Consiglio di Stato, sezione sesta, Sentenza 30 ottobre 2018, n. 6176.
La massima estrapolata:
Il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse, diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata, che impongono la rimozione dell’abuso.
Sentenza 30 ottobre 2018, n. 6176
Data udienza 11 ottobre 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7069 del 2012, proposto da
Fr. Or. e altri, rappresentate e difese dagli avvocati Re. An. e Ma. Ga. Ca., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Lu. Be. in Roma, corso (…);
contro
il Comune di Napoli, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Fa. Ma. Fe., An. Pu. e Gi. Da., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Gi. Ma. Gr. in Roma, corso (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania n. 2207 del 2012.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Napoli;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 11 ottobre 2018 il Cons. Giordano Lamberti e udito l’avvocato Ni. La., su delega dell’avvocato Br. Ri.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1 – Le appellanti hanno realizzato opere edilizie consistenti nella sopraelevazione di un manufatto, sito a Napoli (San Pietro) in via dei Melangolari, n. 39 (F. 1, part. 493, sub 6 e 518).
2 – Il fabbricato sul quale è stata realizzata la sopraelevazione è stato oggetto dei provvedimenti di condono edilizio n. 24920 del 10 settembre 2010, n. 25992 e 25993 del 13 ottobre 2010.
3 – Il Comune di Napoli, con l’ordinanza n. 364 del 23 agosto 2010, ha ingiunto la demolizione delle opere eseguite, senza titolo abilitativo, all’ultimo piano del fabbricato.
Il suddetto provvedimento è stato impugnato dalle appellanti avanti il T.A.R. per la Campania, Sede di Napoli.
4 – Con provvedimento n. 94 del 7 aprile 2011 è stata disposta l’acquisizione al patrimonio comunale delle opere, stante l’inottemperanza all’ordine di demolizione.
Con motivi aggiunti notificati il 28 giugno 2011, parte appellante ha impugnato anche quest’ultimo provvedimento.
5 – Con la sentenza n. 2207 del 2012, il T.A.R. ha rigettato il ricorso ed i motivi aggiunti. Avverso tale sentenza è stato proposto appello per i motivi di seguito esaminati.
6 – Con il primo motivo di appello si deduce l’errore in cui sarebbe incorso il T.A.R., che non avrebbe adeguatamente valutato la violazione dei principi in tema di partecipazione al procedimento, e precisamente dell’art. 7 e dell’art. 10-bis della l. 241/90, come modificata dalla l. 15/2005.
6.1 – La censura è palesemente infondata. Invero, il T.A.R. ha fatto corretta applicazione dei principi consolidati che regolano tale materia, in base ai quali deve escludersi che la violazione delle norme in tema di partecipazione al procedimento dia luogo all’annullamento dell’atto ogni qual volta risulti che l’esito del procedimento non sarebbe stato differente, anche se vi fosse stata la partecipazione dell’interessato; il che accade quando il quadro normativo di riferimento e gli elementi di fatto raccolti nel corso dell’istruttoria non presentano margini di incertezza sufficientemente apprezzabili e l’eventuale annullamento del provvedimento finale non priverebbe l’Amministrazione del potere di adottare un nuovo provvedimento di contenuto ana.
Al riguardo, deve solo aggiungersi che, nel caso in esame, si versa nell’ambito della repressione degli abusi edilizi, che costituisce attività dovuta e vincolata dell’amministrazione, con la conseguenza che, ai fini dell’adozione delle ordinanze di demolizione, non è necessario l’invio della comunicazione di avvio del procedimento, non potendosi in ogni caso pervenire all’annullamento dell’atto alla stregua dell’art. 21-octies, legge 241/1990 (cfr. Cons. St., sez. IV, n. 734 del 2014; Cons. St., sez. V, n. 3337 del 2012; Cons. St., sez. V, n. 4764 del 2011).
Per lo stesso motivo, non rileva neppure la dedotta violazione dell’art. 10 bis della l. 241/1990, infatti: “l’istituto del cd. preavviso di rigetto, di cui all’art. 10-bis, ha lo scopo di far conoscere alle amministrazioni le ragioni fattuali e giuridiche dell’interessatoche potrebbero contribuire a far assumere agli organi competenti una diversa determinazione finale, derivante dalla ponderazione di tutti gli interessi in campo e determinando una possibile riduzione del contenzioso fra le parti; tuttavia, tale scopo viene meno ed è di per sé inidoneo a giustificare l’annullamento del provvedimento nei casi in cui il suo contenuto non sarebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato, sia perché vincolato, sia perché sebbene discrezionale sia raggiunta la prova della sua concreta e sostanziale non modificabilità ” (cfr. Cons. St., sez. III, n. 4532 del 2015).
6.2 – Non scalfisce la conclusione che precede il dedotto mancato esame della questione relativa alla reale possibilità di demolire la parte considerata abusiva, laddove detta demolizione pregiudichi la parte legittima dell’immobile, posto che tale circostanza non rileva ai fini dell’adozione dell’ordinanza di demolizione, come di seguito meglio spiegato nell’esame del terzo motivo di appello.
7 – Con il secondo motivo di appello si critica la sentenza del T.A.R. nel punto in cui sostiene la tesi secondo cui l’ordine di demolizione è atto dovuto che consegue alla semplice esecuzione di un’opera in assenza di titolo abilitativo.
7.1 – Con il seguente terzo motivo di appello si deduce, di conseguenza, la mancata considerazione da parte del T.A.R. della carenza di accertamenti volti a valutare la possibilità o meno del ripristino stato dei luoghi.
Secondo parte appellante, per l’applicazione della misura della demolizione, sarebbe necessaria l’esplicazione di una attenta attività istruttoria, nonché l’adozione di una motivazione volta a fornirne idonea giustificazione; dovrebbe, inoltre, essere valutata l’esistenza di particolari motivi che possano consigliare l’adozione di altre misure sanzionatorie di minore gravità . Nel caso di specie, non si sarebbe valutata l’impossibilità di procedere alla demolizione del piano sopraelevato senza danneggiare l’immobile tutto, ed in particolare gli elementi che al suo interno svolgono una funzione strutturale.
7.3 – Anche tali censure, che possono essere esaminate congiuntamente, sono infondate.
In generale, deve infatti ribadirsi che, in presenza di opere abusive, l’ordine di demolizione costituisce atto dovuto, come confermato dall’Adunanza Plenaria di questo Consiglio (Cons. St., Ad. Plen., 17 ottobre 2017, n. 9): il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell’abuso”. Ne consegue che il provvedimento può ritenersi sufficientemente motivato con la stessa descrizione dell’abuso, in quanto unico presupposto che giustifica la misura sanzionatoria, senza la necessità di esplicitare la sussistenza di un interesse pubblico attuale e concreto alla demolizione, ovvero il bilanciamento di questo con l’interesse del privato coinvolto.
7.4 – In riferimento alla specifica doglianza di parte appellante, deve altresì ribadirsi il principio, più volte affermato dalla giurisprudenza, secondo cui la possibilità di non procedere alla rimozione delle parti abusive – quando ciò sia pregiudizievole per quelle legittime – costituisce solo un’eventualità della fase esecutiva, subordinata alla circostanza dell’impossibilità del ripristino dello stato dei luoghi.
In altre parole, la possibilità di applicare la sanzione pecuniaria in luogo della demolizione è questione che deve essere valutata a valle del provvedimento di demolizione, laddove ne sussistano i relativi presupposti (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 23 novembre 2017, n. 5472; Cons. Stato, sez. VI, 29 novembre 2017, n. 5585).
Inoltre, non può non osservarsi che, nel caso di specie, le paventate conseguenze pregiudizievoli alla parte del fabbricato legittimamente edificata, sono frutto di affermazioni assolutamente generiche, prive di qualunque riferimento concreto, e di conseguenza anche destituite di ogni riscontro probatorio.
8 – Con il quarto motivo di appello si deduce la mancata considerazione della situazione di fatto esistente nel Comune appellato (al pari di quella di altri Comuni campani) e l’inosservanza dell’art. 27 della L. 457/73; tali circostanze si rifletterebbero in modo diretto sulla difficoltà di reperimento di una struttura abitativa per le ricorrenti e le loro famiglie, giustificando il ricorso ad un abusivismo di necessità .
8.1 – Con il quinto motivo di appello si denuncia la violazione del principio della edificabilità di fatto (art. 5-bis D.L. 333/92). Più precisamente, secondo l’appellante, nel caso in esame, siccome le opere sanzionate si collocano in un’area circondata da abitazioni condonate e dotata di infrastrutture, la loro demolizione non restituirebbe all’area la vocazione originaria e, dunque, la permanenza delle stesse sarebbe conforme alla vocazione di fatto acquisita dall’area.
9.2 – Le esposte censure sono manifestamente infondate, oppure inammissibili nella parte in cui introducono in giudizio considerazioni che non incidono sulla legittimità (o meno) degli atti impugnati.
Invero, la già ricordata natura dovuta e vincolata dei provvedimenti sanzionatori impugnati esclude che peculiari situazioni di fatto, non tipizzate dal legislatore, possano giustificare eccezioni o deroghe ai principi già esposti, pena la violazione del preminente principio di legalità che regola l’attività amministrativa. Pertanto, non rileva il fatto che l’area si presenti massicciamente edificata, dovendosi aver riguardo unicamente alla situazione delle opere di cui si è ingiunta la demolizione, le quali risultano abusive e dunque, per ciò solo, giustificano l’intervento repressivo dell’amministrazione.
9.3 – Risulta del tutto inconferente, rispetto all’applicazione delle sanzioni edilizie previste in caso di abusivismo, la questione dell’attuazione da parte del Comune di quanto previsto nell’art. 27 della legge n. 457/78, che prevede l’individuazione, nell’ambito degli strumenti urbanistici generali, di zone ove, per le condizioni di degrado, si rende opportuno il recupero del patrimonio edilizio ed urbanistico esistente mediante interventi rivolti alla conservazione, al risanamento, alla ricostruzione e alla migliore utilizzazione del patrimonio stesso.
9.4 – E’ parimenti del tutto inconferente il richiamo all’art. 5-bis del D.L. 333/1992, il quale è stato dettato in riferimento ai procedimenti di esproprio, non incidendo tale norma in alcun modo sulla legittimità o meno dello opere edilizie oggetto di causa.
10 – In definitiva, l’appello deve essere rigettato; ne consegue la condanna di parte appellante alla refusione delle spese di lite, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, definitivamente pronunciando, rigetta l’appello n. 7069/2012 e condanna parte appellante alla refusione delle spesse di lite in favore della controparte, che si liquidano in complessivi Euro2.000, oltre accessori come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 11 ottobre 2018, con l’intervento dei magistrati:
Vincenzo Lopilato – Presidente FF
Marco Buricelli – Consigliere
Oreste Mario Caputo – Consigliere
Giordano Lamberti – Consigliere, Estensore
Stefano Toschei – Consigliere