Consiglio di Stato, Sezione sesta, Sentenza 2 aprile 2020, n. 2221.
La massima estrapolata:
Il candidato ad un concorso a pubblici impieghi, che si gravi contro i risultati di una procedura concorsuale (ma senza contestarne in radice la legittimità e mirarne al rifacimento), ha l’onere di dimostrare, mercé la c.d. “prova di resistenza”, l’effetto utile e concreto della contestazione della graduatoria e l’ottenimento del bene della vita, vale a dire la sua collocazione in posizione utile, onere, questo, cui pacificamente non soggiace chi fa valere vizi diretti ad ottenere l’annullamento e la successiva rinnovazione dell’intera procedura.
Sentenza|2 aprile 2020| n. 2221
Data udienza 5 marzo 2020
Tag – parola chiave: Pubblico impiego – Dirigenti – Concorso pubblico per titoli ed esami – Ricorso – Accoglimento – Annullamento graduatoria – Criteri non puntualmente predeterminati
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex artt. 38 e 60 c.p.a. sul ricorso NRG 47/2020, proposto da Fi. Ca., rappresentata e difesa dall’avv. Fe. Te., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto in Roma, l.go (…),
contro
l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni – AGCOM, sede di Roma, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12 e
nei confronti
– Da. Ne., controinteressato ed appellante incidentale, rappresentato e difeso dagli avv.ti En. e Fi. Lu., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto in Roma, via (…) e
– Fe. Zi. e Ma. Sc., controinteressati, non costituiti in giudizio,
per la riforma
della sentenza del TAR Lazio, sez. III, n. 11855/2019, resa tra le parti e concernente la graduatoria finale del concorso pubblico, per titoli ed esami, ad un posto di dirigente da assumere, in prova, con contratto a tempo determinato alle funzioni di responsabile dell’Ufficio comunicazioni dell’Autorità (con appello incidentale presentato da Da. Ne. il 28 febbraio 2020;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio soltanto dell’AGCOM e del dott. Ne.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore alla camera di consiglio del 5 marzo 2020 il Cons. Silvestro Maria Russo e uditi altresì, per le parti, gli avvocati Te. ed En. Lu. e l’Avvocato dello Stato Pa. de Nu.;
Sentite le stesse parti ai sensi dell’art. 60 c.p.a.;
Ritenuto in fatto che:
– con delibera n. 586/15/CONS del 16 ottobre 2015, l’AGCOM indisse un concorso pubblico, per titoli e colloquio, a un posto di dirigente in prova (da assumere con contralto a tempo determinato), con funzioni di responsabile dell’Ufficio comunicazione;
– nel relativo bando, furono specificati, oltre ai requisiti d’ammissione ed altro, pure i criteri per l’attribuzione dei punteggi e la valutazione dei titoli, prevedendo in particolare, per la procedura selettiva, il punteggio massimo pari a 90 punti, ripartiti in 30 punti attribuibili nella valutazione dei titoli culturali e professionali (minimo 15 per esser ammessi alla prova orale) e 60 punti attribuibili per il colloquio;
– per i titoli, il punteggio fu ulteriormente ripartito in un massimo di 23 punti, assegnabili “… in base alia rilevanza, alla molteplicità e durata, per le esperienze professionali maturate… nel campo del giornalismo, delle strategie di comunicazione e dei rapporti con i media, nonché nella conoscenza dei settori in cui opera l’Autorità …”, di un punto per ciascun voto di laurea superiore a 105/110 e fino a 2 punti per “… corsi di specializzazione o di perfezionamento o altri titoli post-universitari in comunicazione, relazioni pubbliche o materie assimilate…”;
– quanto al colloquio, il bando previde che questo fosse svolto per accertare, in capo ai candidati: a) “… la competenza e le capacita acquisite nel campo del giornalismo, dell’organizzazione e della gestione delle attività informative e delle strategie di comunicazione, nonché nei rapporti con i media… (max. 30 punti); b) la preparazione nel settore delle comunicazioni e dei media e sulle Autorità indipendenti (max. 25 punti); c) la conoscenza d’una lingua straniera a scelta del candidato tra inglese e francese (max. 3 punti, elevabili a 5 per la conoscenza certificata della seconda lingua);
Rilevato altresì che:
– a tal procedura intese partecipare, tra gli altri candidati, pure la dott. Fi. Ca., proponendo rituale istanza;
– la Commissione giudicatrice, nel frattempo nominata, definì a sua volta i sub-criteri per valutare i titoli, nonché la suddivisione in scaglioni a valori crescenti dei punteggi spettanti alla prova del colloquio, parametrati in base a competenza e capacità insufficiente, sufficiente, significativa o elevata;
– in esito alla procedura ed al colloquio, cui la dott. Ca. fu ammessa con un punteggio assai favorevole, l’Autorità, con la delibera n. 458/16/CONS del 14 ottobre 2016, approvò la graduatoria ove il dott. Da. Ne. si collocò al 1° posto -per cui questi fu nominato dirigente responsabile dell’Ufficio Comunicazione-, mentre ella ottenne solo il 4° posto quale idonea non vincitrice;
– a seguito di ciò e dopo talune vicissitudini, la dott. Ca. accedette agli atti della procedura per meglio comprendere l’iter motivazionale del basso punteggio ottenuto, acquisendone i documenti;
– tutto ciò premesso, la dott. Ca. si gravò contro tal graduatoria, la nomina del dott. Ne. ed i verbali della Commissione giudicatrice nn. 2, 10, 11 e 12 innanzi al TAR Lazio, col ricorso NRG 15621/2016, chiedendo l’annullamento del giudizio negativo nei suoi confronti ed illegittimamente favorevole per il dott. Ne. e quindi, previa rinnovazione della prova orale, il conferimento in suo favore dell’incarico dirigenziale in questione;
– la ricorrente dedusse in punto di diritto: A) – l’indebito divario di punti 6,80, che la separava dal vincitore, qual risultato di un’indiscriminata ed immotivata “…assegnazione di punteggi differenti relativamente al colloquio orale…”, non congruente con la valutazione delle fasi precedenti -ove ella ottenne un punteggio di gran lunga superiore nella valutazione dei titoli (punti 26,70 a fronte di punti 23,00 per il controinteressato), sicuro indice, questo, d’illogicità e contraddittorietà dell’esito del concorso rispetto a quanto emerso dalla valutazione dei curricula dei candidati-, nonché della genericità e della vaghezza sia dei sub-criteri elaborati dalla Commissione, sia del giudizio reso su ciascun candidato (non essendo riportata in atti, né sommariamente descritta la risposta fornita da ognuno di essi ai quesiti di volta in volta estratti); B) – l’impossibilità di comprendere dalla mera espressione numerica del voto attribuito ai candidati la ragione giustificatrice della differenza, in esito al colloquio, della votazione assegnata a ciascun candidato, attesa l’omessa previa e rigorosa determinazione di adeguati criteri di valutazione, che impedì di ricostruire ab externo la ragione di tali giudizi, stante anche la mancata descrizione in verbale della risposta fornita dai candidati ai quesiti di volta in volta estratti;
– si costituirono in primo grado solo l’intimata Autorità ed il dott. Ne., eccependo quest’ultimo vari profili d’inammissibilità e d’infondatezza della pretesa azionata e proponendo pure un gravame incidentale contro l’ammissione della dott. Ca. alle ulteriore fasi della predetta procedura e del punteggio assegnatole (perché basati sulle di lei non veritiere dichiarazioni);
Rilevato quindi che:
– l’adito TAR Lazio, con sentenza n. 11855 del 14 ottobre 2019, prescindendo da ogni preliminare questione in rito e dichiarando improcedibile il ricorso incidentale del dott. Ne., ha respinto la pretesa della dott. Ca., affermando:
I) – i principi pacifici sull’idoneità del voto numerico ad esprimere e sintetizzare il giudizio tecnico-discrezionale espresso dalla Commissione, poiché esso contiene in sé una sufficiente motivazione, idonea a soddisfare il principio d’economicità amministrativa, a dar conto della maggior o minore qualità riscontrata senza bisogno di ulteriori spiegazioni e ad assicurare la necessaria chiarezza e graduazione (a seconda del parametro numerico assegnato al candidato) delle valutazioni compiute nell’ambito del punteggio disponibile e del potere amministrativo esercitato;
II) – il rispetto, nella specie, della necessaria previa e puntuale predeterminazione, da parte della Commissione, dei criteri in base ai quali essa procedette alla valutazione delle prove, ravvisabile in concreto nell’ulteriore articolazione di tal punteggio (per “… rendere al meglio il passaggio da un giudizio qualitativo, intrinseco nella natura stessa del colloquio, ad un giudizio espresso in termini numerici…”), graduando, per ciascuno dei due criteri di valutazione della prova orale (già stabiliti nel bando), la corrispondenza tra giudizio qualitativo e quantitativo secondo fasce di punteggio idonee a rivelare le ragioni del giudizio, positivo o negativo, corrispondente alla fascia stessa;
III) – l’erroneità dell’argomento, per cui non fu possibile comprendere l’iter logico-motivazionale che condusse la Commissione ad attribuire i contestati punteggi, poiché la mancata verbalizzazione, oltre che dei quesiti sorteggiati, delle risposte fornite dai candidati, è del tutto priva di specifici agganci normativi;
IV) – l’infondatezza della tesi, per cui la valutazione risultante dalla prova orale avrebbe dovuto rispecchiare fedelmente quella sui titoli (in virtù d’un asserito principio di coerenza interna), stante l’articolazione del concorso, al fine d’una selezione rigorosa e rispettosa dei principi costituzionali fondata sul merito e sulle competenze dei candidati selezionati, in più fasi distinte, proprio per evitare che la procedura si risolva nella mera valutazione dei curricula e dei titoli, onde è sempre possibile che l’esito della prova orale possa sovvertire l’ordine provvisorio dei candidati scaturito dalla preliminare valutazione dei titoli prodotti.
– appella quindi la dott. Ca., con il ricorso in epigrafe, deducendo l’erroneità dell’impugnata sentenza per non aver colto:
A) – l’inammissibilità del gravame incidentale del dott. Ne. (che contestò il punteggio sui titoli della dott. Ca. per esperienze professionali non adeguatamente documentate), anziché la mera sua improcedibilità, non avendo tenuto conto che questi non poteva giammai esser ammesso a detto concorso essendo in radice incompatibile all’impiego (ed all’attività di giornalista professionista) per violazione dell’art. 2, co. 31 della l. 14 novembre 1995 n. 481 (poiché, al tempo dell’assunzione dell’incarico, egli era amministratore Unico della NE. s.r.l., corrente in Roma e liquidatore dal 2014 della PM. Co. s.r.l.);
B) – come, nella specie, la fissazione d’una griglia di punteggi per la valutazione del colloquio non rispondesse affatto a quanto affermato dall’Adunanza plenaria n. 7/2017 sui principi minimi di sufficienza del voto numerico, poiché già i criteri di massima indicati dal bando furono generici e molto ampi (oltre a prevedere un margine di punteggio assai elevato per ciascuno di essi) e, a loro volta, i sub-criteri posti dalla Commissione, con le quattro fasce di punteggio, furono caratterizzati anch’essi da profili assai vaghi e generici, venendo così a mancare precise linee-guida idonee a giustificare non solo il passaggio tra un grado e l’altro, ma pure l’assegnazione, nell’ambito del medesimo grado, del punteggio minimo o massimo (peraltro oscillante, per ciascun grado tra 6 e 10 punti), senza in alcun modo esternare quali fossero gli elementi che la Commissione avrebbe dovuto considerare nell’attribuire i punti di merito sui singoli elementi e, soprattutto, senza che fosse chiaro come quest’ultima poté formare il proprio convincimento;
C) – che la censura attorea s’appuntò contro non la violazione dell’obbligo di verbalizzazione da parte della Commissione, bensì il palese difetto di motivazione che inficiò il concorso, acuito dall’omessa verbalizzazione (anche sintetica) delle risposte fornite alle domande della prova orale, stante sia l’assenza dei criteri-base per l’assegnazione di soli voti numerici, sia l’incomprensibilità in sé delle ragioni delle distanze relative tra l’appellante e gli altri tre candidati (non giustificata certo dall’assunto del TAR su natura e scopo dei quesiti posti dalla Commissione, non determinabili a priori perché volti piuttosto ad accertare la sussistenza dei requisiti professionali e attitudinali occorrenti per ricoprire il posto dirigenziale);
D) – che l’appellante lamentò non l’obbligata coincidenza tra la valutazione dei titoli ed il giudizio sul colloquio, ma l’incomprensibilità, in base all’esame dei verbali e degli atti di concorso, del divario esistente tra i punteggi assegnati nella fase valutativa dei titoli (avvenuta secondo modalità oggettive e verificabili) e quelli attribuiti in esito alla prova orale (sganciati da criteri motivazionali che rendessero conto delle presunte valide ragioni a supporto), poiché, in una procedura fortemente selettiva basata sulle capacità e competenze acquisite nella pregressa esperienza professionale, tal divario s’appalesò qual sicuro sintomo d’illegittimità per difetto di ragioni oggettive e comprensibili e, anzi, l’analisi dei punteggi ha indotto l’appellante a far constare tal divario, connotato, quanto alla prova orale, da criteri di calcolo più generici di quelli che, nella precedente fase, avevano lasciato meno spazio alla discrezionalità della Commissione d’esame;
– resiste l’intimata Autorità, concludendo per il rigetto dell’appello;
– s’è costituito nel presente giudizio il controinteressato dott. Da. Ne., il quale conclude per l’inammissibilità e l’infondatezza dell’appello e propone a sua volta gravame incidentale, con cui si deduce la ribadizione: I) delle censure esposte con il ricorso incidentale di primo grado (dichiarato improcedibile dal TAR per sopravvenuta carenza d’interesse), intese a far constare l’illegittima e sproporzionata valutazione del curriculum vitae dell’appellante principale, laddove le fu attribuito il massimo punteggio previsto (punti 23) in applicazione del criterio 1.A); II) dell’inammissibilità del ricorso di primo grado (eccezione assorbita dal TAR), per difetto dell’interesse ad agire, non avendo la dott. Ca. dimostrato il superamento della c.d. “prova di resistenza”;
Considerato in diritto che:
– ai fini del decidere prioritaria s’appalesa la disamina dell’eccezione di radicale difetto, in capo alla dott. Ca., dell’interesse azionato in primo grado per mancato superamento della c.d. “prova di resistenza”, assorbita dal TAR (poiché ha statuito nel merito del ricorso attoreo) e qui riproposta dal dott. Ne.;
– al riguardo, non sfugge al Collegio il fermo principio (cfr. di recente Cons. St., III, 27 aprile 2018 n. 2569; id., VI, 21 marzo 2019 n. 1882), per cui il candidato ad un concorso a pubblici impieghi, che si gravi contro i risultati di una procedura concorsuale (ma senza contestarne in radice la legittimità e mirarne al rifacimento), ha l’onere di dimostrare, mercé la c.d. “prova di resistenza” (la quale non è se non il corollario dell’interesse azionato: cfr. Cons. St., III, 17 luglio 2018 n. 4335), l’effetto utile e concreto della contestazione della graduatoria e l’ottenimento del bene della vita, vale a dire la sua collocazione in posizione utile, onere, questo, cui pacificamente non soggiace chi fa valere vizi diretti ad ottenere l’annullamento e la successiva rinnovazione dell’intera procedura (cfr., per tutti, Cons. St., VI, 30 ottobre 1981 n. 616; id., III, 3 luglio 2018 n. 4054);
– sul punto, però, l’odierna appellante incidentale si sforzò di dimostrare, nel ricorso al TAR e nei vari suoi scritti difensivi in primo grado, il superamento della c.d. “prova di resistenza”, avendo censurato l’illegittima difformità del punteggio assegnatole all’esito della valutazione della prova orale rispetto a quelli attribuiti agli altri tre concorrenti;
– invero, la giurisprudenza, anche della Sezione (cfr. Cons. St., VI, 20 maggio 2009 n. 3099; ma cfr. anche id., IV, 2 settembre 2011 n. 4963; id., 14 luglio 2014 n. 3656; id., III, 8 settembre 2015 n. 4209; id., 17 dicembre 2015 n. 5696; id., 16 aprile 2018 n. 2258; id., 27 aprile 2018 n. 2569), per le controversie aventi ad oggetto selezioni pubbliche impone la verifica della c.d. prova di resistenza, con riferimento alla posizione di parte ricorrente rispetto a tal selezione (le cui operazioni siano prospettate come legittime), onde va dichiarato inammissibile il gravame laddove, in esito ad una verifica a priori, risulti che la parte ricorrente non otterrebbe il bene-interesse per cui lotta, in caso di accoglimento del ricorso;
– l’odierna appellante mosse subito contestazioni specifiche alla sua postergazione rispetto agli altri tre candida colleghi che nel concorso de quo la superarono, compreso il vincitore dott. Ne. e, anzi, afferma che, in una rinnovata valutazione, ella sarebbe (rectius, dovrebbe esser) preferita pure a detti candidati;
– vale quindi, nel caso (come quello di specie) in cui l’oggetto di censura sia lo stesso assetto delle regole disciplinanti la selezione e, soprattutto, laddove dette regole rendano scarsamente intelligibili gli esiti del confronto competitivo, il principio (dedotto da Cons. St., III, n. 2258/2018) in virtù del quale l’utilitas ritraibile dall’appellante è quella, specie in un contesto sì regolato ma malinteso o non rettamente applicato da una Commissione giudicatrice (avente però ampi poteri discrezionali di giudizio), della rinnovazione di tal valutazione contestata, da svolgere in base alle normae agendi scaturenti dall’accoglimento del presente appello, onere dell’appellante in tal caso essendo quello di offrire a priori un plausibile scenario di primazia rispetto
– pertanto ed in forza delle censure sul difetto di motivazione e di perspicuità del giudizio valutativo della prova stessa -e non potendo l’Autorità, in sede difensiva, “creare” ex nihilo una motivazione del relativo punteggio che elida ogni plausibile alternativa a quello immotivato e, come si dirà poi, ontologicamente erroneo-, la Commissione avrebbe dovuto attribuire all’appellante un punteggio congruente o, comunque, simile a quello degli altri candidati, ossia coerente con le di lei esperienza professionale e qualità intellettuali, sicché ella avrebbe spuntato un risultato tale da collocarsi al primo posto in graduatoria, con un buon vantaggio grazie al punteggio ben superiore già ottenuto per i titoli;
– non convince invece l’eccezione che la dott. Ca. ha mosso sull’ammissibilità dell’appello incidentale, in sostanza riproducendo argomenti già adoperati dalla sua memoria del 17 febbraio 2017 in vista dell’udienza cautelare avanti al TAR;
– ad avviso dell’appellante principale, il dott. Ne., non solo non avrebbe potuto presentare la domanda di partecipazione al concorso, ma versava, quando gli fu conferito (14 ottobre 2016) detto incarico dirigenziale, nella condizione d’incompatibilità prevista dall’art. 2, co. 3 della l. 481/1995 (incompatibilità del personale dipendente delle Autorità indipendenti con qualsivoglia altra attività professionale, anche a carattere occasionale, così come con interessi diretti o indiretti nelle imprese di settore);
– per vero, quest’ultima era stata indicata nella circostanza che il dott. Ne., in quel momento, era l’amministratore unico della NE. s.r.l. ed il liquidatore della PNR Comunicazioni s.r.l., ma la dott. Ca. avrebbe dovuto far constare tal vicenda in primo grado perlomeno con un atto per motivi aggiunti -e non con semplice memoria non notificata alle altre parti- e, comunque, detta incompatibilità al più era condizione di mantenimento nell’incarico e non clausola d’ammissione al concorso de quo, visto che l’incompatibilità, stavolta con l’iscrizione all’albo dei giornalisti (questo sì requisito d’ammissione), non gli fu contestato né tempestivamente nel presente contenzioso, né in altra e competente sede;
Considerato altresì che:
– per contro, l’appello incidentale è infondato nel merito e va disatteso, in quanto, in primo luogo, non sussiste l’asserita difformità tra quel che la dott. Ca. indicò nell’istanza di partecipazione al concorso in esame e quanto emerge dalla documentazione allegatavi, in particolare la durata delle singole esperienze professionali, cui la Commissione assegnò poi il punteggio massimo di 23 punti;
– invero, dalla serena lettura dell’art. 3, commi 8 (“Nella domanda di ammissione al concorso, il candidato deve indicare, altresì, i titoli, professionali o di formazione, attinenti all’attività da svolgere, ai fini della valutazione di cui all’articolo 5…”) e 9 (“Dalla domanda di ammissione deve risultare, altresì, l’autorizzazione in modo espresso agli enti privati o alle persone fisiche -eventualmente citati nella domanda in qualità di datori di lavoro- a fornire conferma scritta a seguito di specifica richiesta volta ad accertare la veridicità delle dichiarazioni rese dal candidato. L’indicazione dei titoli deve essere circostanziata con gli elementi idonei a consentire l’esatta individuazione dell’ente o istituto, pubblico o privato, nazionale o estero, che ha rilasciato il titolo, nonché l’attribuzione di un punteggio o di una valutazione di merito…”) evincendosi l’onere del candidato d’indicare in modo analitico e preciso, oltre ai titoli culturali conseguiti (laurea di I e di II livello, master, ecc.), le successive esperienze professionali maturate, fornendo sì ogni riferimento relativo al soggetto (testata giornalistica, ente pubblico o privato ecc.), ma al fine di consentire alla citata Autorità ogni opportuno riscontro;
– siffatta allegazione, da parte dei candidati, non li onerava al contempo a fornire la prova specifica di titoli e pregresse esperienze professionali, né questa era in alcun modo ravvisabile nelle norme sulla compilazione della domanda di partecipazione -al più si poteva configurare la facoltà, per i candidati, di fornirla a fini solo collaborativi e ricognitori-, spettando invece all’Autorità di verificarne, comunque e d’ufficio, l’esattezza e la veridicità presso i soggetti indicati (non foss’altro perché l’autodichiarazione era limitata alle dichiarazioni rese e non ai documenti corredati), tant’è che l’Autorità poté accertare talune divergenze o mancanze tra la documentazione del dott. Ne. rispetto a quanto da lui dichiarato, senza, con ciò, provocargli inconvenienti;
– in secondo luogo, poiché in pratica l’art. 2, co. 1, lett. f) del bando delimitò l’oggetto di siffatte esperienze di lavoro (rilevanti ai fini del concorso) solo a quelle di natura giornalistica maturate dopo il conseguimento della laurea, rettamente la Commissione reputò rilevanti quelle svolte dalla dott. Ca. dopo la laurea ma prima del superamento dell’esame di Stato per ottenere la qualifica di giornalista professionista e, viceversa, non ritenne rilevante a tal scopo l’incarico di Segretario generale presso la Camera di commercio italiana di Parigi, che pure contemplò mansioni di natura giornalistica (direzione della rivista franco-italiana France-Italie edita dalla stessa Camera), nonché attività di comunicazione esterna ed istituzionale (tra le quali i contatti con l’Ambasciata d’Italia, il MISE ed il MAECI), trattandosi di mansioni importanti, ma non specifiche del ruolo, valutazione di rilevanza, questa, sì afferente alla discrezionalità tecnica della Commissione, ma non contestata perché (come si dice vulgo) insindacabile, ma perché ragionevole, plausibile e congruente agli scopi del concorso;
– del pari, la rilevanza di tal esperienza professionale è stata valutata a prescindere dalla natura del rapporto di lavoro sottostante, non tenendo conto della forma della (o, meglio, essendo equiparato al contratto di lavoro a termine o a tempo indeterminato ogni altra) prestazione, foss’anche gratuita o a singolo pezzo (c.d. bordereau), purché comunque strettamente afferente all’attività giornalistica, nessun’altra preclusione essendo al riguardo stabilita dal bando e potendo la Commissione valutare in via autonoma tal rilevanza direttamente presso la testata, il datore di lavoro o la piattaforma che il candidato abbia indicato, nonché con qualunque altro mezzo, compreso il WEB, dove è agevole rinvenire, o no, testimonianze degli scritti dei candidati, tra cui l’appellante principale;
– infine, nessuna delle sei contestazioni mosse dall’appellante incidentale, per dimostrare l’errona assegnazione del punteggio ottenuto dalla dott. Ca., coglie nel segno -in disparte la notoria vicenda per cui, presso ogni testata, il redattore ben di rado è assunto subito a tempo indeterminato e sconta un periodo più o meno lungo d’apprendistato (o precariato che dir si voglia)-, sicché :
A) quanto alla Ed. Il Fa. s.p.a., il dott. Ne. predica l’inizio l’attività lavorativa soltanto dopo il 27 marzo 2014 (data del contratto) e quindi l’erroneità della dichiarazione della durata di tal impiego dal 31 dicembre 2011 al 31 dicembre 2015, ma constano in atti evidenze documentali per cui l’esperienza della dott. Ca. iniziò ben prima del citato contratto mercé una collaborazione à bordereau e, a parte in atti la dichiarazione sostitutiva del dott. Pe. Go. (direttore della testata on line) sull’attività dell’appellante fin dal 2011, come s’è detto quel che rileva è l’attività concreta documentale, piuttosto che una data forma giuridica della collaborazione, su cui il bando non prese partito e senza che il dott. Ne. sul punto abbia mai proposto gravame;
B) quanto a RC. Me. Gr., riaffermando una volta per tutte che la forma giuridica del rapporto, come d’altronde il luogo materiale della prestazione, non fu questione dirimente per lo svolgimento dell’attività giornalistica (donde l’assorbimento d’ora in poi d’ogni censura avente tali oggetti), pure le doglianze sui tempi dell’attività stessa sono manifestamente infondate, poiché la più parte di essa, svolta col gruppo RC. dalla dott. Ca., avvenne in Francia (come in atti, tra il gennaio 2007 ed il febbraio 2014, scrivendo per il periodico Il Mo.) e il relativo contratto del 15 novembre 2013 avvenne al momento del di lei rientro in Italia, mentre la rilevata sovrapposizione temporale con l’attività presso la testata Mi. Fi. (gruppo Cl. Ed.), ove l’appellante stessa lavorò quale dipendente a tempo indeterminato non determinò incompatibilità, perché il contratto di lavoro giornalistico previde 7,10 ore di lavoro giornaliero e non escluse possibilità di collaborazioni fuori dall’orario di lavoro, anche infragruppo (ossia con la testata It. Og.);
C1) – quanto al c.d. gruppo Bl., relativamente alla testata Fi.& Me. -che in realtà fu del Gr. Ed. Pe., costituito nel 2001-, non è vero che il rapporto s’esaurì nel 2010 (affermato termine delle pubblicazioni), ma esso fu mantenuto fino al 7 gennaio 2015 (data di liquidazione dell’appellante, quasi coincidente col fallimento dell’editore: sentenza del Tribunale di Milano 21 gennaio 2015 n. 55), poiché, per un verso, tali pubblicazioni si conclusero il 17 dicembre 2012 e, per altro verso, tal cessazione non implicò automaticamente la fine dell’attività giornalistica della dott. Ca. con l’editore, onde il lavoro con detta testa continuò anche in vista di potenziali compratori (tra cui lo stesso dott. Da. Co., che era stato socio di quel Gruppo), tant’è che ella non abbandonò la testata e continuò ad incontrare fonti ed a sviluppare nuove conoscenze (specie nei campi politico, economico e diplomatico);
C2) – invece, la dedotta erroneità nell’individuazione dell’editore del giornale Fi.& Me., indicato nel Gruppo Bl., è un novum in appello e quindi è inammissibile già in base alla serena lettura del ricorso incidentale in primo grado (cfr. pagg. 9 e 10), sul punto incentrato solo sul calcolo (questo sì erroneo) dei giorni lavorativi riconoscibili;
D) – quanto al rapporto con Mi. Fi. Cl. Ed., quello di lavoro subordinato della dott. Ca. sicuramente ebbe inizio nel 2000, a ciò bastando il di lei CUD 2001 per l’anno d’imposta 2000, dal quale evincesi un’attività svolta e retribuita per 266 giorni lavorativi, irrilevante essendo ogn’altra questione sulla circostanza che ella, già laureata, fosse solo praticante giornalista;
E) – circa la collaborazione attorea col giornale Il Ma., non mette neppure conto parlare della dedotta irrilevanza dell’attività svolta in un “quotidiano avente rilevanza meramente locale”, atteso che detta testata, edita in Napoli, è locale come lo sono il Co. della Se. ed Il So.-24 OR. di Milano, La St. di Torino, La Na. di Firenze e Il Me. di Roma;
Considerato, ancora e nel merito, che:
– l’appello principale è fondato laddove contesta la sentenza impugnata per aver reputato sufficiente sì il mero voto numerico assegnato alla dott. Ca. in esito alla di lei prova orale, ma solo perché esso sarebbe stato preceduto dalla predisposizione, da parte della Commissione, di una graduazione dei criteri di valutazione, in linea generale previsti dal bando “… secondo fasce di punteggio idonee a rivelare le ragioni del giudizio, positivo o negativo, corrispondente alla fascia stessa…”;
– di regola, circa l’attribuzione numerica del voto, il sindacato di questo Giudice di legittimità deve tendere ad accertare, una volta rispettate le regole formali del procedimento, se i commissari di esame abbiano o meno realmente ed in modo ponderato valutato tutti i dati oggettivi offerti al loro giudizio secondo le indicazioni fornite dalla legge e la sussistenza dei criteri, limite, questo, oltre il quale si apre un’area esclusivamente interessata da apprezzamenti di valore che, non essendo posta da norme di diritto, non è sindacabile (cfr. così, da ultimo, Cons. St., VI, 5 marzo 2020 n. 1627);
– affinché si realizzi tal condizione, com’è noto (si vedano, ex multis e solo tra i più recenti arresti dopo l’Adunanza plenaria n. 7 del 2017, Cons. St., IV, 1° agosto 2018 n. 4745; id., V, 23 aprile 2019 n. 2573; id., III, 29 aprile 2019 n. 2775; id., V, 5 settembre 2019 n. 6103; id., 2 ottobre 2019 n. 6358), il voto numerico attribuito dalla Commissione d’esame, in mancanza d’una norma contraria, è di per sé idoneo ad esprimere e sintetizzarne il giudizio tecnico-discrezionale e contiene in sé la motivazione -senza bisogno di ulteriori spiegazioni, qual principio di economicità amministrativa di valutazione-, assicurando la necessaria chiarezza e graduazione delle valutazioni compiute dalla Commissione nell’ambito del punteggio disponibile e del potere amministrativo da essa esercitato, ma solo se vi sia stata la prefissazione, da parte di quest’ultima, di criteri di massima di giudizio che guidino l’attribuzione del voto e la sua grandezza, dai quali desumere con evidenza, la graduazione e l’omogeneità delle valutazioni effettuate con la cifra espressa del voto, sicché solo se mancano tali criteri e precisi parametri di riferimento, cui raccordare il punteggio assegnato, si può ritenere non motivata e, dunque, illegittima la valutazione dei titoli in forma numerica;
– il bando previde, in modo generico al di là della dovizia di parole impiegate, il colloquio dovesse valutare, in capo a ciascun candidato, “… a) la competenza e le capacità acquisite nel campo del giornalismo, dell’organizzazione e della gestione delle attività informative e delle strategie di comunicazione, nonché nei rapporti con i media… (max 30 punti,)… b) la preparazione generale nel settore della comunicazione e dei media, nonché in materia di autorità amministrative indipendenti… (max 25 punti)…, c) la conoscenza di una lingua straniera a scelta del candidato fra inglese e francese… (max 3 punti o fino a 5 punti per la conoscenza certificata della seconda lingua, tra queste due)…”;
– di tal indubbia latitudine, specie per i due primi criteri -per i quali v’era un margine di punteggio molto elevato per ciascuno di essi-, nel verbale n. 2 la Commissione ebbe tanta consapevolezza da suddividerli in quattro fasce di punteggio (o di sub-criteri), corrispondenti a quattro livelli di saperi ed abilità (o conoscenza e capacità accertate e crescenti: Competenza e capacità insufficiente; sufficiente; significativa; elevata) e ad altrettanti livelli di punteggio crescenti sì col crescere della conoscenza, esclusa quella insufficiente (sempre e solo pari a 0 punti), ma con un range o divario non solo tra la fascia inferiore e quella superiore, ma pure all’interno di ciascuna fascia altrettanto ampio, essendo stati anche prefissati in tal contesto solo i punteggi massimi assegnabili;
– in realtà, i sub-criteri e le rispettive fasce di punteggio non fecero che traslare a valle il problema della genericità e, di conseguenza -ben lungi dall’aver fissato parametri rigorosi-, dell’obbligo di motivazione in una con l’espressione numerica del voto;
– il riferimento della sentenza alla c.d. “griglia di attribuzione del voto numerico” avrebbe potuto in un qualche modo soddisfare le condizioni espresse dall’arresto dell’Adunanza Plenaria n. 7/2017, se solo, oltre a detta griglia -che fu un reticolo di giudizi generali da implementato-, vi fosse stato, per ciascun candidato, un giudizio sintetico d’accompagnamento al voto numerico congruente con ciascuna fascia della griglia;
– invero, tutto ciò non deve intralciare quella fisiologica opinabilità del giudizio tecnico-valutativo della Commissione, ma quest’ultima, affinché non fosse sospettata d’arbitrarietà, fu l’unico ufficio chiamato, secondo proporzionalità e ragionevolezza, anche ad implementare e graduare i criteri generali di valutazione posti dal bando, sicché un’interpretazione seria dei principi posti dalla stessa Adunanza plenaria avrebbe dovuto suggerire alla Commissione, ai fini d’una corretta valutazione della prova orale o di dar maggiori ed ulteriori ragguagli sulla graduazione dei punteggi, o di dar contezza, sintetica ma efficace, sulle operazioni di scrutinio dei candidati;
– ciò sarebbe dovuto servire, per evitare ogni sospetto d’arbitrio o di trascuratezza, a fornire esatta contezza di dove e perché, secondo il giudizio della Commissione, ciascun candidato si dovesse poi situare in esito al colloquio, ossia in qual fascia qualitativa e, all’interno di essa con quale punteggio corrispondente (ovviamente in base al livello qualitativo concreto dimostrato nel colloquio);
– quindi, sotto un profilo testuale o funzionale, i criteri indicati dalla Commissione non furono, né si appalesano tuttora ad una loro serena lettura, “puntualmente predeterminati” sì da far desumere con evidenza “…la graduazione e l’omogeneità delle valutazioni effettuate mediante l’espressione della cifra del voto…” secondo i dettami dell’Adunanza Plenaria, citata dal TAR in sentenza;
– deve allora il Collegio condividere l’argomento dell’appellante principale in ordine all’inutilità di detta griglia ad assolvere ex ante l’obbligo motivazionale mercé il solo voto numerico, sia perché in tal modo mancò un vero criterio motivazionale che servisse da guida e da giustificazione non solo del passaggio tra una fascia all’altro, ma anche dell’assegnazione, nell’ambito della stessa fascia, di un qualsivoglia punteggio (minimo o massimo o intermedio), sia perché neppure la combinazione tra i criteri di valutazione previsti nel bando e la griglia prescelta dalla Commissione nella prima sua riunione servono a motivare razionalmente il perché dell’assegnazione d’un voto invece d’un altro;
– ne è prova, come deduce l’appellante citando la determinazione del suo punteggio del colloquio in applicazione concreta di siffatti criteri -in una situazione in cui la Commissione ritenne tutti quanti i candidati aventi la classificazione di “Competenza e capacità elevata”-, l’impossibilità di capire dalla sola espressione numerica del giudizio (p. es., 18 punti sul profilo Temi tecnici) l’effettiva resa della di lei prova, in sé e rispetto agli altri (24/25 punti) ed in assenza di descrizione dell’andamento dei colloqui sostenuti da tutti (non pare verbalizzata, infatti ed anche in sintesi, la risposta fornita da tutti i candidati);
– è appena da soggiungere come tal vicenda si mostri tutt’altro che irrilevante per dimostrare anche l’interesse attoreo all’impugnazione, se si tiene conto che grazie a tal divario sui Temi tecnici il dott. Ne. poté prevalere sull’appellante, pur se entrambi inseriti nella fascia più elevata e, anzi, proprio le sfumature qualitative tra i candidati, tutti dotati di profili professionali d’elevato livello (in termini culturali e di carriera) e le cui qualità erano definibili solo con appropriate analisi di merito, avrebbero imposto alla Commissione o di predefinire le linee-guida per condurre un così articolato colloquio, o motivarne l’esito e dare idonea giustificazione alla valutazione effettuata;
– da ciò discende l’assenza d’ogni seria motivazione nell’assegnazione dei punteggi del colloquio, tanto più significativa nel caso in esame, in cui si procedette al reclutamento per la delicata ed assai selettiva funzione dirigenziale di responsabile dell’Ufficio Comunicazione dell’Autorità, stante, con evidenza, l’inidoneità del solo punteggio numerico a dimostrare alcunché e, soprattutto, a fornire un valido ausilio, in sede giustiziale, la corretta applicazione dei citati criteri di giudizio;
– in tal caso, è corretta la precisazione dell’appellante sia sul fatto che ella contestò il complesso del giudizio sul colloquio nei termini fin qui visti (non già la mera mancanza di verbalizzazione e la violazione del relativo obbligo), sia sul fatto del mero scavalcamento degli altri candidati su di lei (scavalcamento e divario, si basi, in sé plausibili e tutt’altro che patologici, purché se ne conoscano e ragioni);
– non sfugge al Collegio la differenza tra la valutazione dei titoli e quella sulla prova, né come detta diversità in linea di principio trovi fondamento sull’ovvia circostanza del tipo di quesiti rivolti alla dott. Ca., in varia guisa non attinenti alla di lei pregressa formazione professionale, ma non è questo il punto;
– per vero, la tesi attorea fu rivolta a far constare la divergenza di risultati grazie solo alla maggior libertà della Commissione, non vincolata nella gestione della prova orale, da efficaci linee-guida di ausilio al rendimento dei giudizi sulle risposte dei candidati, sicché non pare affatto al Collegio l’avvenuta formulazione, da parte dell’appellante, di censure volte ad ottenere una sorta di perfetta ed obbligata coerenza tra il risultato da lei spuntato con la valutazione dei titoli e quello della prova orale, oggetto del contendere essendo piuttosto l’incomprensibilità, alla luce dei verbali, del divario esistente tra il punteggio sui titoli (assegnati con modalità oggettive verificabili) ed il punteggio in esito alla prova orale (come s’è detto, alla fin fine reso in modo immotivato);
– non dura fatica il Collegio neppure a concedere, come dice il TAR, che i quesiti somministrati ai candidati, in sede di colloquio, servissero a “… verificare non già una conoscenza minuziosa e nozionistica dell’argomento sottoposto quanto, piuttosto, le competenze e le capacità acquisite, attraverso una valutazione delle capacità espositive e di analisi del candidato, onde… accertare la sussistenza di quei requisiti professionali e attitudinali necessari al migliore assolvimento…” dei compiti direttivi connessi al posto da ricoprire, ma questo descrive come si sarebbe dovuta svolgere e forse si svolse detto colloquio, non già perché ebbe l’esito che in questa sede si contesta;
– in definitiva, l’appello principale va accolto in questi termini, ma la complessità della questione suggerisce l’integrale compensazione, tra le parti, delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sez. VI), definitivamente pronunciando sul ricorso NRG 47/2020, respinge l’appello incidentale ed accoglie quello principale e per l’effetto, in riforma integrale della sentenza impugnata, accoglie per quanto di ragione e nei sensi di cui in motivazione il ricorso di primo grado ed annulla l’impugnata graduatoria (nella parte relativa alla sola posizione della dott. Ca.), l’approvazione in parte qua degli atti del concorso e la nomina del dott. Da. Ne. (controinteressato ed appellante incidentale), con salvezza dell’ulteriore attività di riesame da parte dalla Autorità intimata, in ordine alla fissazione dei criteri direttivi per la valutazione della prova orale ed alla ripetizione di essa nei confronti dell’appellante principale.
Spese del grado compensate.
Ordine che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio del 5 marzo 2020, con l’intervento dei Magistrati:
Diego Sabatino – Presidente FF
Silvestro Maria Russo – Consigliere, Estensore
Dario Simeoli – Consigliere
Giordano Lamberti – Consigliere
Francesco De Luca – Consigliere
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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