Consiglio di Stato, Sezione terza, Sentenza 12 ottobre 2020, n. 6102.
E’ illecita ed assoggettata a sanzione amministrativa l’attività di gestione di una struttura socio-assistenziale senza la preventiva autorizzazione, in virtù dei rilevanti valori in gioco e, in specie, della salute di degenti in condizione di particolare debolezza.
Sentenza 12 ottobre 2020, n. 6102
Data udienza 1 ottobre 2020
Tag – parola chiave: Assistenza sanitaria – RSA – Attività di gestione – Preventiva autorizzazione – Mancanza – Conseguenze
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Terza
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9588 del 2016, proposto dalla
Associazione Opera Sa. Ma. della Pa., in persona del legale rappresentante pro tempore, dott. Ca. Ra., rappresentata e difesa dall’avv. Fr. Ca., con domicilio digitale come da P.E.C. da Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso lo studio dello stesso, in Roma, viale (…)
contro
Azienda Sanitaria Locale n. 1 – Avezzano, Sulmona, L’Aquila, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Ma. Re., con domicilio digitale come da P.E.C. da Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso lo studio dell’avv. Ro. Co., in Roma, viale (…)
Regione Abruzzo, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato e domiciliata presso gli Uffici della stessa, in Roma, via (…)
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l’Abruzzo – L’Aquila, Sezione Prima, n. 392/2016 del 18 giugno 2016, resa tra le parti e notificata il 28 ottobre 2016, con cui è stato respinto il ricorso R.G. n. 399/2010, integrato da motivi aggiunti, presentato per l’annullamento della nota dell’A.S.L. n. 1 di Avezzano, Sulmona, L’Aquila, prot. n. 46279/2010 del 9 giugno 2010, pervenuta il 18 giugno 2010, recante comunicazione alla ricorrente del rigetto dell’istanza di riconoscimento della “medicalizzazione” relativamente alla R.S.A. di (omissis), e, con i motivi aggiunti, per l’annullamento del provvedimento della Regione Abruzzo – Direzione Sanità – Servizio Assistenza Distrettuale Riabilitativa e Medicina Sociale n. 27024/4/1491 dell’8 novembre 2007, mai comunicato, recante rigetto dell’istanza di “struttura medicalizzata” inoltrata dalla ricorrente in ordine alla R.S.A. di (omissis).
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Abruzzo e dell’Azienda Sanitaria Locale n. 1 – Avezzano, Sulmona, L’Aquila;
Viste le memorie della Regione Abruzzo e dell’A.S.L. n. 1;
Viste le brevi note d’udienza dell’A.S.L. n. 1;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 1° ottobre 2020 il Cons. Pietro De Berardinis e udito per le parti l’avv. Fr. Ca.;
Ritenuto e considerato in fatto ed in diritto quanto segue:
FATTO e DIRITTO
1. Con il ricorso in epigrafe l’Associazione Opera Sa. Ma. della Pa. (d’ora in poi anche solo “Opera”) ha proposto appello nei confronti della sentenza del T.A.R. Abruzzo – L’Aquila, Sez. I, n. 392/2016 del 18 giugno 2016, chiedendone la riforma.
1.1. Con la sentenza appellata il T.A.R. Abruzzo ha respinto il ricorso, integrato da motivi aggiunti, proposto dall’Opera nei confronti del provvedimento della Regione Abruzzo n. 27024/4/1491 dell’8 novembre 2007 – mai comunicatole – che ha rigettato la sua istanza di riconoscimento della R.S.A. di (omissis), gestita dall’Opera ricorrente, quale struttura “medicalizzata” (cioè che erogava prestazioni mediche ad alta intensità ) e nei confronti della nota dell’A.S.L. n. 1 – Avezzano, Sulmona, L’Aquila (d’ora in poi anche solo: A.S.L.) prot. n. 46279/2010 del 9 giugno 2010, con cui le è stato comunicato il rigetto della succitata istanza e le è stato chiesto il pagamento di Euro 740.490,92 a titolo di restituzione dell’aumento (corrisposto per errore) del 10% sul fatturato emesso dalla citata R.S.A. nei confronti dell’Azienda Sanitaria Locale.
1.2. In punto di fatto, la controversia origina dalla richiesta rivolta dall’A.S.L. n. 1 alla ricorrente di restituire la somma di Euro 790.490,92, quale importo corrispostole a suo tempo per le prestazioni rese dalla R.S.A. di (omissis) in virtù dell’applicazione – che l’Azienda assume erronea – dell’aumento del 10% sulle tariffe vigenti.
1.3. L’Opera ha replicato che la maggiorazione tariffaria del 10% derivava dall’accordo stipulato in data 24 maggio 2000 tra la stessa ricorrente e la U.S.L. n. 4 di L’Aquila, in ragione della capacità della R.S.A. di (omissis) di fornire assistenza medica continua e della “medicalizzazione” delle prestazioni garantite e offerte. L’aumento sarebbe stato accordato in ossequio alla deliberazione della Giunta Regionale (D.G.R.) n. 2502 del 24 novembre 1999, la quale aveva previsto il potere/dovere della A.S.L. di modificare gli importi delle diarie medie regionali in ragione delle particolari qualità assistenziali garantite dalla struttura convenzionata.
1.4. Avendo la A.S.L. contestato dal 2004 la spettanza dell’aumento e la possibilità che la R.S.A. di (omissis) fosse annoverata tra le strutture “medicalizzate”, fu svolta un’istruttoria su impulso della Regione e della stessa A.S.L., in esito alla quale – sostiene l’Opera – la predetta R.S.A. sarebbe stata riconosciuta come struttura avente i requisiti della “medicalizzazione”. Il tutto, nella prospettiva – afferma sempre l’Opera – di un atto ricognitivo, che riconoscesse lo stato di fatto esistente e quindi riconoscesse la R.S.A. di (omissis) come struttura “medicalizzata”, tenuto conto che la A.S.L. non solo chiedeva la restituzione della maggiorazione tariffaria del 10% già corrisposta, ma aveva altresì sospeso il pagamento di detta maggiorazione per i periodi successivi.
1.5. Tuttavia, con la nota del 9 giugno 2010 oggetto di impugnativa la A.S.L. comunicava all’Opera che la Regione aveva disconosciuto la sua istanza di riconoscimento della R.S.A. di (omissis) quale struttura “medicalizzata” – con il provvedimento dell’8 novembre 2007, che la ricorrente sostiene di non aver mai ricevuto e che ad ogni modo è stato anch’esso impugnato – ed insisteva nel chiedere la restituzione dell’aumento tariffario già corrisposto.
2. Questo essendo l’antefatto della controversia, l’adito Tribunale, dopo aver osservato che l’interesse dell’Opera ricorrente all’annullamento degli atti impugnati è strumentale al riconoscimento della maggiorazione tariffaria del 10% (la quale costituisce l’oggetto principale della controversia), e dopo avere disatteso le eccezioni di rito sollevate dalla A.S.L. (difetto di legittimazione passiva) e dalla Regione (tardività del ricorso), ha respinto il ricorso originario e i motivi aggiunti, in quanto infondati nel merito.
2.1. La sentenza appellata prende le mosse dalla fallacia delle premesse su cui l’Opera ricorrente ha basato le sue pretese e cioè che l’aumento tariffario del 10% le sarebbe dovuto in base all’accordo del 24 maggio 2000 e che la R.S.A. di (omissis) avrebbe avuto i requisiti per operare come struttura “medicalizzata” sin dal 2000.
2.2. In realtà – osserva la sentenza – dagli atti regionali (in specie: dalla D.G.R. n. 2502/1999, invocata dalla stessa ricorrente) si evince la qualificazione della R.S.A. di (omissis) quale struttura di livello “standard” e non quale struttura “medicalizzata”, cosicché ad essa spetta la tariffa “standard”, e non la maggiorazione tariffaria. Lo stesso accordo del 24 maggio 2000 ha fatto salvo il potere di revisione della maggiorazione tariffaria concessa, all’esito delle verifiche dei livelli assistenziali forniti, e ciò è quanto si è verificato nel caso in esame, in cui la A.S.L., verificato che la R.S.A. di (omissis) era autorizzata a svolgere prestazioni “standard”, le ha chiesto di restituire l’aumento tariffario che le era stato indebitamente corrisposto.
2.3. In merito, poi, alla pretesa della ricorrente che la R.S.A. di (omissis) fosse riconosciuta quale struttura “medicalizzata”, il T.A.R. sottolinea che detta R.S.A. non ha mai avuto l’autorizzazione ad operare come struttura “medicalizzata”, né ha mai ottenuto l’accreditamento in tal senso, avendo solo l’autorizzazione a svolgere l’attività di una struttura assistenziale “standard”. Il riferimento agli esiti dell’istruttoria del 2005 è inconferente, sia perché si tratta di fatti successivi all’accordo del 24 maggio 2000, sia perché la R.S.A. di (omissis), essendo autorizzata e accreditata quale struttura “standard”, non era abilitata all’esercizio dell’attività propria di una R.S.A. “medicalizzata”.
2.4. Dall’infondatezza delle censure di tipo sostanziale i giudici di prime cure ricavano l’infondatezza, altresì, di quelle formali – incentrate sull’omissione delle garanzie partecipative, poiché il diniego di riconoscimento della R.S.A. di (omissis) quale struttura “medicalizzata” sarebbe stato emesso senza consentire alla struttura di presentare osservazioni -, non potendo gli atti e provvedimenti impugnati avere un contenuto diverso da quello che in concreto hanno avuto.
3. Nell’atto di appello l’Opera contesta l’iter argomentativo e le conclusioni cui è pervenuto l’adito Tribunale, formulando i seguenti motivi:
a) carenza assoluta di motivazione su aspetti essenziali, errata valutazione dei presupposti di fatto e delle richieste formalizzate con il ricorso introduttivo, motivazione errata e solo apparente;
b) violazione degli artt. 7, 8 e 10-bis della l. n. 241/1990.
3.1. In specie, con il primo motivo l’appellante lamenta, anzitutto, che il T.A.R. avrebbe travisato le sue domande, le quali sarebbero state rivolte non già ad ottenere il riconoscimento del proprio diritto patrimoniale alla maggiorazione tariffaria del 10%, ma a censurare l’illegittimità degli atti di diniego del riconoscimento della R.S.A. di (omissis) quale struttura “medicalizzata” e, per questa ragione, ad ottenere l’annullamento di tali atti. La sentenza appellata sarebbe, dunque, erronea, perché non avrebbe sanzionato l’illegittimità del diniego, per essere stato questo adottato a fronte di un’istruttoria favorevole all’accoglimento dell’istanza di riconoscimento.
3.2. Con il secondo motivo la sentenza impugnata viene invece censurata per non avere essa accolto i motivi del ricorso di primo grado volti a far valere l’omissione delle garanzie partecipative a danno della ricorrente. L’Opera appellante lamenta, in specie, che illegittimamente non le è stato consentito di partecipare al procedimento per illustrare le proprie ragioni, che deponevano per il riconoscimento della R.S.A. di (omissis) quale struttura “medicalizzata”.
4. Si è costituita in giudizio la Regione Abruzzo, depositando di seguito memoria ed eccependo, in via preliminare, l’inammissibilità del secondo motivo di appello e nel merito l’integrale e manifesta infondatezza dell’appello stesso.
4.1. Si è altresì costituita in giudizio l’Azienda Sanitaria Locale n. 1 – Avezzano, Sulmona, L’Aquila, la quale ha anch’essa depositato memoria difensiva, con cui ha eccepito l’inammissibilità e comunque l’infondatezza dell’avversa impugnativa. L’A.S.L. ha depositato, altresì, brevi note d’udienza, nelle quali ha insistito per la reiezione dell’appello.
4.2. All’udienza pubblica del 1° ottobre 2020 la causa è stata trattenuta in decisione.
5. Si può prescindere dai rilievi di inammissibilità sollevati dalle parti appellate, essendo comunque l’appello nel suo complesso privo di fondamento nel merito.
5.1. Va anzitutto affermata l’infondatezza del primo motivo di appello, dovendosi condividere in toto le motivazioni con cui la sentenza impugnata ha respinto le censure di ordine sostanziale dedotte in primo grado dall’Opera.
5.2. Occorre premettere, al riguardo, che è destituita di fondamento la doglianza dell’appellante, per cui il T.A.R. avrebbe travisato le sue censure e le sue domande, con il ritenere che oggetto del ricorso fosse la pretesa (avente consistenza di diritto soggettivo patrimoniale) alla maggiorazione tariffaria, laddove invece la ricorrente avrebbe chiesto l’esercizio del sindacato di legittimità giurisdizionale sui provvedimenti (e in specie su quello regionale del 2007) con cui è stata respinta la sua richiesta di riconoscimento della R.S.A. di (omissis) quale struttura “medicalizzata”. In realtà, i giudici di prime cure hanno esattamente inteso la portata strumentale dell’azione di annullamento degli atti di diniego del suddetto riconoscimento, rispetto alla pretesa economica di non restituire l’aumento tariffario già corrisposto ed anzi di ottenerne il versamento pure per i periodi nei quali non è stato erogato. In ogni caso, la sentenza appellata ha affrontato specificamente la questione della presunta illegittimità degli atti di diniego di riconoscimento, rigettando le relative censure perché infondate nel merito, con una motivazione analitica e tutt’altro che apparente (come lamentato ingiustificatamente dall’appellante): motivazione, che va qui senz’altro condivisa.
5.3. In proposito è dirimente ad avviso del Collegio la circostanza, giustamente enfatizzata dal T.A.R. e non contestata dall’appellante, che la R.S.A. di (omissis) non ha mai ottenuto né l’autorizzazione, né l’accreditamento per operare quale struttura “medicalizzata”, tanto è vero che l’istruttoria del 2005 era volta all’emanazione di un atto puramente ricognitivo di una situazione asseritamente esistente in punto di mero fatto, e non certo di diritto. Si sarebbe trattato, cioè, non di un provvedimento positivo provvisto di effetti costitutivi “de futuro”, ma di una sorta di autorizzazione postuma avente valenza retroattiva, che, però, non convince, non potendosi sanare ora per allora una situazione illegittima, se non addirittura illecita, quale risulta essere la (presunta) erogazione sine titulo di prestazioni eccedenti lo “standard”.
6. Dalla puntuale ricostruzione dei fatti compiuta dalla Regione, supportata dalla documentazione in atti, si ottiene la conferma che la R.S.A. di (omissis) è sempre e solo stata autorizzata ad operare quale R.S.A. “standard”, tant’è vero che l’aggravio di spesa pubblica conseguente alla concessione, in mancanza del relativo titolo, della maggiorazione tariffaria ha comportato la trasmissione degli atti alla Corte dei conti.
6.1. La difesa della A.S.L., dal canto suo, ha richiamato l’indirizzo giurisprudenziale (T.A.R. Lecce, Sez. II, 20 ottobre 2015, n. 2982) secondo il quale è illecita ed assoggettata a sanzione amministrativa l’attività di gestione di una struttura socio-assistenziale senza la preventiva autorizzazione, in virtù dei rilevanti valori in gioco e, in specie, della salute di degenti in condizione di particolare debolezza. E tale richiamo appare senz’altro congruo, alla stregua della fondata e condivisibile argomentazione della sentenza impugnata, per cui “l’esercizio di ogni specifica attività per conto del servizio pubblico è subordinata al rilascio del provvedimento di autorizzazione e di accreditamento istituzionale (articolo 8-ter e 8-quater del D.Lgs. 30/12/1992, n. 502)”: dunque, la R.S.A., “in quanto autorizzata e accreditata come R.S.A. “standard” e non “medicalizzata” non era comunque abilitata all’esercizio dell’attività di residenza sanitaria assistenziale “medicalizzata” per conto del Servizio sanitario nazionale e a carico del Servizio sanitario nazionale”.
6.2. L’esigenza di un’autorizzazione che sia preventiva, del resto, si riconnette al dato normativo (art. 8-ter, comma 3, del d.lgs. n. 502/1992), per il quale l’autorizzazione per la realizzazione di strutture sanitarie e sociosanitarie è inserita nell’ambito della programmazione regionale, atteso che la verifica di compatibilità, da parte della Regione, è volta ad accertare l’armonico inserimento della struttura in un contesto di offerta sanitaria rispondente al fabbisogno complessivo e alla localizzazione territoriale delle strutture presenti in ambito regionale, anche al fine di garantire meglio l’accessibilità ai servizî e di valorizzare le aree di insediamento prioritario delle nuove strutture (C.d.S., Sez. III, 13 febbraio 2020, n. 1156). E ana discorso va fatto pure per l’accreditamento, poiché “in ambito sanitario la disciplina legislativa, e in particolare gli artt. 8 bis e 8 quater d.lgs. n. 502 del 1992, impone per l’accreditamento di una struttura privata, la previa verifica della capacità organizzativa e funzionale della struttura stessa” (C.d.S., Sez. III, 13 aprile 2016, n. 1469) e poiché “ai fini dell’accreditamento delle strutture sociosanitarie residenziali sia assistenziali sia riabilitative è necessario che siano garantite adeguate condizioni di organizzazione interna, con riferimento particolare alla dotazione quantitativa ed alla qualificazione professionale del personale effettivamente impiegato” (C.d.S., Sez. III, 22 maggio 2019, n. 3296).
6.3. In altre parole, delle due, l’una: o la menzionata R.S.A. di (omissis) non ha mai svolto attività “medicalizzata”, ed allora non ha alcun titolo né al riconoscimento della “medicalizzazione”, né alla corresponsione della connessa maggiorazione tariffaria; ovvero l’ha svolta sine titulo, incorrendo in un illecito, sanzionabile a livello (quantomeno) amministrativo, e senza che ciò la legittimi a coltivare pretese patrimoniali.
6.4. In contrario, non può invocarsi la clausola (art. 4) dell’accordo del 24 maggio 2000 – invero, di tenore non perspicuo -, secondo cui “In considerazione dell’ottima qualità della Struttura realizzata ed accreditata, la U.S.L. dell’Aquila intende avvalersi della facoltà, di cui al punto 2 delle premesse del più volte citato atto deliberativo n. 2502/99, di procedere a variazione della diaria media regionale, con un aumento del 10%, salvo revisione e verifica, in rapporto ai livelli assistenziali forniti, sulle tariffe appunto stabilite nella ripetuta deliberazione n. 2502/99”. Senonché, la sentenza appellata ha puntualmente messo in evidenza come la stessa D.G.R. n. 2502 del 24 novembre 1999 non abbia annoverato la R.S.A. di (omissis) né tra le strutture “medicalizzate”, né tra le strutture caratterizzate per il livello di eccellenza nell’assistenza e nella ricerca nel campo degli anziani e dei disabili, limitando l’attribuzione di tali caratteristiche alla sola struttura che, in base al Piano sanitario regionale 1999/2001, si prevedeva di realizzare a Penne (PE). Dunque, non era possibile valersi della D.G.R. n. 2502/1999 per acconsentire all’applicazione, nei confronti della R.S.A. di (omissis), di tariffe diverse da quelle “standard” previste nell’atto regionale.
6.5. Alla luce di tutto quanto si è visto, in definitiva, il motivo di appello ora analizzato risulta privo di fondamento.
7. Per quanto riguarda, poi, il secondo motivo, con cui si lamenta l’erroneità della sentenza appellata per non avere essa colto la violazione delle garanzie partecipative dell’Opera, osserva il Collegio che si tratta di doglianza parimenti infondata, poiché il T.A.R. ha fatto corretta applicazione della regola dettata dall’art. 21-octies, comma 2, della l. n. 241/1990.
8. In conclusione, l’appello è nel suo complesso infondato e da respingere, meritando la sentenza di primo grado di essere integralmente confermata.
8.1. Le spese del giudizio di appello seguono la soccombenza e vengono liquidate nella misura di cui al dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sezione Terza (III^), così definitivamente pronunciando sul ricorso in appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna l’appellante al pagamento in favore della Regione Abruzzo e dell’A.S.L. n. 1 – Avezzano, Sulmona, L’Aquila delle spese del giudizio di appello, che liquida in misura forfettaria in Euro 2.000,00 (duemila/00) per ciascuna delle citate controparti, per complessivi Euro 4.000,00 (quattromila/00), oltre accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 1° ottobre 2020, con l’intervento dei magistrati:
Marco Lipari – Presidente
Massimiliano Noccelli – Consigliere
Raffaello Sestini – Consigliere
Solveig Cogliani – Consigliere
Pietro De Berardinis – Consigliere, Estensore
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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