Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|2 novembre 2022| n. 32167.

Il committente può legittimamente rifiutare o subordinare il pagamento del corrispettivo all’eliminazione dei vizi dell’opera

In tema di appalto, il committente può legittimamente rifiutare o subordinare il pagamento del corrispettivo all’eliminazione dei vizi dell’opera, invocando l’eccezione di inadempimento prevista dall’art. 1460 cod. civ., in quanto istituto di applicazione generale in materia di contratti a prestazioni corrispettive, purché il rifiuto di adempiere non sia contrario alla buona fede, spettando al giudice del merito accertare se la spesa occorrente per l’eliminazione delle difformità sia proporzionata a quella che il committente rifiuta di corrispondere all’appaltatore o che subordina a tale eliminazione

Ordinanza|2 novembre 2022| n. 32167. Il committente può legittimamente rifiutare o subordinare il pagamento del corrispettivo all’eliminazione dei vizi dell’opera

Data udienza 7 luglio 2022

Integrale

Tag/parola chiave: Appalto privato – Diritto dell’appaltatore al pagamento del corrispettivo – Eccezione di inadempimento prevista dall’articolo 1460 c.c. – Rifiuto di adempiere non contrario alla buona fede

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERTUZZI Mario – Presidente

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – rel. Consigliere

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 275/2022 proposto da:
(OMISSIS) S.R.L., rappresentata e difesa dagli Avvocati (OMISSIS), e (OMISSIS), per procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), rappresentato e difeso dall’Avvocato (OMISSIS), per procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la SENTENZA n. 734/2021 della CORTE D’APPELLO DI L’AQUILA, depositata il 17/5/2021;
udita la relazione della causa, svolta dal Consigliere Dott. GIUSEPPE DONGIACOMO, nell’adunanza in Camera di consiglio del 7/7/2022.

Il committente può legittimamente rifiutare o subordinare il pagamento del corrispettivo all’eliminazione dei vizi dell’opera

FATTI DI CAUSA

1.1. La corte d’appello, con la pronuncia in epigrafe, in parziale accoglimento dell’appello proposto dalla (OMISSIS) s.r.l. ed in parziale riforma della sentenza appellata, ha condannato l’appellante al pagamento, in favore di (OMISSIS), titolare della ditta (OMISSIS), della minor somma, rispetto a quella richiesta con ricorso per decreto ingiuntivo e accertata dal tribunale, di Euro 28.065,02, oltre interessi e spese, quale compenso per i lavori dallo stesso eseguiti per effetto del contratto d’appalto intercorso con la predetta societa’.
1.2. La corte, in particolare, per quanto ancora interessa, ha, innanzitutto, rilevato che l’appellante, nell’atto d’opposizione a decreto ingiuntivo, non aveva affatto contestato la corrispondenza dei prezzi applicati in fattura rispetto a quelli concordati, essendosi limitata a genericamente negare la corrispondenza all’originale della copia del contratto di appalto prodotta dalla controparte, ne’ aveva specificamente contestato l’effettiva realizzazione delle opere ivi descritte, ed ha, quindi, ritenuto che doveva essere disattesa la censura con cui, nell’atto d’appello, il tribunale ha ritenuto non contestati, e quindi non abbisognevoli di ulteriore dimostrazione, l’esecuzione delle opere descritte in fattura, nelle quantita’ ivi indicate, e i prezzi applicati.

Il committente può legittimamente rifiutare o subordinare il pagamento del corrispettivo all’eliminazione dei vizi dell’opera

1.3. La corte ha rilevato che l’opponente aveva, piuttosto, eccepito, ai fini previsti dall’articolo 1460 c.c., che tali opere non erano state realizzate a regola d’arte in ragione dei vizi e dei difetti che le stesse presentavano, quali emergevano dalle prove raccolte in giudizio, ed ha, quindi, ritenuto che: – il committente, con il ricorso ad altre ditte, aveva eseguito lavori di ripristino; – il costo degli interventi di ripristino resi necessari dalla presenza, nelle opere eseguite dall’appaltatore, di vizi e difetti, era pari alla somma complessiva di Euro 19.938,78; l’importo spettante all’appaltatore, previa detrazione dal credito vantato dallo stesso a titolo di corrispettivo, nella misura accertata in primo grado, gli importi corrispondenti ai costi necessari per l’eliminazione dei vizi, era, di conseguenza, pari ad Euro 28.065,02.
1.4. La corte, infine, ha ritenuto che a tale somma dovevano essere aggiunti gli interessi al tasso previsto dal Decreto Legislativo n. 231 del 2002, articolo 5, e con la decorrenza dalla data della domanda monitoria sul rilievo che la sospensione del pagamento del corrispettivo ai sensi dell’articolo 1460 c.c., puo’ essere considerata legittima limitatamente all’importo corrispondente alla parte di prezzo da ritenersi non dovuto per la presenza di vizi nelle opere eseguite e che, sul residuo importo, il cui pagamento risulta rifiutato dall’opponente senza giustificati motivi, sono, pertanto, dovuti gli interessi moratori al tasso e con la decorrenza indicati nel decreto ingiuntivo. In tema di appalto, infatti, ha osservato la corte, il diritto dell’appaltatore al pagamento del corrispettivo non si sottrae al principio secondo cui l’eccezione di inadempimento non dev’essere contraria a buona fede, spettando, quindi, al giudice di merito accertare se la spesa occorrente per l’eliminazione delle difformita’ sia proporzionata a quella che il committente rifiuta di corrispondere all’appaltatore.
1.5. La (OMISSIS) s.r.l., con ricorso notificato il 17/12/2021, ha chiesto, per due motivi, la cassazione della sentenza.
1.6. (OMISSIS) ha resistito con controricorso.
1.7. Le parti hanno depositato memorie.

Il committente può legittimamente rifiutare o subordinare il pagamento del corrispettivo all’eliminazione dei vizi dell’opera

RAGIONI DELLA DECISIONE

2.1. Con il primo motivo, la societa’ ricorrente, lamentando la nullita’ della sentenza per violazione dell’articolo 2719 c.c. e articoli 215 e 115 c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 4, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha ritenuto che l’appellante non aveva contestato la corrispondenza dei prezzi applicati in fattura rispetto a quelli concordati ne’ l’effettiva realizzazione delle opere ivi descritte, senza, tuttavia, considerare che, in realta’, la stessa, nell’atto d’opposizione al decreto ingiuntivo, aveva dichiaratamente contestato l’integrale realizzazione delle opere e l’importo richiesto in quanto assolutamente spropositato in rapporto all’opera parzialmente compiuta e che, con missiva del 20/1/2012, allegata all’atto d’opposizione, la committente aveva espressamente contestato la corrispondenza tra i prezzi applicati e quelli concordati nel contratto d’appalto quali risultano dalla copia allegata alla memoria depositata ai sensi dell’articolo 183 c.p.c., comma 6.
2.2. Il motivo e’ infondato. La ricorrente, in effetti, pur denunciando la violazione di norme di legge sostanziale e processuale, ha, in sostanza, lamentato la valutazione, asseritamente erronea, che la corte d’appello ha fatto delle prove raccolte in giudizio, li’ dove, in particolare, i giudici di merito, ad onta delle asserite emergenze delle stesse, hanno ritenuto che l’appaltatore aveva dimostrato l’esecuzione, sia pur in parte, delle opere appaltategli e la pattuizione del relativo compenso. La valutazione delle prove raccolte, tuttavia, anche se rivenienti dalla mancata contestazione dei fatti dedotti ex adverso (peraltro, neppure smentita dagli stralci degli atti difensivi riprodotti, sul punto, in ricorso), costituisce un’attivita’ riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione se non per il vizio consistito, come stabilito dall’articolo 360 c.p.c., n. 5, nell’avere del tutto omesso, in sede di accertamento della fattispecie concreta, l’esame di uno o piu’ fatti storici, principali o secondari, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbiano costituito oggetto di discussione tra le parti e abbiano carattere decisivo, vale a dire che, se esaminati, avrebbero senz’altro determinato un esito diverso (e alla parte ricorrente piu’ favorevole) della controversia. Il compito di questa Corte, in effetti, non e’ quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata ne’ quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dai giudici di merito (Cass. n. 3267 del 2008), anche se il ricorrente prospetta un migliore e piu’ appagante (ma pur sempre soggettivo) coordinamento dei dati fattuali acquisiti in giudizio (Cass. n. 12052 del 2007), dovendo, invece, solo controllare, a norma dell’articolo 132 c.p.c., n. 4 e articolo 360 c.p.c., n. 4, se costoro abbiano dato effettivamente conto delle ragioni in fatto della loro decisione e se la motivazione al riguardo fornita sia solo apparente ovvero perplessa o contraddittoria (ma non piu’ se sia sufficiente: Cass. SU n. 8053 del 2014), e cioe’, in definitiva, se il loro ragionamento probatorio, qual e’ reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto, com’e’ in effetti accaduto nel caso in esame, nei limiti del ragionevole e del plausibile (Cass. n. 11176 del 2017, in motiv.). La corte d’appello, infatti, dopo aver valutato le prove raccolte (come l’effettiva realizzazione delle opere descritte in fattura e la corrispondenza dei prezzi ivi applicati rispetto a quelli concordati con la committente), ha ritenuto che l’appaltatore avesse dimostrato in giudizio l’entita’ dei lavori eseguiti e il relativo compenso. Ed una volta affermato, come la corte d’appello ha fatto senza che tale apprezzamento sia stato censurato (nell’unico modo possibile, e cioe’, a norma dell’articolo 360 c.p.c., n. 5) per avere del tutto omesso l’esame di uno o piu’ fatti decisivi (e non semplicemente degli elementi di prova raccolti se, come nella specie, il fatto decisivo ai fini della decisione, e cioe’ l’entita’ delle opere eseguite e la misura del compenso pattuito, sia stato esaminato dal giudice), non si presta, evidentemente, a censure la decisione che la sentenza impugnata ha conseguentemente assunto, e cioe’ l’accoglimento della domanda proposta dall’appaltatore, in quanto volta al pagamento del compenso conseguentemente maturato.

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3.1. Con il secondo motivo, la ricorrente, lamentando la violazione degli articoli 1224 e 1460 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha ritenuto che erano dovuti gli interessi di mora al tasso previsto dal Decreto Legislativo n. 231 del 2002, articolo 5, e con decorrenza stabilita nel decreto ingiuntivo opposto senza considerare che la societa’ committente aveva fondatamente sollevato l’eccezione di inadempimento e che il contraente che si avvale legittimamente del diritto di sospendere l’adempimento della propria obbligazione di pagamento non puo’ essere considerato in mora e non e’, quindi, tenuto al pagamento degli interessi moratori.
3.2. Il motivo e’ infondato. Se e’ vero che, come questa Corte ha ripetutamente affermato, “la parte che si avvale legittimamente del suo diritto di sospendere l’adempimento della propria obbligazione pecuniaria a causa dell’inadempimento dell’altra non puo’ essere considerata in mora e non e’, percio’, tenuta al pagamento degli interessi moratori e degli eventuali maggiori danni subiti dall’altra parte per il mancato adempimento, nei termini previsti dal contratto, di quanto a lei dovuto, non essendo applicabile l’articolo 1224 c.c., che ricollega alla mora del debitore il diritto del creditore al pagamento degli interessi di mora e dei maggiori danni conseguenti all’omesso pagamento della prestazione pecuniaria” (Cass. n. 8567 del 1996; Cass. n. 14926 del 2010; Cass. n. 27437 del 2013; Cass. n. 21315 del 2017), e’ anche vero, tuttavia, che, come ha ricordato la sentenza impugnata, il committente, in caso di vizi dell’opera appaltata, puo’ legittimamente rifiutare il pagamento del corrispettivo, invocando l’eccezione di inadempimento prevista dall’articolo 1460 c.c., solo se il rifiuto di adempiere non sia contrario alla buona fede, spettando al giudice del merito accertare se la spesa occorrente per l’eliminazione delle difformita’ sia proporzionata a quella che il committente rifiuta di corrispondere all’appaltatore o che subordina a tale eliminazione (Cass. n. 26365 del 2013; Cass. n. 5231 del 1998), per cui, se, come (evidentemente) accertato nel caso in esame, tale proporzionalita’ e’ stata, in fatto, esclusa, l’eccezione d’inadempimento deve ritenersi invocata in senso contrario alla buona fede e, quindi, tale da non escludere l’obbligo del committente di pagare, sulla somma effettivamente dovuta, gli interessi di mora.
4. Il ricorso, per l’infondatezza di tutti i suoi motivi, dev’essere, quindi, rigettato.
5. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
6. La Corte da’ atto, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.

Il committente può legittimamente rifiutare o subordinare il pagamento del corrispettivo all’eliminazione dei vizi dell’opera

P.Q.M.

La Corte cosi’ provvede: rigetta il ricorso; condanna la ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese di lite, che liquida in Euro 5.450,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali nella misura del 15%; da’ atto, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.

 

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