Consiglio di Stato, sezione seconda, Sentenza 27 giugno 2019, n. 4433.
La massima estrapolata:
Se è vero che il Comune, nell’espletamento di attività istruttoria in ordine al possesso dei titoli legittimanti l’attività edilizia, non è chiamato ad effettuare indagini approfondite richiedenti particolari competenze tecniche, esso è comunque tenuto ad accertare con serietà e rigore siffatta legittimazione a chiedere il titolo edilizio, dovendo pertanto la P.A. accertare che l’istante sia il proprietario dell’immobile oggetto dell’intervento costruttivo o che, comunque, ne abbia un titolo di disponibilità sufficiente per eseguire l’attività edificatoria
Sentenza 27 giugno 2019, n. 4433
Data udienza 28 maggio 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2650 del 2008, proposto dal Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Vi. Ca., Fr. Ca., con domicilio eletto presso lo studio Ad. Ro. in Roma, viale (…);
contro
Consorzio Urbanistico Fl. delle Ro., Società Fl. delle Ro. s.r.l. non costituiti in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l’Abruzzo n. 798 del 2007, resa tra le parti, concernente piano di lottizzazione
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 28 maggio 2019 il Cons. Cecilia Altavista e uditi per le parti gli avvocati An. Ro. su delega di Fr. Ca.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con atto del 21 febbraio 1973, il Comune di (omissis) alienava alla società Fl. delle Ro. una porzione di terreno nella frazione (omissis), di circa 180 mila metri quadri, identificata al catasto al foglio (omissis) particella (omissis), da destinare ad un complesso turistico residenziale e sportivo.
Successivamente, con atto del 15 dicembre 1989, è stato costituito il Consorzio Fl. delle Ro. con la partecipazione della società Fl. delle Ro. ed il Comune per la realizzazione del progetto edilizio, tramite la presentazione di un piano di lottizzazione, successivamente presentato il 7 marzo 1990.
Nel 1992 alcuni residenti nella frazione di (omissis) proponevano davanti al Commissario liquidatore degli usi civici azione per l’accertamento della natura civica del detto terreno e, pertanto, della nullità dell’atto di alienazione, giudizio in cui si è altresì costituito il Comune a sostegno della natura civica dei terreni.
Con la sentenza n. 29 del 2004 il Commissario Regionale per gli usi civici dell’Aquila ha respinto il ricorso, sulla base della natura patrimoniale dei terreni in questione. La decisione è stata confermata dalla Corte di Appello di Roma, sez. usi civici con sentenza n. 13 del 2006.
Avverso la sentenza della Corte di Appello sezione usi civici il Comune di (omissis) proponeva ricorso per Cassazione.
Nel frattempo la società Fl. delle Ro. aveva sollecitato il Comune a procedere alla approvazione del piano di lottizzazione con la diffida presentata il 22 aprile 2005.
In mancanza di risposta, aveva anche presentato al Tribunale amministrativo regionale per l’Abruzzo – sede dell’Aquila ricorso per l’accertamento dell’obbligo di provvedere, definito con la sentenza n. 915 del 2 novembre 2005, che aveva accolto il ricorso, accertando l’obbligo di provvedere del Comune e assegnando il termine di trenta giorni per provvedere sul piano di lottizzazione.
Il Comune, in esecuzione della sentenza, ha emesso la deliberazione del Consiglio Comunale del 27 novembre 2005 n. 38; con essa si pronunciava per l’impossibilità di concludere il procedimento a causa della natura di mero accertamento del carattere patrimoniale dei terreni contenuto nella sentenza del Commissariato, dell’assenza di giudicato di tale pronuncia di mero accertamento, e della pendenza del giudizio davanti alla Corte di appello; comunque, ritenendo, altresì, nell’esercizio del potere discrezionale di dovere attendere l’esito del giudizio, in relazione alle conseguenze dell’eventuale approvazione del piano di lottizzazione.
A seguito della definizione del giudizio d’appello il legale rappresentante della società e presidente del consiglio di Amministrazione del Consorzio presentava una nuova diffida, il 27 luglio 2006, alla quale il Comune provvedeva con la deliberazione della Giunta n. 71 del 1 settembre 2006, con cui richiamava la precedente deliberazione del Consiglio confermando di non potersi esprimere sull’approvazione del piano, essendo ancora pendente il giudizio relativo alla natura dei terreni, avendo il Comune proposto ricorso per Cassazione.
La delibera del Consiglio comunale del 27 novembre 2005 è stata impugnata davanti al Tribunale amministrativo regionale per l’Abruzzo – sede dell’Aquila con ricorso notificato il 14 marzo 2007, dichiarato irricevibile per tardività con la sentenza n. 801 del 2007.
La delibera della Giunta comunale del 1 settembre 2006 è stata impugnata dinnanzi al Tribunale amministrativo regionale per l’Abruzzo – L’Aquila, che ha respinto le eccezioni proposte dalla difesa comunale, escludendo la natura meramente confermativa dell’atto impugnato e il difetto di procura del Presidente del Consorzio; ha accolto, quindi, il ricorso ritenendo non idonea la motivazione del provvedimento, basata sulla pendenza del giudizio di Cassazione, non essendo stata sospesa la sentenza impugnata che aveva escluso la natura demaniale del terreno ed essendo il giudizio di Cassazione di mera legittimità ; ha escluso la rilevanza nel giudizio, ai fini dell’applicazione dell’art. 21 octies della legge n. 241 del 1990, dei nuovi elementi dedotti dal Comune con la memoria per l’udienza pubblica relativi alla inserimento dell’area in questione nella zona di protezione speciale del Parco regionale Ve. Si., di cui alla legge regionale n. 38 del 1996, per cui per l’approvazione del piano sarebbe stata anche necessaria la valutazione di impatto ambientale.
Avverso tale sentenza è stato proposto il presente appello dal Comune di (omissis) per i seguenti motivi:
-erroneità della sentenza rispetto alla censura di difetto di conferimento di valida procura, avendo agito il Presidente in forza di una delibera dell’assemblea e non del Consiglio di amministrazione dell’ente, e rispetto al difetto di legittimazione della società Fl. delle Ro.; sono state quindi riproposte le relative eccezioni;
– erroneità della sentenza circa la natura confermativa della delibera impugnata e riproposizione della eccezione di inammissibilità del ricorso per la natura meramente confermativa dell’atto;
-erroneità della sentenza rispetto all’accoglimento della censura di difetto di motivazione; sostiene la difesa comunale la legittimità della delibera della Giunta comunale che ha ritenuto non esecutiva la sentenza di primo grado in quanto pronuncia di mero accertamento della natura del bene; cita, inoltre, nell’atto di appello, la disciplina della legge regionale 20 aprile 1989, n. 37, che ha sostituito l’art. 9 della legge regionale 3 marzo 1988, n. 25, relativamente all’attività di pianificazione che coinvolga le terre civiche;
-erroneità della sentenza rispetto alla mancata applicazione dell’art. 21 octies della legge n. 241 del 1990, in quanto l’Amministrazione aveva comunque dimostrato in giudizio l’impossibilità di approvare il progetto come presentato, essendo stata successivamente inserita la area in questione nella zona di protezione speciale del Parco regionale Ve. Si., di cui alla legge regionale n. 38 del 1996 e, quindi, per l’approvazione del piano sarebbe stata anche necessaria la valutazione di impatto ambientale.
Nessuno si è costituito in giudizio per gli appellati.
Con ordinanza del 22 aprile 2008 è stata respinta la domanda di sospensione della sentenza, in relazione alla mancanza del danno grave ed irreparabile derivante dalla sentenza appellata, discendendo da essa solo un obbligo di pronunciarsi sul piano di lottizzazione.
Successivamente, con la sentenza n. 21488 del 2012 la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso del Comune e rinviato alla Corte d’Appello di Roma, sez. usi civici, in diversa composizione, che, con sentenza n. 20 del 2014 (depositata in giudizio dalla difesa comunale), ha accolto il ricorso accertando la natura di uso civico del terreno in questione.
Con la memoria per l’udienza pubblica il Comune ha concluso per l’accoglimento dell’appello.
All’udienza pubblica del 28 maggio 2019 l’appello è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
Ritiene il Collegio di prescindere dall’esame dei primi due motivi d’appello, con cui sono state riproposte le eccezioni processuali respinte dal giudice di primo grado, in relazione alla fondatezza nel merito dell’appello del Comune.
La delibera della giunta comunale del 1 settembre 2006 impugnata con il ricorso di primo grado, in disparte, dunque, l’esame della natura confermativa o meramente confermativa di tale atto rispetto alla precedente delibera del consiglio comunale del 27 novembre 2005, è basata sulla mancanza del giudicato sulla questione della natura (patrimoniale o di uso civico) dei beni oggetto del piano di lottizzazione, essendo pendente il giudizio di Cassazione avverso la pronuncia della Corte d’appello sez. usi civici n. 13 del 2006.
Il giudice di primo grado ha ritenuto illegittima tale delibera e inidonea tale motivazione, in quanto allo stato la natura dei terreni non era demaniale e il giudizio di Cassazione, essendo di mera legittimità, “a meno di clamorosi errori di fatto” non avrebbe potuto mutare l’accertamento circa la natura dei terreni; ha, inoltre, escluso la rilevanza degli elementi introdotti in giudizio dalla difesa comunale nella memoria per l’udienza pubblica relativa al successivo inserimento dell’area nella zona di protezione speciale del Parco regionale Ve. Si., con conseguente impossibilità di approvazione del progetto in mancanza di valutazione di impatto ambientale, dovendo tali elementi eventualmente essere comunque oggetto di una specifica valutazione dell’amministrazione comunale.
Con l’atto di appello si sostiene l’erroneità di tali affermazioni del giudice in primo grado, in primo luogo, con riferimento alla mancanza di giudicato; secondo la difesa appellante, infatti, la sentenza della Corte d’appello del 2006, contenendo una pronuncia di mero accertamento, avrebbe avuto efficacia esecutiva solo con il formale passaggio in giudicato; pertanto, il Comune avrebbe correttamente motivato circa la necessità di attendere l’esito del giudizio di Cassazione.
Ritiene il Collegio la fondatezza di tale motivo di appello e l’errore del giudice di primo grado nel ritenere illegittima la delibera impugnata per difetto di motivazione.
Come correttamente rilevato nell’atto di appello, dall’art. 282 del codice di procedura civile, secondo la costante interpretazione giurisprudenziale della Cassazione, discende la immediata esecutività solo delle sentenza di condanna e dei capi relativi alle spese delle sentenze di mero accertamento e costitutive, mentre i capi di accertamento o costitutivi non possono godere di anticipazioni dell’efficacia ad un momento anteriore al passaggio in giudicato.
“L’anticipazione dell’efficacia della sentenza rispetto al suo passaggio in giudicato ha riguardo soltanto al momento della esecutività della pronuncia, con la conseguenza (atteso il nesso di correlazione necessaria tra condanna ed esecuzione forzata) che la disciplina dell’esecuzione provvisoria di cui all’art. 282 c.p.c., trova legittima attuazione soltanto con riferimento alle sentenze di condanna, le uniche idonee, per loro natura, a costituire titolo esecutivo, postulando il concetto stesso di esecuzione un’esigenza di adeguamento della realtà al decisum che, evidentemente, manca sia nelle pronunce di natura costitutiva che in quelle di accertamento” (Cass. civ. Sez. II, 26 marzo -2009, n. 7369; Cass. civ. Sez. III, Ord., 20 febbraio 2018, n. 4007).
Ne deriva che, nel caso di specie, la sentenza della Corte d’appello di Roma sezione usi civici non era immediatamente esecutiva e che deve ritenersi, quindi, sotto tale profilo, la legittimità della delibera della giunta comunale di (omissis) basata sulla mancata efficacia di giudicato della sentenza della Corte d’appello e sulla necessità di attendere l’esito definitivo del giudizio in ordine all’accertamento della natura civica dei terreni.
Soccorre, in proposito, anche l’art. 9 della legge regionale 3 marzo 1988 n. 25, per cui “i piani urbanistici di livello comunale e le relative varianti come specificati nella L.R. 12 aprile 1983, n. 18 e successive modifiche ed integrazioni, devono tener conto nelle loro previsioni della natura e della destinazione delle terre civiche, secondo la legge 16 giugno 1927, n. 1766.
A tal fine in sede di elaborazione dei piani sopradetti, tra i documenti di analisi entreranno a far parte anche le verificazioni approvate e pubblicate nelle forme di legge, ove esistenti, nonché le sentenze passate in giudicato che abbiano accertato la natura civica delle terre stesse”.
La motivazione della delibera della Giunta deve, quindi, ritenersi legittima, in quanto l’approvazione del piano di lottizzazione non poteva prescindere dall’esito del giudizio relativo alla natura dei terreni oggetto dello stesso.
L’accertamento circa la natura del bene, che, in base alla costante interpretazione dell’art. 282 c.p.c., sarebbe discesa solo dal passaggio in giudicato della sentenza, costituiva, infatti, il presupposto fondamentale per l’approvazione del piano.
Non può, dunque, essere condivisa l’argomentazione del giudice di primo grado per cui fino a tale accertamento la natura del terreno non sarebbe stata demaniale con conseguente obbligo di provvedere del Comune all’approvazione del piano.
L’attesa della definizione del giudizio era, infatti, comunque giustificata anche dal solo stato di incertezza circa la natura dei beni in questione.
L’accertamento della natura civica del terreno e la nullità dell’atto di alienazione del 1973 chieste nel giudizio davanti al Commissario degli usi civici erano infatti incompatibili con il piano presentato e con le varie attività poste in essere per la realizzazione dello stesso.
Pertanto, un tale accertamento, anche successivo alla data di adozione della delibera impugnata, avrebbe, comunque, travolto l’attività del Consorzio e gli atti di pianificazione.
L’Amministrazione comunale ha, dunque, correttamente ritenuto, al fine di evitare ulteriori pregiudizi, di attendere l’esito del giudizio, peraltro ormai giunto alla fase finale della Cassazione e dell’eventuale giudizio di rinvio, per decidere in ordine all’approvazione del piano di lottizzazione, con una valutazione, coerente con i canoni del buon andamento che devono regolare l’attività amministrativa.
La correttezza di tale valutazione è, del resto, stata dimostrato ex post dal successivo esito del giudizio relativo agli usi civici, che si è, appunto, concluso con l’accertamento della natura civica del terreno e della nullità dell’atto di alienazione dei terreni stipulato nel 1973 tra il Comune e la società Fl. delle Ro..
E’ appena il caso di precisare, poi, sotto un profilo più generale, che le considerazioni sopra esposte appaiono ben armonizzarsi con l’elaborazione giurisprudenziale concernenti i doveri dell’amministrazione in sede di rilascio di titoli abilitativi di natura edilizia: sul punto giova ricordare che condivisibile giurisprudenza ha precisato che, se è vero che il Comune, nell’espletamento di attività istruttoria in ordine al possesso dei titoli legittimanti l’attività edilizia, non è chiamato ad effettuare indagini approfondite richiedenti particolari competenze tecniche, esso è comunque tenuto ad accertare con serietà e rigore siffatta legittimazione a chiedere il titolo edilizio, dovendo pertanto la P.A. accertare che l’istante sia il proprietario dell’immobile oggetto dell’intervento costruttivo o che, comunque, ne abbia un titolo di disponibilità sufficiente per eseguire l’attività edificatoria (Cons. Stato Sez. IV, 25 maggio 2018, n. 3143; id. 7 settembre 2016, n. 3823; id. 25 settembre 2014, n. 4818).
II ricorso in appello, sotto tale profilo, è fondato e deve essere accolto con annullamento delle sentenza impugnata e reiezione del ricorso di primo grado.
Ne deriva la carenza di interesse all’ulteriore motivo di appello relativo alla mancata applicazione dell’art. 21 octies della legge n. 241 del 1990 con riferimento agli elementi dedotti nel corso del giudizio di primo grado, riguardanti l’inserimento dell’area nella zona di protezione speciale del Parco regionale Ve. Si., che, comunque, avrebbero comportato la reiezione del piano in mancanza della valutazione di impatto ambientale.
La particolarità della questione comporta la sussistenza di giusti motivi per la compensazione delle spese di entrambi i gradi di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto annulla la sentenza impugnata e respinge il ricorso di primo grado.
Spese di entrambi i gradi compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 maggio 2019 con l’intervento dei magistrati:
Fabio Taormina – Presidente
Fulvio Rocco – Consigliere
Antonella Manzione – Consigliere
Cecilia Altavista – Consigliere, Estensore
Francesco Guarracino – Consigliere
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