Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|| n. 11634.
Estinzione delle obbligazioni e la compensazione impropria (o atecnica)
In tema di estinzione delle obbligazioni, la compensazione impropria (o atecnica) si distingue da quella propria, disciplinata dagli articoli 1241 e seguenti del codice civile, poiché riguarda crediti e debiti che hanno origine da uno stesso rapporto, e si risolve in una verifica contabile delle reciproche poste attive e passive delle parti. E’ per questo che il giudice può procedere d’ufficio al relativo accertamento anche in grado di appello, senza che sia necessaria un’eccezione di parte o una domanda riconvenzionale, sempre che l’accertamento si fondi su circostanze fattuali tempestivamente acquisite al processo.
Ordinanza|| n. 11634. Estinzione delle obbligazioni e la compensazione impropria (o atecnica)
Data udienza 24 gennaio 2023
Integrale
Tag/parola chiave: Occupazione usurpativa – Risarcimento del danno commisurato alle intrinseche caratteristiche dell’area – Nesso di causalità tra occupazione e danno – Possibilità di perdita della chance di conseguire guadagni – Liquidazione equitativa – Possibilità per il giudice di procedere d’ufficio alla compensazione impropria – Verifica delle reciproche poste attive e passive delle parti – Annullamento con rinvio
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente
Dott. TRICOMI Laura – Consigliere
Dott. CAIAZZO Rosario – rel. Consigliere
Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere
Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 22487/2017 proposto da:
CONSORZIO (OMISSIS), – in liquidazione, in persona del legale rappresentante pro-tempore, elettivamente domiciliata in Roma, presso lo studio dell’avv. (OMISSIS), che lo rappresenta e difende, con procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), elett.te domic. in Roma, presso l’avv. (OMISSIS), rappres. e difesa dagli avv.ti (OMISSIS), con procura speciale in calce al controricorso;
– Controricorrente –
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI; MINISTERO PER IL COORDINAMENTO DELLA PROTEZIONE CIVILE- ora PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI-; DIPARTIMENTO DI PROTEZIONE CIVILE;
MINISTERO DELLE ATTIVITA’ PRODUTTIVE- ora MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO – in persona del rispettivi legali rappres. p.t.;
– Intimati –
Nonche’
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI; MINISTERO DELLE ATTIVITA’ PRODUTTIVE – ora MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO -, in persona dei rispettivi legali rappres. p.t., rappres. e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato presso la quale elett.te domic., in Roma, in via dei Portoghesi n. 12;
– Ricorrente incidentale –
Contro
(OMISSIS), elett.te domic. in Roma, presso l’avv. (OMISSIS), rappres. e difesa dagli avv.ti (OMISSIS), con procura speciale in calce al controricorso;
– Controricorrente –
CONSORZIO INFRASTRUTTURE E RICOSTRUZIONE COMUNITA’ MONTANE DELL’IRPINIA – INCOMIR – in liquidazione, in persona del legale rappresentante pro-tempore;
– Intimato –
avverso la sentenza n. 3474/2016, della Corte d’appello di Napoli, depositata il 29/9/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 24/01/2023 dal Cons. rel., Dott. CAIAZZO ROSARIO.
Estinzione delle obbligazioni e la compensazione impropria (o atecnica)
RILEVATO
CHE:
1. Con citazione notificata nel 1987 (OMISSIS), premesso: di aver richiesto, sin dal dicembre del 1981, al Comune di Lacedonia il rilascio di concessione edilizia per realizzare una moderna azienda per l’allevamento di bovini su terreni di sua proprieta’ – in parte destinati a tenuta agricola -; che il Ministero per il coordinamento della Protezione Civile aveva disposto l’occupazione in via temporanea e urgente di una parte dei terreni per la superficie di mq 174.080; che il consorzio Incomir, quale concessionario – avendo provveduto all’occupazione il 18.3.83- convenne innanzi al Tribunale di Napoli i predetti enti chiedendo: la restituzione dei terreni oggetto dei due decreti impugnati innanzi al Tar, e il risarcimento dei danni; in subordine, per l’ipotesi di irreversibile trasformazione dei suoli occupati per opere di pubblica utilita’, la condanna dei convenuti al pagamento di somma pari al valore dei suoli al momento di tale trasformazione, con rivalutazione ed interessi legali, nonche’ al risarcimento dei danni per l’impossibilita’ di realizzare l’azienda agricola e al pagamento dell’indennita’ d’occupazione illegittima, oltre interessi legali.
Si costituirono i convenuti.
A seguito di ctu, con sentenza del 20.10.2000, il Tribunale condanno’ il Ministero per il coordinamento della Protezione Civile a restituire all’attrice mq 13.400 di suolo – come individuati dalla ctu – e a pagarle le somme di lire 1.653.691.215 per l’illegittima occupazione delle aree irreversibilmente trasformate, lire 29.413,000 per il deprezzamento dei suoli da restituire, lire 26.079.320 per risarcire i danni conseguenti all’impossibilita’ di accedere ad alcuni suoli, lire 13.365.945 per i danni relativi a mq 9774 di suolo rimasto in “enclave”, lire 608.745.591 per indennita’ di occupazione legittima, lire 36.791.770 per le spese sostenute per realizzare l’azienda agricola, con rivalutazione e interessi legali, lire 700.000.000 a titolo di risarcimento per lucro cessante consistente nell’impossibilita’ di avviare l’azienda agricola, nonche’ per refusione delle spese processuali.
2. Il Ministero per il coordinamento della Protezione Civile propose appello avverso tale sentenza, altro appello fu proposto da (OMISSIS), quale cessionaria del credito acquisito dall’attrice originaria (OMISSIS). Si costitui’ il consorzio (OMISSIS) nel giudizio d’appello proposto dal Ministero, contestando il motivo di gravame relativo alla sua responsabilita’ e, in subordine, chiedendo la riduzione della somma liquidata a titolo risarcitorio e d’indennita’; nel giudizio di appello proposto dalla (OMISSIS) si costitui’ il Ministero e il consorzio che proposero altresi’ appello incidentale.
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Disposta la riunione dei due giudizi, con sentenza del 6.7.05, la Corte territoriale accolse in parte gli appelli e, in parziale riforma della sentenza impugnata, fermo restando la pronuncia di restituzione dei suoli occupati, condanno’ il Ministero e il consorzio (OMISSIS) a pagare alla (OMISSIS), a titolo di risarcimento del danno, la somma di Euro 959.309,75 oltre interessi legali dal 20.10.2000 al soddisfo.
3. Avverso tale sentenza (OMISSIS) propose ricorso in cassazione; depositarono controricorso il Ministero e il consorzio (OMISSIS), entrambi formulando ricorso incidentale. Con sentenza n. 7206/2009, questa Corte accolse tre motivi del ricorso principale e rigetto’ i motivi di ricorso incidentale, cassando l’impugnata sentenza e rinviando alla Corte d’appello di Napoli per nuovo esame.
4. Nel giudizio di rinvio, incardinato dalla (OMISSIS) innanzi alla Corte d’appello di Napoli, la appellante ribadi’ le originarie domande proposte in giudizio dalla dante causa (OMISSIS). A seguito di nuova ctu, la Corte territoriale, con sentenza depositata il 29.9.16, accolse la domanda introduttiva e per l’effetto: dichiaro’ illegittima ed abusiva l’occupazione degli immobili per cui e’ causa da parte della Presidenza del Consiglio dei Ministri, del Ministero per il coordinamento della protezione civile, del Ministero delle Attivita’ produttive e del consorzio (OMISSIS); condanno’ gli appellati, in solido, a: pagare alla (OMISSIS) il valore delle aree trasformate e di quelle deprezzate, indicate nella relazione del ctu, per la somma complessiva di Euro 1.217.139,14; restituire le aree indicate in ctu; corrispondere le somme indicate in dispositivo, a titolo d’indennita’ per occupazione illegittima, per spese di progettazione dell’azienda agricola, per mancata realizzazione della stessa azienda, e a titolo di rivalutazione ed interessi, oltre ulteriore rivalutazione dal 10.10.14 alla data della stessa sentenza emessa dal giudice del rinvio, e interessi legali sulle stesse annualmente rivalutate.
5. Avverso tale sentenza ricorrono per cassazione il consorzio (OMISSIS) e la Presidenza del Consiglio dei Ministri; il primo ricorso e’ da considerare il ricorso principale, essendo stato notificato in data anteriore.
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RITENUTO
CHE:
Il consorzio (OMISSIS) ha formulato cinque motivi.
1. Il primo motivo deduce nullita’ della sentenza ed omesso esame di fatti decisivi, oggetto di discussione tra le parti, per avere la Corte d’appello disatteso i principi dettati da questa Corte nella sentenza n. 7206/2009, in ordine ai parametri di stima del valore di mercato dei terreni occupati ai fini del risarcimento del danno da occupazione usurpativa, in relazione alle reali caratteristiche degli immobili e alla possibilita’ di conseguire, in libera contrattazione, in cui i suoli sarebbero stati considerati agricoli, un prezzo maggiorato in previsione di una variazione della qualificazione dell’area.
1.1. In particolare, il ricorrente si duole che nello stimare il valore di mercato dei suoli, il giudice di secondo grado non abbia rispettato, anzitutto, il criterio del “mercato rilevante” che riguardava nella specie le “grandi superfici” sulle quali realizzare le opere d’infrastruttura propedeutiche alla localizzazione delle iniziative imprenditoriali industriali, atteso che la Corte d’appello, recependo la ctu, aveva considerato le stime di quattro aree inidonee alla comparazione con i beni in questione perche’ di superficie limitata. La Corte di merito avrebbe, inoltre, disatteso il criterio della libera contrattazione ed il principio della liberta’ dell’offerta, dovendo un proprietario di beni situati nell’area in questione tenere conto del vincolo dell’unicita’ della possibile trattativa riguardante l’intera superficie. Il giudice di rinvio avrebbe altresi’ disatteso la motivazione della cassazione circa il prezzo conseguibile in previsione di una variazione della classificazione dell’area in questione come agricola. Di piu’, la Corte territoriale, nello stimare i terreni, avrebbe applicato erroneamente le tesi di alcuni autori circa le rendite di posizione dei singoli fondi presi in comparazione, del tutto diversi tra loro per le relative superficie, come detto, sicche’ sarebbe stato erroneo anche il valore medio determinato dal ctu (erroneita’ di stima desumibile anche dal prezzo della cessione di una limitrofa area da parte dell’originaria proprietaria).
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1.2. Il motivo e’ inammissibile.
1.2.1. Anzitutto, va rilevato che esso e’ rubricato con riguardo alla nullita’ della sentenza o del procedimento, ma non viene dedotta – nella illustrazione del motivo – alcuna ragione di nullita’, e l’omesso esame di fatti e’ incongruamente riferito ad atti istruttori (c.t.u.).
Invero, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, infatti, di per se’, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorche’ la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. Sez. U., 07/04/2014, nn. 8053 e 8054; Cass., 29/10/2018, n. 27415). Ne’ questa nullita’ puo’ essere riferita alla motivazione che – nel caso di specie – non e’ affatto inesistente o apparente, secondo le coordinate interpretative desumibili dall’indirizzo succitato.
1.2.2. Sotto tale profilo, con specifico riferimento al giudizio di rinvio, questa Corte ha osservato che, in caso di ricorso per cassazione avverso la pronuncia del giudice di rinvio per violazione della precedente statuizione di annullamento, il sindacato della S.C. si risolve nel controllo dei poteri propri del suddetto giudice, poteri che, nell’ipotesi di rinvio per vizio di motivazione – come, almeno in parte, e’ accaduto nel caso di specie – si estendono non solo alla libera valutazione dei fatti gia’ accertati, ma anche alla indagine su altri fatti, con il solo limite del divieto di fondare la decisione sugli stessi elementi gia’ censurati del provvedimento impugnato e con la preclusione rispetto ai fatti che il principio di diritto eventualmente enunciato presuppone come pacifici o accertati definitivamente (Cass., S.U. 18303/2020).
Nel caso di specie, peraltro, la sentenza di rinvio non ha affatto fondato la decisione sugli stessi elementi gia’ censurati dalla Cassazione, ma ha allargato la propria indagine, muovendo dalle indicazioni contenute nella sentenza rescindente. La Corte ha, invero, con l’apporto di una nuova c.t.u., accertato il valore di mercato dell’area occupata, senza attribuire rilievo – come sostenuto dal consulente di parte del consorzio, la cui relazione e’ stata, pertanto, considerata dalla Corte territoriale – alla sua natura agricola, ma neppure a quella edificatoria, come stabilito dalla sentenza rescindente n. 7206/2009.
1.2.3. Del resto, anche successivamente si e’ stabilito che in tema di occupazione usurpativa – ipotesi ricorrente nella specie – il risarcimento del danno dev’essere commisurato all’integrale valore di mercato del suolo, sulla base delle obiettive ed intrinseche caratteristiche ed attitudini dell’area, in relazione alle utilizzazioni autorizzate dagli strumenti di pianificazione del territorio.
Deve, pertanto, tenersi conto dell’unico criterio discretivo dell’edificabilita’ legale, posto dalla L. n. 359 del 1992, articolo 5 bis, comma 3, (recepito nel Decreto del Presidente della Repubblica n. 327 del 2001, articoli 32 e 37), senza che sia consentito alcun ricorso, integrativo o sostitutivo, all’edificabilita’ di fatto, dovendosi tuttavia precisare che, all’interno della categoria dei suoli inedificabili rivestono valore, anche a fini indennitari, le possibilita’ di edificazione intermedie tra l’agricola e l’edificatoria (parcheggi, depositi, attivita’ sportive e ricreative ecc.), sempre che siano assentite dalla normativa vigente, sia pure con il conseguimento delle opportune autorizzazioni amministrative (Cass. 23639/2016).
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1.2.4. Va soggiunto – quanto al rilievo della pretesa acritica adesione alle conclusioni della c.t.u. – che il giudice di merito, quando aderisce alle conclusioni del consulente tecnico che nella relazione abbia tenuto conto, replicandovi, dei rilievi dei consulenti di parte, esaurisce l’obbligo della motivazione con l’indicazione delle fonti del suo convincimento, e non deve necessariamente soffermarsi anche sulle contrarie allegazioni dei consulenti tecnici di parte, che, sebbene non espressamente confutate, restano implicitamente disattese perche’ incompatibili, senza che possa configurarsi vizio di motivazione, in quanto le critiche di parte, che tendono al riesame degli elementi di giudizio gia’ valutati dal consulente tecnico, si risolvono in mere argomentazioni difensive (Cass. 33742/2022; Cass. 1815/2015).
Non e’, di conseguenza, censurabile – poiche’ rientra nei poteri del giudice di merito – l’operato della Corte del rinvio, che si e’ motivatamente riportato alle conclusioni della disposta c.t.u., recependole. In definitiva la censura – sub specie del vizio di mancanza di motivazione ed omesso esame – si risolve in un riesame di merito delle valutazioni operate dalla Corte del rinvio. Al riguardo, e’ inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realta’, ad una rivalutazione dei fatti storici o delle risultanze istruttorie operata dal giudice di merito (Cass., 07/12/2017, n. 29404; Cass., 04/08/2017, n. 19547; Cass., 04/04/2017, 8758; Cass., 02/08/2016, n. 16056; Cass. Sez. U., 27/12/2019, n. 34476; Cass., 04/03/2021, n. 5987).
1.3. Per tali considerazioni, il primo motivo va dichiarato inammissibile.
2. Il secondo motivo denunzia la violazione degli articoli 1218, 1223, 1226 e 2697 c.c., articolo 112 c.p.c., nonche’ omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, e la nullita’ della sentenza impugnata e del giudizio, ex articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 4, per aver la Corte d’appello pronunciato sulla questione del risarcimento del danno connesso alla perdita di chance in violazione del principio stabilito dalla cassazione nella sentenza n. 7206/2009, che aveva accolto anche il motivo concernente il diniego del risarcimento per la mancata realizzazione della progettata azienda agricola, perche’ l’attrice era titolare di vasti terreni di proprieta’ e dunque avrebbe potuto realizzare l’azienda in altro luogo, e comunque le iniziative economiche non sempre sortiscono i risultati sperati.
2.1. Il ricorrente, assumendo che il risarcimento in esame puo’ essere richiesto solo quando la chance perduta aveva la certezza o l’elevata probabilita’ di avveramento, da desumersi da elementi certi ed obiettivi (citando al riguardo Cass., n. 22376/12), si duole del fatto che la Corte territoriale, recependo acriticamente le ctu espletate, e disattendendo quanto stabilito dalla cassazione con la sentenza n. 7206/2009, abbia ritenuto certo il danno in questione, escludendo la probabilita’ di insuccesso dell’attivita’ imprenditoriale, eventualita’ che invece la cassazione aveva ben tenuto presente nel motivare l’accoglimento del motivo dell’attrice avverso la sentenza d’appello che aveva escluso apoditticamente il risarcimento.
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2.2. Pertanto, secondo il ricorrente, da tale erronea premessa interpretativa la Corte d’appello avrebbe ritenuto che la programmata azienda avrebbe certamente conseguito un accrescimento del reddito aziendale, sebbene con la riduzione del 50% di quanto stimato dai ctu correlata all’alea imprenditoriale, senza peraltro tener conto dei rilievi critici contenuti nella ctp. Al riguardo, il motivo censura la sentenza impugnata con riguardo ai vari criteri utilizzati per la stima della perdita di chance (la remunerazione del capitale fondiario e dell’opera di direzione prestata dall’imprenditore), lamentando in sostanza errori metodologici, non avendo il giudice del merito, per esempio, considerato che le spese d’investimento non rientrano nel reddito ai fini della quantificazione del danno risarcibile in questione.
2.3. Il motivo e’ inammissibile.
2.3.1. Anzitutto, va rilevato che, nella sentenza rescindente, questa Corte ha osservato che: “pur volendo ritenere fondate le osservazioni espresse in merito alla possibilita’ di realizzare l’azienda in questione su altra area dell’attrice, e il rischio d’impresa, simili considerazioni avrebbero dovuto indurre a valutare, quanto meno, i maggiori oneri relativi all’ipotizzato spostamento (considerando altresi’ che la (OMISSIS) aveva chiesto una nuova concessione in base ad un diverso progetto presentato a seguito dell’occupazione subita), e a calcolare la perdita di chance che la prospettata, ma non realizzata azienda, avrebbe determinato, ovvero le chances di successo o di insuccesso che la gestione aziendale avrebbe comportato, a non a negare tout court qualsiasi forma di risarcimento..”
2.3.2. Ora, in tema di risarcimento del danno da perdita di chance, l’accertamento del nesso di causalita’ tra il fatto illecito e l’evento di danno (rappresentato, in questo caso, dalla perdita non del bene della vita in se’ ma della mera possibilita’ di conseguirlo) non e’ sottoposto a un regime diverso da quello ordinario, sicche’ sullo stesso non influisce, in linea di principio, la misura percentuale della suddetta possibilita’, della quale, invece, dev’essere provata la serieta’ ed apprezzabilita’ ai fini della risarcibilita’ del conseguente pregiudizio (Cass. 2261/2022). Inoltre, l’attivita’ del giudice deve tenere distinta la dimensione della causalita’ da quella dell’evento di danno e deve altresi’ adeguatamente valutare il grado di incertezza dell’una e dell’altra, muovendo dalla previa e necessaria indagine sul nesso causale tra la condotta e l’evento, secondo il criterio civilistico del “piu’ probabile che non”, e procedendo, poi, all’identificazione dell’evento di danno, la cui riconducibilita’ al concetto di chance postula una incertezza del risultato sperato, e non gia’ il mancato risultato stesso, in presenza del quale non e’ lecito discorrere di una chance perduta, ma di un altro e diverso danno; ne consegue che, provato il nesso causale rispetto ad un evento di danno accertato nella sua esistenza e nelle sue conseguenze dannose risarcibili, il risarcimento di quel danno sara’ dovuto integralmente (Cass. 5641/2018; Cass. 12906/2020).
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2.3.3. Nella specie, la Corte d’appello – muovendo da quanto affermato dalla sentenza rescindente, secondo la quale era fondato il settimo motivo “riguardante l’esclusione di qualsiasi risarcimento per la mancata realizzazione dell’azienda agricola” – si e’ attenuta a tali principi, avendo ampiamente ed adeguatamente motivato sul nesso causale tra occupazione illegittima e danno, tenendo ampiamente conto anche dei pareri espressi dai consulenti di parte, ed ha apprezzato la serieta’ ed apprezzabilita’ della possibilita’ di perdita della chance di conseguire guadagni attraverso l’impresa agricola – la cui costituzione e’ stata impedita dall’occupazione di urgenza – sulla base di diversi elementi, “l’unicita’ e le connesse potenzialita’ della progettata azienda nel piu’ ampio comprensorio territoriale interessato”; la richiesta di diverse, successive concessioni edilizie, vanificate dall’occupazione del suolo; le esperienze maturate dalla espropriata nel campo della zootecnia (“alla terza generazione di imprenditori”).
L’accertamento e la liquidazione di tale perdita di chance, del resto, necessariamente equitativa, sono devoluti al giudice di merito e sono insindacabili in sede di legittimita’ se – come nella specie – adeguatamente motivati (Cass. 2737/2015).
2.4. La censura in esame, in quanto involge valutazioni di merito, deve essere, pertanto, dichiarata inammissibile.
3. Il terzo motivo denunzia violazione degli articoli 1292, 1294, 2033, 2055, 2056 e 2697 c.c., articoli 99, 100, 102 e 112 c.p.c., per aver la Corte d’appello dichiarato inammissibile la domanda di restituzione delle somme corrisposte in esecuzione della sentenza di primo grado per difetto d’interesse e legittimazione. Al riguardo, il ricorrente deduce che la Corte non ha esaminato l’eccezione di compensazione “atecnica”, formulata nella comparsa di costituzione nel giudizio di rinvio, quale coobbligato solidale, in ordine all’avvenuto pagamento a favore della cessionaria (OMISSIS) della somma di circa 5 milioni di Euro pagata dalla PCDM a seguito della notificazione della sentenza di primo grado in forma esecutiva – eccezione che tendeva ad impedire la locupletazione senza causa della proprietaria -; il ricorrente soggiunge che tale omissione si desume altresi’ dal riferimento che la Corte di merito ha fatto alla suddetta eccezione come formulata nella comparsa conclusionale del consorzio, mentre essa era stata proposta nella comparsa di costituzione (v. pag. 52). Pertanto, il ricorrente si duole che la Corte territoriale abbia erroneamente considerato tale eccezione di compensazione “atecnica” o “impropria” come domanda di restituzione.
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Il quarto motivo denunzia violazione degli articoli 1292 ss., 2055 e 2697 c.c., articoli 99, 112 e 394 c.p.c., nonche’ nullita’ della sentenza impugnata, per aver il giudice di secondo grado ritenuto precluso l’esame dell’istanza di restituzione delle somme pagate per la formazione del giudicato interno. Al riguardo, il ricorrente assume che tale giudicato non sarebbe comunque ad esso opponibile, in quanto la necessita’ di sollevare l’eccezione di compensazione si era necessaria a seguito della sentenza rescindente della Corte di Cassazione del 2009, sicche’ essa risultava correttamente proposta nel giudizio di rinvio a norma dell’articolo 394 c.p.c.., anche in virtu’ dell’articolo 389 c.p.c., secondo cui le domande di restituzione possono essere proposte liberamente senza incorrere nel divieto di domande nuove, e considerando altresi’ che il giudicato interno cui ha fatto riferimento la sentenza impugnata riguardava la sola domanda di restituzione proposta dalla PDCM e non anche l’eccezione del ricorrente.
Il quinto motivo denunzia violazione degli articoli 100 e 112 c.p.c., 2697 c.c., e del principio di non contestazione, nonche’ la nullita’ della sentenza impugnata e del procedimento, ex articolo 360, nn. 3 e 4, c.p.c., in quanto il giudicato interno, formatosi secondo la Corte d’appello per la mancata prova dell’avvenuto pagamento, non era opponibile al consorzio che non avrebbe potuto, nel grado d’appello, proporre alcuna domanda o eccezione al riguardo perche’ ritenuto non legittimato. Il ricorrente si duole altresi’ che la sentenza impugnata, nel non tener conto dell’eccezione di compensazione, abbia violato il principio di non contestazione, atteso che la controparte non ha mai contestato di aver ricevuto il pagamento in questione.
4. La PDCM ricorre parimenti in cassazione – proponendo ricorso incidentale – avverso la sentenza del 2016, sulla base di otto motivi.
Il primo motivo deduce nullita’ della sentenza ed omesso esame di piu’ fatti decisivi oggetto di discussione tra le parti, per non aver la Corte territoriale rispettato i criteri dettati dalla Cassazione in ordine alla stima dei terreni occupati, quali: il principio del mercato rilevante, cioe’ delle grandi superficie sulle quali realizzare le opere d’infrastruttura propedeutiche all’iniziativa imprenditoriale.
Il secondo motivo e’ formulato in maniera del tutto conforme al secondo motivo del ricorso principale.
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Il terzo ricorso denunzia violazione dell’articolo 336 c.p.c., in quanto la Corte d’appello, nel ritenere la formazione del giudicato interno sul pagamento effettuato in esecuzione della sentenza di primo grado, non ha tenuto conto del fatto che questa Corte, nella sentenza n. 7206/2009, aveva espressamente affermato che “l’annullamento della sentenza impugnata in relazione alla quantificazione del controvalore dei terreni travolgeva anche le statuizioni riguardanti la liquidazione dell’indennita’ d’occupazione illegittima, restando assorbita ogni questione articolata in relazione a detta indennita’”. In particolare, la ricorrente assume che avendo la Corte Suprema cassato la sentenza di appello n. 2181/2005 in ordine ai criteri di risarcimento del danno, era necessariamente stata travolta dalla cassazione di tale sentenza anche la parte della sentenza sul rigetto della domanda di restituzione per difetto di prova. Cio’ in quanto tale domanda non costituiva domanda autonoma, essendo al contrario dipendente dal capo principale relativo all’an e al quantum della condanna, atteso che il concetto di restituzione presupponeva la certezza sulle somme da pagare. Pertanto, secondo la ricorrente, la Corte di merito non aveva correttamente applicato l’articolo 336 c.p.c. circa l’effetto della cassazione parziale della prima sentenza d’appello sulle parti della sentenza dipendenti da quella cassata, nel senso che, la cassazione parziale della suddetta sentenza aveva travolto anche la domanda restitutoria dipendente dai capi cassati.
Ne consegue, secondo la ricorrente, l’insussistenza di un giudicato interno sulla questione della mancata prova del pagamento a favore della (OMISSIS), con la conseguenza che tale domanda restitutoria avrebbe legittimamente potuto riproporsi nel giudizio di rinvio, dovendo essere necessariamente valutata in relazione ai nuovi conteggi disposti dalla Corte territoriale. Al riguardo, la ricorrente rileva che nel giudizio d’opposizione al decreto ingiuntivo proposto dalla (OMISSIS) in ordine alla restituzione della somma di Euro 4.167.809,58, pagata dalla PDCM in esecuzione della sentenza di primo grado, il Tribunale investito aveva affermato che il ricorso per cassazione della stessa (OMISSIS) era assorbente in quanto, nel caso di suo accoglimento, sarebbe decaduto anche l’effetto restitutorio della pronuncia impugnata.
Il quarto motivo denunzia violazione e falsa applicazione dell’articolo 2697 c.c., articolo 115 c.p.c., comma 1, articolo 324 c.p.c., articolo 394 c.p.c., comma 3, articolo 437 c.p.c., comma 2, articolo 111 Cost., per aver la Corte d’appello ritenuto formato il giudicato interno con conseguente inammissibilita’ della domanda di restituzione; in particolare, la ricorrente si duole che la Corte territoriale abbia anzitutto affermato che per effetto della relativa pronuncia erano divenute indebite le somme eventualmente pagate in esecuzione della sentenza del Tribunale per la parte eccedente il quantum liquidato, per poi ritenere non possibile ordinare la restituzione di tali somme per mancanza di prova documentale.
A sostegno del motivo, la ricorrente adduce: la non contestazione dell’indebito da parte della controparte (v. comparsa conclusionale in appello); che l’eccezione di pagamento era da intendere quale mera difesa, dunque non assoggettabile al regime delle preclusioni; che il pagamento era stato documentato nel giudizio di rinvio producendo vaglia cambiari; il giudice del rinvio avrebbe dovuto considerare ammissibili i suddetti documenti probatori atteso che il diritto alla restituzione derivava dalla cassazione della prima sentenza d’appello, anche sulla base dell’articolo 389 c.p.c. secondo il cui disposto, nel giudizio di rinvio, la restituzione puo’ essere chiesta senza incorrere nel divieto di domande nuove.
Il quinto motivo denunzia violazione e falsa applicazione degli articoli 1223, 2043 e 2056 c.c., nonche’ omesso esame di fatti decisivi, oggetto di discussione tra le parti, per aver la sentenza impugnata condannato la PDCM al pagamento di una somma ulteriore a titolo di capitale, la cui prova era acquisita, pur avendo respinto la domanda di restituzione, violando il principio della cd. compensatio lucri cum damno.
Il sesto motivo denunzia violazione e falsa applicazione degli articoli 2033, 2041, 2056, 2697, 324 e 394 c.p.c., per aver la Corte d’appello ritenuto formatosi il giudicato interno sulla domanda di restituzione, per l’impossibilita’ di ordinare la restituzione delle somme “eventualmente pagate”, dato l’accertamento del carattere indebito delle somme pagate contenuto nella prima parte della statuizione contenuta nella sentenza impugnata. La ricorrente evidenzia altresi’ che la domanda di restituzione era stata proposta in appello e poi documentata nel giudizio di rinvio, sebbene essa sarebbe stata da interpretare, piu’ propriamente, quale eccezione di compensazione.
Estinzione delle obbligazioni e la compensazione impropria (o atecnica)
Il settimo motivo denunzia violazione e falsa applicazione dell’articolo 2697 c.c., articoli 324 e 394 c.p.c., per aver la Corte territoriale ritenuto che si fosse formato il giudicato interno sulla domanda di restituzione per la mancata impugnazione in cassazione del rigetto per mancata prova, in quanto tale doglianza non sarebbe stata ammissibile in sede di legittimita’, ma proponibile solo al giudice del rinvio, come avvenuto nella specie, considerato altresi’ che era gia’ stata formulata in appello. L’ottavo motivo denunzia violazione e falsa applicazione dell’articolo 2697 c.c., articoli 324 e 394 c.p.c., per non aver il giudice di secondo grado considerato la mancata contestazione, da parte della (OMISSIS), dell’avvenuto pagamento il 10.9.2002, e la produzione dei vaglia cambiari nel giudizio di rinvio, che comunque non era stata tardiva in quanto afferente a documenti formati da terzi, che non rientravano nella disponibilita’ dell’ente ricorrente che li aveva acquisiti dalla Banca d’Italia.
Il nono motivo denunzia violazione e falsa applicazione degli articoli 1124, 2041, 2043 e 2056 c.c., per aver la Corte d’appello erroneamente calcolato rivalutazione ed interessi nella misura della differenza tra la sorte capitale liquidata dal Tribunale, gia’ pagata, e quella liquidata nell’impugnata sentenza – senza cioe’ scomputare dalla base del calcolo le somme pagate – aderendo acriticamente alla ctu che aveva riconosciuto rivalutazione ed interessi con decorrenza dal 31.10.84, anziche’ dal deposito della sentenza impugnata, in data 29.9.16.
5. Il terzo, quarto e quinto motivo del ricorso principale, da esaminare congiuntamente ai motivi dal terzo all’ottavo del ricorso incidentale, poiche’ tra loro connessi, sono fondati, limitatamente alla questione della cd. compensazione impropria.
Al riguardo va, infatti, rilevato che la Corte d’appello ha affermato la sussistenza di un giudicato interno sulla domanda di restituzione delle somme pagate dall’amministrazione alla espropriata (OMISSIS), in esecuzione della sentenza di primo grado, in quanto la stessa Corte d’appello – con la sentenza n. 2181/2005, poi cassata da questa Corte – aveva rigettato la domanda di restituzione per mancanza della prova del pagamento. La Corte d’appello, in sede di rinvio, ha ritenuto che la prova del pagamento – che l’amministrazione non aveva potuto produrre nel giudizio del 2005 – era stata tardivamente prodotta con la comparsa di costituzione in riassunzione nel giudizio di rinvio, senza alcuna allegazione – che invece vi era stata – dell’impossibilita’ di produrla in precedenza. Il giudice di rinvio ha, altresi’ ritenuto che il Consorzio non avesse interesse a far valere la domanda di restituzione, non avendo il medesimo corrisposto alcunche’ alla espropriata (OMISSIS).
5.1. Orbene – fermo restando che, ai sensi dell’articolo 1306 c.c., comma 1, il giudicato sulla domanda di restituzione proposta dall’amministrazione non e’ opponibile al condebitore solidale consorzio (OMISSIS) – sta di fatto che quest’ultimo non aveva affatto proposto una domanda di restituzione, ma – come si evince dalla sua costituzione nel giudizio di rinvio (trascritta nel ricorso) – aveva chiesto che dell’effettuato pagamento, in esecuzione della sentenza di primo grado, effettuato dall’amministrazione condebitrice, si tenesse conto nella liquidazione del danno. A tanto il detto consorzio – contrariamente a quanto affermato dal giudice di rinvio – aveva certamente legittimazione ed interesse, atteso che – in tal modo – sarebbe stato obbligato al pagamento di un minore importo alla espropriata. Deve – per vero – osservarsi che il diritto alla restituzione delle somme ricevute in esecuzione di una decisione sorge, ai sensi dell’articolo 336 c.p.c., per il solo fatto della cassazione o della riforma della suddetta decisione; ne consegue che, a fronte di una precisa domanda in tal senso della parte risultante vincitrice, i giudici d’appello (o quello di rinvio, in funzione di giudice di appello) sono tenuti a disporre la totale restituzione delle somme pagate – in caso di integrale accoglimento dell’appello – o la “compensazione impropria”, calcolando la differenza tra i due importi riconosciuti e gli accessori di legge, con determinazione della differenza dovuta da una parte all’altra (Cass. 7353/2004; Cass. 30389/2019).
Al riguardo, va osservato che, in tema di estinzione delle obbligazioni, la compensazione impropria (o atecnica) si distingue da quella propria, disciplinata dagli articoli 1241 e ss. c.c., poiche’ riguarda crediti e debiti che hanno origine da uno stesso rapporto, e si risolve in una verifica contabile delle reciproche poste attive e passive delle parti. E’ per questo che il giudice puo’ procedere d’ufficio al relativo accertamento anche in grado di appello, senza che sia necessaria un’eccezione di parte o una domanda riconvenzionale, sempre che l’accertamento si fondi su circostanze fattuali tempestivamente acquisite al processo (Cass., n. 33872/22; n. 28568/21).
5.2. Ne consegue che la Corte d’appello – essendo obbligata ad effettuare la “compensazione impropria” – avrebbe dovuto tenere conto della prova del pagamento allegata dall’amministrazione in sede di rinvio, essendo tale documentazione conseguente alla cassazione della sentenza di appello, che aveva comportato il riconoscimento di maggiori somme all’espropriata, individuando diversi criteri di liquidazione del danno (Cass. 27736/2022). La Corte di rinvio – sebbene l’abbia menzionata – non ha tenuto, peraltro, neppure conto dell’affermazione – contenuta nella sentenza di appello n. 2181/2005 (poi cassata), secondo cui, per effetto della sentenza di appello, parte delle somme pagate in esecuzione della sentenza di primo grado erano divenute indebite. Pertanto, se si era formato il giudicato sulla domanda di restituzione, andava disposta di ufficio la compensazione impropria.
6. I primi due motivi del ricorso incidentale sono l’uno inammissibile e l’altro infondato, per le ragioni suesposte in relazione ai corrispondenti motivi del ricorso principale.
7. Infine, il nono motivo (circa l’erroneo calcolo di rivalutazione ed interessi) e’ assorbito, dovendo tali voci di danno essere rideterminate a seguito dello scomputo delle somme gia’ pagate dall’amministrazione.
8. Per quanto esposto, in accoglimento del terzo, quarto, quinto motivo del ricorso principale, e dei motivi dal terzo all’ottavo del ricorso incidentale, la sentenza impugnata va cassata, con rinvio – per nuovo esame – alla Corte d’appello di Napoli, che provvedera’ anche in ordine alle spese del giudizio di legittimita’.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibili il primo motivo del ricorso principale ed il primo motivo del ricorso incidentale; rigetta il secondo motivo del ricorso principale ed il secondo motivo del ricorso incidentale; accoglie il terzo, quarto e quinto motivo del ricorso principale, ed il terzo, quarto, quinto, sesto, settimo e ottavo motivo del ricorso incidentale nei limiti di cui in motivazione; dichiara assorbito il nono motivo del ricorso incidentale; cassa l’impugnata sentenza in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte d’appello di Napoli, in diversa composizione, anche in ordine alle spese del giudizio di legittimita’.
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