Consiglio di Stato, Sezione sesta, Sentenza 23 ottobre 2020, n. 6446.
I provvedimenti sanzionatori nei confronti di opere abusive, avendo carattere reale, prescindono dalla responsabilità del proprietario o dell’occupante l’immobile, applicandosi anche a carico di chi non abbia commesso la violazione, ma si trovi al momento dell’irrogazione in un rapporto con la res tale da assicurare la restaurazione dell’ordine giuridico. Inoltre, anche nel caso di tardiva adozione del provvedimento di demolizione di un abuso edilizio, la mera inerzia da parte dell’amministrazione di un potere-dovere finalizzato alla tutela di rilevanti finalità di interesse pubblico non è idonea a far divenire legittimo ciò che è sin dall’origine illegittimo; allo stesso modo, tale inerzia non può certamente radicare un affidamento di carattere legittimo nel proprietario dell’abuso, che non può essere destinatario di un atto amministrativo favorevole idoneo a ingenerare un’aspettativa giuridicamente qualificata. D’altra parte, l’amministrazione anche a distanza di tempo ha l’obbligo di emanare l’ordine di demolizione per il solo fatto di aver riscontrato l’esistenza di opere abusive e non è quindi prospettabile un legittimo affidamento nel proprietario che non si può dolere dell’eventuale ritardo con cui l’amministrazione abbia emanato il provvedimento.
Sentenza 23 ottobre 2020, n. 6446
Data udienza 24 settembre 2020
Tag – parola chiave: Abusi edilizi – Fabbricato – Difformità a Dia – Demolizione – Provvedimenti sanzionatori nei confronti di opere abusive – Carattere reale – Proprietario o occupante l’immobile – Posizione – Amministrazione – Inerzia – Effetti
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9840 del 2019, proposto da
Pa. Gr., rappresentato e difeso dagli avvocati Ga. Pa., Ca. Gi. Sa., Vi. Fe. Zo., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Ga. Pa. in Roma, viale (…);
contro
Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Gi. Ma., An. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio An. Ma. in Roma, via (…);
Do. Im. S.r.l.S (ora Do. Im. S.r.l.s in Liq.Ne) ed altri, non costituiti in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia Sezione Seconda n. 01410/2019, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis);
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 24 settembre 2020 il Cons. Giovanni Orsini e uditi per le parti gli avvocati Sa. Ca. Gi., Zo. Vi. Fe. e St. Ga. per delega di Ma. An.;Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. La sentenza appellata indicata in epigrafe ha respinto il ricorso di primo grado con il quale si chiedeva l’annullamento della ordinanza n. 3 del 2018 del Comune di (omissis) con cui si intimava al ricorrente (e agli altri soggetti interessati) di demolire la porzione di fabbricato non conforme alla DIA depositata dalla società costruttrice dell’immobile, poi acquistato dal ricorrente, al fine di rendere l’unità immobiliare conforme alle prescrizioni degli strumenti urbanistico-edilizi.
2. Il Comune aveva accertato anche mediante sopralluogo la realizzazione di opere in difformità ed in particolare: una porzione del terrazzo esterno è stata chiusa mediante la realizzazione dei muri perimetrali e il nuovo volume così formatosi è stato annesso all’unità immobiliare; le altezze interne dell’unità immobiliari risultano essere maggiori di quanto autorizzato, anche per la parte conforme ai titoli abilitativi, in quanto il previsto controsoffitto non è stato realizzato; il piccolo vano che dal pianerottolo comune disimpegnava l’ingresso dell’unità immobiliare non è stato realizzato inglobando di fatto tale superficie all’interno dell’appartamento; in conseguenza, la consistenza volumetrica e la distribuzione interna dell’appartamento sono state ampliate e modificate, come pure la destinazione d’uso di alcuni locali.
3. L’appello deduce i seguenti motivi: 1) violazione dell’art. 31, commi 2 e 3 del d.p.r. n. 380 del 2001. Violazione del principio del contraddittorio procedimentale nei procedimenti sanzionatori di cui all’articolo 6, paragrafo 1 CEDU e all’articolo 41 paragrafo 2 della Carta dei diritti fondamentali UE. 2) Violazione dell’articolo 32 comma 1 lett. b del d.p.r. n. 380 e dell’articolo 54 comma 1 della legge regionale della Lombardia n. 12 del 2005. Violazione dell’articolo 31, commi 2 e 3 del d.p.r. n. 380. Violazione del principio del contraddittorio procedimentale nei procedimenti sanzionatori di cui all’articolo 6 paragrafo 1 CEDU e all’articolo 41 paragrafo 2 della Carta dei diritti fondamentali UE. 3) Violazione del principio di ragionevolezza delle decisioni giurisdizionali. Violazione degli articoli 3,7, 8,10 della legge n. 241 del 1990. Violazione degli articoli 27,31, commi 2,3 del d.p.r. n. 380 del 2001. Eccesso di potere per macroscopica illogicità, contraddittorietà ed irrazionalità . 4) Violazione degli articoli 3,7, 8,10 della legge n. 241 del 1990. Violazione del principio di certezza del diritto e del principio che tutela il legittimo affidamento. Eccesso di potere per macroscopica illogicità, contraddittorietà ed irrazionalità . Eccesso di potere per macroscopica illogicità, contraddittorietà ed irrazionalità . 5) Violazione dell’articolo 34, comma 2, del d.p.r. n. 380 del 2001. Violazione dell’articolo 6, paragrafo 1, CEDU e dell’articolo 41, paragrafo 2 della carta dei diritti fondamentali UE. Eccesso di potere per assoluta carenza di istruttoria e di motivazione, manifesta illogicità, contraddittorietà, sviamento di potere. Travisamento dei presupposti di fatto. 6) Violazione dell’articolo 29 del d.p.r. numero 380 del 2001. Violazione dell’articolo 6, paragrafo 1 CEDU e dell’articolo 41, paragrafo 2 della carta dei diritti fondamentali UE. Violazione del principio di legalità .
4. Nella memoria di costituzione presentata in data 5 dicembre 2019 il Comune rileva che nell’appello sono dedotti motivi non rappresentati nel ricorso originario e pertanto inammissibili ai sensi dell’articolo 104 cpa. Si tratterebbe in particolare delle censure concernenti la non abusività delle opere realizzate.
L’eccezione viene respinta dall’appellante nelle successive memorie.
5. Nella memoria di replica l’appellante eccepisce di non avere la disponibilità delle parti comuni dell’edificio di cui si intima la rimozione. L’ordinanza impugnata sarebbe quindi nulla oltreché generica e indeterminata. La stessa, secondo la tesi dell’appellante, avrebbe dovuto essere notificata anche ai comproprietari delle parti comuni e all’amministratore del condominio.
6. Nell’udienza del 24 settembre 2020 la causa è stata trattenuta in decisione.
7. Deve essere in primo luogo respinta, prescindendo dalla sua ammissibilità, l’eccezione sollevata dall’appellante nella memoria di replica del 9 settembre 2020. L’ordinanza oggetto del giudizio è stata infatti regolarmente notificata anche al Signor Gr. nella sua qualità di proprietario dell’immobile: le eventuali implicazioni del provvedimento su parti dell’immobile non di proprietà dell’appellante dovranno essere valutate dal Comune di (omissis) nel corso della fase esecutiva dell’ordinanza impugnata.
8. L’appello è in parte inammissibile e comunque infondato.
8.1. Con il primo motivo l’appellante contesta l’affermazione del Tar secondo cui nel ricorso di primo grado non sarebbe messa in dubbio l’abusività delle opere riscontrata dal Comune, ma soltanto l’estraneità del ricorrente e attuale proprietario dalla sua realizzazione. Viene rilevato al riguardo che nel ricorso si censurava la mancata considerazione da parte del Comune degli apporti collaborativi del ricorrente nei quali si precisava che l’immobile è stato acquistato nello stato di fatto attuale e che il ricorrente non ha mai apportato modifiche allo stesso (“la planimetria e le schede catastali allegate alla compravendita corrispondono integralmente allo stato di fatto dell’appartamento visionato e poi acquistato”). Il Comune d’altra parte non avrebbe esercitato il proprio potere-dovere di vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia determinando con la propria inerzia un grave pregiudizio nei confronti del ricorrente. La DIA sulla base della quale è stato edificato l’ultimo piano dell’edificio ove è ubicata l’unità immobiliare dell’appellante risale al 2015 e il Comune è intervenuto solo nel 2018 con l’ordinanza impugnata.
La censura non è meritevole di accoglimento.
Nel ricorso di primo grado sono stati dedotti tre motivi di gravame concernenti l’estraneità del ricorrente alla realizzazione degli abusi (e la violazione al riguardo delle norme sulla partecipazione procedimentale), la carenza della motivazione del provvedimento e la mancata verifica della fattibilità della demolizione senza pregiudizio per le parti non abusive dell’immobile. Deve quindi essere accolta l’eccezione del Comune concernente l’inammissibilità della censure proposte solo in appello in ordine alla ritenuta non abusività delle opere. Sul punto non è condivisibile, infatti, la replica dell’appellante secondo cui tali censure sarebbero contenute nella propria memoria del 19 gennaio 2018, dato che nel ricorso originario si contesta che l’amministrazione non abbia valorizzato l’apporto procedimentale del ricorrente di cui alla memoria senza affermare la liceità delle opere.
In ogni caso, sulla base dei principi consolidati dalla giurisprudenza (cfr., Cons. St., Ad. Pl., n. 9/2017) i provvedimenti sanzionatori nei confronti di opere abusive, avendo carattere reale, prescindono dalla responsabilità del proprietario o dell’occupante l’immobile, applicandosi anche a carico di chi non abbia commesso la violazione, ma si trovi al momento dell’irrogazione in un rapporto con la res tale da assicurare la restaurazione dell’ordine giuridico. Inoltre, anche nel caso di tardiva adozione del provvedimento di demolizione di un abuso edilizio, la mera inerzia da parte dell’amministrazione di un potere-dovere finalizzato alla tutela di rilevanti finalità di interesse pubblico non è idonea a far divenire legittimo ciò che è sin dall’origine illegittimo; allo stesso modo, tale inerzia non può certamente radicare un affidamento di carattere legittimo nel proprietario dell’abuso, che non può essere destinatario di un atto amministrativo favorevole idoneo a ingenerare un’aspettativa giuridicamente qualificata. D’altra parte, l’amministrazione anche a distanza di tempo ha l’obbligo di emanare l’ordine di demolizione per il solo fatto di aver riscontrato l’esistenza di opere abusive e non è quindi prospettabile un legittimo affidamento nel proprietario che non si può dolere dell’eventuale ritardo con cui l’amministrazione abbia emanato il provvedimento (fra le altre, Cons. St. sez. VI. n. 6270/2019). Non è rilevante, pertanto che l’appellante non abbia apportato modifiche all’immobile rispetto allo stato di fatto esistente al momento dell’acquisto.
8.2. Il secondo motivo contesta che l’ordinanza impugnata non avrebbe tenuto conto delle osservazioni prodotte dal ricorrente concernenti la corrispondenza tra l’immobile acquistato e quanto rappresentato dai documenti allegati alla DIA (il terrazzo si sarebbe presentato già coperto in progetto, non vi sarebbe stato alcun incorporamento di parti comuni dell’immobile e le altezze sarebbero variate solo per effetto dell’errata realizzazione del controsoffitto). Chiede al riguardo un’apposita verificazione ai sensi dell’articolo 66 c.p.a. Inoltre, viene precisato che l’esecuzione dell’ordinanza di demolizione richiederebbe l’abbattimento di un’ampia porzione della parete perimetrale e di una porzione della trave di sostegno del tetto e del primo pilastro d’angolo determinando non solo la rimozione dell’unità immobiliare del ricorrente, ma riverberandosi anche sulle abitazioni sottostanti. L’amministrazione non avrebbe dimostrato che le variazioni asseritamente realizzate avrebbero comportato un aumento della volumetria.
Ferma restando l’inammissibilità, ai sensi dell’art. 104, comma 1, cpa, delle censure, non dedotte in primo grado, che contestano la sussistenza delle violazioni edilizie alla base dell’ordine di demolizione, si deve precisare che l’amministrazione ha adottato il provvedimento sanzionatorio sulla base delle risultanze del sopralluogo svoltosi in data 21 novembre 2017 da cui è emerso che era stata chiusa una porzione del terrazzo mediante la realizzazione di muri perimetrali e che era stato inglobato di fatto il vano che dal pianerottolo comune disimpegnava l’ingresso. Il verbale del sopralluogo è richiamato nell’ingiunzione di demolizione di cui integrano la motivazione anche con riferimento a quanto osservato dall’appellante nella memoria del 19 gennaio 2018. Non è quindi condivisibile l’affermazione secondo cui l’amministrazione non avrebbe tenuto conto dell’apporto procedimentale del ricorrente. Le censure relative a tali aspetti devono essere pertanto in ogni caso respinte, né si rivela necessaria un’ulteriore verifica della situazione di fatto riscontrata.
Con riferimento all’adozione della sanzione pecuniaria in luogo di quella demolitoria si deve ribadire quanto affermato dalla giurisprudenza in relazione al fatto che spetta all’amministrazione competente nella fase esecutiva del procedimento, successiva ed autonoma rispetto all’adozione dell’ordine di demolizione, la valutazione circa la possibilità di sostituire la sanzione demolitoria con quella pecuniaria; in tale fase le parti possono dedurre in ordine alla situazione di pericolo di stabilità del fabbricato presupposto per l’applicazione della sanzione pecuniaria senza che ciò abbia effetti sulla legittimità del presupposto provvedimento di demolizione (cfr.,da ultimo, Cons. St., sez. II, n. 2160 del 2020).
8.3. Con il terzo motivo l’appellante contesta che l’amministrazione, non essendo intervenuta tempestivamente per sanzionare le asserite irregolarità, abbia consentito di fatto che l’immobile fosse poi regolarmente ceduto al ricorrente che è totalmente estraneo all’abuso e non avrebbe tenuto conto, se non formalmente, delle osservazioni formulate al riguardo dallo stesso. Inoltre, come rilevato dalla perizia prodotta, l’esecuzione del provvedimento adottato determinerebbe danni irreparabili all’intero stabile. Viene invocato al riguardo il principio di ragionevolezza. L’amministrazione avrebbe dovuto procedere previamente alla valutazione tecnica concernente la possibilità di demolire senza creare pregiudizio alle restanti parti dell’immobile.
Tali censure non appaiono fondate sulla base di quanto già precisato con riferimento ai precedenti motivi di appello.
8.4. Con il quarto motivo vengono richiamati i principi del diritto europeo concernenti la certezza del diritto e della tutela dell’affidamento per affermare che l’amministrazione avrebbe dovuto tener conto del legittimo affidamento del privato nel caso di specie totalmente estraneo alla asserito abuso edilizio e avrebbe dovuto motivare sia in ordine alle ragioni di interesse pubblico sotteso all’ordinanza di demolizione, sia in ordine alla comparazione tra l’interesse pubblico al ripristino della legittimità violata e l’interesse del privato e dei condomini terzi.
Anche tali censure devono essere respinte, tenendo conto del carattere vincolato dei provvedimenti adottati dall’amministrazione in materia di abusivismo edilizio, come già richiamato precedentemente.
8.5. Secondo l’appellante (quinto motivo) l’amministrazione avrebbe dovuto verificare ex ante la possibilità di riduzione in pristino senza pregiudicare gravemente le parti restanti dell’immobile e il Tar avrebbe errato nel ritenere che tale verifica possa essere svolta nella fase esecutiva del provvedimento sanzionatorio. Insiste sull’istanza di verificazione al riguardo (o in subordine di apposita c.t.u.).
La doglianza reitera quanto già dedotto nel terzo motivo e deve essere quindi respinta sulla base dei principi fissati dalla giurisprudenza in ordine alla legittimità del provvedimento demolitorio e alla successiva verifica, nella fase esecutiva, dell’eventuale necessità di sostituirlo con altra sanzione.
8.6. Anche il sesto motivo, mediante cui l’appellante ribadisce la propria totale estraneità alle violazioni edilizie e che ciò avrebbe dovuto indurre l’amministrazione a svolgere una comparazione tra interesse pubblico e interesse privato tenendo conto che la demolizione ha carattere soltanto parziale, non è conseguentemente meritevole di accoglimento.
9. Alla luce delle considerazioni esposte l’appello deve essere dichiarato inammissibile ai sensi dell’art. 104, comma 1, nelle parti in cui propone “nuove domande” e comunque respinto. In sede esecutiva il Comune deve valutare gli effetti del provvedimento sull’immobile nel suo complesso al fine di adottare eventualmente sanzioni alternative ai sensi dell’art. 34, comma 2 del dpr n. 380/2001; in tale sede il Comune deve inoltre considerare i limiti attuativi nella disponibilità dell’appellante nel caso in cui l’azione di ripristino dovesse riguardare porzioni dell’immobile non di sua proprietà .
Sussistono i motivi per compensare tra le parti le spese del presente grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo dichiara parzialmente inammissibile e comunque lo respinge nei sensi indicati in motivazione.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 24 settembre 2020 con l’intervento dei magistrati:
Giancarlo Montedoro – Presidente
Silvestro Maria Russo – Consigliere
Dario Simeoli – Consigliere
Davide Ponte – Consigliere
Giovanni Orsini – Consigliere, Estensore
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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