre da considerare ideologicamente falso.
Il provvedimento giurisdizionale (decreto, ordinanza, sentenza) e’ atto pubblico, in quanto formato dal giudice nell’esercizio delle sue funzioni, e quindi da pubblico ufficiale, ed ha contenuto sicuramente dispositivo, sicche’ e’ certamente estensibile ad esso il principio di diritto teste’ richiamato: in effetti, allorche’ la falsita’ di una conclusione dispositiva dipende non dall’invalidita’ degli argomenti ma dalla falsita’ delle premesse fattuali da cui si dipana, nulla osta alla configurazione del reato in parola.
Del resto e’ pacificamente ammessa la imputazione di falsita’ ideologica commessa per induzione dal giudice nella compilazione della sentenza, ai sensi degli articoli 48 e 479 c.p. (v. Cass. Sez. 1, 7 febbraio 2003, pm c/Chianese, rv 223567; idem, 26 novembre 2002, pm c/Catalano), e cio’ e’ spiegabile soltanto se si presuma la piena ipotizzabilita’ di una falsita’ ideologica in sentenza commessa “motu proprio” dal Giudice.” (cfr. Cass., Sez. 5, n. 20550 del 27/03/2007, Rv. 236598; nel senso di ritenere sussistente il delitto di falsita’ ideologica in provvedimenti adottati dal giudice sulla base di presupposti falsamente rappresentati da una delle parti processuali, cfr., altresi’, Cass., Sez. F, n. 39192 del 29/08/2013, Rv. 257018; Cass., Sez. 5, n. 48389 del 24/09/2014, Rv. 261969).
4.1. Cio’ posto, occorre concentrarsi sulla particolare natura dell’atto della cui falsita’ si discute in questa sede, allo scopo di verificare, come si e’ gia’ detto, se ed in quali termini possa considerarsi ideologicamente falso, in rapporto alla contestazione formulata nel capo d’imputazione, in cui, giova ricordarlo, si addebita al (OMISSIS) di avere attestato falsamente nel dispositivo della ordinanza n. 533/2013, da lui redatta, il contenuto della decisione collegiale su cui si era formata la maggioranza all’esito della discussione in camera di consiglio, che, come emerso pacificamente dalla svolta istruttoria dibattimentale, non prevedeva la sospensione della menzionata decisione della Commissione Europea 19/12/2012 SA 21420 (C 14/2010), ma solo la sospensione degli atti interni di esecuzione della citata decisione Europea, come conseguenza diretta dell’accoglimento della domanda cautelare formulata dal Comune di Milano.
Che tale ordinanza sia atto pubblico avente natura di atto dispositivo formato da un pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni, e’ incontestato ed incontestabile.
L’ordinanza di sospensione degli effetti giuridici del provvedimento amministrativo impugnato in sede cautelare innanzi al giudice amministrativo, rappresenta, invero, uno degli strumenti attraverso i quali si realizza, nel processo amministrativo, la cd. tutela cautelare atipica, fondata sulla previsione dell’articolo 55, comma 1, del Codice del processo amministrativo (All. 1 al Decreto Legislativo 2 luglio 2010, n. 104), dedicato alle misure cautelari collegiali, inserito nel Titolo II (“Il procedimento cautelare”) del Libro II (“Processo amministrativo di primo grado”).
In base a tale disposizione “Se il ricorrente, allegando di subire un pregiudizio grave ed irreparabile durante il tempo necessario a giungere alla decisione sul ricorso, chiede l’emanazione di misure cautelari….., che appaiono, secondo le circostanze, piu’ idonee ad assicurare interinalmente gli effetti della decisione sul ricorso, il collegio si pronuncia con ordinanza emessa in camera di consiglio”.
L’ordinanza con cui il giudice amministrativo incide, sospendendoli, tanto sugli effetti giuridici, quanto sulla esecuzione materiale del provvedimento amministrativo impugnato, rappresenta, pertanto, attualmente, solo uno dei possibili epiloghi decisori di un procedimento cautelare, che mantiene ferma la sua natura giurisdizionale, ribadita da dottrina e giurisprudenza, sul presupposto che l’ordinanza cautelare ha natura decisoria, in quanto volta a dirimere una lite (la cd. lite cautelare), vertente su presupposti (fumus boni iuris e periculum in mora), distinti da quelli della sentenza di merito (fondatezza del ricorso) (cfr. Cons. Stato, AP n. 1 del 20/01/1978).
In questo senso, del resto, ha disposto il Legislatore, prevedendo che le ordinanze cautelari possano essere impugnate con ricorso in appello, ex articolo 62 del codice del processo amministrativo.
Approfondendo lo sguardo, appare evidente che l’essenza dell’ordinanza cautelare di sospensione e’ rappresentata dalla motivazione, unico profilo, per cosi’ dire, “strutturale”, del provvedimento a formare oggetto di specifica disciplina legislativa.
L’articolo 55, comma 9, del codice del processo amministrativo, infatti, stabilisce che “L’ordinanza cautelare motiva in ordine alla valutazione del pregiudizio allegato e indica i profili che, ad un sommario esame, inducono ad una ragionevole previsione sull’esito del ricorso”, norma che estende al procedimento cautelare il generale principio fissato dall’articolo 3, comma 1, del codice del processo amministrativo, secondo cui “Ogni provvedimento decisorio del giudice e’ motivato”, a sua volta applicazione nel processo amministrativo del principio costituzionale sancito dall’articolo 111 Cost., comma 6, che impone l’obbligo di motivazione per tutti provvedimenti giurisdizionali.
Puo’, pertanto, affermarsi che la motivazione rappresenta il requisito, al tempo stesso di forma e di sostanza, grazie al quale l’ordinanza adottata in sede cautelare dal giudice amministrativo ottiene pieno riconoscimento della sua esistenza da parte dell’ordinamento giuridico, perche’ conforme al modello legale assunto dal codice del processo amministrativo.
Motivazione da intendere, alla luce di quanto si e’ detto in precedenza, non come svolgimento di “una traccia a tema libero”, ma come percorso argomentativo delimitato dal thema decidendum, introdotto dalla domanda cautelare.
In relazione a quest’ultima il giudice adito, quale che sia la sua decisione finale (di accoglimento o di rigetto), dovra’ pronunciarsi sul pregiudizio allegato (motivazione sul periculum in mora) e sulle ragioni che inducono il collegio a ritenere ragionevolmente probabile il buon esito del ricorso o il suo cattivo esito (motivazione sul fumus boni iuris).
Il dispositivo, invece, o, per meglio dire, la parte dispositiva dell’ordinanza, contiene il dictum che concretizza la volonta’ dell’organo pubblico collegiale in relazione alla specifica domanda cautelare formulata.
In tal modo la manifestazione di volonta’ del giudice amministrativo si applica al caso concreto portato al suo esame dall’istanza cautelare, atteggiandosi in termini di accoglimento o di rigetto della stessa, alla luce della motivazione sui due profili specifici del fumus boni iuris e del periculum in mora, fissati dal disposto del citato articolo 55, comma 9, del codice del processo amministrativo.
4.2. Orbene, se e’ vero, come e’ vero, che l’ordinanza cautelare con cui viene dichiarata dal giudice amministrativo la sospensione degli effetti giuridici del provvedimento amministrativo impugnato e’ un atto pubblico a contenuto dispositivo, attraverso il quale si manifesta la volonta’ (di natura decisoria) di un organo pubblico collegiale (il tribunale amministrativo regionale, formato da tre componenti togati), nulla osta, dal punto di vista teorico, a configurare come possibile, in relazione a tale atto pubblico, una condotta che integri gli estremi del delitto di falsita’ ideologica, previsto dall’articolo 479 c.p..
A condizione, tuttavia, conformemente alla elaborazione della giurisprudenza della Suprema Corte innanzi richiamata, che la falsita’ della conclusione dispositiva in cui si sostanzia l’ordinanza de quo dipenda dalla falsita’ delle premesse fattuali da cui si dipana, circostanza che si verifica certamente quando l’atto viene adottato in mancanza dei presupposti in esso indicati.
Vale a dire quando l’atto dispositivo, oltre a contenere una manifestazione di volonta’, presuppone una precisa situazione, della cui esistenza fa indirettamente fede, in quanto non potrebbe essere emanato senza la sua ricorrenza.
In questo caso, come si e’ visto, l’atto stesso ingenera di per se’ un affidamento sulla situazione che ne rappresenta il necessario antecedente.
Orbene non e’ revocabile in dubbio che, sempre sul piano teorico, costituisce antecedente logico-giuridico, senza il quale l’ordinanza cautelare prevista dall’articolo 55 del codice del processo amministrativo non potrebbe essere emanata, la decisione assunta dai tre componenti dell’organo collegiale titolare del potere decisorio della “lite cautelare”, all’esito della discussione svoltasi all’interno della camera di consiglio.
Tale decisione (assunta all’unanimita’ o a maggioranza dei componenti dell’organo giudicante poco rileva per quel che interessa) e’ destinata a trasfondersi nel contenuto della motivazione dell’ordinanza e della successiva parte dispositiva, che rappresenta il logico precipitato del percorso motivazionale, solo in tal modo assumendo rilevanza nei confronti dei terzi estranei al processo decisionale della camera di consiglio, in quanto fa sorgere in essi il ragionevole affidamento (oggetto della tutela apprestata dall’articolo 479 c.p.), che il contenuto della decisione, esposto nella motivazione e nel conseguente “dispositivo”, corrisponda al risultato cui e’ pervenuto l’organo collegiale nel segreto della camera di consiglio.
Logico corollario di tale prospettiva interpretativa e’ che il delitto di falsita’ ideologica in atto pubblico, di cui all’articolo 479 c.p., e’ configurabile, con riferimento all’ordinanza “sospensiva” adottata in sede cautelare dal giudice amministrativo, quando la motivazione riguardante i profili del fumus boni iuris e del periculum in mora, dalla cui redazione dipende l’esistenza giuridica dell’atto pubblico, ed il dispositivo, che, come si e’ detto, ne rappresenta la necessaria conseguenza sul piano logico-giuridico, siano tali da non corrispondere, per effetto di un’azione dolosa, all’effettivo contenuto della decisione assunta dall’organo collegiale in camera di consiglio.
In applicazione di tali principi non ritiene il collegio che nel caso in esame sia configurabile il delitto ex articolo 479 c.p., difettando l’elemento tipizzante della fattispecie penale: la formazione di un’ordinanza cautelare la cui falsita’ discenda da una motivazione e da un dispositivo non veritieri, perche’ non riproducenti l’effettivo contenuto della decisione emersa dalla discussione svoltasi nella camera di consiglio.
Ed invero, come si evince dalla lettura dell’ordinanza cautelare di cui si discute, allegata in forma integrale al ricorso dell’imputato, il percorso argomentativo trasfuso nell’atto, attraverso la redazione della motivazione, si sofferma esclusivamente sui profili, normativamente imposti, del fumus boni iuris (p. 3) e del periculum in mora (p. 4).
Rimane, invece, del tutto estraneo alla motivazione il tema della sospensione dell’efficacia del citato provvedimento della Commissione Europea, trattandosi di una questione irriducibilmente estranea al procedimento cautelare innanzi al giudice amministrativo, pacificamente sfornito di giurisdizione in ordine ai ricorsi volti a far valere l’annullamento di atti delle istituzioni, degli organi o degli organismi dell’Unione Europea, che l’articolo 256 del T.F.U.E. attribuisce in primo grado al Tribunale dell’Unione Europea.
Cio’ si evince inequivocabilmente non solo dall’assenza di passaggi motivazionali al riguardo, ma anche da quei punti della motivazione in cui il materiale estensore della stessa, conformemente al contenuto della decisione adottata, da un lato, affermava correttamente l’esistenza della “giurisdizione e competenza” del giudice amministrativo adito sulla domanda cautelare del comune di Milano, dall’altro, evidenziava, altrettanto correttamente, che “un giudizio sulla validita’ della gravata decisione 19/12/2012 SA 21420 (C 14/2010) della Commissione Europea risulta, dagli atti di causa, gia’ pendente davanti al Tribunale dell’Unione Europea” (cfr. pp. 3-4).
Vero e’ che nel dispositivo dell’ordinanza cautelare di cui si discute, graficamente introdotto dall’acronimo “P.Q.M.”, effettivamente si dispone, in accoglimento della “formulata domanda cautelare” e come conseguenza (“per l’effetto”) di tale accoglimento, la sospensione della “gravata decisione 19/12/2012 SA 21420 (C 14/2010) della Commissione Europea”, oltre che del “gravato relativo procedimento nazionale di recupero di somme a carico del Comune di Milano; cio’ fino alla decisione del merito della causa al riguardo pendente davanti al Tribunale dell’Unione Europea” (cfr. p. 5).
Tale aggiunta, tuttavia, qualunque sia la causa ultima della sua comparsa nella redazione dell’atto, non integra l’elemento oggettivo del delitto in contestazione, essendo del tutto inidonea a vulnerare la fede pubblica, vale a dire l’affidamento dei terzi in ordine alla corrispondenza tra il contenuto dell’ordinanza e la decisione sulla “lite cautelare” assunta dall’organo collegiale.
Cio’ per la fondamentale ragione che, dovendo il provvedimento cautelare di cui si discute rapportarsi alla prospettazione della domanda cautelare del comune di Milano, limitata, come affermato dalla stessa corte di appello “ai soli provvedimenti della Presidenza del Consiglio dei Ministri” (cfr. p. 7 della sentenza oggetto di ricorso), nessuna falsa rappresentazione della realta’ risulta configurabile, in quanto l’ordinanza conclude esattamente per l’accoglimento, consacrato nel dispositivo, della suddetta istanza cautelare volta alla sospensione degli atti del procedimento amministrativo interno, sulla base della duplice valutazione positiva del fumus boni iuris e del periculum in mora svolta in motivazione, in assoluta coerenza, dunque, con la decisione assunta in camera di consiglio, che delimitava a tali atti l’effetto della tutela cautelare accordata.
La necessita’ di procedere ad una lettura non frazionata, ma unitaria ed inscindibile della parte motivazionale e della parte dispositiva dell’ordinanza cautelare, in modo che il significato della seconda sia chiarito dalla motivazione del provvedimento giurisdizionale, di cui, come si e’ detto, rappresenta il necessario “precipitato”, in relazione al contenuto specifico della domanda cautelare proposta, appare l’unica strada percorribile, difettando nel codice del processo amministrativo disposizioni, come quelle di cui all’articolo 546, comma 1, lettera t), e comma 3; articolo 426, comma 1, lettera e) e comma 3; articolo 460 c.p.p., comma 1, lettera d), articolo 429 c.p.p., comma 1 lettera e), che attribuiscono autonoma rilevanza al dispositivo, nella sua dimensione di elemento concorrente con altri alla formazione di singoli atti del processo penale.
In questa prospettiva, dunque, il riferimento alla sospensione del citato provvedimento della Commissione Europea si pone del tutto al di fuori della struttura e della finalita’ dell’ordinanza cautelare di cui si discute, rappresentando un elemento spurio, privo di qualsiasi logica processuale, dotato, nell’economia dell’atto, di una irrilevanza talmente radicale da renderlo non tanto un falso innocuo, quanto, piuttosto, tamquam non esset, in quanto tale inidoneo a ledere la fede pubblica.
5. Sulla base delle svolte considerazioni la sentenza impugnata va pertanto annullata senza rinvio perche’ il fatto non sussiste.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perche’ il fatto non sussiste.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
Leave a Reply