Detenzione carceraria  e condizioni igienico-sanitarie minime

Corte di Cassazione, sezione prima penale, Sentenza 8 aprile 2019, n. 15306.

La massima estrapolata:

Detenzione carceraria e condizioni igienico-sanitarie minime. L’assenza di una effettiva e completa separazione tra il bagno e il resto della camera detentiva è fattore «potenzialmente produttivo di un trattamento inumano o degradante» per il detenuto, sia in camera detentiva singola che in camera collettiva, per questioni di decoro e igiene nel primo caso e in quanto a tale condizione sfavorevole «si associno altri aspetti negativi della complessiva condizione vissuta dal soggetto recluso» nel secondo caso.

Sentenza 8 aprile 2019, n. 15306

Data udienza 23 gennaio 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BONITO Francesco M.S. – Presidente

Dott. SARACENO Rosa Anna – Consigliere

Dott. MAGI Raffaello – rel. Consigliere

Dott. CAPPUCCIO Daniele – Consigliere

Dott. CENTONZE Alessandro – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato il (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 09/02/2017 del TRIB. SORVEGLIANZA di FIRENZE;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. RAFFAELLO MAGI;
lette le conclusioni del PG R. Aniello, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.

IN FATTO E IN DIRITTO

1. Il Magistrato di Sorveglianza di Pisa, con decisione del 16 novembre 2016 – in procedura ex articolo 35 ter ord. pen. introdotta da (OMISSIS) – accoglieva parzialmente la domanda risarcitoria (in riferimento a 342 giorni, con detrazione di pena pari a 34 giorni) respingendola per altri periodi.
1.1 In particolare, la domanda veniva respinta:
a) in relazione al periodo detentivo sofferto in Brescia (si segnala la estrema brevita’ dei periodi, per complessivi 24 giorni);
b) in relazione ad una parte del periodo sofferto in Como;
c) in relazione al periodo sofferto in Pesaro;
d) in relazione al periodo sofferto in Fossombrone (in cella singola, con bagno cd. a vista, separato dal resto della camera da un muretto di circa un metro di altezza);
e) in relazione al periodo sofferto in Vercelli.
2. Il Tribunale di Sorveglianza di Firenze, con decisione emessa in data 9 febbraio 2017 ha respinto il reclamo del detenuto, in riferimento ai periodi prima ricordati.
In motivazione si afferma, in sintesi, che:
a) andava valutato anche un ulteriore periodo trascorso in Pisa. Tale periodo, tuttavia, non puo’ dirsi caratterizzato da carenze nella offerta di spazi e di servizi trattamentali;
b) per il resto, si ritiene adeguata la valutazione compiuta in primo grado e si precisa che la mancanza di privacy per l’istituto di Volterra (bagno a vista) non e’ rilevante, posto che la cella era singola.
3. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione – a mezzo del difensore – (OMISSIS).
Si introducono i seguenti motivi:
a) erronea applicazione di legge in riferimento al computo dello spazio vitale minimo in cella collettiva. Si rappresenta che il Tribunale non ha realizzato alcuno scorporo dell’ingombro fisso, ma soltanto del locale bagno, in cio’ disattendendo l’orientamento consolidato di questa Corte di legittimita’;
b) erronea applicazione di legge in riferimento alla valutazione del periodo trascorso a Volterra in cella singola ma con bagno a vista. Secondo il ricorrente la conformazione della cella e la scarsa altezza del muretto divisorio determinava carenza assoluta di privacy e trattamento contrario al senso di umanita’ (dal corridoio poteva essere osservato mentre era in bagno), nonche’ carenze igieniche dovute alla sostanziale medesimezza dei due ambienti;
c) erronea applicazione di legge in riferimento ai criteri di ripartizione dell’onere della prova, per il periodo trascorso in Brescia (atteso che l’Amministrazione non ha fornito alcun dato concreto).
4. Il ricorso e’ fondato, nei limiti di seguito esposti.
4.1 Sono fondate le doglianze riportate alle lettere a – b del paragrafo precedente.
Ed invero, con riferimento ai criteri di computo dello spazio vitale minimo in cella collettiva il Tribunale ha espressamente affermato di adottare una linea interpretativa che porta ad escludere dal computo metrico il solo spazio destinato alla fruizione dei servizi igienici.
Tale orientamento contrasta con quello – ormai costante – espresso sul tema da questa Corte di legittimita’.
Va ribadito, in proposito, che a partire, essenzialmente, dalla sentenza Sez. I n. 52819 del 9.9.2016, ric. Sciuto, e’ andata affermandosi e consolidandosi – nella presente sede di legittimita’ – l’idea dell’adattamento dei contenuti delle sentenze emesse – sul diritto fondamentale di cui all’articolo 3 Conv. – dalla Corte Edu a criteri ermeneutici che, senza intaccarne i passaggi argomentativi, siano capaci di compiere una piena “attribuzione di valore” alla ratio ispiratrice della singola decisione.
Cio’ perche’, in una visione costituzionalmente orientata del rapporto che va ad instaurarsi tra i contenuti di una decisione emessa dalla Corte di Strasburgo e l’obbligo di fornire, nel sistema interno, la piu’ ampia tutela possibile ad un diritto fondamentale (rappresentato dal diritto alla legalita’ costituzionale del trattamento detentivo, che non puo’ essere contrario al senso di umanita’ ai sensi dell’articolo 27 Cost., comma 3) e’ ben possibile estrarre dalla singola decisione sovranazionale un principio regolatore che – nel rispetto dei contenuti espressi dalla Corte Edu – possa condurre anche ad una ricaduta ampliativa della tutela, atteso che “con riferimento ad un diritto fondamentale, il rispetto degli obblighi internazionali non puo’ mai essere causa di una diminuzione di tutela rispetto a quella predisposta dall’ordinamento interno, ma puo’ e deve, viceversa, costituire strumento efficace di ampliamento della tutela stessa” (cosi’ Corte Cost. n. 317 del 2009).
Si e’ pertanto radicata, sul tema specifico, la identificazione del parametro spaziale dei tre metri quadri in termini di spazio destinato al movimento, interno alla cella, con necessita’ di sottrarre dal computo – oltre allo spazio del bagno – le quote occupate da arredi fissi (pur necessari) difficilmente amovibili (come il letto a castello) e tali da determinare ingombro.
Le coordinate interpretative sono state, tra le molte, riaffermate dalla decisione Sez. I n. 41211 del 26.5.2017, ric. Gobbi, nel cui ambito si e’ ritenuto di respingere una sollecitazione ad investire, sul tema, le Sezioni Unite, e si e’ ripetuto che dovendosi intendere la porzione di spazio individuale minimo come superficie funzionale alla liberta’ di movimento del recluso, gia’ di per se’ fortemente limitata dall’esperienza segregativa, non puo’ essere considerata superficie utile alla integrazione della quota di spazio minimo individuale, quella occupata da arredi fissi che, seppur necessari, assolvono a finalita’ diverse rispetto a quella del movimento del corpo nello spazio.
Su tale aspetto la decisione impugnata realizza l’adesione ad un diverso orientamento interpretativo il che – ferma restando la liberta’ interpretativa di ciascun giudice di merito, salvo il caso della decisione in sede di annullamento con rinvio – comporta la venuta in essere di un vizio in diritto, stante il consolidamento della diversa linea interpretativa sin qui rievocata.
Va pertanto rilevato il vizio in riferimento alla detenzione sofferta dal ricorrente in Pisa e in Vercelli, dovendosi rivalutare il calcolo dello spazio vitale effettivamente disponibile.
4.2 Non puo’ essere accolto il ricorso in riferimento al periodo trascorso in Brescia. Se da un lato la carenza di informazioni va a vantaggio del ricorrente, dall’altro le doglianze sono effettivamente caratterizzate da genericita’ ed il periodo e’ estremamente breve.
4.3 Va, di contro, accolto il ricorso anche in riferimento al periodo trascorso in cella singola in Fossombrone.
Sul tema posto dal ricorrente risultano necessarie alcune precisazioni.
La permanenza in cella singola, di regola, non determina criticita’ – rispetto ai contenuti precettivi dell’articolo 35 ter ord. pen. – quanto allo spazio fruibile, salva l’ipotesi di camera detentiva con spazio inferiore alla soglia dei 3 metri quadrati (ipotesi nemmeno dedotta nel caso in esame).
Cio’, tuttavia non esclude che le condizioni detentive concrete possano integrare un trattamento inumano o degradante, in virtu’ della estrema ampiezza di tale nozione, come ricostruita dalla giurisprudenza interna e sovranazionale.
4.4 Non e’ inutile ricordare che e’ la stessa fonte giurisprudenziale valorizzata dal legislatore italiano nel corpo della previsione di legge ad aver costantemente affermato che la valutazione del trattamento inumano o degradante va sempre apprezzata in concreto:: “..la Corte ricorda che per rientrare nell’ambito dell’articolo 3, un maltrattamento deve raggiungere un minimo di gravita’. La valutazione di questo minimo e’ relativa per definizione; la stessa dipende dall’insieme dei dati relativi al caso, e in particolare dalla durata del trattamento, dai suoi effetti fisici e mentali nonche’, talvolta, dal sesso, dall’eta’ e dallo stato di salute della vittima.. ” (GC Corte Edu nel caso Labita contro Italia del 6 aprile 2000).
L’obbligo positivo che deriva dall’articolo 3 della Convenzione non e’ dunque traducibile in sub-precetti dotati di elevata specificita’, come emerge nitidamente dai numerosi arresti della Corte di Strasburgo, ove si definisce detto obbligo nei termini che seguono: “obbligo che consiste nell’assicurare che ogni prigioniero sia detenuto in condizioni compatibili con il rispetto della dignita’ umana, che le modalita’ di esecuzione della misura non sottopongano l’interessato ad uno stato di sconforto ne’ ad una prova d’intensita’ che ecceda l’inevitabile livello di sofferenza inerente alla detenzione e che, tenuto conto delle esigenze pratiche della reclusione, la salute e il benessere del detenuto siano assicurati adeguatamente (sent. Torreggiani ed altri contro Italia, del 2013).
Cio’ posto, e’ altrettanto pacifica (GC Mursic contro Croazia) l’acquisizione per cui quando lo spazio fruibile nella camera detentiva si attesta tra i 3 e i 4 m2, puo’ sussistere una violazione dell’articolo 3 Conv. se tale condizione risulta combinata ad altri aspetti di inadeguatezza della detenzione. Tali aspetti riguardano, in particolare, la possibilita’ di svolgere attivita’ fisica all’aria aperta, la presenza di luce naturale e aria nella cella, l’adeguatezza della ventilazione e della temperatura, la possibilita’ di utilizzare la toilette in privato ed il rispetto dei generali requisiti igienico-sanitari. Cosi’ come anche in presenza di una liberta’ di movimento in ambienti superiori ai 4 metri quadrati rimangono comunque rilevanti gli altri aspetti riguardanti le condizioni di detenzione, ai fini della valutazione di conformita’ all’articolo 3 della Convenzione.
4.5 Dunque un primo aspetto puo’ darsi per scontato: il periodo detentivo trascorso in camera detentiva singola, senza limitazioni di spazio vitale rilevanti, non e’ per questa sola ragione immune da sospetti di trattamento inumano o degradante, li’ dove le condizioni materiali o l’offerta trattamentale siano fortemente inadeguate.
Quanto al tema specifico del bagno a vista, il Collegio ritiene che cio’ possa rappresentare – anche in cella singola – un concreto indicatore di trattamento degradante, pur da valutarsi nel complessivo contesto delle condizioni detentive.
La separazione effettiva tra il locale bagno e il restante ambito della camera detentiva (in cella collettiva) e’ infatti presupposta come necessaria proprio nella decisione GC Mursic contro Croazia del 20 ottobre 2016, li’ dove si compie riferimento al necessario utilizzo del locale bagno in privato e li’ dove si realizza espressamente l’esclusione di tale locale dal computo dello spazio minimo vitale.
4.6 Va inoltre segnalato, sul tema, l’arresto Szafranski v. Polonia IV Sez. del 15.12.2015. La vicenda portata all’attenzione della Corte di Straburgo riguardava essenzialmente la mancanza di adeguata separazione tra il locale-bagno ed il resto della camera detentiva. Qui, valutando il caso, si ritiene ammissibile la domanda di tutela e si ritiene rilevante il tema specifico, ma la violazione della previsione contenuta nell’articolo 3 Conv. viene ritenuta insussistente in virtu’ del fatto che la mancanza di riservatezza era l’unico profilo negativo della condizione detentiva complessiva, per il resto piu’ che adeguata. Conviene riportare (con traduzione non ufficiale) il passaggio valutativo:
(.. La valutazione della Corte:
(a) Principi generali.
19. La Corte ribadisce che l’articolo 3 consacra uno dei valori fondamentali delle societa’ democratiche. La Convenzione proibisce in termini assoluti la tortura e le pene o trattamenti inumani o degradanti, indipendentemente dalla condotta della vittima (vedere Labita c. Italia (GC), n. 26772/95, § 119, CEDU 2000-IV).
20. Come ha piu’ volte affermato la Corte, per rientrare nell’ambito di applicazione dell’articolo 3 della Convenzione i maltrattamenti devono raggiungere un livello minimo di gravita’. La valutazione di questo livello minimo di gravita’ e’ relativa; dipende da tutte le circostanze del caso, come la durata del trattamento, i suoi effetti fisici e mentali e, in alcuni casi, il sesso, l’eta’ e lo stato di salute della vittima. Inoltre, nel considerare se il trattamento sia “degradante” ai sensi dell’articolo 3, la Corte valutera’ se il suo scopo e’ umiliare e svilire la persona interessata e se, per quanto riguarda le conseguenze, abbia influito negativamente sulla sua personalita’ in modo incompatibile con l’articolo 3. Sebbene la domanda se lo scopo del trattamento fosse quello di umiliare o svilire la vittima e’ un fattore da prendere in considerazione, l’assenza di tale finalita’ non puo’ escludere in modo definitivo l’accertamento di una violazione dell’articolo 3 (cfr. Peers c. Grecia, 28524/95, §§ 67-68 e 74, CEDU 2001-111, e ValMinas v. Lituania, 44558/98, § 101, CEDU 2001-VIII).
21. Misure che privano una persona della sua liberta’ possono spesso implicare un elemento inevitabile di sofferenza o umiliazione. Tuttavia, il livello di sofferenza e di umiliazione non deve andare al di la’ di cio’ che e’ inevitabilmente connesso a una determinata forma di trattamento o punizione legittima.
22. Nel contesto della detenzione, la Corte ha sottolineato che una persona detenuta non perde, per il solo fatto della sua incarcerazione, la protezione dei suoi diritti garantita dalla Convenzione. Al contrario, le persone in custodia sono in una posizione vulnerabile e le autorita’ hanno il dovere di proteggerle. Ai sensi dell’articolo 3, lo Stato deve garantire che una persona sia detenuta in condizioni compatibili con il rispetto della sua dignita’ umana, che le modalita’ e le modalita’ dell’esecuzione della misura non la assoggettino a angosce o sofferenze di un’intensita’ superiore al livello inevitabile di sofferenza inerente alla detenzione e che, date le esigenze pratiche del carcere, la sua salute e il suo benessere sono adeguatamente garantiti. (vedi Vala§inas, citata sopra, § 102, e Kudia v. Poland (GC), no 30210/96, § 94, ECHR 2000-XI).
23. Nel valutare le condizioni di detenzione, si deve tener conto degli effetti cumulativi di tali condizioni, nonche’ delle specifiche asserzioni fatte dal richiedente (vedere Dougoz c. Grecia, 40907/98, § 46, CEDU 2001-11). Si deve anche prendere in considerazione la durata del periodo durante il quale una persona e’ detenuta nelle condizioni particolari (vedere, tra le altre autorita’, Alver c. Estonia, 64812/01, 8 novembre 2005).
24. Nel contesto delle condizioni di detenzione, la Corte ha spesso riscontrato una violazione dell’articolo 3 della Convenzione nei casi che hanno coinvolto il sovraffollamento nelle celle delle prigioni (si vedano, tra le molte altre autorita’, Lind contro Russia, 25664/05, § 59, 6 dicembre 2007, e Orchowski, citata sopra, § 135). Tuttavia, in altri casi in cui il sovraffollamento non era cosi’ grave da sollevare una questione di per se’ ai sensi dell’articolo 3 della Convenzione, la Corte ha rilevato che altri aspetti delle condizioni fisiche di detenzione erano rilevanti ai fini della valutazione del rispetto di tale disposizione. Tali elementi comprendevano, in particolare, la disponibilita’ di ventilazione, l’accesso alla luce naturale o all’aria, l’adeguatezza degli impianti di riscaldamento, la conformita’ ai requisiti sanitari di base e la possibilita’ di utilizzare il bagno in privato. Cosi’, anche nei casi in cui era in questione una cella di prigione piu’ grande – che misurava tra 3 e 4 mq per detenuto – la Corte ha riscontrato una violazione dell’articolo 3 poiche’ il fattore spazio era associato a una diffusa mancanza di ventilazione e illuminazione (vedi per esempio, Babushkin c. Russia, No. 67253/01, § 44, 18 ottobre 2007, Ostrovar v. Moldova, No. 35207/03, § 89, 13 settembre 2005, e Peers, citata sopra, §§ 70-72), o con una mancanza di privacy di base nella vita quotidiana del detenuto (vedere, mutatis mutandis, Belevitskiy c. Russia, n. 72967/01, §§ 73-79, 1 marzo 2007; Valginas, citata sopra, § 104; Khudoyorov v. Russia, no 6847/02, §§ 106-107, ECHR 2005-X (estratti) e Novoselov c. Russia, n. 66460/01, §§ 32, 40-43, 2 giugno 2005).
25. Per quanto riguarda le circostanze della presente causa, la Corte osserva che il ricorrente e’ stato detenuto nella prigione di Wronki tra il 31 marzo 2010 e il 6 dicembre 2011, vale a dire per un anno e otto mesi. Durante questo periodo e’ stato collocato in dieci celle diverse, tre delle quali avevano strutture sanitarie completamente separate dal resto della cella.
26. Le asserzioni del richiedente riguardo a ventilazione insufficiente e riscaldamento e a una mancanza di luce nelle celle in cui fu tenuto non furono confermate nel procedimento davanti ai tribunali nazionali che esamino’ la sua richiesta di una violazione del suo diritti personali. I tribunali confermarono, tuttavia, che le strutture sanitarie situate all’ingresso di sette delle sue celle erano state separate dal resto della cella solo da una divisione di pannelli di fibre e non avevano porte.
27. La Corte osserva che in precedenti casi in cui era in discussione l’insufficiente divisione tra strutture sanitarie e il resto della cella, erano presenti altri fattori aggravanti e solo il loro effetto cumulativo acconsentito di ravvisare una violazione dell’articolo 3 della Convenzione (cfr. Canali contro Francia, n. 40119/09, §§ 52-53, 25 aprile 2013, e Peers, citata sopra§ 73). Al contrario, nel caso di specie, come risulta dalle osservazioni del governo, confermate dagli accertamenti fatti dai tribunali nazionali, l’unica difficolta’ che il ricorrente doveva sopportare era l’insufficiente separazione delle strutture sanitarie dal resto della cella. Oltre a cio’, le celle erano adeguatamente illuminate, riscaldate e ventilate. Il richiedente aveva anche accesso a varie attivita’ al di fuori delle celle.
28. Tenendo conto di quanto precede, la Corte ritiene che non si possa ritenere che le circostanze generali della detenzione del ricorrente nella prigione di Wronki abbiano causato disagio e difficolta’ che superano il livello inevitabile di sofferenza inerente alla detenzione o sono andate oltre la soglia di gravita’ prevista dall’articolo 3 della Convenzione.
29. Di conseguenza, nel presente caso non vi e’ stata violazione di questa disposizione..).
Nel caso di cui sopra, peraltro, la Corte Edu ha riconosciuto come sussistente la violazione dell’articolo 8 della Convenzione per la violazione della riservatezza, in rapporto alla mancanza di effettiva separazione tra il locale bagno e la restante parte della cella collettiva.
4.7 Da quanto sinora affermato, a parere del Collegio, derivano alcuni principi di diritto, che vanno esplicitati nel modo che segue.
L’assenza di una effettiva e completa separazione tra il locale-bagno ed il resto della camera detentiva e’ fattore potenzialmente produttivo di un trattamento inumano o degradante – sia in camera detentiva singola (per questioni di decoro ed igiene, oltre che per la probabilita’ di osservazione dall’esterno di quanto accade nello spazio che dovrebbe essere riservato) che in camera detentiva collettiva, se ed in quanto a tale condizione sfavorevole si associno altri aspetti negativi della complessiva condizione vissuta dal soggetto recluso.
Non puo’ pertanto omettersi la verifica del complesso delle condizioni detentive – ai fini di cui all’articolo 35 ter ord. pen – li’ dove risulti accertata, come nel caso in esame, l’esistenza del bagno a vista in camera detentiva singola.
Anche in riferimento al periodo di detenzione sofferto in Fossombrone va pertanto disposto l’annullamento del provvedimento impugnato, con rinvio per nuovo esame.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Sorveglianza di Firenze.

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