Corte di Cassazione, sezione lavoro, Ordinanza 24 luglio 2018, n. 19634.
La massima estrapolata:
Il collegamento economico-funzionale tra imprese gestite da società del medesimo gruppo non è, di per sé solo, sufficiente a far ritenere che gli obblighi inerenti ad un rapporto di lavoro subordinato, formalmente intercorso fra un lavoratore ed una di esse, si debbano estendere anche all’altra, a meno che non sussista una situazione che consenta di ravvisare un unico centro di imputazione del rapporto di lavoro. Tale situazione ricorre ogni volta vi sia una simulazione o una preordinazione in frode alla legge del frazionamento di un’unica attività fra i vari soggetti del collegamento economico-funzionale e ciò venga rivelato dai seguenti requisiti: a) unicità della struttura organizzativa e produttiva; b) integrazione tra le attività esercitate dalle varie imprese del gruppo ed il correlativo interesse comune; c) coordinamento tecnico ed amministrativo-finanziario tale da individuare un unico soggetto direttivo che faccia confluire le diverse attività delle singole imprese verso uno scopo comune; d) utilizzazione contemporanea della prestazione lavorativa da parte delle varie società titolari delle distinte imprese, nel senso che la stessa sia svolta in modo indifferenziato e contemporaneamente in favore dei vari imprenditori.
Sentenza 24 luglio 2018, n. 19632
Data udienza 6 marzo 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente
Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – rel. Consigliere
Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere
Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere
Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 9455/2016 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS), giusta delega in atti;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) S.C.A.R.L. IN LIQUIDAZIONE, (OMISSIS) S.P.A. (gia’ (OMISSIS) S.P.A.), (OMISSIS) (gia’ SDI (OMISSIS) S.R.L.), (OMISSIS) S.R.L., (OMISSIS) S.R.L. IN LIQUIDAZIONE (gia’ (OMISSIS) S.R.L.);
– intimati –
avverso la sentenza n. 1186/2015 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 12/10/2015, r.g. n. 1829/2013;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 06/03/2018 dal Consigliere Dott. PAOLO NEGRI DELLA TORRE;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
FATTI DI CAUSA
1. Con sentenza n. 1186/2015, depositata il 12 ottobre 2015, la Corte di appello di Palermo confermava la sentenza di primo grado, nella parte in cui il Tribunale di Palermo, dichiarato inefficace il licenziamento intimato ad (OMISSIS) dalla soc. coop. a r.l. (OMISSIS), aveva tuttavia respinto la domanda della ricorrente volta ad estendere ad altre societa’, appartenenti al medesimo gruppo di imprese, la pronuncia di condanna alla reintegrazione e al pagamento delle retribuzioni dalla data del recesso.
2. La Corte territoriale rilevava, a sostegno della decisione, come l’appellante non avesse fornito prova sufficiente della riferibilita’ del rapporto a soggetti diversi dal formale datore di lavoro e, in particolare, come dalla documentazione prodotta non emergesse il preordinato frazionamento di un’unica attivita’ fra i vari soggetti collegati sul piano economico-funzionale.
3. Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza la lavoratrice con quattro motivi.
4. Le societa’ sono rimaste intimate.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo, deducendo la violazione e falsa applicazione dell’articolo 2359 c.c., la ricorrente lamenta l’omesso esame di vari documenti, che, ove presi in considerazione dalla Corte, avrebbero fornito elementi per ritenere l’influenza notevole di una societa’ sulle altre e, pertanto, un collegamento fra le stesse.
2. Con i restanti motivi la ricorrente deduce nuovamente il vizio di cui all’articolo 360, n. 3: quanto al secondo, per violazione e mancata applicazione dell’articolo 115 c.p.c., comma 1, e articolo 416 c.p.c., comma 3, sul rilievo che le difese delle controparti si erano limitate ad una generica contestazione delle domande senza prendere posizione in maniera specifica sul thema decidendum; quanto al terzo, per violazione e mancata applicazione dell’articolo 614 bis c.p.c., avendo la Corte di appello erroneamente escluso l’applicabilita’ di tale norma ai rapporti di lavoro; con riferimento, infine, al quarto, per violazione e mancata applicazione del Decreto Legislativo n. 252 del 2005, articolo 10, e della L. n. 296 del 2006, articolo 84, avendo la Corte di appello erroneamente rilevato l’omessa allegazione della fonte che renderebbe dovuti i versamenti ai fondi pensione, nonostante le fosse stato semplicemente richiesto di applicare le norme di legge in materia.
3. Il primo motivo e’ inammissibile.
4. Al riguardo si deve, in primo luogo, rilevare che il vizio di violazione o falsa applicazione di norme di diritto, giusta il disposto di cui all’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 4, deve essere, a pena di inammissibilita’, dedotto non solo con l’indicazione – come nella specie – delle disposizioni che si assumono violate ma anche mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimita’ o dalla prevalente dottrina, cosi’ da prospettare criticamente una valutazione comparativa fra opposte soluzioni, non risultando altrimenti consentito alla Corte di legittimita’ di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione: cfr., fra le molte, Cass. n. 16038/2013 (ord.).
5. D’altra parte, nell’esame della fattispecie portata alla sua cognizione, la Corte di appello si e’ attenuta al principio di diritto (cfr. sentenza impugnata, p. 3), per il quale il collegamento economico-funzionale tra imprese gestite da societa’ del medesimo gruppo non e’, di per se’ solo, sufficiente a far ritenere che gli obblighi inerenti ad un rapporto di lavoro subordinato, formalmente intercorso fra un lavoratore ed una di esse, si debbano estendere anche all’altra, a meno che non sussista una situazione che consenta di ravvisare un unico centro di imputazione del rapporto di lavoro. Tale situazione ricorre ogni volta che vi sia una simulazione o una preordinazione in frode alla legge del frazionamento di un’unica attivita’ fra i vari soggetti del collegamento economico-funzionale e cio’ venga rivelato dai seguenti requisiti: a) unicita’ della struttura organizzativa e produttiva; b) integrazione tra le attivita’ esercitate dalle varie imprese del gruppo ed il correlativo interesse comune; c) coordinamento tecnico ed amministrativo-finanziario tale da individuare un unico soggetto direttivo che faccia confluire le diverse attivita’ delle singole imprese verso uno scopo comune; d) utilizzazione contemporanea della prestazione lavorativa da parte delle varie societa’ titolari delle distinte imprese, nel senso che la stessa sia svolta in modo indifferenziato e contemporaneamente in favore dei vari imprenditori (cfr., fra le piu’ recenti, Cass. n. 19023/2017).
6. Il motivo in esame e’ da ritenere inammissibile anche sotto altri profili e cioe’ in quanto, sostanziandosi, al di la’ dello schermo della denuncia di violazione o falsa applicazione di norme di diritto, in una censura di ordine motivazionale all’accertamento in fatto compiuto dalla Corte di merito, risulta precluso ai sensi della disposizione di cui all’articolo 348 ter c.p.c., u.c., (c.d. “doppia conforme”), a fronte di giudizio di appello (R.G. n. 1829/2013) introdotto con ricorso depositato in epoca successiva all’11 settembre 2012; ed inoltre per non essersi conformato al principio, in forza del quale il ricorrente per cassazione, che intenda dolersi dell’omessa o erronea valutazione di un documento da parte del giudice di merito, ha, ai sensi dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6, l’onere, imposto a pena di inammissibilita’ del ricorso, non solo di indicare esattamente nell’atto introduttivo in quale fase processuale ed in quale fascicolo di parte si trovi il documento in questione, ma anche di evidenziarne il contenuto, trascrivendolo o riassumendolo nei suoi esatti termini, al fine di consentire al giudice di legittimita’ di valutare la fondatezza del motivo, senza dover procedere all’esame dei fascicoli d’ufficio o di parte (cfr., fra le molte, Cass. n. 26174/2014).
7. Egualmente inammissibile risulta il secondo motivo, con il quale non viene, in realta’, mossa alcuna censura alla sentenza impugnata ma esclusivamente proposta una difesa di merito.
8. Il terzo motivo e’ palesemente infondato, posto che – come esattamente osservato dalla Corte territoriale – l’articolo 614 bis c.p.c., in tema di attuazione degli obblighi di fare infungibile o di non fare, non trova applicazione, per espressa previsione normativa, alle controversie di lavoro subordinato.
9. Quanto, infine, al quarto motivo, se ne deve rilevare l’inammissibilita’, limitandosi con lo stesso la ricorrente a censurare una parte soltanto della motivazione della sentenza (e cioe’ l’affermazione per la quale non risulta allegata la fonte che dovrebbe giustificare la condanna a versamenti nei fondi pensione) ma non anche quella parte della stessa motivazione, peraltro dotata di autonoma valenza decisoria, in cui la Corte ha rilevato come “gli effetti previdenziali della pronuncia sono impliciti nella declaratoria di inefficacia del recesso”; e fermo restando il difetto di deduzione del motivo in esame, che non specifica se, dove e in quali esatti termini la questione, che ne forma oggetto, sia stata riproposta al giudice di appello.
10. Il ricorso deve, pertanto, essere respinto.
11. Non vi e’ luogo a pronuncia sulle spese, le controparti essendo rimaste intimate.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.
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