Il coerede prima della divisione può usucapire la quota degli altri coeredi

Corte di Cassazione, civile, Sentenza|29 novembre 2022| n. 35067.

Il coerede prima della divisione può usucapire la quota degli altri coeredi

In materia di successione ereditaria, il coerede, prima della divisione, può usucapire la quota degli altri coeredi, senza necessità di invertire il titolo del possesso, allorché eserciti il proprio possesso in termini di esclusività, ossia in modo inconciliabile con la possibilità di godimento altrui e tale da evidenziare l’inequivoca volontà di possedere “uti dominus” e non più “uti condominus”, della cui prova è onerato, non essendo sufficiente che gli altri partecipanti si astengano dall’uso della cosa. Peraltro, tale volontà non può desumersi dal fatto che lo stesso abbia utilizzato e amministrato il bene ereditario attraverso il pagamento delle imposte e lo svolgimento di opere di manutenzione, operando la presunzione “iuris tantum” che egli abbia agito nella qualità di coerede e abbia anticipato anche la quota degli altri.

Sentenza|29 novembre 2022| n. 35067. Il coerede prima della divisione può usucapire la quota degli altri coeredi

Data udienza 13 settembre 2022

Integrale

Tag/parola chiave: Successioni – Contestazione dell’autenticità del testamento olografo – Onere della parte di proporre domanda di accertamento negativo della provenienza della scrittura e di fornire la relativa prova – Inadeguatezza del ricorso al disconoscimento di scrittura privata – Annullamento con rinvio

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere

Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere

Dott. AMATO Cristina – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 6868/2016 proposto da:
(OMISSIS), difensore di se medesimo e di (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avv. (OMISSIS);
– ricorrenti –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende;
– controricorrente – ricorrente incidentale –
(OMISSIS), (E ALTRI OMISSIS)
– intimati –
avverso la sentenza n. 982/2015 della Corte d’appello di Catanzaro, depositata il 17/07/2015;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 13/09/2022 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE TEDESCO;
letta la relazione scritta del Sostituto Procuratore Generale Dott. Roberto Mucci che ha chiesto il rigetto dei ricorsi.

Il coerede prima della divisione può usucapire la quota degli altri coeredi

FATTI DI CAUSA

1. Ai fini della migliore comprensione dei fatti di causa e’ opportuno riassumere la vicenda sulla base della ricostruzione operata dalla Corte d’appello, integrata, per quanto occorre, con elementi pacifici risultanti dagli scritti di parte.
2. Il giorno (OMISSIS) muore (OMISSIS) Senior. Lascia i figli (OMISSIS) Junior, (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) Senior (esiste un altro figlio (OMISSIS), ma il fatto e’ ininfluente o perche’ premorto senza discendenti o perche’ deceduto lasciando eredi i fratelli).
(OMISSIS) Senior, con atto del 1 febbraio del 1882 per notaio (OMISSIS), aveva trasferito al figlio (OMISSIS) Junior la piena proprieta’ di alcuni beni, che sono indicati a pag. 46 della sentenza impugnata (prime tre righe).
Il defunto dispose poi dei propri beni con testamento olografo del 27 dicembre 1902, lasciando al figlio (OMISSIS) Junior l’intera quota disponibile, “comprendendovi quanto disposi con i capitoli matrimoniali per notar (OMISSIS), addi’ 1 febbraio 1882 (…)”.
La quota di (OMISSIS) viene liquidata mediante attribuzione del controvalore in favore degli eredi di lei. A seguito di tale liquidazione i titolari di diritti sull’eredita’ di (OMISSIS) Senior rimangono (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS).
Interviene fra (OMISSIS) e il fratello (OMISSIS) un atto con il quale (OMISSIS) cede a (OMISSIS) i propri diritti sull’eredita’ paterna (atto del 30 ottobre 1903). In relazione a tale atto la Corte d’appello ha accertato che esso fu poi consensualmente risolto a seguito di scrittura privata inter partes del 1 maggio 1904.
Nella sentenza impugnata si da’ per acquisito che, deceduta (OMISSIS), i di lei diritti sui beni ereditati da padre sono stati acquistati in pari misura dai fratelli (OMISSIS) Junior e (OMISSIS).
In considerazione di cio’ la Corte d’appello riconosce che i beni relitti di (OMISSIS) Senior, in seguito alle vicende di cui sopra, erano divenuti oggetto di comunione in parti uguali fra (OMISSIS) Junior e (OMISSIS). Essi, pertanto, sono stati compresi nella successione di (OMISSIS) Junior (quella oggetto di causa) per la quota di un mezzo. Sono compresi invece per intero i beni trasferiti da (OMISSIS) Senior a (OMISSIS) Junior con l’atto del 1882 (supra).

Il coerede prima della divisione può usucapire la quota degli altri coeredi

Si da’ atto nella sentenza impugnata che (OMISSIS) e’ deceduta, avendo nominato erede testamentario il nipote (OMISSIS), figlio di (OMISSIS) Junior (testamento del 24 settembre 1910).
3. Il giorno (OMISSIS) e’ deceduto (OMISSIS) Junior, lasciando otto figli: 1) (OMISSIS) (nubile e senza figli); 2) (OMISSIS) (coniugata con di (OMISSIS)); 3) (OMISSIS) (nubile e senza figli); 4) (OMISSIS) (coniugata con (OMISSIS)); 5) (OMISSIS) detta (OMISSIS) (nubile e senza figli); 6) (OMISSIS) (coniugata con (OMISSIS)); 7) (OMISSIS) (celibe e senza figli); 8) (OMISSIS) (coniugato con (OMISSIS)).
La Corte d’appello ha accertato che (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno rinunziato all’eredita’: la prima con dichiarazione ricevuta dal cancelliere della Pretura di Pizzo il 25 febbraio 1911; la seconda con dichiarazione ricevuta dal medesimo cancelliere l’11 dicembre 1911. Ha rinunciato all’eredita’ anche (OMISSIS), con atto per notar (OMISSIS) del 14 maggio 1916.
Per effetto delle dette rinunzie la quota delle rinunzianti, secondo la Corte d’appello, si e’ accresciuta ai fratelli, divenuti cosi’ titolari della quota di 1/5 ciascuno dell’eredita’ del padre (secondo il codice del 1865, in ipotesi di rinunzia, non operava la rappresentazione a favore dei discendenti: articoli 946 e 947).
E’ stato ancora accertato che (OMISSIS), deceduto il (OMISSIS), ha attribuito la propria quota di eredita’ con testamento al fratello (OMISSIS). (OMISSIS), deceduta il (OMISSIS), ha attribuito anch’ella la propria quota al medesimo (OMISSIS).
La Corte d’appello, tenuto conto di tali vicende, attribuisce a (OMISSIS) la quota di 3/5 dell’eredita’ paterna. (OMISSIS) e’ deceduto il (OMISSIS), lasciando 1/3 del patrimonio alla sorella (OMISSIS) e 2/3 al coniuge (OMISSIS).
4. Il (OMISSIS) e’ deceduta (OMISSIS) ed e’ pubblicato un testamento olografo della stessa, con il quale risulta nominato erede il fratello (OMISSIS).
La Corte d’appello ha considerato la successione di (OMISSIS) quale successione legittima, argomentando che il testamento in favore di (OMISSIS), disconosciuto, non era stato oggetto di istanza di verificazione.

Il coerede prima della divisione può usucapire la quota degli altri coeredi

La Corte d’appello, quindi, ha attribuito la quota spettante a (OMISSIS) ai sette fratelli (o ai loro eredi), i quali avrebbero acquistato, in forza di tale successione, la quota di 1/35 ciascuno (1/5 diviso 7). E’ quindi avvenuto, sempre secondo la ricostruzione della Corte d’appello, che gli eredi di (OMISSIS), titolare della quota di 3/5 (21/35), hanno visto la quota del loro dante causa accresciuta di ulteriori 3/35, essendo (OMISSIS) anche erede testamentario di (OMISSIS) e (OMISSIS): in totale a (OMISSIS) e’ stata riconosciuta la quota 24/35. Per effetto della successione legittima di (OMISSIS) i diritti dei coeredi in concorso sarebbero cosi’ stabiliti: 24/35 (OMISSIS); 8/35 (OMISSIS) (1/5 (7/35) originari, oltra la quota di 1/35 acquisita in forza della successione di (OMISSIS)); 1/35 ciascuno (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), le quali, avendo rinunciato all’eredita’ del padre, potevano vantare solo i diritti che avrebbero acquistato a seguito della successione intestata di (OMISSIS). Ancora con riferimento alla successione di (OMISSIS) risulta da quanto appena detto che la Corte d’appello ha fatto operare la rappresentazione non solo in favore dei fratelli viventi e dei discendenti di quelli premorti, ma, genericamente, in favore dei “successori” (pagg. 50, 51 della sentenza), inclusi i fratelli premorti senza lasciare discendenti ( (OMISSIS) e (OMISSIS)).
Tale contenuto della decisione sembra porsi oggettivamente contrasto con le norme in tema di rappresentazione, che opera in favore dei discendenti del figlio o del fratello che non abbia potuto o voluto accettare (articolo 467, 468 c.c.). I rappresentanti succedono al de cuius direttamente iure proprio e non quali eredi del rappresentato (Cass. n. 594/2015). Esso non ha costituito oggetto di censura; rimane tuttavia superato e assorbito dall’accoglimento del secondo motivo del ricorso incidentale (infra).
5. La Corte d’appello ha poi accertato che, in forza di ulteriori vicende traslative, la quota gia’ appartenuta a (OMISSIS) e’ stata infine acquistata da (OMISSIS), il quale ha poi acquistato dalle eredi di (OMISSIS) la quota di 1/35 a questa spettante (cioe’ la quota a lei pervenuta a seguito della successione intestata della sorella (OMISSIS)): in totale il (OMISSIS) avrebbe la quota di 25/35.
(OMISSIS) ha trasmesso la sua quota a (OMISSIS), che l’ha a sua volta trasferito ad (OMISSIS). (OMISSIS) ha trasmesso la sua quota di 1/35 ai propri eredi.
Si avrebbe quindi questa situazione: (OMISSIS) titolare della quota di 25/35; (OMISSIS), e per essa il suo erede (OMISSIS), 8/35; 1/35 gli eredi di (OMISSIS) e 1/35 gli eredi di (OMISSIS) ( (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)). La Corte d’appello (pag. 51), pero’, ha ritenuto di dovere attribuire a (OMISSIS) anche la quota di 1/35 di (OMISSIS), che sarebbe deceduta il (OMISSIS), lasciando erede il nipote (OMISSIS), il quale aveva a sua volta nominato erede (OMISSIS) (dante causa mediato del (OMISSIS)).

Il coerede prima della divisione può usucapire la quota degli altri coeredi

Sembra che la Corte d’appello abbia in questa fase confuso (OMISSIS) Senior, figlia di (OMISSIS) Senior e sorella di (OMISSIS) Junior, con (OMISSIS) Junior, che era figlia del medesimo (OMISSIS) Junior. (OMISSIS) deceduta nel (OMISSIS), nominando erede con testamento olografo del 24 settembre 2010 il nipote (OMISSIS), e’ (OMISSIS) Senior (sorella di (OMISSIS) Junior) e non e’ (OMISSIS) Junior (figlia di (OMISSIS) Junior), come e’ detto chiaramente a pag. 21 della sentenza e come e’ riconosciuto anche a pag. 8 del controricorso. Si osserva che gli eredi di (OMISSIS) Junior hanno partecipato al giudizio nelle fasi di merito.
Anche tale contenuto della decisione, riguardando comunque la successione di (OMISSIS), rimane superato dall’accoglimento del secondo motivo del ricorso incidentale.
5. La causa e’ stata iniziata da (OMISSIS) dinanzi al Tribunale di Vibo Valentia, che ha pronunziato sentenza con la quale e’ stata rigettata la domanda del (OMISSIS), il quale aveva rivendicato la proprieta’ esclusiva dell’intero compendio ereditario in forza di usucapione; quindi ha statuito sulla composizione della massa e la misura delle quote, rimettendo le parti innanzi al giudice istruttore per il completamento delle operazioni divisionali. La Corte d’appello, decidendo sulle reciproche impugnazioni proposte contro la sentenza, ha riformato in parte la decisione, precisando che sono compresi nell’asse la proprieta’ intera dei beni oggetto dell’atto per notaio (OMISSIS) del 1882 e la quota di un mezzo dei beni acquistati da (OMISSIS) Junior in forza della successione testamentaria del padre (OMISSIS) Senior. Essa ha confermato il rigetto della domanda del (OMISSIS), condividendo la valutazione del primo giudice, il quale aveva escluso che fosse stata data la prova del possesso esclusivo del compendio comune.
Contro la sentenza della Corte d’appello di Catanzaro (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno proposto ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi.
Ha resistito con controricorso (OMISSIS), proponendo ricorso incidentale affidato a due motivi.
Tutti gli altri soggetti che hanno preso parte al giudizio di merito, compresi quelli nei cui confronti e’ stata ordinata la rinnovazione della notificazione del ricorso con ordinanza di questa Corte del 10 maggio 2021, sono rimasti intimati.
La causa, in un primo tempo chiamata in adunanza camerale, e’ stata dapprima rinviata a nuovo ruolo per il rinnovo della notificazione nei confronti di alcuni degli intimati, e poi rimessa alla pubblica udienza.
I ricorrenti principali e il ricorrente incidentale hanno depositato memoria sia in prossimita’ dell’udienza camerale sia in vista della pubblica udienza.

Il coerede prima della divisione può usucapire la quota degli altri coeredi

RAGIONI DELLA DECISIONE

A) 1. Il primo motivo del ricorso principale denuncia: “Violazione e falsa applicazione dell’articolo 2729 c.c., comma 2, articolo 519 c.c., articolo 23 disp. gen., articolo 944, comma 1, Codice Pisanelli (1865), articolo 112 c.p.c., comma 2, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3”.
Si sostiene che la Corte d’appello avrebbe consentito la prova per presunzione della rinunzia all’eredita’, non consentita in base alle norme del codice del 1865.
Il motivo e’ infondato. Ex articolo 944 del codice del 1865: “La rinunzia all’eredita’ non si presume. Essa non puo’ farsi che con una dichiarazione presso la cancelleria del mandamento in cui si e’ aperta la successione, sopra un registro tenuto all’uopo”. La dottrina formatasi sul codice del 1865, nel commentare la norma, osservava che nel diritto romano era ammessa la rinunzia non solo espressa ma anche tacita. Ed alcuni scrittori di diritto comune ravvisarono la rinunzia tacita, per esempio se l’erede si fosse fatto pagare l’intero credito che aveva contro il defunto, oppure se alcuno avesse rinunziato a intervenire nella divisione ed avesse tollerato che gli eredi dividessero l’eredita’ senza il suo intervento. Ma nel diritto consuetudinario francese prevalse l’opinione che non dovesse ammettersi la rinunzia tacita. Non fu ritenuta valida la rinunzia se non fosse stata fatta in forma solenne. Per escludere pertanto ogni dubbio circa la possibilita’ di rinunzia desunta da facta condudentia, il codice del 1865, nell’articolo 844, dispose: “La rinunzia non si presume”.
Con riferimento alla posizione nell’eredita’ di (OMISSIS) Junior delle figlie (OMISSIS) e (OMISSIS), la Corte d’appello non ha affatto riconosciuto che, secondo il codice del 1865, la rinunzia all’eredita’ fosse valida anche se fatta senza la forma prescritta. Con riguardo a questa questione essa ha innanzitutto richiamato la sentenza di primo grado, nella parte in cui il Tribunale aveva riconosciuto l’esistenza delle “rinunce all’eredita’ (…) effettuate da (OMISSIS), con verbale redatto presso la cancelleria della Pretura di Pizzo il 25 febbraio 2011, e da (OMISSIS), con verbale redatto presso la cancelleria in data 11 dicembre 2011 (…)”; la corte di merito ha poi proseguito nella propria analisi, ponendo in luce che la prova delle rinunzie era a carico del (OMISSIS), interessato a farle valere “al fine di delimitare – in senso a lui piu’ favorevole – il novero dei soggetti aventi diritto alla divisione dell’eredita’ relitta di (OMISSIS) Junior; quindi, essendo stato “acclarato che l’impossibilita’ di accedere agli atti della Pretura di Pizzo (si veda la certificazione in tal senso) abbia inibito il radice la dimostrazione diretta del dato”, ha posto l’accento su una pluralita’ di elementi, che componevano “un quadro di elementi indiziari che conduce a ritenere che le rinunce furono effettivamente rese”.

Il coerede prima della divisione può usucapire la quota degli altri coeredi

Tale ragionamento non rileva alcun errore di diritto, dovendosi riconoscere incondizionatamente che dell’articolo 844, comma 1 del codice del 1865 escludeva la validita’ della rinunzia tacita, ma non vietava, quando la parte si fosse trovata nell’impossibilita’ di produrre il relativo verbale, che si potesse provare per presunzioni che la rinunzia formale era avvenuta.
La problematica a cui accenna il Procuratore generale nelle proprie conclusioni scritte, sull’ammissibilita’ nei rapporti inter partes di una rinunzia per facta concludentia (Cass. n. 3500/1975), non viene minimamente in considerazione nel caso in esame. La Corte calabrese ha fatto applicazione di un principio diverso e pienamente condivisibile, e cioe’ che, ferma la regola che la rinunzia all’eredita’ non puo’ essere tacita, cio’ non toglie che, dal punto di vista dell’onere probatorio, l’esistenza di una dichiarazione di rinunzia puo’ per essere provata con ogni mezzo, qualora la scrittura (posta in essere con la forma prescritta) che la contiene sia andata smarrita. Sono conseguentemente irrilevanti le considerazioni proposte dai ricorrenti con la memoria in ordine al difetto dei presupposti di applicabilita’ del principio richiamato dal Procuratore Generale.
E’ assorbita la seconda parte del motivo in esame, con la quale si indicano alcune implicazioni che i giudici di merito avrebbero dovuto trarre in conseguenza dell’ammissione di (OMISSIS) e (OMISSIS) al concorso sull’eredita’ del padre. Si tratta, infatti, di implicazioni che suppongono la fondatezza della censura sulla inesistenza di una valida rinunzia da parte delle due chiamate: quindi un presupposto che non si e’ verificato.
2. Il secondo motivo denuncia “Violazione e falsa applicazione degli articoli 115 e 116 c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3”. I ricorrenti si dolgono perche’ la Corte d’appello avrebbe ammesso la prova per presunzioni della rinunzia senza che questa fosse stata richiesta dal (OMISSIS), che la stessa Corte d’appello aveva identificato come il soggetto gravato dal relativo onere.
Il motivo e’ infondato. Questa Corte ha chiarito che “la presunzione, in quanto consistente nella correlazione logica che pongono uno o piu’ fatti acquisiti in causa (noti) come manifestazione implicita di altro fatto (ignoto) da provare, puo’ essere applicata d’ufficio dal giudice, perche’ costui ha il potere dovere di ricostruire la vicenda in controversia e quindi di valutare gli elementi di causa in funzione della loro probatorieta’” (Cass. n. 2393/1998).
Nella seconda parte del motivo la sentenza e’ censurata perche’ la Corte d’appello avrebbe attribuito valore presuntivo a una dichiarazione fatta da altri in un processo nel quale i ricorrenti non erano parti in causa.
Tale considerazione dei ricorrenti e’ irrilevante. Essa, nell’ambito dell’esposizione fatta con il motivo ora in esame, costituisce un semplice passaggio argomentativo, che non e’ sfociato in alcuna denunzia di errori o vizi logici nell’utilizzazione delle presunzioni da parte del giudice di merito. Si deve aggiungere che la Corte d’appello ha utilizzato la dichiarazione altrui nel concorso di altri elementi. Il ragionamento presuntivo infine proposto non incorre in alcuna contraddizione o illogicita’, essendo percio’ incensurabile in questa sede e, in verita’, neanche censurato (Cass. n. 5279/2020; n. 15737/2003).
3. Il terzo motivo del ricorso principale denuncia “Violazione e falsa applicazione degli articoli 1123, 1125, 1131, 1133 e 1156 del Codice Pisanelli (1865) in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 5”.

Il coerede prima della divisione può usucapire la quota degli altri coeredi

La sentenza e’ oggetto di censure nella parte in cui la Corte d’appello, dopo avere riconosciuto che, con atto del 30 ottobre 1903, (OMISSIS) aveva ceduto a (OMISSIS) Junior i propri diritti sull’eredita’ paterna, aveva affermato che tale atto fu poi consensualmente risolto a seguito di scrittura privata del 1 maggio 1904. Si sostiene che la scrittura privata, correttamente interpretata, non aveva determinato la risoluzione dell’atto di cessione.
Con il terzo motivo – evidentemente proposto con il fine di accrescere la misura dei diritti del cessionario (OMISSIS) Junior nell’eredita’ di (OMISSIS) Senior – i ricorrenti denunciano in primo luogo che, nell’interpretazione della scrittura, la Corte d’appello aveva argomentato in base al fatto che il medesimo (OMISSIS) Junior, “in seno alla dichiarazione di successive del 1910, successiva ai due atti richiamati (…) dichiarava la comunione “sui beni di cui ai punti dal 5 al n. 11″ con le sorelle (OMISSIS) a (OMISSIS) (…)”. In tale richiamo i ricorrenti ravvisano una contraddizione con quanto rilevato dalla Corte d’appello, in altra parte della sentenza, in relazione “alla limitata valenza probatoria di dichiarazioni di successione non aventi natura costitutiva (…)”.
Il vizio logico indicato dai ricorrenti non sussiste, perche’ la Corte di merito, nel riconoscere la limitata efficacia probatoria delle dichiarazioni di successione, aveva considerato la questione ai fini della prova della consistenza dell’asse. Diversamente, in relazione alla questione investita dal motivo in esame, la dichiarazione di successione non e’ stata considerata nella sua efficacia probatoria dell’appartenenza ai coeredi dei beni in essa indicati, ma in funzione interpretativa di una vicenda negoziale che aveva quale parte colui che l’aveva presentata, il quale aveva inserito un’indicazione contrastante con l’efficacia del trasferimento operato con il rogito del 1903.
Quanto al resto, il motivo e’ infondato. E’ principio acquisito che, in tema di interpretazione del contratto, il sindacato di legittimita’ non puo’ investire il risultato interpretativo in se’, che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito, ma afferisce solo alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica e della coerenza e logicita’ della motivazione addotta, con conseguente inammissibilita’ di ogni critica alla ricostruzione della volonta’ negoziale operata dal giudice di merito che si traduca in una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto da questi esaminati (Cass. n. 2465/2015; n. 10891/2016).
Quando il giudice di merito ha compiuto la ricerca dell’intento negoziale con il rispetto dei canoni di ermeneutica, l’interpretazione del contratto, scaturita dall’indagine compiuta, si sottrae al sindacato di legittimita’, ove sia sorretta da motivazione esauriente ed immune da vizi logici, la quale consenta di individuare la ragione del decidere (Cass. n. 1291/1970; n. 17817/2005; n. 701/2021).
3.1. I ricorrenti trascrivono il documento che contiene la scrittura privata e sostengono che il suo contenuto “esclude categoricamente che le parti abbiano voluto revocare la vendita del 30/10/1903”. Essi, al fine di giustificare tale conclusione, propongono una serie di considerazioni logiche, che avrebbero dovuto indurre i giudici d’appello ad attribuire all’accordo il seguente significato: prospettandosi il pericolo dell’evizione in ordine a quanto trasferito con l’atto notarile di cessione, (OMISSIS) avrebbe voluto garantire il fratello, restituendo il prezzo della vendita, con l’intesa che, venuto meno il pericolo, il cessionario (OMISSIS) Junior avrebbe pagato l’intero prezzo a suo tempo pattuito con l’atto notarile di cessione. Non essendosi l’evizione verificata e’ “intuibile”, sempre secondo i ricorrenti, che la somma fu erogata dal (OMISSIS) Junior, perche’ altrimenti (OMISSIS) o i suoi eredi avrebbero agito per avere il pagamento o in alternativa avrebbero fatto valere i proprio diritti sui beni provenienti dall’eredita’ dell’ascendente.
A queste considerazioni e’ facile replicare che l’interpretazione proposta con la decisione impugnata non incompatibile ne’ con il tenore letterale della scrittura, ne’ con l’intenzione dei contranti di preservare il cessionario del pericolo dell’evizione. Ecco allora che il motivo di ricorso ora in esame, sotto la veste della denuncia dei canoni di ermeneutica, si esaurisce, inammissibilmente, nel proporre una interpretazione negoziale alternativa rispetto a quella accolta nella sentenza impugnata, che non “deve essere l’unica astrattamente possibile ma solo una delle plausibili interpretazioni, sicche’, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o piu’ interpretazioni, non e’ consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimita’ del fatto che fosse stata privilegiata l’altra” (Cass. n. 28319/2017; n. 16987/2018).

Il coerede prima della divisione può usucapire la quota degli altri coeredi

Gli elementi che i ricorrenti pretendono di desumere dal comportamento successivo dei contraenti sono illazioni, che, per quanto non irragionevoli, non hanno la forza di rendere illogica o incoerente l’interpretazione fatta dalla Corte d’appello.
3.2. Nella sentenza impugnata si da’ per acquisito che (OMISSIS) sia deceduta in assenza di discendenti, lasciando eredi i fratelli (OMISSIS) Junior e (OMISSIS), che avrebbero acquistato in pari misura i diritti di (OMISSIS) sui beni ereditati dal padre Gregorio Senior.
Nel ricorso, a pag. 24, si deduce che (OMISSIS) ha lasciato due figli. A un attento esame, il fatto che (OMISSIS) avesse figli risulta anche dalla scrittura di risoluzione, nella quale si menziona l’esistenza di un “genero”. Tale aspetto, tuttavia, non e’ sfociato in una ragione di censura, ne’ emerge che l’esistenza di discendenti di (OMISSIS) sia stata ventilata nella fase di merito: sul punto, percio’, la Corte di cassazione, in assenza di una indicazione certa circa l’attuale esistenza di litisconsorti pretermessi, non deve assumere alcun provvedimento (Cass. 11043/2022; n. 23634/2018).
4. Con il quarto motivo di ricorso, sotto l’unica rubrica “Omesso esame di un fatto decisivo della controversia (articolo 360 c.p.c., n. 5). Nullita’ del procedimento per mancata corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato (articolo 112 c.p.c., comma 1, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 4″.”, i ricorrenti propongono due diversa censure.
4.1. Con la prima di tali censure (indicata con la lettera a), i ricorrenti lamentano la mancata inclusione nell’asse di un immobile acquistato dagli eredi di (OMISSIS) Junior con atto del 14 dicembre 1911, a saldo del “credito litigioso” rinveniente dall’eredita’ del medesimo (OMISSIS) Junior riportato nella denuncia di successione. Si sostiene che la Corte d’appello, pur avendo accertato l’esistenza dell’immobile in forza del supplemento della consulenza tecnica, avrebbe poi omesso di inserirlo fra i beni che compongono l’asse, cosi’ come avrebbe omesso di inserire l’indennita’ di esproprio liquidata ai coeredi nel 1925, anch’essa acquistata mediante la riscossione del “credito litigioso”.
La censura e’ inammissibile. Il Tribunale aveva escluso dall’ambito della lite i beni che non rientravano nella massa riferibile a (OMISSIS) Junior, laddove i ricorrenti si riferiscono a beni che non appartenevano al de cuius al tempo della morte, ma che sarebbero stati acquistati dagli eredi successivamente, a saldo di un credito litigioso derivante dall’eredita’ del medesimo.
Risulta inoltre dalla decisione impugnata che il primo giudice aveva compreso nell’asse solo beni immobili, senza menzionare crediti del de cuius. In relazione a questo aspetto la Corte d’appello, dopo avere riportato in nota a pag. 43 la richiesta di inserimento del bene acquistato dai coeredi con atto del 14 dicembre 1911 (quello oggetto del motivo in esame), ricorda che “la statuizione impugnata ha investito, per come piu’ volte richiamato e senza che alcuno abbia lamentato eventuali omissioni di pronuncia, la formazione dell’asse ereditario di (OMISSIS) Junior e la formazione delle relative quote. Ne discende, nel rispetto del principio devolutivo, che il thema decidendum afferisce all’individuazione dei beni ricadenti nella comunione ereditaria relitta a seguito della morte di (OMISSIS) Junior oggetto dell’istanza di divisione e alla titolarita’ delle quote: segnatamente sui beni immobili – rustici e urbani indicati in sentenza. Tanto vale ad eliminare dal novero delle questioni da esaminare le relative ed amplissime problematiche sollevate dalle parti. Non ignora peraltro la Corte la necessita’ che si tenga conto a tal fine anche degli acquisti eventuali operati dalla comunione ereditaria a seguito dell’alienazione dei beni e del reimpiego del denaro comunque ottenuto in ragione della gestione del patrimonio, determinante, in tesi, un incremento della massa; ma sotto questo punto di vista, non puo’ non osservarsi come difetti ogni elemento che consenta di ritenere che tanto si sia realizzato. Tutte le tesi spese sotto questo specifico angolo prospettico appaiono alla stregua di intuizioni, supposizioni, congetture: detto altrimenti non e’ stata fornita alcuna prova sul fatto che i ricavi tratti siano stati utilizzati per ulteriori acquisti. Dal thema decidendum fuoriescono poi tutte le questioni relative non solo ai beni mobili – oggetto della domanda riconvenzionale nulla per genericita’ e sulla cui statuizione si e’ formato il giudicato – ma anche quant’altro non dedotto nel corso del giudizio di primo grado e neanche allegato in seno agli atti di appello. Questi ultimi, per come si rileva dalla loro lettura, non recano alcun cenno a crediti ovvero altro tipo di diritti patrimoniali diversi da quello di proprieta’ sugli immobili” (pag. 45 della sentenza impugnata).

Il coerede prima della divisione può usucapire la quota degli altri coeredi

In rapporto a queste considerazioni proposte dalla Corte d’appello e’ chiaro che non e’ configurabile ne’ il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, ne’ il vizio di omissione di pronuncia, prospettati con il motivo ora in esame: il fatto e’ stato considerato (Cass. S.U., n. 8053/2014; n. 27415/2018) e sulla richiesta di inclusione del cespite e’ intervenuta una statuizione. E’ vero che le considerazioni della Corte d’appello sono riferiti ad acquisti operati con il ricavato della vendita di beni ereditari, piuttosto che a vicende del tipo di quella a cui alludono i ricorrenti, che sembra richiamare una datio in solutum o una transazione su credito ereditario. E’ altrettanto vero, pero’, che i rilievi della Corte d’appello, siccome intesi a circoscrivere il tema della decisione ai soli beni immobili relitti, sono certamente incompatibili con la pretesa all’inserimento dell’ulteriore cespite acquistato in proprio dagli eredi dopo l’apertura della successione. In termini ancora piu’ decisivi, resta poi fermo che la Corte d’appello, in continuita’ con la decisione di primo grado, ha ritenuto di dovere comprendere nell’asse soli beni immobili, con esclusione dei crediti. E poiche’ la richiesta volta a fare inserire nella massa il bene oggetto dell’acquisto del 1911 presuppone l’originaria presenza nell’asse ereditario di un credito “litigioso” del de cuius, la statuizione resa in proposito della Corte d’appello costituisce pronunzia quanto meno implicita di rigetto della domanda di inserimento dell’ulteriore cespite: il che esclude in radice la configurabilita’ del vizio di omissione di pronunzia (Cass. n. 2153/2020).
4.2. Con la censura sub b) di cui al motivo in esame si sostiene che la Corte d’appello ha assunto che l’eredita’ di (OMISSIS) Senior fosse stata acquistata in parti uguali dai figli legittimari, senza considerare che il testamento conteneva l’istituzione di (OMISSIS) Junior nella quota disponibile, pari alla meta’ del patrimonio secondo il codice del 1865. Secondo i ricorrenti, (OMISSIS) dovrebbe percio’ concorrere nella successione per la quota disponibile di 1/2, oltre la propria quota di legittima, pari a 1/8, nel concorso dei fratelli (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), titolari di una quota di uguale misura. Si precisa che, per effetto della liquidazione di (OMISSIS), la quota di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) si e’ accresciuta di 1/24 ciascuno: quindi Gregorio ha i 2/3, mentre le due sorelle 1/6 ciascuno. Morta (OMISSIS) la quota di lei e’ stata acquistata da (OMISSIS) e (OMISSIS), cui spettano rispettivamente tre quarti e un quarto.
Si trae poi con tale motivo la conseguenza della censura oggetto del terzo motivo di ricorso. Sulla premessa che la cessione del 1903, intercorsa fra (OMISSIS) Junior e la sorella (OMISSIS), non fu risolta, si attribuisce a (OMISSIS) anche la quota di (OMISSIS) (1/6) oggetto di quella stessa cessione, con la conseguenza che a (OMISSIS) Junior dovrebbe essere riconosciuta non la quota di 3/4 dell’eredita’ paterna, ma la quota di 5/6 (nel ricorso la quota e’ espressa in percentuale 83,332%).
4.3. La seconda parte della censura in esame (quella che implica la perdurante efficacia della cessione fra (OMISSIS) Junior e (OMISSIS)) e’ travolta dal rigetto del terzo motivo, mentre la prima parte – con la quale si denuncia in effetti non un omesso esame, ma, al limite, una violazione di legge – infondata.
Il ragionamento proposta dai ricorrenti non tiene conto che il testatore aveva istituito (OMISSIS) Junior nella disponibile, comprendendovi i beni oggetto dei “capitoli matrimoniali per notar (OMISSIS), addi’ 1 febbraio 1882”. La disponibile lasciata a (OMISSIS) per testamento non e’ l’intero disponibile di un mezzo, calcolata anche in base al codice del 1865 sui beni relitti e sui beni donati (articolo 822), ma la disponibile intaccata dall’atto del 1882 a favore dell’istituito: in pratica, in base al testamento, (OMISSIS) aveva il diritto di cumulare la propria quota di riserva con la parte di disponibile che eventualmente l’atto del 1882 non aveva assorbito. Il riconoscimento in favore di (OMISSIS) Junior di un concorso maggiore rispetto a quello riconosciuto dalla Corte d’appello implica che il valore dei beni oggetto dell’atto del 1882 per notar (OMISSIS) non eguagliasse il valore della disponibile. Fuori da tale presupposto (che pone in via prioritaria una questione di fatto), la decisione impugnata, nella parte in cui divide l’eredita’ in parti uguali fra i legittimari, non rileva alcun errore nell’applicazione delle norme. Infatti, ex articolo 823 del codice del 1865, “se il valore delle donazioni eccede o eguaglia la quota disponibile, tutte le disposizioni testamentarie sono senza effetto”. Come per il codice attuale, anche per il codice del 1865 l’istituzione generica nella disponibile non si risolve nella considerazione di una quota astratta, ma suppone la riunione fittizia (Cass. n. 14193/2022). In contrasto con queste regole, la questione del valore dei beni, relitti e donati, al tempo della morte non e’ minimamente proposta con il motivo in esame, che pone la questione in astratto, mentre il contenuto del testamento e l’esistenza di elargizioni fatte in favore dell’erede, poi genericamente istituito nella disponibile, imponevano un approccio diverso, fondato sulla considerazione del concreto valore dei beni relitti e donati.
B) 1. Il primo motivo del ricorso incidentale di (OMISSIS) denunzia violazione e falsa applicazione degli articoli 1158 e segg., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
La sentenza e’ oggetto di censura laddove la Corte d’appello ha rigettato la domanda di usucapione dei beni ereditari a suo tempo proposta dal ricorrente incidentale, domanda che avrebbe dovuto essere invece accolta. Risultava infatti dai documenti prodotti che i beni erano stati posseduti prima da (OMISSIS), poi dal fratello (OMISSIS) e poi dagli aventi causa di (OMISSIS). Non esiste, sottolinea il ricorrente incidentale, in tutta la documentazione prodotta un atto che faccia desumere un compossesso dei coeredi; al contrario, tutti i documenti accertano che alla morte di (OMISSIS) l’eredita’ di (OMISSIS) Junior e della sorella (OMISSIS) Senior si e’ concentrata nelle mani di (OMISSIS).
Il motivo e’ inammissibile. Il coerede puo’, prima della divisione, usucapire la quota degli altri coeredi, senza che sia necessaria l’interversione del titolo del possesso, attraverso l’estensione del possesso medesimo in termini di esclusivita’, ma a tal fine non e’ sufficiente che gli altri partecipanti si siano astenuti dall’uso della cosa, occorrendo altresi’ che il coerede ne abbia goduto in modo inconciliabile con la possibilita’ di godimento altrui e tale da evidenziare una inequivoca volonta’ di possedere uti dominus e non piu’ uti condominus; tale volonta’ non puo’ desumersi dal fatto che il coerede abbia utilizzato e amministrato il bene ereditario provvedendo al pagamento delle imposte e alla manutenzione ricorrendo la presunzione juris tantum che egli abbia agito nella qualita’ e che abbia anticipato le spese anche relativamente alla quota degli altri coeredi (Cass. n. 7075/1999; n. 16841/2005; n. 7221/2009). L’onere della prova di tale dominio esclusivo sulla res comune grava sull’usucapiente (Cass. n. 13921/2002).

Il coerede prima della divisione può usucapire la quota degli altri coeredi

Il Tribunale aveva rigettato la domanda di usucapione, facendo applicazione del principio ora richiamato, consolidato nella giurisprudenza di legittimita’. La Corte d’appello, investita nuovamente della questione in sede di gravame, dopo avere richiamato le ragioni che il primo giudice aveva posto a fondamento del rigetto della domanda di usucapione, ha aggiunto che “l’atto di appello ripropone le medesime considerazioni in ordine alla gestione complessiva dei beni ereditari da parte del (OMISSIS) e dei suoi danti causa. Ma nulla viene allegato e dimostrato in ordine a condotte dalle quali poter evincere, se non proprio l’interversio possessionis, quanto meno la manifestazione di volonta’ di possesso esclusivo e oppositivo rispetto ai diritti dei coeredi”. Risulta ancora dalla sentenza impugnata che, in appello, il (OMISSIS) aveva sostenuto che il complesso degli atti posti in essere, nel corso di un lunghissimo arco di tempo, fossero essi stessi espressione del possesso esclusivo dei propri danti causa, che erano riconosciuti quale unici proprietari sia dalle autorita’ pubbliche sia da terzi. La Corte d’appello ha passato in rassegna gli atti che il (OMISSIS) aveva allegato a sostegno del supposto possesso ad usucapionem e li ha riconosciuti inidonei a escludere il compossesso dei coeredi.
Ai rilievi proposti nella sentenza impugnata, in linea con la giurisprudenza della Corte, il ricorrente incidentale obietta che i giudici d’appello non avrebbero tenuto conto del carattere esclusivo del potere di fatto esercitato sulla cosa per un tempo prolungato, in assenza della prova del compossesso.

Il coerede prima della divisione può usucapire la quota degli altri coeredi

In questo senso il motivo non coglie la ratio decidendi, che non e’ nel mancato riconoscimento, dal punto di vista materiale, delle attivita’ compiute dall’agente sulla cosa, ne’ nel positivo riconoscimento dell’effettivo esercizio del compossesso da parte dei coeredi. La ratio decidendi e’ nella considerazione del non avere il (OMISSIS) dimostrato che il rapporto materiale con la res si fosse verificato in modo da escludere, con palese manifestazione di volonta’, gli altri coeredi dalla possibilita’ di instaurare analogo rapporto con il bene (Cass. n. 5226/2002). Tale ratio non e’ attinta dal motivo di ricorso, che deve essere pertanto dichiarato inammissibile.
2. Il secondo motivo del ricorso incidentale denuncia “Violazione e falsa applicazione dell’articolo 216 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”.
Con tale motivo e’ censurata l’affermazione della Corte d’appello, secondo cui il testamento di (OMISSIS), disconosciuto, non fu oggetto di istanza di verificazione. Al riguardo il ricorrente incidentale propone le seguenti censure: a) il testamento era stato implicitamente riconosciuto; b) il disconoscimento non fu fatto ritualmente, perche’ occorreva proporre querela di falso; c) ad ogni modo l’istanza di verificazione fu proposta implicitamente, non richiedendosi formula sacrali.
Il motivo e’ fondato, anche se per ragioni diverse da quelle indicate dal ricorrente. In materia di contestazione dell’autenticita’ del testamento olografo le Sezioni unite di questa Corte hanno affermato il seguente principio: “La parte che contesti l’autenticita’ del testamento olografo deve proporre domanda di accertamento negativo della provenienza della scrittura, e grava su di essa l’onere della relativa prova, secondo i principi generali dettati in tema di accertamento negativo” (Cass. S.U., 15 giugno 2015, n. 12307). Le Sezioni unite hanno ritenuto essere strumenti inadeguati, al fine di superare l’efficacia probatoria di un testamento olografo, sia il ricorso al disconoscimento di scrittura privata, sia la proposizione di querela di falso: occorre piuttosto proporre un’azione di accertamento negativo della falsita’ della scheda testamentaria, con onere dell’interessato di dare la prova della falsita’.
Risulta dalla trascrizione delle conclusioni proposte in appello dai contradditori del (OMISSIS) che costoro chiesero alla Corte d’appello di “dichiarare l’inesistenza giuridica del testamento olografo di (OMISSIS), in quanto disconosciuto e non verificato”. La Corte d’appello ha effettivamente ravvisato nella difesa di una delle parti in causa l’avvenuto disconoscimento; ha poi aggiunto testualmente: “non risulta che sia stata operata richiesta di verificazione del documento. L’affermazione contenuta in seno alla comparsa conclusionale del (OMISSIS) – secondo la quale egli “in subordine ha proposto istanza di verificazione con deposito di documenti a comparazione” – non corrisponde al vero. Del testamento dunque, evidentemente, non puo’ tenersi conto (…)”. E’ indubbio, alla stregua di tali considerazioni, che la lite e’ stata definita su questo aspetto in applicazione delle norme sul disconoscimento, mentre il corso di giurisprudenza inaugurato dalla Sezioni Unite imponeva l’applicazione di norme diverse, che la Corte d’appello avrebbe dovuto autonomamente individuare in applicazione del principio iura novit curia. Cio’ non e’ stato fatto e si giustifica quindi l’accoglimento del motivo, il quale, sebbene sulla base di una impostazione non del tutto appropriata, e’ comunque inteso a censurare la decisione nella parte in cui la Corte d’appello ha negato l’efficacia del testamento olografo. Il fatto che la censura non abbia colto l’autentico errore commesso dalla Corte di merito – ma in presenza di un errore oggettivamente risultante dalla decisione – non esclude che il motivo debba essere ugualmente accolto, essendo acquisito che la Corte di cassazione “puo’ accogliere il ricorso per una ragione di diritto anche diversa da quella prospettata dal ricorrente, a condizione che essa sia fondata sui fatti come prospettati dalle parti, fermo restando che l’esercizio del potere di qualificazione non puo’ comportare la modifica officiosa della domanda per come definita nelle fasi di merito o l’introduzione nel giudizio d’una eccezione in senso stretto (Cass. n. 3437/2014; n. 18775/2017; n. 26991/2021). Nel caso in esame, i presupposti della possibilita’ della diversa qualificazione ricorrono, ponendosi, sulla base dei fatti univocamente dedotti e delle richieste di parte, la sola questione di puro diritto dello strumento che avrebbe dovuto essere impiegato per contestare l’autenticita’ dell’olografo fatto valere da uno dei condividenti.
C) L’accoglimento del secondo motivo del ricorso incidentale comporta l’assorbimento del quinto motivo del ricorso principale, sulle spese di lite.
Si deve sottolineare che la cassazione della sentenza investe solamente la statuizione sul testamento di (OMISSIS), con le conseguenti ricadute sulla determinazione delle quote, in quanto operata dalla Corte d’appello sul presupposto che si trattasse di successione legittima. Tale ipotesi dovra’ essere verificata nuovamente alla luce di principi di cui sopra. Tutte le altre statuizioni della sentenza impugnata, indipendenti dal riconoscimento del carattere testamentario o legittimo della successione di (OMISSIS), rimangono ferme e intangibili.
Il giudice di rinvio liquidera’ le spese del presente giudizio di legittimita’.

P.Q.M.

accoglie il secondo motivo del ricorso incidentale; rigetta i primi quattro motivi del ricorso principale; dichiara inammissibile il primo motivo del ricorso incidentale; dichiara assorbito il quinto motivo del ricorso principale; cassa la sentenza in relazione al motivo del ricorso incidentale accolto; rinvia alla Corte d’appello di Catanzaro in diversa composizione anche per le spese.

Il coerede prima della divisione può usucapire la quota degli altri coeredi

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

Le sentenze sono di pubblico dominio.

La diffusione dei provvedimenti giurisdizionali “costituisce fonte preziosa per lo studio e l’accrescimento della cultura giuridica e strumento indispensabile di controllo da parte dei cittadini dell’esercizio del potere giurisdizionale”.

Benchè le linee guida in materia di trattamento di dati personali nella riproduzione di provvedimenti giurisdizionali per finalità di informazione giuridica non richiedano espressamente l’anonimizzazione sistematica di tutti i provvedimenti, e solo quando espressamente le sentenze lo prevedono, si possono segnalare anomalie, richiedere oscuramenti e rimozioni, suggerire nuove funzionalità tramite l’indirizzo e-mail info@studiodisa.it, e, si provvederà immediatamente alla rimozione dei dati sensibili se per mero errore non sono stati automaticamente oscurati.

Il presente blog non è, non vuole essere, né potrà mai essere un’alternativa alle soluzioni professionali presenti sul mercato. Essendo aperta alla contribuzione di tutti,  non si può garantire l’esattezza dei dati ottenuti che l’utente è sempre tenuto a verificare.

Per aprire la pagina facebook @avvrenatodisa
Cliccare qui

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *