La disciplina dettata dall’art. 38 d.P.R. n. 380/2001

Consiglio di Stato, sezione sesta, Sentenza 4 novembre 2019, n. 7508.

La massima estrapolata:

La disciplina dettata dall’art. 38 d.P.R. n. 380/2001 si ispira a un principio di tutela degli interessi del privato, prevedendo un regime sanzionatorio più mite per le opere edilizie conformi a un titolo abilitativo successivamente rimosso, rispetto agli altri interventi abusivi eseguiti sin dall’origine in assenza di titolo (o in parziale difformità ) e al trattamento ordinariamente previsto per tali ipotesi (dagli artt. 31, comma 2, 33 e 34 d.P.R. n. 380/2001), per tutelare un certo affidamento del privato basato sulla presunzione di legittimità ed efficacia del titolo assentito

Sentenza 4 novembre 2019, n. 7508

Data udienza 11 luglio 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2125 del 2015, proposto dai signori Za. An. ed altri, rappresentati e difesi dagli avvocati Ma. Br., Fa. Lo. e Al. Tr., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Fa. Lo. in Roma, via (…);
contro
il Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Gi. Sa. e Lu. Ma., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Luigi Manzi in Roma, via (…);
il signor Ma. Da., rappresentato e difeso dagli avvocati St. Ba. e Pa. St. Ri., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Pa. St. Ri. in Roma, viale (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Veneto Sezione Seconda, n. 1533/2014, resa tra le parti e concernente: applicazione di una sanzione pecuniaria in luogo della sanzione di demolizione;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio delle parti appellate;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 11 luglio 2019, il consigliere Bernhard Lageder e uditi, per le parti, gli avvocati Mi. Fr. per delega dell’avvocato Al. Tr., St. Ri., nonché Ga. St. per delega dell’avvocato Lu. Ma.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Con la sentenza in epigrafe, il T.a.r. per il Veneto respingeva il ricorso n. 1877 del 2013, proposto dagli odierni appellanti – nella loro qualità di proprietari, nel Comune di (omissis), di immobili situati in riva al Lago di (omissis), posti a confine, sul lato nord e sud, con l’Ho. Ve. di proprietà del controinteressato Ma. Da., all’interno della fascia compresa fra la sponda del lago e viale Roma – avverso il provvedimento n. 14870 del 17 ottobre 2013, con il quale il Comune di (omissis) aveva applicato al controinteressato la sanzione pecuniaria amministrativa di euro 143.035,00 ai sensi dell’art. 38 d.P.R. n. 380/2001, in luogo della demolizione, e il provvedimento successivo n. 16317 del 20 novembre 2013, con il quale lo stesso Comune aveva dato atto del pagamento di tale sanzione e dichiarato “ad ogni effetto sanata” la corrispondente opera, realizzata sulla base di permesso di costruire annullato in sede giudiziale.
1.1. In precedenza, nel dicembre del 2011, l’amministrazione comunale aveva rilasciato al controinteressato il permesso di costruire n. 84/2011, sulla cui base erano stati realizzati una serie di interventi di ristrutturazione e ampliamento dell’albergo (sulla base della c.d. legge casa della Regione Veneto), sia sul fronte lago che lungo i lati confinanti con le proprietà degli odierni appellanti.
1.2. Su ricorso proposto da questi ultimi avverso il menzionato permesso di costruire, il T.a.r. per il Veneto con la sentenza n. 642/2012, confermata in sede di appello dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 5620/2012, aveva annullato il premesso di costruire.
Nelle more del giudizio di primo grado i lavori erano stati ultimati (agli inizi del 2012).
1.3. L’amministrazione comunale dava esecuzione alle sentenze di annullamento del titolo edilizio, intimando con atto del 27 dicembre 2012 la riduzione in pristino dell’ampliamento realizzato con il permesso di costruire annullato entro il termine di 90 giorni, salva, in caso di inottemperanza, l’acquisizione gratuita dell’immobile.
1.4. Sopravveniva, tuttavia, la richiesta del proprietario dell’Ho. Ve. di applicazione della sanzione pecuniaria prevista dall’art. 38 d.P.R. 380/2001, in quanto l’esecuzione dell’ordine di demolizione delle opere realizzate in forza del titolo annullato avrebbe compromesso la porzione dell’edificio preesistente.
A suffragio di tale istanza veniva presentata una perizia di parte, redatta dall’ing. Du..
Gli odierni appellanti, informati dell’istanza, provvedevano a loro volta a presentare all’amministrazione una perizia, redatta dalla prof.ssa Mu., con la quale veniva contestata l’impossibilità di dare esecuzione all’ordine di ripristino senza compromettere la parte preesistente all’intervento.
Il Comune di (omissis) dava quindi incarico a un perito terzo (il prof. Mo.), affinché venisse valutato lo stato delle opere realizzate e al fine di verificare le risultanze della perizia depositata a sostegno della richiesta di applicazione della sanzione pecuniaria, richiedendo altresì all’Agenzia delle Entrate di provvedere alla stima del valore delle opere realizzate in base al permesso annullato.
All’esito degli accertamenti effettuati, il Comune si determinava in termini favorevoli alla richiesta del proprietario, dichiarando che la demolizione delle opere realizzate in forza del permesso di costruire annullato avrebbe potuto compromettere la porzione dell’edificio alberghiero precedentemente realizzata.
Conseguentemente, con provvedimento del 17 ottobre 2013 veniva calcolata la sanzione pecuniaria da corrispondere ai sensi dell’art. 38, nell’ammontare di euro 143.035,00.
Quindi, dato atto del versamento effettuato dall’interessato, con provvedimento del 20 novembre 2013 il Comune dichiarava sanato ad ogni effetto l’intervento edilizio realizzato.
1.5. Tali provvedimenti sono stati impugnati dagli odierni appellanti dinanzi al T.a.r. per il Veneto, il quale li respingeva sulla base del centrale rilievo conclusivo per cui, “richiamata l’interpretazione della disposizione contenuta nell’art. 38, nella fattispecie in esame è possibile concludere nel senso che il provvedimento assunto dal Comune di applicazione della sanzione pecuniaria in alternativa alla demolizione non è affetto dai vizi denunciati, essendo stata valutata l’onerosità e la pericolosità, con riguardo alla parte preesistente dell’edificio, dell’intervento di demolizione dell’ampliamento in precedenza realizzato”.
2. Avverso tale sentenza interponevano appello gli originari ricorrenti, deducendo i motivi come di seguito rubricati:
a) “Erroneità e ingiustizia della sentenza del Tar, nella parte in cui ha rigettato il primo motivo di ricorso (“violazione di legge, in riferimento all’art. 38 t.u. 380/2001″)”;
b) “Erroneità e ingiustizia della sentenza del Tar, nella parte in cui ha rigettato il secondo motivo di ricorso (“difetto di istruttoria e travisamento dei fatti”)”;
c) “Erroneità e ingiustizia della sentenza del Tar, nella parte in cui ha rigettato il terzo motivo di ricorso (“violazione di legge, in riferimento all’art. 38 t.u. 380/2001, difetto di istruttoria e travisamento dei fatti”)”, sotto il profilo che, a tutto concedere, la valutazione circa l’impossibilità della demolizione avrebbe dovuto essere effettuata considerando distintamente i singoli interventi di ampliamento e che, in ogni caso, si doveva escludere che per la riduzione in pristino di alcuni di detti interventi (ad es. la chiusura delle verande e la realizzazione di nuovi balconcini) si potesse prospettare una modifica strutturale dell’edificio preesistente, tale da comportare un rischio effettivo di crollo dell’edificio.
Gli appellanti chiedevano pertanto, in riforma dell’impugnata sentenza, l’accoglimento del ricorso di primo grado e l’annullamento dei gravati provvedimenti.
3. Si costituivano in giudizio, con atti separati, sia il Comune di (omissis) sia l’originario controinteressato, contestando la fondatezza dell’appello e chiedendone la reiezione.
4. All’udienza pubblica dell’11 luglio 2019 la causa è stata trattenuta in decisione.
5. L’appello è infondato.
5.1. In reiezione del primo motivo d’appello, si osserva che l’impugnata sentenza poggia su una corretta interpretazione dell’art. 38 d.P.R. n. 380/2001, in quanto:
– secondo l’orientamento prevalente della giurisprudenza amministrativa (v., da ultimo, Cons. Stato, Sez. VI, 28 novembre 2018, n. 6753; id., 9 aprile 2018, n. 2155), la disciplina dettata dall’art. 38 d.P.R. n. 380/2001 si ispira a un principio di tutela degli interessi del privato, prevedendo un regime sanzionatorio più mite per le opere edilizie conformi a un titolo abilitativo successivamente rimosso, rispetto agli altri interventi abusivi eseguiti sin dall’origine in assenza di titolo (o in parziale difformità ) e al trattamento ordinariamente previsto per tali ipotesi (dagli artt. 31, comma 2, 33 e 34 d.P.R. n. 380/2001), per tutelare un certo affidamento del privato basato sulla presunzione di legittimità ed efficacia del titolo assentito;
– a tal fine, l’amministrazione è tenuta a verificare se i vizi formali o sostanziali siano emendabili, ovvero se la demolizione sia effettivamente possibile senza recare pregiudizio ad altri beni o opere del tutto regolari, e, in presenza degli anzidetti presupposti per convalidare l’atto, la disposizione all’esame (art. 38, comma 2, d.P.R. n. 380/2001) prevede che “l’integrale corresponsione della sanzione pecuniaria irrogata produce i medesimi effetti del permesso di costruire in sanatoria di cui all’articolo 36”;
– la richiamata disciplina prevede dunque i seguenti possibili rimedi: i) la sanatoria della procedura nei casi in cui sia possibile la rimozione dei vizi della procedura amministrativa, con la conseguenza che, in tal caso, non si applica alcuna sanzione edilizia; ii) nei casi in cui non sia possibile la sanatoria mediante la rimozione di vizi di natura procedimentale, in quanto ricorrono vizi di natura sostanziale, l’amministrazione è, in linea di principio, bensì tenuta ad applicare la sanzione ripristinatoria, ma, “qualora [questa] non sia possibile, in base a motivata valutazione […], applica una sanzione pecuniaria pari al valore venale delle opere o loro parti abusivamente eseguite [ossia, eseguite sulla base del titolo annullato; n. d.e.], valutato dall’agenzia del territorio”;
– secondo l’interpretazione della norma, coerente alla ricordata ratio, il concetto di impossibilità di ripristino non va inteso esclusivamente come impossibilità tecnica – ciò, a differenza dalla previsione del precedente art. 34, comma 2, laddove è espressamente specificato che l’impossibilità della demolizione ricorre solo qualora questa non possa avvenire “senza pregiudizio della parte eseguita in conformità “, prevedendo dunque un’ipotesi di esclusiva impossibilità tecnica -, ma involge anche una componente valutativa di opportunità /equità, improntata al bilanciamento dell’interesse pubblico al ripristino della legalità violata con le posizioni giuridiche soggettive del privato che incolpevolmente abbia confidato nella legittimità dell’esercizio del potere amministrativo;
– deve dunque ritenersi che la scelta di escludere la sanzione demolitoria, laddove adeguatamente motivata e aderente, in termini di coerenza, alle indicazioni contenute nella pronuncia di annullamento (onde non incorrere nella violazione dei principi della separazione dei poteri e di effettività della tutela giurisdizionale dei ricorrenti vittoriosi), appare in astratto – laddove possibile – quella maggiormente rispettosa di tutti gli interessi coinvolti nella singola controversia e del principio di proporzionalità dell’azione amministrativa, di diretta derivazione eurounitaria, e che quindi, nel caso di opere realizzate sulla base di un titolo edilizio annullato, la loro demolizione deve essere considerata quale extrema ratio.
5.2. Posta con ciò la corretta interpretazione, nell’impugnata sentenza, della previsione normativa di cui all’art. 38, comma 2, d.P.R. n. 380/2001, si osserva che destituiti di fondamento sono anche i motivi d’appello sub 2.b) e 2.c), tra di loro connessi e da esaminare congiuntamente, avendo l’amministrazione comunale fatto corretta applicazione delle sopra enunciate coordinate ermeneutiche alla fattispecie sub iudice, non incorrendo nei dedotti vizi di difetto d’istruttoria e di travisamento dei fatti, correttamente esclusi dal T.a.r..
Infatti, nel caso di specie il Comune nell’atto gravato del 17 ottobre 2013, per un verso ha richiamato la motivazione posta a base del rilascio provvisorio del certificato di agibilità, in attesa della definizione del procedimento ex art. 38 d.P.R. n. 380/2001 di ‘conversionè della sanzione ripristinatoria in sanzione pecuniaria avviato su istanza del proprietario dell’Ho. Ve. – motivazione, per cui l’opera non era difforme dal progetto autorizzato, “l’antigiuridicità del costruito deriva[va] dall’annullamento in sede giurisdizionale del titolo autorizzatorio”, ed era stata offerta “garanzia del mantenimento dell’offerta turistica e dei livelli occupazionali” -, e, per altro verso, ha richiamato le conclusioni cui era pervenuta la relazione tecnica conclusiva del prof. Mo., svolta in contraddittorio con i periti di parte ing. Du. (incaricato dal signor Ma.) e prof.ssa Mu. (incaricata dai signori Za.), del seguente tenore: “Il quesito rivoltomi era se nel caso sia possibile la demolizione delle opere realizzate in forza del permesso di costruire annullato senza pregiudizio della preesistente parte conforme. Anche dopo aver letto la perizia della prof. Mu. confermo che, a mio giudizio, l’intervento di demolizione della parte costruita in virtù del rilasciato permesso di costruzione poi annullato senza un complesso intervento di modifica strutturale dell’edificio preesistente la cui struttura è stata modificata dai nuovi lavori, potrebbe provocare crolli nella parte preesistente”.
Ebbene, ritiene il Collegio che il provvedimento comunale di applicazione delle sanzioni pecuniarie ex art. 38 d.P.R. n. 380/2001 si basa su una motivazione che prende in debita considerazione tutti gli interessi coinvolti, rilevanti ai fini della decisione sulla ‘conversionè della sanzione demolitoria in sanzione pecuniaria e, al contempo, si basa su un’approfondita istruttoria, in particolare sulla perizia del prof. Mo. svolta in contraddittorio con i consulenti di parte e le cui conclusioni si muovono nel rispetto dei limiti dell’attendibilità tecnico-scientifica del settore dell’ingegneristica civile che qui viene in rilievo, non ulteriormente sindacabili nel merito, con la conseguente superfluità di disporre una consulenza tecnica d’ufficio nella presente sede giudiziale (la quale equivarrebbe a una sostanziale duplicazione dell’istruttoria procedimentale e, attraverso la ‘trasposizionè del merito amministrativo alla sede processuale, all’inammissibile sostituzione dell’organo giurisdizionale, tramite l’ausiliario tecnico, all’amministrazione nel compimento delle valutazioni discrezionali riservate a quest’ultima, le quali peraltro, come innanzi esposto, nel caso specie sono di tipo misto e non di mera natura tecnica). Infatti, ritiene il Collegio che le censure degli odierni appellanti involgano non già una mera contestazione di fatti materiali – che, in tesi, potrebbe (e dovrebbe, a garanzia dell’effettività del diritto di azione) essere risolta attraverso il ricorso ai mezzi di prova ammessi nel processo amministrativo -, bensì una contestazione della ‘correttezza tecnicà delle valutazioni peritali poste a base della determinazione del Comune, sindacabile sub specie di eventuale violazione dei limiti di attendibilità tecnico-scientifica, nella specie per le sopra esposte ragioni da escludere; valutazioni tecniche, alle quali si aggiungono le valutazioni discrezionali amministrative immanenti al giudizio di ‘conversionè della sanzione ripristinatoria in una sanzione pecuniaria ai sensi dell’art. 38, comma 2, d.P.R. n. 380/2001, che per definizione sono sottratte a un diretto sindacato di merito.
A ciò si aggiunge che, come correttamente dato atto nell’appellata sentenza, alla luce della documentazione fotografica prodotta in giudizio dall’originario controinteressato deve ritenersi comprovato che gli interventi di ampliamento eseguiti sul fronte lago (attuati mediante l’utilizzazione delle logge esistenti nella facciata dell’albergo e il prolungamento dell’aggetto dei poggioli esistenti) siano stati effettivamente ridotti allo stato pristino, con la conseguente infondatezza del correlativo profilo di censura dedotto nell’ambito del terzo motivo d’appello.
5.3. Per le considerazioni tutte sopra svolte, in reiezione dell’appello s’impone la conferma dell’impugnata sentenza, con assorbimento di ogni altra questione, ormai irrilevante ai fini decisori.
6. Tenuto conto di ogni circostanza connotante la presente controversia, si ravvisano i presupposti di legge per dichiarare le spese del presente grado di giudizio interamente compensate tra tutte le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto (ricorso n. 2125 del 2015), lo respinge e, per l’effetto, conferma l’impugnata sentenza; dichiara le spese del presente grado di giudizio interamente compensate tra tutte le parti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 11 luglio 2019, con l’intervento dei magistrati:
Sergio De Felice – Presidente
Bernhard Lageder – Consigliere, Estensore
Alessandro Maggio – Consigliere
Oreste Mario Caputo – Consigliere
Stefano Toschei – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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