Consiglio di Stato, sezione sesta, Sentenza 4 febbraio 2019, n. 858.
La massima estrapolata:
Il giudizio di difformità dell’intervento edilizio rispetto al titolo abilitativo rilasciato, che costituisce il presupposto dell’irrogazione delle sanzioni, non è connotato da discrezionalità tecnica, ma integra un mero accertamento di fatto e, pertanto, l’ordine di demolizione di opere abusive non richiede una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione di quest’ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, né una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione, non potendo ammettersi l’esistenza di alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva, che il tempo non può mai legittimare.
Sentenza 4 febbraio 2019, n. 858
Data udienza 29 gennaio 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2301 del 2013, proposto da
Ma. Bu. Ta., rappresentato e difeso dagli avvocati Pa. Bo., Ma. Te. Ba., con domicilio eletto presso lo studio Ma. Te. Ba. Fe. in Roma, viale (…);
contro
Comune di Bologna, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Gi. St. Ri., Ad. La., Gi. Ca., con domicilio eletto presso lo studio Gi. St. Ri. in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l’Emilia Romagna Sezione Prima n. 00001/2013, resa tra le parti, concernente rimessione in pristino
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di Bologna;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza smaltimento del giorno 29 gennaio 2019 il Cons. Davide Ponte e uditi per le parti gli avvocati Lu. Fe. Ba. in dichiarata delega dell’avv. Ma. Te. Ba. e Gi. St. Ri.;
Rilevato in fatto che:
– la presente controversia ha ad oggetto l’appello proposto nei confronti della sentenza n. 1\2013 con cui il Tar Bologna ha respinto il ricorso originario, proposto dall’odierna parte appellante avverso il provvedimento con cui il Comune odierno appellato ha ingiunto di provvedere alla demolizione di un’opera abusivamente realizzata;
– tale opera risultava consistente nella realizzazione di “un fabbricato parzialmente interrato avente dimensioni di circa m. 10,20 x 5 ed altezza di m. 3”, in difformità dal titolo idoneo;
– con il presente appello l’originario ricorrente contestava le argomentazioni del Tar deducendo nuovamente l’invocato principio dell’atto implicito ed il difetto di motivazione in merito al tempo trascorso;
– il Comune odierno appellato si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto dell’appello;
– alla pubblica udienza del 29\1\2019 la causa passava in decisione.
Considerato in diritto che:
– l’appello è prima facie destituito di fondamento;
– se in linea di fatto appare pacifica la consistenza delle opere in contestazione ed il relativo carattere abusivo, in linea di diritto i vizi di appello dedotti si scontrano con la giurisprudenza già espressa anche dalla sezione;
– in primo luogo, a fronte dell’abusività dell’attività di trasformazione del territorio, in assenza di qualsiasi titolo espresso ovvero, nei casi ammessi dall’ordinamento, di una denuncia o segnalazione di inizio attività (pacificamente carenti nel caso di specie in relazione alla parte abusiva), nessun rilievo può assumere l’invocata teoria dell’atto implicito;
– in generale il provvedimento implicito è configurabile unicamente allorquando l’Amministrazione pur non adottando formalmente un provvedimento, ne determina univocamente i contenuti sostanziali attraverso un comportamento conseguente ovvero determinandosi in una direzione, anche con riferimento a fasi istruttorie coerentemente svolte, a cui non può essere ricondotto altro volere che quello equivalente al contenuto del provvedimento formale corrispondente (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 27/04/2015, n. 2112);
– peraltro, se per un verso in materia di edilizia la trasformazione di un bene privato presuppone la previa specifica istanza progettuale dello stesso diretto interessato (assente nel caso de quo rispetto all’abuso contestato), per un altro verso nella presente fattispecie nessun rilievo può riconoscersi al principio suddetto, non avendo la p.a. adottato alcuna fase istruttoria tale da ingenerare l’invocato affidamento;
– a conferma di ciò va richiamato il consolidato principio per cui l’attività sanzionatoria della p.a. concernente l’attività edilizia abusiva è connotata dal carattere vincolato e non discrezionale;
– infatti, il giudizio di difformità dell’intervento edilizio rispetto al titolo abilitativo rilasciato, che costituisce il presupposto dell’irrogazione delle sanzioni, non è connotato da discrezionalità tecnica, ma integra un mero accertamento di fatto e, pertanto, l’ordine di demolizione di opere abusive non richiede una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione di quest’ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, né una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione, non potendo ammettersi l’esistenza di alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva, che il tempo non può mai legittimare (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. VI, 6 settembre 2017, n. 4243);
.- in secondo luogo, costituisce jus receptum il principio a mente del quale l’ordine di demolizione è atto vincolato, per la cui adozione non è necessaria la valutazione specifica delle ragioni di interesse pubblico, né la comparazione di questi con gli interessi privati coinvolti, né tantomeno una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione, non essendo in alcun modo ammissibile l’esistenza di un affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva (cfr. ex multis Consiglio di Stato, sez. VI, 17 luglio 2018, n. 4368);
– tali principi assumono preminente rilievo sia in generale, in termini di inammissibilità del principio invocato del titolo edilizio implicito, sia in relazione al caso di specie, dove il provvedimento è basato su adeguata istruttoria e motivazione, consistenti nella descrizione delle opere abusive e nella constatazione della loro illegittimità ;
– costituisce parimenti principio consolidato quello per cui, in presenza di un aumento di volumetria come nel caso di specie, si verte in ipotesi di nuova costruzione, con i relativi effetti sanzionatori;
– le spese di lite, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna parte appellante al pagamento delle spese di lite in favore di parte appellata, liquidate in complessivi euro 2.000,00 (duemila\00), oltre accessori dovuti per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 29 gennaio 2019 con l’intervento dei magistrati:
Sergio Santoro – Presidente
Oreste Mario Caputo – Consigliere
Dario Simeoli – Consigliere
Francesco Gambato Spisani – Consigliere
Davide Ponte – Consigliere, Estensore
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