Corte di Cassazione, civile, Sentenza|13 febbraio 2023| n. 4303.
La domanda risarcitoria proposta nei confronti di soggetto minore di età quale autore del danno e contro il di lui genitore
Nell’ipotesi di domanda risarcitoria proposta rispettivamente ex art. 2043 c.c. nei confronti di soggetto minore di età quale autore del danno ed ex art. 2048 c.c. contro il di lui genitore, si ha una situazione di litisconsorzio facoltativo nella quale, pur nella unicità del fatto storico, permane l’autonomia dei rispettivi titoli, del rapporto giuridico e della “causa petendi”, con la conseguenza che le cause, per loro natura scindibili, restano distinte, con una propria individualità in relazione ai rispettivi legittimi contraddittori e con l’ulteriore conseguenza che la sentenza che le definisce – pur essendo formalmente unica – consta in realtà di tante pronunce quante sono le cause riunite, le quali conservano la loro autonomia anche in sede di impugnazione, sì da non poter produrre effetti preclusivi e limitativi, sul giudizio in corso, le pronunce non impugnate o altrimenti risolte sotto il profilo processuale.
Sentenza|13 febbraio 2023| n. 4303. La domanda risarcitoria proposta nei confronti di soggetto minore di età quale autore del danno e contro il di lui genitore
Data udienza 11 novembre 2022
Integrale
Tag/parola chiave: Risarcimento danni – Abbandono ed esplosione di ordigno – Azione di risarcimento nei confronti di minore autore del danno contro il di lui genitori – Litisconsorzio facoltativo – Principi – Illecito commesso da più persone – Graduazione delle colpe in caso di regresso – Impugnazione nei confronti del genitore di figlio divenuto maggiorenne nel corso del giudizio anche se l’evento non è stato notificato o dichiarato
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente
Dott. AMBROSI Irene – Consigliere
Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere
Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere
Dott. GORGONI Marilena – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 20551-2019 R.G. proposto da:
(OMISSIS) e (OMISSIS), rappresentati e difesi dall’avvocato (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS);
– ricorrenti –
contro
(OMISSIS) e (OMISSIS), anche nella qualita’ di eredi di (OMISSIS), rappresentati e difesi dall’avvocato (OMISSIS) (pec. (OMISSIS)) e dall’avvocato (OMISSIS) (pec. (OMISSIS));
– controricorrenti –
(OMISSIS) e (OMISSIS);
(OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS);
– intimati –
e da:
(OMISSIS) e (OMISSIS), rappresentati e difesi dall’avvocato (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS);
– ricorrenti incidentali –
contro
(OMISSIS) e (OMISSIS), anche nella qualita’ di eredi di (OMISSIS), rappresentati e difesi dallavvocato (OMISSIS) (pec (OMISSIS)) e dall’avvocato (OMISSIS) (pec (OMISSIS));
– controricorrenti –
e contro
(OMISSIS) e (OMISSIS);
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS);
– intimati –
E da:
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), rappresentati e difesi dall’avvocato (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS);
– ricorrenti incidentali –
contro
(OMISSIS) e (OMISSIS), anche nella qualita’ di eredi di (OMISSIS), rappresentati e difesi dall’avvocato (OMISSIS) (pec (OMISSIS)) e dall’avvocato (OMISSIS) (pec (OMISSIS));
– controricorrenti –
e contro
(OMISSIS) e (OMISSIS); (OMISSIS) e (OMISSIS);
– intimati –
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Potenza n. 172/2019, depositata in data 19.3.2019, notificata in data 26.4.2019;
lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del sostituto Procuratore Generale PEPE Alessandro, che ha chiesto: i) l’accoglimento del primo motivo, il rigetto del secondo e l’assorbimento dei restanti motivi del ricorso proposto da (OMISSIS) e da (OMISSIS); ii) il rigetto del ricorso di (OMISSIS) e di (OMISSIS); iii) l’accoglimento del primo motivo e l’assorbimento dei restanti motivi del ricorso proposto da (OMISSIS), da (OMISSIS) e da (OMISSIS);
udita la relazione svolta nella Camera di Consiglio dal Consigliere GORGONI MARILENA.
La domanda risarcitoria proposta nei confronti di soggetto minore di età quale autore del danno e contro il di lui genitore
FATTI DI CAUSA
La sera del (OMISSIS), in (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), tutti all’epoca minori d’eta’, collocarono, nei pressi della biblioteca comunale, dopo averne acceso la miccia, una bomba carta di notevole dimensione e di grande potenzialita’ lesiva che avevano costruito essi stessi, utilizzando e manomettendo circa centocinquanta petardi.
L’ordigno non esplose immediatamente, ma solo dopo essere stato raccolto da terra da (OMISSIS), anch’egli minorenne all’epoca del fatto.
L’esplosione della bomba carta nelle sue mani procuro’ a (OMISSIS) gravissime ed irreparabili lesioni: amputazione traumatica di entrambe le mani e della gamba sinistra, compromissione della funzionalita’ dell’arto inferiore destro, perdita di sostanze delle regioni glutee e ferite lacero contuse multiple in tutto il corpo.
Il Tribunale per i minorenni di Potenza, con le sentenze n. 107/1999 e n. 6/2000, accetto’, nel processo penale a loro carico, la grave responsabilita’ dei minori autori della fabbricazione e dell’abbandono in strada dell’ordigno, pur concedendo loro il perdono giudiziale.
(OMISSIS) e (OMISSIS), nell’esercizio della (allora) potesta’ genitoriale nei confronti del figlio minore (OMISSIS), convennero, dinanzi al Tribunale di Potenza, perche’ fossero condannati al risarcimento dei danni derivanti dall’esplosione dell’ordigno: a) (OMISSIS) e (OMISSIS), “in proprio e in rappresentanza del figlio minore” (OMISSIS); b) (OMISSIS) e (OMISSIS), “in proprio e in rappresentanza del figlio minore” (OMISSIS); c) (OMISSIS) e (OMISSIS), “in proprio e in rappresentanza del figlio minore” (OMISSIS); d) (OMISSIS) e (OMISSIS), “in proprio e quali genitori esercenti la potesta’ genitoriale sul minore” (OMISSIS); e) (OMISSIS), divenuto maggiorenne.
Il Tribunale di Potenza, con sentenza n. 799/2014, dichiarata la contumacia di (OMISSIS) e di (OMISSIS), accolse la domanda attorea e condanno’ (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), in solido e “nella qualita’ indicata”, a pagare, a titolo risarcitorio, la somma di Euro 1.549.371,00, oltre agli interessi legali, ritenendo dimostrato che (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) – nei confronti degli ultimi tre, divenuti maggiorenni nelle more del giudizio, quest’ultimo era stato riassunto dagli attori, dopo essere stato interrotto, ai sensi degli articoli 299 e 300 c.p.c., – avevano posto in essere un fatto illecito ed un’attivita’ pericolosa che avevano cagionato il grave evento dannoso.
(OMISSIS) e (OMISSIS) e (OMISSIS) impugnarono la suddetta decisione, adducendo che (OMISSIS) aveva partecipato al confezionamento della bomba carta, ma non al collocamento della stessa in strada, e che il nesso causale tra l’illecito e l’evento dannoso avrebbe dovuto considerarsi interrotto dalla condotta della vittima, la quale volontariamente si sarebbe esposta a pericolo.
Anche (OMISSIS) e (OMISSIS), in proprio, interposero appello, lamentando che il Tribunale non avesse considerato che: i) i minori si erano attivati prontamente per tentare di spegnere l’ordigno; ii) (OMISSIS) era affetto da ritardo mentale; iii) la condizione psichica di (OMISSIS) era tale da indurre a ravvisare una responsabilita’ per omessa vigilanza in capo ai suoi genitori; iv) il comportamento spericolato e sconsiderato di (OMISSIS) nel maneggiare il petardo aveva interrotto il nesso di causa; v) non vi era alcun riscontro in atti circa il fatto che il loro figlio avesse incitato (OMISSIS) a prendere in mano l’ordigno. In aggiunta, contestarono la quantificazione dei danni.
(OMISSIS) e (OMISSIS) impugnarono, a loro volta, la sentenza di prime cure, cui rimproveravano di non tenuto in conto il comportamento sconsiderato di (OMISSIS), ne’ in relazione all’eventuale interruzione del nesso causale ne’ per accertare la sussistenza di un concorso di colpa, ai fini della determinazione del quantum debeatur: quantum da cui dissentivano anche in relazione all’applicazione delle tabelle di Milano.
(OMISSIS) e (OMISSIS) nonche’ (OMISSIS) in proprio – quest’ultimo, pero’, esclusivamente nel giudizio di appello promosso da (OMISSIS) e da (OMISSIS) ed in quello attivato da (OMISSIS) e (OMISSIS) eccepirono l’inammissibilita’ e l’infondatezza degli appelli.
La Corte d’Appello di Potenza, con la sentenza n. 172/2019, riuniti gli appelli, ha ritenuto inammissibile quello proposto da (OMISSIS), da (OMISSIS) e da (OMISSIS), perche’ non notificato a (OMISSIS), divenuto maggiorenne nel corso del giudizio di primo grado; ha giudicato inammissibile anche l’appello proposto da (OMISSIS) e da (OMISSIS), perche’ tardivo; ha accolto parzialmente l’appello proposto da (OMISSIS) e da (OMISSIS), riducendo, per l’effetto, la condanna risarcitoria ad Euro 1.268.271,50.
La sentenza, oggi impugnata, ha affermato che:
i) le circostanze addotte dagli appellanti a sostegno del rigetto della domanda risarcitoria non risultavano dimostrate e comunque non erano tali interrompere il nesso causale tra evento e danno ne’ da sminuire il grado di colpa degli autori dell’illecito, perche’ la possibilita’ che l’ordigno non esplodesse al primo tentativo e che altre persone, tra quelle presenti nei pressi della biblioteca comunale, si imbattessero nella bomba rientrava nella serie causale possibile ed adeguata degli eventi;
ii) il lieve ritardo mentale di (OMISSIS), a prescindere dal se preesistesse al fatto traumatico, confermava, anziche’ escluderla, la pericolosita’ intrinseca della scelta di collocare la bomba carta in una zona aperta al pubblico transito ed in un giorno di festa;
iii) gli autori del fatto illecito non avevano affatto adottato misure idonee ad evitare il danno – ad esempio, scegliendo di collocare l’ordigno, comunque colposamente costruito, in zona privata e interdetta all’accesso di terzi, adoperandosi per renderlo innocuo, rivolgendosi, a tale scopo, preferibilmente ad adulti e/o alle forze dell’ordine, dissuadendo efficacemente (OMISSIS) dall’avvicinarsi ad esso – ed anzi lo avevano aggravato, a nulla rilevando le ragioni per cui si erano allontanati dall’ordigno – se per paura che esplodesse o. se per cercare acqua per spegnere la miccia, allo scopo di rendere innocua la bomba carta;
iv) a prescindere dal se e da chi avesse incitato (OMISSIS) a prendere in mano la bomba, nessuno dei quattro ragazzi aveva evitato che (OMISSIS) o chiunque altro la potesse raccogliere da terra;
v) lo sviluppo causale dei fatti era ben prevedibile e la raccolta dell’ordigno da parte della vittima non aveva assunto i requisiti del caso fortuito, mancando l’eccezionalita’ e l’oggettiva imprevedibilita’ in quello specifico contesto.
Quanto alla condanna risarcitoria, ha applicato le tabelle di Milano del 2008, in considerazione dell’eta’ di (OMISSIS) all’epoca dei fatti (17 anni), dell’invalidita’ permanente dal medesimo riportata (90%), e, tenuto conto della gravita’ delle conseguenze dell’illecito, ha applicato il massimo aumento per la personalizzazione.
(OMISSIS) e (OMISSIS) ricorrono per la cassazione della decisione n. 172/2019 della Corte d’Appello di Potenza, articolando otto motivi, che illustrano con memoria.
(OMISSIS) e (OMISSIS) propongono ricorso che, in quanto successivo, va considerato incidentale, basato su sei motivi, corredati di memoria.
(OMISSIS) e (OMISSIS) e (OMISSIS) propongono ricorso anch’esso incidentale, perche’ successivo, fondato su cinque motivi, ribaditi con memoria. Con memoria depositata in vista dell’odierna Pubblica Udienza, i ricorrenti danno atto del decesso del proprio precedente rappresentante in giudizio e dichiarano di avere conferito procura speciale (allegata alla memoria) all’avvocato (OMISSIS).
(OMISSIS) e (OMISSIS), nella qualita’ indicata, resistono con controricorso sia al ricorso principale sia ai due ricorsi incidentali.
Con ordinanza interlocutoria n. 33654/2021, ritenuto che la decisione del ricorso principale e dei ricorsi incidentali implicasse la disamina di questioni di diritto di particolare rilevanza, in ordine all’integrita’ del contraddittorio nelle fasi di merito, e conseguentemente nella fase di legittimita’, questa Corte ne rinviava la trattazione alla Pubblica Udienza.
Per la decisione dei presenti ricorsi, fissati per la trattazione odierna in pubblica udienza, questa Corte ha proceduto in Camera di consiglio, senza l’intervento del Procuratore Generale e dei difensori delle parti, ai sensi del Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, articolo 23, comma 8-bis, convertito in L. 18 dicembre 2020, n. 176, non avendo alcuna delle parti ne’ il Procuratore Generale fatto richiesta di trattazione orale.
Il Pubblico Ministero, in persona del sostituto Procuratore Generale Pepe Alessandro, nelle sue conclusioni scritte, ha chiesto: i) l’accoglimento del primo motivo, il rigetto del secondo e l’assorbimento dei restanti motivi del ricorso proposto da (OMISSIS) e da (OMISSIS); ii) il rigetto del ricorso di (OMISSIS) e di (OMISSIS); iii) l’accoglimento del primo motivo e l’assorbimento dei restanti motivi del ricorso proposto da (OMISSIS), da (OMISSIS) e da (OMISSIS).
La domanda risarcitoria proposta nei confronti di soggetto minore di età quale autore del danno e contro il di lui genitore
RAGIONI DELLA DECISIONE
RICORSO PRINCIPALE DI (OMISSIS) E (OMISSIS).
1) Con il primo motivo i ricorrenti deducono la violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 331 c.p.c. in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4.
La sentenza impugnata ha affermato che, in conseguenza della scindibilita’ delle cause, la sentenza di primo grado era passata in giudicato sia nei confronti di (OMISSIS), di (OMISSIS) e di (OMISSIS), sia nei confronti di (OMISSIS) e di (OMISSIS) (il riferimento corretto e’ a (OMISSIS)), rappresentati in primo grado dai genitori, ma divenuti nel frattempo maggiorenni, che non avevano impugnato personalmente la sentenza, pur recante condanna in solido nei loro confronti, in quanto impugnata espressamente dai loro genitori in proprio.
Secondo i ricorrenti, il procedimento e la sentenza dovrebbero essere dichiarati nulli, per non avere il giudice a quo ordinato la integrazione del contraddittorio nei confronti di (OMISSIS), loro figlio, che aveva partecipato alla precedente fase del giudizio e che era stato destinatario della statuizione di condanna.
A differenza di quanto affermato dalla sentenza impugnata, le cause avrebbero dovuto considerarsi inscindibili o quanto meno dipendenti, ai fini e per gli effetti di cui all’articolo 331 c.p.c., perche’:
i) sin dall’atto di citazione era stato chiesto l’accertamento della responsabilita’ dei minori e dei loro genitori e la responsabilita’ dei genitori non poteva che presupporre, dal punto di vista logico, l’accertamento della responsabilita’ dei minori; i ricorrenti ne traggono la conseguenza che, stando alla giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 3338/2009), i giudici di secondo grado abbiano erroneamente considerato scindibili le cause, perche’, invece, quando, fin dalla proposizione della domanda, come in questo caso, o nell’ambito del giudizio concluso con la sentenza impugnata, l’attore abbia chiesto l’accertamento unitario dell’obbligazione solidale di tutti i coobbligati o se alcuno dei coobbligati abbia chiesto tale accertamento o ancora se alcuno dei coobbligati, in ragione dei rapporti esistenti con gli altri, abbia svolto domanda di regresso o di manleva oppure se uno dei convenuti, asseritamente coobbligati, sostenga che solo gli altri debbano rispondere ed abbia svolto domanda in tal senso, le cause sono inscindibili;
ii) tutti i genitori convenuti avevano svolto eccezioni e contestazioni comuni in ordine alla fondatezza della domanda nei confronti del figlio minore rappresentato;
iii) l’accertamento della responsabilita’ dei genitori presupponeva necessariamente quello della responsabilita’ dei minori (Cass. 20860/2018);
iv) comunque, ricorreva un’ipotesi di litisconsorzio processuale necessario.
1.1) Non possono condividersi ne’ le argomentazioni difensive dei ricorrenti (riportate in sintesi supra alle lettere i), ii) e iii)) ne’ le conclusioni del Pubblico Ministero, perche’ esse muovono dalla premessa, non condivisibile, che l’accertamento della responsabilita’ dei genitori, ex articolo 2048 c.c., comma 2, per sua natura presupponga l’accertamento della responsabilita’ del minore e che vi sia dunque un rapporto di subordinazione logica o di pregiudizialita’ tra la domanda contro i genitori e quella contro i figli, con conseguente imposizione del litisconsorzio necessario.
Va, innanzitutto, richiamato il seguente principio di diritto, da cui il Collegio non ritiene siano emerse ragioni per discostarsi: “Nell’ipotesi di domanda risarcitoria proposta rispettivamente ex articolo 2043 c.c., nei confronti di soggetto minore di eta’ quale autore del danno ed ex articolo 2048 c.c., contro il di lui genitore, si ha una situazione di litisconsorzio facoltativo nella quale, pur nella unicita’ del fatto storico, permane l’autonomia dei rispettivi titoli, del rapporto giuridico e della causa petendi, con la conseguenza che le cause, per loro natura scindibili, restano distinte, con una propria individualita’ in relazione ai rispettivi legittimi contraddittori, e con l’ulteriore conseguenza che la sentenza che le definisce pur essendo formalmente unica – consta in realta’ di tante pronunce quante sono le cause riunite, le quali conservano la loro autonomia anche in sede di impugnazione, si’ da non poter produrre effetti preclusivi e limitativi le pronunce non impugnate o altrimenti risolte sotto il profilo processuale” (Cass. 28/02/1983, n. 1512; il principio e’ stato poi ribadito da Cass. 05/06/1996, n. 5268; Cass. 20/10/2005, n. 20322).
La domanda risarcitoria nei confronti dei genitori ex articolo 2048 c.c., non e’, dunque, in rapporto ne’ di subordinazione logica ne’ di pregiudizialita’ con la domanda contro i figli minori; i relativi rapporti processuali sono scindibili e danno luogo a rapporti giuridici distinti.
Piu’ precisamente, la giurisprudenza prevalente ritiene che: i) la fattispecie di cui all’articolo 2048 c.c. sia riconducibile ad una ipotesi di responsabilita’ “diretta”, ove diretta significa responsabilita’ per fatto proprio, consistente nella specie nel non avere, con idoneo comportamento, impedito il fatto dannoso, ed e’ fondata sulla colpa dei soggetti indicati come responsabili (Cass. 20322/05, cit.; Cass. 21/09/2000, n. 12501; Cass. 9/10/1997, n. 9815); ii) la responsabilita’ dei genitori “concorra” con quella del minore (Cass. 26/06/2001, n. 8740; Cass. 03/03/1995, n. 2463), con la conseguenza, sul piano processuale, che l’azione ex articolo 2048 c.c., puo’ essere proposta autonomamente rispetto a quella ex articolo 2043 c.c., oppure essere proposta nello stesso processo senza dar luogo ad un litisconsorzio necessario, con tutte le implicazioni che ne derivano, anche in sede di impugnazione, in ordine alla scindibilita’ delle cause, e senza che la sentenza emessa a seguito di un giudizio cui non abbia partecipato il minore sia affetta da nullita’ (Cass. 05/12/1974, n. 4027).
Nella sostanza, che il fatto illecito del minore sia elemento costitutivo della responsabilita’ dei genitori ex articolo 2048 c.c. e che, quindi, i genitori abbiano tutto l’interesse a dimostrare la non, ricorrenza del fatto illecito del loro figlio minore, non implica che detto interesse debba tutelarsi imprescindibilmente attraverso una fattispecie di litisconsorzio necessario.
La declaratoria di responsabilita’, ai sensi del citato articolo 2048 c.c., comma 1, ha come prerequisito l’accadimento di un evento dannoso addebitale a minori imputabili, che dello stesso si siano resi autori per effetto del comportamento colpevole tenuto dai soggetti ivi elencati. Pertanto, e’ vero che nulla e’ esigibile nei riguardi di questi ultimi qualora non emergano responsabilita’ a carico dei minori, ma, atteso che quella dei genitori e’ una responsabilita’ diretta e non per fatto altrui, l’attribuzione colposa a loro carico trova nell’illecito dei minori sfuggiti al loro controllo un antecedente fattuale della loro citazione e della loro responsabilita’, dalla quale possono andare esenti se offrano la prova liberatoria (cfr. Cass. 24/05/1994, n. 5063, la quale ha ritenuto i genitori non responsabili dei danni cagionati dall’incendio appiccato da loro figlio infradiciottenne, perche’ le prove assunte avevano dimostrato che i genitori avevano impartito una retta educazione al loro figlio e che avevano esercitato la prescritta vigilanza sullo stesso).
L’illecito dei minori e’ da considerarsi “questione pregiudiziale”, ma non anche “causa pregiudiziale” rispetto alla responsabilita’ dei genitori, perche’ la responsabilita’ dei minori costituisce oggetto di un accertamento in via incidentale nelle cause proposte contro i genitori in proprio quali titolari della responsabilita’ genitoriale nei confronti dei figli infradiciottenni, ma non assume rilievo necessario destinato a proiettare le sue conseguenze giuridiche, oltre il rapporto controverso, su altri rapporti, al di fuori della causa, con la formazione della cosa giudicata a tutela di un interesse giuridico concreto, che trascende quello inerente alla soluzione della controversia nel cui ambito la questione e’ stata sollevata (cfr. sulla differenza tra questione pregiudiziale e causa pregiudiziale Cass. 08/08/2022, n. 24427).
La domanda risarcitoria proposta contro i genitori in proprio e quali rappresentanti legali dei figli minori ha reso allora le cause connesse, ma non inscindibili.
Non puo’ negarsi che il presupposto della responsabilita’ ex articolo 2048 c.c., sia il fatto illecito del minore – espressione generica che comprende non solo la responsabilita’ del minore ex articolo 2043 c.c., ma anche le fattispecie di danno cagionato dal minore nell’esercizio di un’attivita’ pericolosa (articolo 2050 c.c.), o, ancora, quale custode della cosa o dell’animale da cui siano sprigionati i danni (articoli 2051 e 2052 c.c.), ovvero proprietario o conducente di un veicolo a motore (articolo 2054 c.c.) – ma cio’ non significa che la causa nei confronti dei genitori e quella nei confronti dei figli siano tra loro dipendenti o che le distinte posizioni dei coobbligati presentino obiettiva interrelazione, alla stregua della loro strutturale subordinazione anche sul piano del diritto sostanziale, sicche’ la responsabilita’ dell’uno presupponga la responsabilita’ dell’altro (cfr. Cass. 21/08/2018, n. 20860, richiamata anche dal Pubblico Ministero, sui presupposti affinche’ si affermi la inscindibilita’ delle cause).
Se la premessa da cui muovere e’, dunque, quella che la responsabilita’ dei genitori concorre con la responsabilita’ dei loro figli minori, non vi e’ ragione per derogare al principio di carattere generale secondo cui l’esistenza di un vincolo di solidarieta’ passiva, ai sensi dell’articolo 2055 c.c., tra piu’ convenuti in un giudizio di risarcimento dei danni non genera mai litisconsorzio necessario, avendo il creditore titolo per valersi per l’intero nei confronti di ogni debitore, con conseguente possibilita’ di scissione del rapporto processuale che puo’ utilmente svolgersi anche nei confronti di uno solo dei coobbligati, per cui non e’ configurabile, sul piano processuale, l’inscindibilita’ delle cause in appello neppure nell’ipotesi in cui i convenuti si siano difesi in primo grado addossandosi reciprocamente la responsabilita’ esclusiva del fatto produttivo di danno (Cass. 11/02/2009, n. 3338 e successiva giurisprudenza conforme).
1.2) Va, in aggiunta, richiamata la seguente giurisprudenza che si e’ occupata specificamente delle implicazioni, sotto il profilo processuale, derivanti dalla natura scindibile delle cause che riguardano genitori convenuti, in proprio, ex articolo 2048 c.c., e in rappresentanza dei figli minori, imputabili ex articolo 2043 e ss. c.c.:
– Cass. 21/09/2000, n. 12501 e Cass. 24/11/1992, n. 12524 hanno affermato che, nell’ipotesi di mancata interruzione del processo di prime cure per il raggiungimento della maggiore eta’ di una delle parti, solo il minore e non anche il genitore ha titolo in appello di dolersi della mancata interruzione del processo nei suoi confronti, perche’ la interruzione del processo e’ preordinata dalla legge a tutela della parte interessata da determinati eventi e, quindi, non sono legittimate a dolersi della omessa interruzione del processo le altre parti, onde la mancata interruzione non puo’ essere ne’ rilevata d’ufficio dal giudice, ne’ essere eccepita da altra parte “proprio in ragione della natura scindibile delle cause”;
– Cass. 24/11/1992, n. 12524 si e’ occupata di una questione analoga a quella per cui e’ causa: il genitore di un minore divenuto maggiorenne nel corso del giudizio di primo grado – nel quale il genitore era stato convenuto in giudizio, in proprio e quale titolare della potesta’ dei confronti del figlio minore cui era imputata la responsabilita’ ai sensi dell’articolo 2054 c.c., – lamentava la pretermessa integrazione del litisconsorzio necessario nei confronti del figlio; la sentenza ha ricordato il costante indirizzo di questa Corte che ritiene che la domanda di risarcimento del danno addebitato a piu’ persone contestualmente convenute in giudizio non da’ luogo ad una causa inscindibile con pluralita’ di parti in veste di litisconsorti necessari, bensi’ ad una mera connessione di cause distinte con litisconsorzio passivo facoltativo, ed ha precisato che la sentenza di primo grado, qualora sia impugnata da ovvero nei confronti di uno solo dei suddetti convenuti, passa in giudicato nei confronti dell’altro o degli altri e non puo’, a questo riguardo, essere modificata dal giudice di appello.
In tale prospettiva, ha riconosciuto la ricorrenza di una situazione di litisconsorzio passivo facoltativo, atteso che, pur nell’unicita’ del fatto storico, permaneva l’autonomia delle rispettive posizioni dei convenuti e vieppiu’ la distinzione dei correlativi titoli (causa petendi) con la conseguenza che le cause, per loro natura scindibili, sono rimaste distinte con una propria individualita’ in relazione ai rispettivi contraddittori e con l’ulteriore corollario che la sentenza che le definiva pur formalmente unica – constava in realta’ di tante pronunce quante erano quelle cause che conservavano la loro autonomia anche in sede di impugnazione, senza che le eventuali nullita’ attinenti ad una di esse potessero ripercuotersi sulla decisione delle altre.
1.3) Deve escludersi altresi’ che nel caso di specie meritasse tutela il principio dell'”univocita’ del giudicato in ordine alla stessa materia e nei confronti di quei soggetti che siano stati parti del giudizio”, con conseguente necessita’ che al giudizio di appello partecipassero tutte le parti del giudizio di prime cure, proprio al fine di evitare giudicati contrastanti (cfr., ad es., Cass. 29/03/2019, n. 8790), pena non l’inammissibilita’ dell’appello (non proposto da o nei confronti di tutti coloro che hanno partecipato al giudizio di prime cure) e il passaggio in giudicato della sentenza dei primi giudici nei confronti di coloro che non l’avessero impugnata, ma la ricorrenza dell’obbligo per il giudice di appello di disporre l’integrazione del contraddittorio. Non avendo il giudice d’appello provveduto a disporre l’integrazione del contraddittorio, questa Corte dovrebbe, al fine di garantire l’univocita’ del giudicato, dichiarare la nullita’ della sentenza di secondo grado, emessa a contraddittorio non integro, e rimettere le parti al giudice di secondo grado perche’, previa integrazione del contraddittorio nei confronti delle parti pretermesse nella precedente fase, proceda ad un nuovo esame della controversia” (Cass. 10/09/2021, n. 24437).
1.3.1) A parere del Collegio a tanto non deve provvedersi.
Le ragioni che presiedono all’osservanza della norma processuale sono a tutela dei principi di ordine generale sul giudicato e sulla sua formazione e di coloro che, dopo aver partecipato in primo grado al giudizio nel concreto atteggiarsi del rapporto dedotto in lite, in quanto non chiamati nel giudizio di appello, si trovino ad essere pregiudicati nelle loro posizioni di contro ai principi di concentrazione ed utile svolgimento del giudizio.
Ma siffatto interesse risulta meritevole di tutela solo la’ dove le parti che facciano valere la non integrita’ del contraddittorio restino svantaggiate dalla mancata partecipazione del terzo pretermesso nel loro interesse sostanziale o nella loro pretesa al bene della vita coltivato in giudizio.
Cio’ non avviene invece:
1) la’ dove quanto ottenibile in giudizio dalla parte, all’esito della reclamata partecipazione di quel terzo, non possa essere una pronuncia di merito a se’ favorevole. In materia di litisconsorzio processuale c.d. necessario, l’interesse che la parte puo’ far valere rispetto al terzo che abbia partecipato al giudizio di primo grado e non sia stato chiamato dal giudice di appello ad integrare il contraddittorio e’ quello all’ottenimento di una pronuncia di merito favorevole, perche’ a) la ratio delle norme dettate in tema di esatta individuazione del soggetto processuale, destinato ad assumere la veste di parte nel giudizio, e’ quella di garantire al medesimo la conoscenza (o la conoscibilita’) della potenziale instaurazione di un giudizio a suo carico; b) alla luce del c.d. giusto processo, e’ da ritenersi superata una visione formalistica del contraddittorio, sicche’ si deve intervenire su di esso con la prospettiva di assicurare, avanti al giudice, che esso si svolga tra le parti che effettivamente dimostrino di avervi interesse;
2) quando le cause non siano inscindibili o dipendenti l’una dall’altra, perche’ in tal caso trova applicazione l’articolo 332 c.p.c., e le pronunce sulle domande cumulate non impugnate nei termini di cui agli articoli 325 e 326 c.p.c., divengono irrevocabili, non rilevando, in senso contrario, l’eventualita’ che la prosecuzione del giudizio di gravame porti ad un esito favorevole, potenzialmente idoneo a riflettersi anche nella sfera giuridica di coloro che non hanno avanzato appello (cfr. Cass. 27/10/2022, n. 31827; Cass. 24/12/2021, n. 41490).
1.4) Per le ragioni passate in rassegna non sono pertinenti le pronunce di questa Corte, la cui applicazione e’ invocata dai ricorrenti: Cass. n. 3338/2019 e Cass. n. 20860/2018 non possono trovare applicazione perche’ sono fondate sulla premessa – che fa difetto nel caso di specie – della subordinazione logica o della pregiudizialita’ tre le cause nei confronti di ciascuno dei condebitori solidali, in relazione al contenuto delle censure proposte e all’esito della lite; Cass. n. 16669/2012, Cass. n. 14829/2016 e Cass. n. 20313/2019 – richiamate nella memoria dei ricorrenti – si erano occupate di ipotesi in cui il fideiussore aveva sollevato questioni attinenti al rapporto tra creditore e debitore principale, per cui, data la natura accessoria dell’obbligazione fideiussoria, rispetto all’obbligazione principale, questa Corte aveva ritenuto che tanto il debitore quanto il fideiussore dovessero prendere parte al giudizio di appello e che l’acquiescenza dell’uno o dell’altro non determinasse il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado nei confronti del fideiussore pretermesso.
1.5) Il motivo non merita; dunque, accoglimento.
2) Con il secondo motivo i ricorrenti imputano alla sentenza d’appello “Violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 331 c.p.c. in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4: mancata integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti gli altri coobbligati; nullita’ del procedimento e della sentenza che lo ha definito”.
La tesi rappresentata e’ che il litisconsorzio sia divenuto processualmente necessario, nel senso che il rapporto processuale, pur essendo, al momento della introduzione del giudizio, facoltativo, una volta instaurato abbia dato luogo ad un litisconsorzio processuale, divenuto necessario nel grado successivo, essendo stato chiesto l’accertamento non solo della responsabilita’ dei minori, ma anche di quella, dei loro genitori.
2.1) Il motivo e’ infondato.
Deriva, infatti, da quanto precede (supra, soprattutto § 1.3.1-1.3.4), a parere di questo Collegio:
i) da un lato, che si deroga al riferito principio (della insussistenza di un rapporto di inscindibilita’ di cause, in presenza di fatto illecito addebitabile a piu’ persone) esclusivamente nell’eventualita’ che la disputa tra i convenuti in ordine all’individuazione del responsabile dia origine ad un’altra causa, che puo’ prospettarsi come dipendente da quella introdotta dall’attore soltanto quando sia stata introdotta, da uno dei convenuti nei confronti degli altri, una domanda intesa ad accertare la responsabilita’ esclusiva di costoro, ovvero, presupponendo la corresponsabilita’ affermata dall’attore, intesa all’azione in via di regresso (Cass. 11/04/2000 n. 4602);
ii) dall’altro, che in tema di fatto illecito imputabile a piu’ persone, la questione della gravita’ delle rispettive colpe e dell’entita’ delle conseguenze che ne sono derivate puo’ essere oggetto di esame da parte del giudice del merito, adito dal danneggiato, solo se uno dei condebitori abbia esercitato l’azione di regresso nei confronti degli altri o, in vista del regresso, abbia chiesto espressamente tale accertamento in funzione della ripartizione interna del peso del risarcimento con i corresponsabili, senza che tale domanda possa ricavarsi dalle eccezioni con cui esso condebitore abbia escluso la sua responsabilita’ nel diverso rapporto con il danneggiato (Cass. 12/12/2001 n. 15687; Cass. 05/10/2004, n. 19934; Cass. 06/04/2006, n. 8105; Cass. 29/04/2006, n. 10042 e successiva giurisprudenza conforme).
Tanto non risulta essere avvenuto nel caso di specie.
3) Con il terzo motivo i ricorrenti lamentano, invocando l’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’articolo 2050 c.c.: inesistenza e/o mancato accertamento di un esercizio di attivita’ pericolosa.
L’errore della Corte territoriale consisterebbe non solo nell’aver sussunto la fattispecie contemporaneamente nell’articolo 2043 e nell’articolo 2050 c.c., ma anche nell’aver applicato, sia in ordine alla distribuzione dell’onere della prova, sia in ordine all’esonero da responsabilita’, l’articolo 2050 c.c., malgrado la carenza del presupposto dell’esercizio di un’attivita’ pericolosa.
3.1) Il motivo non puo’ accogliersi.
Il riferimento all’articolo 2050 c.c. e’ contenuto nella affermazione della Corte secondo cui, confezionando artigianalmente la bomba carta, i quattro ragazzi avevano “posto in essere un fatto illecito gravemente colposo, che peraltro costituisce anche attivita’ pericolosa, che ha cagionato un grave evento dannoso e che essi ed i rispettivi genitori in solido devono pertanto rispondere dei relativi danni, ai sensi e per gli effetti degli articoli 2043 e 2050 c.c., 2048 c.c.” (p. 7 della sentenza).
La ricorrenza di un’attivita’ pericolosa non ha costituito una ratio decidendi, ma un’affermazione resa ad abundantiam, verosimilmente utilizzata solo allo scopo di ammantare di particolare colpevolezza il fatto illecito messo in atto dai quattro ragazzi, data la pericolosita’ intrinseca derivante dal confezionamento di un oggetto esplodente, ma non ha avuto effetti sulla decisione, contrariamente a quanto opinato dai ricorrenti, ne’ quanto al criterio dell’imputazione della responsabilita’ – che e’ pacificamente stato individuato nella colpa – ne’ in ordine alla distribuzione dell’onere della prova, tantomeno relativamente al contenuto della prova liberatoria.
4) Con il quarto motivo i ricorrenti imputano alla sentenza gravata, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’articolo 2043 e/o dell’articolo 2050 c.c., degli articoli 40 e 41 c.p., l’inesistenza e/o mancato accertamento delle cause dello scoppio.
La tesi sostenuta e’ che i giudici di merito siano stati animati da un intento sanzionatorio, omettendo di dare rilievo alla misura ed alle modalita’ della partecipazione di ciascuno dei quattro minori nel confezionamento della bomba carta, nel suo posizionamento nei pressi della biblioteca comunale e nella relativa accensione, non considerando il fatto che la bomba non era esplosa, se non dopo che la vittima, consapevole del rischio, le si era avvicinato e l’aveva presa in mano: nella sostanza la sentenza impugnata non avrebbe accertato la causa dello scoppio, quindi, il nesso di derivazione causale dello scoppio dallo svolgimento delle attivita’ pericolose dei quattro minori.
4.1) Il motivo e’ inammissibile.
Le censure mosse alla sentenza impugnata tendono ad ottenere una diversa valutazione dei fatti di causa che hanno indotto la Corte d’appello a giudicare dimostrata la ricorrenza di un fatto illecito gravemente colposo, perche’ era stato accertato che i quattro ragazzi avevano costruito l’ordigno rudimentale, lo avevano lasciato incustodito, dopo averlo innescato (si erano tutti allontanati dalla bomba: non importa- precisa la Corte – se per mettersi in salvo o se per provare a spegnere la miccia) in una zona affollata, in una giornata di festa, quindi avevano colposamente omesso di adottare ogni precauzione possibile per evitare il rischio che esplodesse, pur dovendosi rappresentare la prevedibilita’ che chiunque lo raccogliesse e/o che comunque esplodesse.
5) Con il quinto motivo i ricorrenti lamentano la violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 2043 e dell’articolo 2050 c.c., degli articoli 40 e 41 c.p., ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’inesistenza e/o mancato accertamento delle cause concorrenti e/o esclusive del fatto dannoso.
La sentenza impugnata avrebbe dovuto accertare se il comportamento della vittima, la sola tra le persone presenti ad essersi avvicinata all’ordigno e ad averlo preso in esame, fosse stato una causa concorrente o addirittura esclusiva dell’evento di danno, incorrendo nella violazione dell’articolo 41 c.p..
5.1) Anche con questo motivo si sollecita un diverso accertamento fattuale che non puo’ accordarsi. La Corte territoriale ha inequivocabilmente preso in considerazione il comportamento della vittima, ribadendo che il fatto che (OMISSIS) avesse preso in mano l’oggetto inesploso e/o che lo avesse maneggiato circostanza, peraltro, sprovvista di prova – non aveva interrotto il nesso causale, ponendosi come causa esclusiva dell’evento di danno (p. 8 della sentenza) e che i quattro ragazzi avevano realizzato l’atto determinante e causalmente efficiente del danno poi verificatosi, nella sostanziale contestualita’ di tempo e di luogo, a partire dalla scelta di assemblare i 150 petardi, procurandosi giornali e carta e altro materiale necessario, e successivamente di collocare la bomba-carta in zona comunque aperta al pubblico passaggio.
6) Con il sesto motivo i ricorrenti attribuiscono alla sentenza gravata la violazione e falsa applicazione degli articoli 2043 e/o 2050, 2055 c.c., degli articoli 40 e 41 c.p., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’inesistenza e/o mancato accertamento delle singole condotte poste in essere dai minori e della relativa efficienza causale.
La sentenza impugnata avrebbe omesso di accertare, essendo il fatto illecito articolato in una pluralita’ di azioni od omissioni poste in essere da piu’ soggetti, se ricorreva un unico fatto dannoso ovvero se ricorrevano episodi autonomi e scindibili produttivi di danni distinti, dei quali solo il singolo partecipante a ciascun episodio poteva essere ritenuto responsabile, in forza del principio secondo cui ognuno risponde del solo evento di danno rispetto al quale la sua condotta, attivita’ o omissiva, opera come causa efficiente, ponendosi come antecedente causale necessario.
6.1) Il motivo e’ infondato, perche’ in tema di fatto illecito imputabile a piu’ persone, la questione della gravita’ delle rispettive colpe e dell’entita’ delle conseguenze che ne sono derivate puo’ essere oggetto di esame da parte del giudice del merito, adito dal danneggiato, solo se uno dei condebitori abbia esercitato l’azione di regresso nei confronti degli altri o, in vista del regresso, abbia chiesto espressamente tale accertamento in funzione della ripartizione interna del peso del risarcimento con i corresponsabili; tale domanda, tuttavia, non puo’ ricavarsi dalle eccezioni con le quali il condebitore abbia escluso la sua responsabilita’ nel diverso rapporto con il danneggiato (Cass. 20/12/2018, n. 32930).
7) Con il settimo motivo i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 1227 c.c. e articolo 2 Cost., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3: mancata valutazione della colpevolezza e della contrarieta’ a ordinaria diligenza del comportamento del danneggiato e delle risorse relative conseguenze sul piano giuridico.
La tesi prospettata e’ che il fatto che il comportamento imprudente di (OMISSIS) fosse prevedibile dai quattro ragazzi non esonerava il giudice da un’indagine volta ad accertare se, in assenza di tale comportamento, il danno avrebbe potuto essere evitato o quanto meno diminuito nonche’ a valutare la gravita’ dall’imprudenza.
7.1) Il motivo ripropone censure di contenuto sostanzialmente analogo a quelle di cui al sesto motivo e ne condivide la sorte.
8) Con l’ottavo ed ultimo motivo i ricorrenti rimproverano alla sentenza impugnata la violazione e falsa applicazione dell’articolo 132 c.p.c. e articolo 111 Cost., comma 6, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3: motivazione apparente meramente assertiva.
Sostengono che la Corte territoriale non abbia spiegato l’iter logico-giuridico seguito per determinare in Euro 1.268.717,60 il risarcimento del danno, essendosi limitata a richiamare la decisione di prime cure che aveva considerato ricorrente una invalidita’ permanente del 90%, nonostante il CTU avesse riconosciuto una invalidita’ del 100%, e ad affermare di dover applicare le tabelle del Tribunale di Milano, pubblicate il 14 marzo 2018, “le quali applicando l’aumento massimo a titolo di personalizzazione, considerate le modalita’ ed il tipo del danno subito, indicano il risarcimento del danno in Euro 1.268.217,50”, senza specificare il valore monetario di base, il coefficiente di abbattimento in funzione dell’eta’ della vittima, giustificando in maniera meramente apparente l’aumento massimo a titolo di personalizzazione.
8.1) Il motivo e’ infondato.
Ricorrente e’ nella giurisprudenza di questa Corte l’affermazione che le tabelle di liquidazibne del danno non patrimoniale, quale concretizzazione della clausola generale di liquidazione equitativa del danno conforme a legge per il diritto vivente, costituiscono parametro di valutazione per la corretta applicazione dell’articolo 1226 c.c.. Essendo il parametro tabellare elaborato in astratto in base all’oscillazione ipotizzabile in ragione delle diverse situazioni ordinariamente configurabili secondo l'”id quod plerumque accidit, l’onere motivazionale specifico per il giudice del merito insorge quando si tratti di discostarsi dal detto parametro, sulla base di circostanze del caso concreto che impongano il superamento dei limiti massimi o minimi previsti dalla tabella.
Nel caso di specie il giudice ha individuato l’eta’ del danneggiato – 17 anni l’invalidita’ permanente – 90% – il criterio di liquidazione – le tabelle di Milano del 2018 – la personalizzazione – massima -. Non era quindi insorto un obbligo per il giudice di adottare una motivazione piu’ specifica; deve ritenersi allora sufficiente il richiamo da parte sua dei parametri indicati, in quanto idonei a rendere intellegibile il metodo liquidatorio adottato (Cass. 29/03/2022, n. 10141).
9) Il ricorso principale e’, dunque, infondato.
RICORSO INCIDENTALE DI (OMISSIS) E DI (OMISSIS).
– 10) Con il primo motivo i ricorrenti confutano la sentenza impugnata per aver violato e/o falsamente applicato gli articoli 163 e 167 c.p.c., l’articolo 2697 c.c. e il principio di non contestazione applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3: erronea qualificazione, come pacifica, di una circostanza rilevante ai fini del giudizio.
Oggetto di censura e’ la statuizione con cui la sentenza impugnata ha ritenuto inammissibile per tardivita’ il loro atto di appello, partendo dall’assunto che non fosse stato contestato che la sentenza di prime cure era stata loro notificata. I ricorrenti sostengono di avere, invece, contestato l’avvenuta notificazione della sentenza, allegando la tempestivita’ della propria impugnazione nel termine lungo e negando la fondatezza dell’altrui eccezione di tardivita’; deducono l’inapplicabilita’ alla vicenda per cui e’ causa dell’articolo 115 c.p.c., nella sua versione attuale, introdotta dalla L. 18 giugno 2009, articolo 45, comma 14, applicabile solo ai giudizi instaurati dopo la sua entra in vigore; osservano che non erano tenuti a contestare l’altrui contestazione; aggiungono che l’onere di contestazione riguarda le allegazioni, ma non le prove assunte, percio’ neppure la mancata contestazione in merito alle risultanze dell’avviso di ricevimento depositato avrebbe potuto fondare il convincimento del giudice di merito circa la notificazione della sentenza.
10.1) Il motivo e’, in parte, inammissibile, in parte, infondato.
Le censure, espresse sub specie del vizio di violazione di legge, mirano, in realta’, ad una rivalutazione dei fatti storici.
La Corte d’appello ha affermato che i genitori di (OMISSIS) avevano prodotto in giudizio la cartolina di ricevimento della sentenza notificata e che gli appellanti (OMISSIS) e (OMISSIS) non avevano contestato tale circostanza che quindi doveva considerarsi pacifica.
I ricorrenti lamentano di avere, invece, contestato l’avvenuta notificazione della sentenza di primo grado, ma non deducono ne’ dove ne’ quando, difettando cosi’ la doglianza di autosufficienza. Deve farsi applicazione del principio consolidato sulla scorta del quale “in virtu’ del principio di autosufficienza il ricorso per cassazione con cui si deduca l’erronea applicazione del principio di non contestazione non puo’ prescindere dalla trascrizione degli atti processuali che ne integrerebbero i presupposti, perche’ l’onere di specifica contestazione, a opera della parte costituita, presuppone, a monte, un’allegazione altrettanto puntuale a carico della parte onerata della prova. Cio’ tanto nel caso in cui il ricorrente lamenti l’erronea qualificazione da parte del giudice del merito di un fatto come non contestato, sia perche’ effettivamente e specificamente contestato da parte sua, sia perche’ non allegato in modo specifico dalla controparte, quanto nel diverso caso in cui il ricorrente lamenti la mancata qualificazione del fatto come non contestato da parte del Giudice del merito, benche’ fosse stato specificamente allegato e la controparte non lo avesse specificamente contestato (Cass. 12/05/2022, n. 15256).
10.2) Il mezzo impugnatorio e’ infondato, nella parte in cui lamenta che la Corte territoriale non avrebbe dovuto ricorrere al principio di non contestazione.
Detto principio, seppure consacrato nell’articolo 115 c.p.c. solo con la L. n. 69 del 2009, era un principio immanente nel sistema, fondato sulla lettera dell’articolo 167 c.p.c., che impone di prendere posizione sui fatti posti da controparte a fondamento della domanda o dell’eccezione con la conseguenza che la mancata contestazione costituisce di per se’ adozione d’una condotta incompatibile con la negazione del fatto costitutivo della domanda o dell’eccezione, la cui prova diviene percio’ inutile.
11) Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano la violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 2697 c.c. e articoli 116, 325 e 327 c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3: erronea valutazione della prova in ordine alla avvenuta notificazione della sentenza.
La Corte territoriale avrebbe ritenuto tardivo il loro appello, nonostante i coniugi (OMISSIS) – (OMISSIS) non avessero mai prodotto l’originale e/o la copia della sentenza notificata – come si dedurrebbe dall’elenco dei documenti indicati in calce alla comparsa di costituzione e dall’indice del fascicolo con vidimazione in calce della competente cancelleria – basandosi sul solo avviso postale di ricevimento n. 13385 che niente dimostrava si riferisse alla notificazione della sentenza.
La sentenza avrebbe disatteso il principio giurisprudenziale secondo cui incombe sulla parte cui e’ stato notificato l’atto di impugnazione entro il termine lungo di cui all’articolo 327 c.p.c., la quale eccepisca la necessita’ dell’osservanza del termine breve e l’avvenuto superamento del medesimo, l’onere di provare il momento di decorrenza, producendo copia autentica della sentenza impugnata corredata della relata di notifica nonche’, in caso di notificazione a mezzo posta, dell’avviso di ricevimento della raccomandata, mancando i quali la notificazione della sentenza deve considerarsi inesistente con conseguente applicazione del termine lungo di impugnazione (Cass. n. 25062/2016).
11.1) Anche in questo caso i ricorrenti pretendono un esito diverso dell’accertamento dei fatti di causa, sebbene nell’epigrafe del motivo denuncino la ricorrenza di plurimi errores in iudicando, omettendo di riferire quali affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata sarebbero state assunte in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie indicate, mancando di confrontarsi con i limiti entro cui e’ ammessa la deduzione del vizio di violazione dell’articolo 116 c.p.c..
12) Il terzo motivo e’ cosi’ articolato:
– nella premessa e’ denunciata la nullita’ della sentenza impugnata, per avere ritenuto valida l’asserita notifica della sentenza in data 23-26 settembre 2014, nei confronti della quale i ricorrenti asseriscono di voler proporre querela di falso.
Al punto 3.1. i ricorrenti imputano alla sentenza gravata la violazione e/o falsa applicazione degli articoli 149, 141, 325 e 327 c.p.c. nonche’ della L. n. 890 del 1982, articolo 7 ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3: mancato rilievo della nullita’ della asserita notifica.
Secondo i ricorrenti le indicazioni contenute nella cartolina di ritorno lascerebbero presumere che il plico fosse stato consegnato a un ignoto, qualificatosi quale domiciliatario dell’avvocato (OMISSIS), e che non fosse stata inviata la cartolina informativa al legittimo destinatario, con violazione della L. n. 890 del 1982, articolo 7, perche’ la casella domiciliatario risulterebbe spuntata, la sottoscrizione non sarebbe riferibile all’avvocato (OMISSIS), l’addetto alla notifica aveva apposto la propria sottoscrizione nel riquadro destinato a dare atto.
– dell’avvenuta spedizione della comunicazione di avvenuta notifica, lasciando in bianco i riferimenti alla raccomandata informativa.
Al punto 3.2. i ricorrenti deducono la violazione e/o falsa applicazione degli articoli 160, 325 e 327 c.p.c., ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3: mancato rilievo della nullita’ della asserita notifica, per oggettiva di risalire all’identita’ del soggetto che l’aveva ricevuta.
12.1) Si tratta di questioni su cui la sentenza impugnata non si e’ pronunciata, percio’ il motivo e’ inammissibile, in tutte le sue articolazioni, perche’ i motivi di ricorso per cassazione devono investire, a pena d’inammissibilita’, questioni che siano gia’ comprese nel tema del decidere del giudizio d’appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimita’ questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito, tranne che non si tratti di questioni rilevabili d’ufficio. Il ricorrente, al fine di evitare una statuizione di inammissibilita’ per novita’ della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione avanti al giudice del merito, ma anche di indicare in quale atto del precedente giudizio lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare ex actis la veridicita’ di tale asserzione, prima di esaminarne il merito (Cass. 02/09/2021, n. 23792). Non avendo soddisfatto detto onere da parte dei ricorrenti, il motivo deve dirsi inammissibile, perche’ i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d’inammissibilita’, questioni che siano gia’ comprese nel tema del decidere del giudizio di appello, non essendo deducibili per la prima volta in sede di legittimita’ questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito ne’ rilevabili d’ufficio.
13) Con il quarto, motivo la sentenza e’ censurata per aver violato e/o falsamente applicato gli articoli 325, 326, 327, 75, 285, 170, 300 e 328 c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3: mancato rilievo della inidoneita’ dell’asserita notifica a far decorrere il termine breve per l’impugnazione.
La tesi illustrata e’ che, dovendosi presumere che la notificazione della sentenza fosse stata effettuata dai difensori dei genitori di (OMISSIS) e non da quest’ultimo personalmente, la notifica non avrebbe potuto far decorrere il termine breve per l’impugnazione, argomentando a contrario dal principio di diritto secondo cui in caso di raggiungimento della maggiore eta’ del minore nel corso del giudizio di appello, la notificazione della sentenza di secondo grado, eseguita presso il difensore dei genitori, non e’ idonea a far decorrere il termine breve per la proposizione del ricorso per cassazione.
13.1) Anche in questo caso viene sottoposta all’attenzione della Corte una questione che avrebbe dovuto essere sollevata nel giudizio di appello e che risulta introdotta muovendo da un fatto non verificato e non documentato.
13.2) Il motivo e’, dunque, inammissibile.
14) Con il quinto motivo i ricorrenti denunciano la violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 331 c.p.c. in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4: mancata integrazione del contraddittorio nei confronti di (OMISSIS); nullita’ del procedimento e della sentenza che lo ha definito.
L’errore della Corte territoriale sarebbe quello di non avere rilevato la mancata integrazione del contraddittorio nei confronti di (OMISSIS) (nell’epigrafe del ricorso e’ indicato incomprensibilmente il nome di (OMISSIS): si tratta, dunque, di un errore che non ha precluso a questa Corte di bene intendere il portato delle censure mosse alla sentenza impugnata), litisconsorte processuale necessario nel giudizio di appello in quanto parte del precedente grado di giudizio in relazione alla domanda in rapporto di dipendenza rispetto a quella svolta nei confronti dei genitori, non potendo una decisione che accerta la responsabilita’ dei genitori prescindere da una valutazione sulla domanda di accertamento della responsabilita’ del figlio minore, tanto piu’ considerato che era stato chiesto l’accertamento unitario della responsabilita’ di tutti i convenuti e che si discuteva dell’incidenza causale del comportamento della vittima rilevante sia per l’accertamento della responsabilita’ dei genitori sia per l’accertamento della responsabilita’ dei minori e che era stata eccepita la mancanza di prova in ordine alla presenza del minore (OMISSIS) nel luogo della deflagrazione.
15) Con il sesto motivo i ricorrenti rimproverano alla sentenza impugnata la violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 331 c.p.c. in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4: mancata integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti gli altri coobbligati; nullita’ del procedimento e della sentenza che ha definito.
La tesi dei ricorrenti e’ che un rapporto di dipendenza debba ritenersi ricorrente non solo con riferimento all’obbligazione dei genitori in relazione alla responsabilita’ del proprio figlio, ma anche con riferimento alle obbligazioni dei minori coinvolti nella vicenda e dei rispettivi genitori, essendo del tutto evidente che gli attori avevano chiesto un accertamento unitario nei confronti di tutti e che le posizioni dei coobbligati presentano una obiettiva interrelazione, anche in relazione all’eccezione relativa al concorso colposo della vittima.
16) I motivi quinto e sesto sono assorbiti, stante il mancato accoglimento dei primi quattro motivi di ricorso.
16.1) Il ricorso incidentale di (OMISSIS) e (OMISSIS) e’ infondato.
RICORSO INCIDENTALE DI (OMISSIS), DI (OMISSIS) E DI (OMISSIS).
17) In via preliminare va rilevato che in data 17 ottobre 2022, sul presupposto dell’avvenuto decesso, nelle more del presente giudizio, precisamente in data 12 aprile 2022, dell’avvocato (OMISSIS), i ricorrenti hanno fatto pervenire alla Cancelleria di questa Corte memoria di nomina e costituzione di nuovo difensore in giudizio, con cui hanno dato atto di avere nominato l’avvocato (OMISSIS) quale loro nuovo difensore e di averle rilasciato, su foglio separato, allegato alla memoria stessa, nuova procura speciale debitamente sottoscritta e con sottoscrizione autenticata dall’avvocato (OMISSIS).
Orbene, tale procura e’ irrituale, con conseguente invalidita’ della stessa e inammissibilita’ della memoria ex articolo 378 c.p.c. depositata dall’avvocato (OMISSIS), non essendo siffatta modalita’ di nomina del difensore nel giudizio di legittimita’ consentita dall’articolo 83 c.p.c., comma 3, nel testo applicabile ratione temporis.
Infatti, per espressa previsione della L. 18 giugno 2009, n. 69, articolo 58, “le disposizioni della presente legge che modificano il codice di procedura civile e le – disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile si applicano ai giudizi instaurati dopo la data della sua entrata in vigore”, avvenuta il 4 luglio 2009. Essendo il presente giudizio iniziato in primo grado nel 2000, ad esso non puo’ applicarsi la nuova disposizione di cui all’articolo 83 c.p.c.. Pertanto, nella fattispecie all’esame, e’ ancora pienamente efficace la regula iuris per la quale nel giudizio di cassazione la procura speciale non puo’ essere rilasciata a margine o in calce ad atti diversi dal ricorso o dal controricorso, poiche’ l’articolo 83 c.p.c., comma 3, nell’elencare gli atti a margine o in calce ai quali puo’ essere apposta la procura speciale, individua, con riferimento al giudizio di cassazione, soltanto quelli suindicati; pertanto, se la procura non viene rilasciata su detti atti, e’ necessario che il suo conferimento si realizzi nella forma prevista dal citato articolo 83, comma 2 cioe’ con atto pubblico o con scrittura privata autenticata, facenti riferimento agli elementi essenziali del giudizio, quali l’indicazione delle parti e della sentenza impugnata; evidenziandosi, peraltro, che il potere attribuito al difensore dall’articolo 83 c.p.c., comma 3, di certificare l’autografia della parte che gli ha rilasciato la procura – cui fanno riferimento i ricorrenti nella memoria – e’ condizionato dal conferimento della procura in calce o a margine di uno degli atti indicati dalla norma (nella formulazione ratione temporis applicabile) o su di un foglio allegato all’atto che faccia corpo con esso e che se, invece, la procura e’ conferita con separata scrittura privata – come nel caso all’esame – l’autenticazione della firma del mandante puo’ essere compiuta dal notaio, pubblico ufficiale competente a certificare l’autografia delle sottoscrizioni delle scritture private, o da altro pubblico ufficiale a cio’ autorizzato dalla legge e non gia’ dal difensore (Cass. 10/11/2015, n. 22877);
Conseguentemente la procura rilasciata al nuovo difensore e’, come si e’ detto invalida, cosicche’ di tale atto difensivo non puo’ tenersi conto (Cass. 9/10/2007, n. 22020; Cass. 14/03/2016, n. 4960).
Non occorre, pero’, rinviare a nuovo ruolo la causa onde consentire alla parte di provvedere alla nomina di un nuovo difensore, come affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte nella pronuncia del 13/01/2006 n. 477: infatti tale necessita’, determinata dall’esigenza di avvertire la parte dell’avvenuto decesso dell’unico difensore dopo il deposito del ricorso e prima dell’udienza di discussione, e’ superata nella fattispecie dalla constatazione che i ricorrenti erano gia’ a conoscenza di tale evento, come comprovato dal rilascio della procura al nuovo difensore; il fatto poi che tale procura sia invalida non comporta certamente l’inammissibilita’ del ricorso, posto che l’invalidita’ della nuova procura e’ del tutto equiparabile all’ipotesi che la parte, una volta ricevuta la comunicazione del rinvio della causa a nuovo ruolo per l’avvenuto decesso del suo unico difensore, rimanga inerte e non provveda alla nomina di un nuovo difensore: invero, considerato che la possibilita’ di consentire alla parte una tale nuova nomina e’ giustificata dalla tutela dell’interesse della parte stessa all’esercizio del diritto di difesa, la mancata nomina di un nuovo difensore in sostituzione di quello deceduto determina soltanto il venir meno dei presupposti per reiterare gli adempimenti prescritti dall’articolo 377 c.p.c., comma 2 (Cass. 9/10/2007, n. 22020).
Si puo’ dunque passare all’esame del ricorso.
18) Con il primo motivo i ricorrenti denunciano la violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 331 c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4: mancata integrazione del contraddittorio nei confronti di (OMISSIS); nullita’ del procedimento e della sentenza che lo ha definito.
Al di la’ delle indicazioni formali dell’atto di citazione, secondo i ricorrenti, era da considerare indubbio che (OMISSIS) e (OMISSIS) avessero agito anche in proprio, e non solo nell’interesse del figlio, pertanto, il figlio (OMISSIS) avrebbe dovuto essere considerato litisconsorte necessario, anche per essere stato parte del giudizio di primo grado, e la Corte d’Appello avrebbe dovuto rilevare che il loro appello era stato proposto solo nei confronti di (OMISSIS) e di (OMISSIS), ma non nei confronti di (OMISSIS), divenuto maggiorenne nelle more del giudizio di primo grado e fissare un termine per l’integrazione del contraddittorio.
18.1) Il motivo e’ infondato per un duplice ordine di ragioni.
La sentenza ha ritenuto inammissibile l’appello proposto nei confronti di (OMISSIS) in quanto l’atto di gravame non gli era stato notificato ed ha, pertanto, – considerata passata in giudicato la sentenza di prime cure nei suoi confronti.
La sentenza d’appello ha correttamente evocato ed applicato la giurisprudenza – di questa Corte secondo cui e’ inammissibile l’impugnazione proposta nei confronti del genitore del minore che abbia raggiunto la maggiore eta’ nel corso precedente del giudizio, benche’ l’evento non sia stato dichiarato ne’ notificato (cfr. Cass. 27/09/2018, n. 23189, conf., Cass. 04/04/2013, n. 8194; Cass., Sez. Un., 28/07/2005, n. 15783), sempre che’ il minore sia stato parte del giudizio e vi abbia partecipato a mezzo del genitore esercente la potesta’ sullo stesso e, come tale, suo rappresentante processuale (Cass. 17/05/2022, n. 15826).
Per il principio dell’autonomia dei vari gradi del giudizio, in un giudizio iniziato dal genitore, quale legale rappresentante del minore, ove questi raggiunga la maggiore eta’ prima della notificazione dell’atto di appello l’impugnazione della sentenza di primo grado va notificata al soggetto divenuto ormai maggiorenne (Cass. 26/09/2000, n. 12758), atteso che era ben possibile per l’appellante, con un minimo di diligenza, stabilire il preciso momento del compimento della maggiore eta’ dell’appellato.
Quest. indirizzo giurisprudenziale fa puntuale applicazione di quanto stabilito da Cass., Sez. Un., 28/7/2005 n. 15783 e cioe’ che qualora uno degli eventi idonei a determinare l’interruzione del processo (nella specie, il raggiungimento della maggiore eta’ da parte di minore costituitosi in giudizio a mezzo dei suoi legali rappresentanti) si verifichi nel corso del giudizio di primo grado, prima della chiusura della discussione (ovvero prima della scadenza dei termini per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica, ai sensi del nuovo testo dell’articolo 190 c.p.c.), e tale evento non venga dichiarato ne’ notificato dal procuratore della parte cui esso si riferisce, a norma dell’articolo 300 c.p.c., il giudizio di impugnazione deve essere comunque instaurato da e contro i soggetti effettivamente legittimati: e cio’ alla luce dell’articolo 328 c.p.c., dal quale si desume la volonta’ del legislatore di adeguare il processo di impugnazione alle variazioni intervenute nelle posizioni delle parti, sia ai fini della notifica della sentenza che dell’impugnazione, con piena parificazione, a tali effetti, tra l’evento verificatosi dopo la sentenza e quello intervenuto durante la fase attiva del giudizio e non dichiarato ne’ notificato.
18.2) Peraltro, i ricorrenti errano quando pensano che possa giovare loro l’affermazione di avere proposto appello solo nei confronti dei genitori di (OMISSIS). Non considerano, infatti, che i genitori di (OMISSIS) si erano costituiti in giudizio in rappresentanza del figlio vittima dell’esplosione. E che quand’anche cosi’ non fosse stato, avrebbe dovuto applicarsi il principio secondo cui quando piu’ attori agiscono in un unico processo, ai sensi dell’articolo 103 c.p.c., comma 1, per il ristoro dei danni da ciascuno subiti, le cause, connesse, sono scindibili ed il litisconsorzio che si instaura tra di esse e’ facoltativo.
E sarebbe stato necessario distinguere tra proposizione dell’atto di impugnazione e notifica dello stesso. Costituisce principio consolidato quello secondo cui in un giudizio svoltosi con pluralita’ di parti in causa scindibile, la proposizione dell’impugnazione nei confronti di talune soltanto delle parti processuali non impedisce il passaggio in giudicato della sentenza nei confronti delle altre parti del giudizio di merito non destinatarie dell’impugnazione, non assumendo alcun rilievo la circostanza che il ricorso sia stato notificato anche a queste ultime: la notificazione prevista dall’articolo 332 c.p.c. non contenendo una vocatio in ius, ma avendo valore di semplice litis denuntiatio, volta a far conoscere ai destinatari l’esistenza di un’impugnazione, al fine di consentire loro di proporre impugnazione in via incidentale nello stesso processo, qualora la stessa non sia esclusa o preclusa (Cass. 08/07/2020, n. 14245; Cass. 27/04/2018, n., 10171). La ratio delle norme dettate in tema di esatta individuazione del soggetto processuale, destinato ad assumere la veste di parte nel giudizio, e’ quella di garantire al medesimo la conoscenza (o la conoscibilita’) della potenziale instaurazione di un giudizio civile a suo carico ed essa resta senz’altro soddisfatta se al requisito della sola legale conoscibilita’ si sostituisce quello della avvenuta, effettiva conoscenza da parte dell’interessato della vicenda processuale che lo riguarda. Di conseguenza, se fosse corretto, il ragionamento dei ricorrenti – cioe’ se (OMISSIS), parte in una delle cause di appello poi riunite, aveva avuto effettiva conoscenza anche delle altre impugnazioni, rendendo irrilevante la mancata notificazione del loro atto di appello nei suoi confronti – applicandolo, dovrebbe ritenersi passata in giudicato la sentenza di primo grado nei confronti di (OMISSIS).
– Ecco, quindi, che le censure dei ricorrenti non sono ben spese: la litis denuntiatio che essi affermano essere avvenuta nei confronti di (OMISSIS) non avrebbe impedito il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado nei suoi confronti.
19) Con il secondo motivo i ricorrenti censurano la sentenza della Corte d’Appello per violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 331 c.p.c. in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4: mancata integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti i coobbligati; nullita’ del procedimento e della sentenza che lo ha definito.
Avendo gli attori chiesto, sin dall’atto di citazione, l’accertamento unitario della responsabilita’ di tutti i convenuti e atteso che la posizione dei coobbligati presentava una stretta interrelazione, anche in considerazione della comune eccezione relativa al comportamento colposo della vittima, il litisconsorzio, inizialmente facoltativo, avrebbe dovuto considerarsi nei gradi successivi processualmente necessario.
Il motivo propone gli stessi argomenti del secondo motivo del ricorso principale e come esso, per le ragioni gia’ rassegnate cui si rinvia, non e’ meritevole di accoglimento.
20) Con il terzo motivo i ricorrenti attribuiscono alla sentenza impugnata la violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 163 c.p.c., comma 3, n. 2, articolo 164 c.p.c., commi 1 e 2, e articolo 359 c.p.c., ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4: mancata rinnovazione della citazione in appello di (OMISSIS), nullita’ del procedimento e della sentenza che lo ha definito.
La Corte territoriale avrebbe dovuto disporre la rinnovazione della citazione nel giudizio di secondo grado e non dichiarare inammissibile l’appello da essi proposto, perche’: i) la sentenza impugnata non avrebbe applicato correttamente la decisione delle Sez. Un., n. 15783/2005, la quale, sulla questione della incidenza del raggiungimento della maggiore eta’ da parte di soggetto costituito in giudizio tramite i suoi rappresentanti legali, verificatosi nel corso del giudizio di primo grado, prima della chiusura della discussione, e non dichiarato ne’ notificato, ai fini della individuazione del destinatario della notifica dell’impugnazione, ha distinto la soluzione da adottare riguardo ai processi;
– pendenti alla data del 30 aprile 1995, ai quali applicare l’articolo 164 c.p.c. nel testo previgente alla riforma realizzata con L. n. 325 del 1990, che attribuisce – rilievo alla non conoscibilita’ dell’evento da parte del soggetto che ha proposto l’impugnazione, da quella valevole per i processi disciplinati dalla novella del 1990, per i quali l’articolo 164 c.p.c. predispone uno strumento per sanare il vizio della citazione ove risulti omesso o incerto uno dei requisiti di cui all’articolo 163 c.p.c., nn. 1 e 3 cosi’ da offrire un congruo margine di tutela al soggetto incolpevole.
La conseguenza che i ricorrenti ne traggono e’ che il giudice a quo avrebbe dovuto d’ufficio disporre la rinnovazione d’ufficio dell’atto malamente indirizzato nei confronti dei legali rappresentanti del minore e non dichiararne la inammissibilita’.
21) Con il quarto motivo i ricorrenti rimproverano alla sentenza d’appello di aver violato e/o falsamente applicato l’articolo 359 c.p.c., articolo 163 c.p.c., comma 3, n. 2, articolo 164 c.p.c., comma 3, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4; mancata sanatoria della citazione in appello di (OMISSIS); nullita’ del procedimento e della sentenza che lo ha definito.
I ricorrenti sostengono che comunque la costituzione in giudizio di (OMISSIS) e le difese dallo stesso svolte personalmente avrebbero dovuto essere considerate idonee a sanare il supposto vizio dell’atto di appello, ai sensi dell’articolo 164 c.p.c., comma 3, ai sensi del quale la costituzione del convenuto sana i vizi della citazione, nonostante (OMISSIS) avesse formalmente dichiarato di costituirsi solo negli appelli proposti dalle altre parti del giudizio, in considerazione del fatto che, nell’atto di citazione, (OMISSIS) e (OMISSIS).
– avevano affermato di agire quali genitori esercenti la potesta’ genitoriale nei confronti del minore, nel costituirsi in appello avevano fatto riferimento alla loro qualita’ in atti; ne’ poteva considerarsi irrilevante la circostanza che gli appelli avverso la sentenza di prime cure fossero stati riuniti; in aggiunta, la comparsa conclusionale di (OMISSIS), al di la’ del nomen iuris, a loro avviso, avrebbe dovuto considerarsi una memoria di costituzione.
Peraltro, la sua partecipazione personale al giudizio gli aveva garantito il diritto di difesa e di contraddittorio anche nei confronti dell’appello da essi proposto, sanando il vizio iniziale, ove mai vi fosse stato.
Le censure per le parti non assorbite dalle ragioni poste alla base dello scrutinio dei motivi precedenti, sono inammissibili, perche’ contengono riferimenti ad atti processuali – l’atto di costituzione in giudizio dei genitori di (OMISSIS), la comparsa conclusionale di (OMISSIS) – che i ricorrenti, incorrendo nella violazione dell’articolo 366 c.p.c., n. 6, non hanno specificato in quale sede nel fascicolo d’ufficio o in quelli di parte essi possano essere rinvenuti. E’ inammissibile, perche’ non rispetta il principio di autosufficienza, il ricorso per cassazione che non consente al giudice di legittimita’ di valutare la fondatezza del motivo senza dover procedere all’esame dei fascicoli di ufficio o di parte; pur potendo questa Corte accedere direttamente all’esame degli atti processuali del fascicolo di merito, non preliminare ad ogni altro esame e’ quello concernente l’ammissibilita’ del motivo in relazione ai termini in cui e’ stato esposto, con la conseguenza che, solo quando ne sia stata positivamente accertata l’ammissibilita’ diventa possibile valutare la fondatezza del motivo medesimo e, dunque, esclusivamente nell’ambito di quest’ultima valutazione, la Corte di cassazione puo’ e deve procedere direttamente all’esame ed all’interpretazione degli atti processuali (Cass. 17/05/2022, n. 15723).
Il tentativo di dimostrare che i genitori di (OMISSIS) abbiano agito in giudizio anche in proprio non va a segno. Non basta a rendere persuasiva tale conclusione il fatto che nell’atto di citazione del giudizio di primo grado (OMISSIS) e (OMISSIS) avessero chiesto il risarcimento del danno patrimoniale, del danno biologico e morale, delle spese per viaggi, vitto e alloggio, cure medico-chirurgiche e di quelle occorrende per cure, protesi e programmati trapianti (nt. n. 5 a p. 9 del ricorso); per di piu’, come riferiscono i ricorrenti (nt. 6, p. 11 del ricorso), i genitori di (OMISSIS) si erano costituiti in appello nella medesima qualita’, cioe’ in rappresentanza del figlio; anziche’ trarne la conseguenza che sia in primo grado che nel giudizio di appello (OMISSIS) e (OMISSIS) avessero agito nei loro confronti in nome e per conto di (OMISSIS), i ricorrenti rovesciano il ragionamento e sono costretti ad affermare che i due genitori in appello non avessero inteso rinunciare alla domanda in proprio solo perche’ la memoria di costituzione era stata proposta nella medesima qualita’, atteso che la posizione sostanziale fatta valere era quella originariamente introdotta in giudizio. E tale conclusione e’ del tutto priva di riscontri nella sentenza di prime cure; vale a dire che non e’ stato affatto dimostrato che la decisione del Tribunale avesse pronunciato la condanna risarcitoria anche a favore dei genitori di (OMISSIS); non puo’ non rilevarsi, del resto, che la sentenza d’appello, a p. 6, rimarca la circostanza che (OMISSIS) e (OMISSIS) si erano “costituiti in primo grado appunto nella espressa ed esclusiva qualita’ di genitori e legali rappresentanti di (OMISSIS)”: il che conferma l’assertivita’ della tesi per cui non dovesse revocarsi in dubbio che anche se (OMISSIS) e (OMISSIS) avevano agito non solo quali genitori del figlio (OMISSIS), ma anche in proprio.
La questione, nondimeno, risulta mal posta: non e’ in discussione, infatti, la legittimazione dei genitori ad agire in giudizio per chiedere, in nome e per conto del figlio minore, anche il risarcimento del danno emergente passato, ma semmai una questione che attiene al merito della lite, cioe’ la titolarita’ reale del diritto sostanziale fatto valere in giudizio; e’ opinione del Collegio, pertanto, che gli odierni ricorrenti avrebbero dovuto semmai eccepire il difetto della titolarita’ sostanziale dei genitori di (OMISSIS) a chiedere per suo conto tale voce di danno patrimoniale.
22) Con il quinto motivo i ricorrenti sostengono che la sentenza impugnata avrebbe violato e/o falsamente applicato gli articoli 75, 300, 156 e 182 c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non aver rilevato la nullita’ della sentenza di primo grado per difetto di legittimazione processuale degli attori.
I genitori di (OMISSIS), benche’ il figlio (OMISSIS) fosse divenuto maggiorenne e non ne avessero la rappresentanza processuale, avevano notificato sia l’atto di citazione introduttivo del giudizio di prime cure sia la comparsa in riassunzione e nonostante l’eccezione formulata dalla difesa di (OMISSIS) e di (OMISSIS), (OMISSIS) non aveva posto in essere alcun atto sanante nel giudizio di appello da essi promosso.
Il motivo non puo’ essere accolto.
La proposizione del controricorso anche da parte di (OMISSIS) ha effetto di sanatoria retroattiva; deve invocarsi il principio secondo cui il difetto di legittimazione processuale del genitore che agisca in giudizio in rappresentanza del figlio non piu’ soggetto alla responsabilita’ genitoriale per o essere divenuto maggiorenne, puo’ essere sanato in qualunque stato e grado del giudizio, con efficacia retroattiva e con riferimento a tutti gli atti processuali gia’ compiuti, qualora il figlio divenuto maggiorenne si costituisca, manifestando in tal modo inequivocamente la propria volonta’ di sanatoria.
La giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che detta sanatoria retroattiva “non e’ impedita dalla previsione dell’articolo 182 c.p.c., secondo cui sono fatte salve le decadenze gia’ verificatesi, poiche’ la riserva va riferita alle decadenze sostanziali (sancite, cioe’, per l’esercizio del diritto e dell’azione: articolo 2964 c.c., e segg.); non a quelle che si esauriscano nell’ambito del processo. In caso contrario l’articolo 182 c.p.c., dovrebbe ritenersi inapplicabile in tutte le ipotesi in cui le parti incorrano in decadenze processuali gia’ nell’atto introduttivo del giudizio: deduzione quest’ultima che e’ da ritenere inammissibile sotto il profilo sistematico (Cass. 27/10/2005 n. 20913 cit.).
L’orientamento di cui sopra risulta confermato e rafforzato dalla sentenza con cui le Sezioni unite di questa Corte hanno deciso che l’articolo 182 c.p.c., comma 2, dev’essere oggi interpretato alla luce del nuovo testo introdotto dalla L. n. 69 del 2009, articolo 46, comma 2, per cui il giudice “deve” – non solo puo’ – promuovere la sanatoria, in qualsiasi fase e grado del giudizio, con effetti “ex tunc” e senza il limite delle preclusioni derivanti da decadenze processuali (Cass., Sez. Un., 19/04/2010 n. 9217; cui adde Cass. civ. Sez. 1, 28 luglio 2010 n. 17683 e 22 settembre 2010 n. 20052)”: in termini Cass. 08/11/2012, n. 19308.
23) Ne consegue il rigetto del ricorso principale e di quelli incidentali.
24) La Corte, pur rilevando il difetto di contraddittorio nei confronti di (OMISSIS) e di (OMISSIS), ritiene superflua la fissazione di un termine per l’integrazione del contraddittorio, atteso che la concessione di esso si tradurrebbe, oltre che in un aggravio di spese, in un allungamento dei termini per la definizione del giudizio di cassazione senza comportare alcun beneficio per la garanzia dell’effettivita’ dei diritti processuali delle parti (Cass. 09/05/2022, n. 14554).
25) Le spese del presente giudizio tra il ricorrente principale ed i ricorrenti incidentali sono compensate.
26) Il ricorrente principale ed i ricorrenti incidentali, in applicazione del principio di soccombenza, sono tenuti al pagamento delle spese processuali nei confronti dei controricorrenti, liquidate come da dispositivo.
27) Seguendo l’insegnamento di Cass., Sez. Un., 20/02/2020 n. 4315 si da’ atto, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2012, articolo 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti (sia principali sia incidentali), di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello da corrispondere per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale ed i ricorsi incidentali e condanna tanto i ricorrenti principali quanto i ricorrenti incidentali, ciascuno per proprio conto, al pagamento delle spese in favore dei controricorrenti, liquidandole in Euro 12.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 -quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti principali e di quelli incidentali, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso articolo 13, comma 1 -bis, se dovuto.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
Le sentenze sono di pubblico dominio.
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