Consiglio di Stato, sezione terza, Sentenza 4 febbraio 2019, n. 866.
La massima estrapolata:
Il Daspo è una misura di carattere preventivo e non sanzionatorio, applicabile indipendente dalla condanna penale e avente una finalità prevalentemente diretta alla creazione di un ambiente che prevenga comportamenti violenti o pericolosi. Per tale misura, così come per tutto il diritto amministrativo della prevenzione, vale la logica del “più probabile che non”, non richiedendosi la certezza ogni oltre ragionevole dubbio che le condotte siano ascrivibili ai soggetti destinatari. È dunque sufficiente una dimostrazione fondata su elementi di fatto gravi, precisi e concordanti, secondo un ragionamento causale di tipo probabilistico improntato a una elevata attendibilità.
Sentenza 4 febbraio 2019, n. 866
Data udienza 24 gennaio 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Terza
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5871 del 2018, proposto dal Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, e dalla Questura di Roma, in persona del Questore pro tempore, entrambi rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici sono domiciliati ex lege in Roma, via (…);
contro
Ri. Ca. ed altri, non costituiti nel presente grado del giudizio;
per la riforma
della sentenza n. 321 dell’11 gennaio 2018 del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sede di Roma, sez. I, concernente l’annullamento dei distinti provvedimenti con i quali, ai sensi dell’art. 6 della l. n. 401 del 1989, è stato vietato agli odierni appellati, non costituiti, di accedere agli impianti sportivi per la durata di un anno.
visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
visti tutti gli atti della causa;
relatore nell’udienza pubblica del giorno 24 gennaio 2019 il Consigliere Massimiliano Noccelli e udito per il Ministero dell’Interno e per la Questura di Roma, odierne appellanti, l’Avvocato dello Stato Ca. Co.;
ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Gli odierni appellati, tutti destinatari di separati provvedimenti di divieto di accesso negli impianti sportivi (di qui in avanti, per brevità, anche DASPO) per la durata di un anno emessi nei loro confronti da parte della Questura di Roma, ai sensi dell’art. 6 della l. n. 401 del 1989, hanno adì to il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma, per chiedere l’annullamento di detti provvedimenti.
1.1. L’adozione di tali provvedimenti ha tratto origine da un gravissimo episodio di violenza di gruppo, posto in essere dagli odierni appellati in occasione dell’incontro calcistico finale per il conseguimento della coppa Tim Cup, disputatasi in Roma, presso lo stadio Ol., il 21 maggio 2016 tra Mi.e Ju..
1.2. Più in particolare, al termine della partita e durante le operazioni di deflusso dallo stadio, i tifosi milanisti, a bordo di un convoglio di pullman diretto a Milano e scortato da personale della Polizia di Stato, percorrevano via (omissis) dove, all’altezza della intersezione con via (omissis), i pullman hanno arrestato improvvisamente la marcia.
1.3. Durante tale sosta i tifosi milanesi, odierni appellati, sono scesi dal primo pullman in testa al convoglio, dopo aver azionato le manopole di apertura di emergenza, e – una volta percorso un breve tragitto a piedi – hanno aggredito violentemente, con l’utilizzo di mezzi contundenti, gli avventori del bar Je., sito in via (omissis), e hanno, altresì, danneggiato le vetrine del suddetto locale.
1.4. Il personale della Polizia di Stato presente in loco ha circondato immediatamente il primo dei pullman, occupato da tifosi milanisti posto all’intersezione tra via (omissis) e via (omissis), procedendo all’identificazione di tutti gli occupanti ed eseguendo la perquisizione del veicolo.
1.5. Le operazioni di identificazione degli occupanti del primo automezzo sono proseguite per tutta la notte sino al tardo pomeriggio del 22 maggio 2016, mentre gli occupanti degli altri pullman, componenti il convoglio, hanno proseguito la loro marcia verso la originaria destinazione a bordo dei propri mezzi.
1.6. In conseguenza di questi eventi, pertanto, la Questura di Roma ha emesso i provvedimenti di DASPO nei confronti degli odierni appellati, tutti occupanti del primo pullman, in quanto ritenuti autori della violenta vendetta di gruppo.
2. I provvedimenti di DASPO sono stati quindi impugnati da questi avanti al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma, deducendo tre motivi:
1) il vizio di motivazione;
2) la violazione di legge e l’errata applicazione dell’art. 6 della l. n. 401 del 1989;
3) l’eccesso di potere in relazione all’insussistenza per l’applicazione della misura.
2.1. Nel primo grado del giudizio si sono costituiti il Ministero dell’Interno e la Questura di Roma, per chiedere la reiezione del ricorso.
2.2. Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma, dopo aver sospeso in via cautelare i provvedimenti istruttori e aver disposto attività istruttoria, non eseguita dal Ministero dell’Interno, con la sentenza n. 321 del 2018, ha accolto il ricorso e ha annullato tali provvedimenti.
3. Avverso tale sentenza hanno proposto appello il Ministero dell’Interno e la Questura di Roma e, nel dedurre quattro motivi di ricorso che saranno di seguito esaminati, ne hanno chiesto la riforma, con la conseguente reiezione del ricorso proposto in primo grado.
3.1. Non si sono costituiti gli appellati, nonostante la rituale notifica del gravame.
3.2. Nella pubblica udienza del 24 gennaio 2019 il Collegio, sentiti i difensori delle parti, ha trattenuto la causa in decisione.
4. L’appello proposto dal Ministero dell’Interno e dalla Questura di Roma è fondato e va accolto.
5. Deve essere anzitutto dichiarata, in accoglimento del primo motivo di appello proposto dal Ministero dell’Interno e dalla Questura di Roma (pp. 5-9 del ricorso), l’ammissibilità della documentazione portata alla cognizione di questo giudice d’appello ai sensi dell’art. 104, comma 2, c.p.a.
5.1. Si tratta, più in particolare, dei seguenti documenti:
a) l’esito della perquisizione veicolare (all. 1) e dei conseguenti sequestri adottati (all. 2, 3 e 4);
b) l’annotazione della comunicazione radio del Reparto Mobile di Napoli (all. 5) e della comunicazione della notizia di reato inoltrata al Commissariato di P.S. Au. (all. 6);
c) i verbali delle sommarie informazioni rese da Gi. Pa., Ma. Me. e Va. Pe., conducenti dei tre pullman del corteo (all. 7, 8 e 9), e da Ni. Di Be., Fr. Sc. e Fe. D’A. (all. 10, 11 e 12), rispettivamente titolare del locale e testimoni oculari dell’accaduto.
5.2. Questi documenti sono senza dubbio indispensabili ai fini della presente giudizio poiché sono atti relativi al procedimento amministrativo sfociato nell’adozione dei provvedimenti di DASPO in questo giudizio contestati.
5.3. Valga sul punto rammentare la consolidata giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, secondo la quale gli atti e i documenti inerenti al procedimento sono per definizione “indispensabili” ai fini della decisione e sussiste il potere-dovere in capo al giudice amministrativo, anche in sede di appello, di acquisirli, se del caso con l’esercizio del proprio potere officioso ai sensi dell’art. 46, comma 2, c.p.a., senza incorrere nella preclusione ai nova in appello di cui all’art. 104, comma 2, c.p.a. (Cons. St., sez. VI, 22 maggio 2018, n. 3042).
5.4. Peraltro, anche a voler prescindere dalla necessaria applicabilità dell’art. 46, comma 2, c.p.a. nel giudizio di appello, l’indispensabilità di tali documenti, come correttamente osservano le amministrazioni appellanti (pp. 7-9 del ricorso), risulterebbe evidente, sol che si consideri come la documentazione, di cui si è detto (v. supra § 5.1.), riveste una efficacia determinante ai fini del giudizio e consente di risolvere, in senso difforme rispetto alla decisione di primo grado, le questioni concernenti, da un lato, l’ascrivibilità delle condotte di gruppo ai soggetti destinatari dei DASPO, in questa sede impugnati, e, dall’altro, l’illegittima detenzione di materiale offensivo in violazione dell’art. 6-ter della l. n. 401 del 1989.
5.5. A tale riguardo, come pure correttamente ricordano le amministrazioni appellanti, non si può trascurare nemmeno che in un parallelo giudizio, instaurato da soggetti destinatari di DASPO per la durata di cinque anni in relazione ai gravissimi episodi del 21 maggio 2016, il medesimo Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma, con la sentenza n. 432 del 18 gennaio 2018, non appellata e, quindi, costituente giudicato, ha valorizzato proprio i documenti in questa sede prodotti dalle amministrazioni ai sensi dell’art. 104, comma 2, c.p.a. e ha ritenuto legittimi i provvedimenti di DASPO adottati dalla Questura di Roma nei confronti di tali soggetti.
5.6. Di qui, con ogni evidenza, la indispensabilità, anche ai fini della presente decisione, dei documenti, sopra indicati, essenziali per acclarare la legittimità dei provvedimenti, annullati dal primo giudice, sia sotto il profilo della ascrivibilità delle condotte agli occupanti del primo pullman sia sotto il profilo della detenzione di materiale offensivo.
6. Sulla nozione di indispensabilità di cui all’art. 104, comma 2, c.p.a., d’altro canto, valga anche qui richiamare la più recente giurisprudenza di questo Consiglio, secondo la quale il giudice può e deve ammettere al contrario tutti quei documenti non sono semplicemente “rilevanti” ai fini del decidere, “bensì appaiono dotati di quella speciale efficacia dimostrativa che si traduce nella capacità di fornire un contributo decisivo all’accertamento della verità materiale, conducendo ad un esito, per così dire, “necessario” della controversia” (Cons. St., sez. VI, 17 luglio 2018, n. 3435; Cons. St., sez. III, 8 gennaio 2019, n. 183).
6.1. L’accertamento della verità materiale, “fine ultimo e vera mè ta di ogni giusto processo” (Cons. St., sez. III, 9 gennaio 2019, n. 183), impone pertanto l’acquisizione di tutti quei documenti indispensabili per la decisione, senza i quali tale decisione, seppure per il mancato assolvimento dell’onere probatorio dalla parte interessata in primo grado, si fonderebbe irrimediabilmente su una incompleta conoscenza di fatti assolutamente necessari per la cognizione del giudice.
6.2. La produzione di documenti decisivi in appello, indipendentemente dalla diligenza della parte onerata, è necessaria a tale irrinunciabile fine, che vede nel processo non solo una garanzia delle parti, come esso deve essere anzitutto essere, ma uno strumento di verità e, quindi, come mezzo per il perseguimento di tale irrinunciabile valore.
6.3. La nozione di indispensabilità, qui accolta, e l’ammissibilità di quella che autorevole dottrina definisce “prova cruciale” è del resto in armonia con l’orientamento del giudice civile espresso dalla sentenza n. 10790 del 4 maggio 2017 delle Sezioni Unite della Cassazione civile, secondo cui nel giudizio di appello costituisce prova nuova indispensabile, ai sensi dell’art. 345, comma terzo, c.p.c., nel testo previgente rispetto alla novella di cui al d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, quella di per sé idonea ad eliminare ogni possibile incertezza circa la ricostruzione fattuale accolta dalla pronuncia gravata, smentendola o confermandola senza lasciare margini di dubbio oppure provando quel che era rimasto indimostrato o non sufficientemente provato, a prescindere dal rilievo che la parte interessata sia incorsa, per propria negligenza o per altra causa, nelle preclusioni istruttorie del primo grado (v., su questo punto, Cons. St., sez. III, 9 gennaio 2019, n. 183).
6.4. A maggior ragione pertanto, proprio alla luce di queste considerazioni sistematiche, la documentazione prodotta dal Ministero dell’Interno e dalla Questura di Roma, anche indipendentemente dall’applicabilità dell’art. 46, comma 2, c.p.a., appare indispensabile e, quindi, acquisibile nel giudizio di appello ai sensi e per gli effetti dell’art. 104, comma 2, c.p.a.
7. Ciò premesso sull’ammissibilità dei documenti, prodotti dalle amministrazioni appellanti, si deve ora esaminare il primo motivo di appello (pp. 9-13 del ricorso), con il quale esse deducono l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui, seppure sulla base dei documenti – incompleti – versati nel primo grado del giudizio, avrebbe negato la sicura ascrizione delle condotte agli occupanti del primo pullman.
7.1. Tale motivo, proprio sulla base della documentazione prodotta dagli appellanti, è fondato.
7.2. La sentenza impugnata, infatti, è pervenuta alla conclusione secondo la quale le condotte di gruppo, per come descritte dall’art. 6 della l. n. 401 del 1989, non sarebbero ascrivibili agli odierni appellati perché essi sarebbero stati identificati indistintamente solo in quanto occupanti del primo pullman del corteo di tifosi del Mi., andati a Roma in occasione della partita valevole per il conseguimento della Tim Cup, disputatasi in Roma il 21 maggio 2016 tra Mi.e Ju..
7.3. Secondo il primo giudice, al contrario, non risulterebbe affatto provato – e anzi dalla testimonianza di una persona offesa sembrerebbe dovesse proprio escludersi – che alcuni, sicuramente non tutti comunque, degli occupanti abbiano preso parte ad aggressioni e violenze di gruppo.
7.4. La motivazione del primo giudice, per quanto fondata sulla documentazione incompleta prodotta in primo grado dalle amministrazioni (che non hanno ottemperato, va pur detto, all’ordinanza istruttoria n. 439 dell’11 gennaio 2017 del medesimo Tribunale amministrativo regionale per il Lazio), non può essere in alcun modo condivisa.
7.5. Come ha correttamente osservato il medesimo Tribunale nella “parallela” sentenza n. 432 del 18 gennaio 2018 sopra ricordata, relativa ad altri tifosi coinvolti, gli odierni appellati, tutti occupanti del primo pullman, hanno preso parte alle violenze e alle devastazioni accadute in quella notte.
8. La puntuale e dettagliata sequenza dei fatti, non altrimenti definibili che come un bestiale episodio di barbarie urbana, sfociata nella immotivata devastazione del bar Je. e nell’inspiegabile ferimento di due avventori, vivi per miracolo, emerge chiaramente dalla comunicazione della notizia di reato inoltrata dal Commissariato P.S. Au..
8.1. La notte del 21 maggio 2016, al termine della partita, un convoglio composto da nove pullman, a bordo del quale viaggiava un nutrito gruppo di persone appartenenti alla tifoseria milanista, partiva da Lungotevere (omissis), dopo la partita, per effettuare il percorso preventivato.
8.2. Tuttavia, intorno alle ore 0.50 del successivo 22 maggio, il convoglio di automezzi, transitando su via (omissis) ad una velocità particolarmente moderata a causa del traffico congestionato dagli altri autoveicoli, veniva fatto oggetto di provocazioni verbali e gestuali da parte di individui non identificati.
8.3. A questo punto, in base alla comunicazione del personale del Reparto Mobile di Napoli (con sigla radio RN 331), i tifosi dei primi tre pullman del corteo, probabilmente al fine di vendicare “l’affronto” subito e di rintracciare i soggetti che li avevano derisi, sono scesi dai mezzi e, travisati e armati di spranghe e bastoni, si sono diretti verso il locale Je., convinti che gli autori dell’affronto si fossero recati lì, e hanno devastato il locale e ferito all’addome due ignari avventori.
8.4. La verosimile riconducibilità delle condotte agli occupanti del primo pullman, tuttavia, sembra potersi affermare sulla scorta delle dichiarazioni dei tre autisti, in quanto l’autista del primo pullman, Gi. Pa., ha dichiarato che tutti i ragazzi del primo pullman, dopo avere azionato le manopole di emergenza, erano scesi, non essendovi più posti a sedere liberi, mentre l’autista del secondo pullman, Ma. Me., ha dichiarato che solo un tifoso, dichiaratosi responsabile della comitiva, aveva chiesto di scendere dal pullman per poi risalire dopo un minuto e il terzo, Va. Pe., ha dichiarato che dal suo pullman erano scesi dieci tifosi, senza portare oggetti contundenti e senza occultarsi il volto con sciarpe o cappucci, e che comunque essi erano risalti a bordo dopo poco tempo.
8.5. Dal complesso di tali documenti e di tali elementi sembra potersi inferire, con ragionevole probabilità, che il folto gruppo di soggetti travisati e armati, avvistati dal Reparto Mobile nella concitazione degli eventi, debba riferirsi, se non esclusivamente (come affermano le amministrazioni appellanti), verosimilmente agli occupanti del primo pullman, dovendo escludersi quelli del secondo e, verosimilmente, anche del terzo, che non erano né armati né travisati, almeno al momento in cui sono scesi.
8.6. E del resto, come pure ha osservato il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma, nella sentenza n. 432 del 18 gennaio 2018, la circostanza che anche gli occupanti del terzo pullman abbiano dato “manforte”, eventualmente, agli occupanti del primo pullman – ciò che, comunque, appare dubbio alla luce delle dichiarazioni di Va. Pe. – nelle azioni violente di devastazione e ferimento non scalfisce il dato che al gruppo del primo pullman, sceso in massa da questo (dove infatti non era rimasto alcun posto a sedere occupato, come ha affermato l’autista), sia ascrivibile il compimento della condotta, se è vero, come hanno dichiarato anche il proprietario del locale, Ni. Di Be., e due avventori dello stesso, Fr. Sc. e Fe. D’A., di essersi trovati al cospetto di cinquanta/sessanta persone, numero coerente con il numero degli occupanti del primo pullman, rimasto vuoto.
8.7. Di qui la conclusione, ragionevolmente sostenibile, che le condotte violente siano ascrivibili con una elevata probabilità agli occupanti del primo pullman, nessuno escluso, sia sul piano materiale che, comunque, su quello morale, per essersi essi valsi della forza intimidatrice del gruppo per rafforzare, se non attuare tutti, il proposito criminoso, indipendentemente dalla ascrizione di dette condotte, eventualmente e marginalmente, anche agli occupanti del terzo pullman.
9. Su questo punto, relativo alla riconducibilità causale delle condotte ascritte ai soggetti destinatati di DASPO, questo Collegio deve ricordare che si tratta di misure preventive e non sanzionatorie, come pure ha chiarito di recente la Corte europea dei diritti dell’uomo, in via generale, sulle analoghe misure previste dalla legislazione croata (Corte europea dei diritti dell’uomo, sez. I, 8 novembre 2018, ric. n. 19120/15, Seraž in c. Croazia), menzionando tra le altre legislazioni in materia anche quella italiana e pervenendo ad escludere la natura sanzionatoria della misura amministrativa, sulla base dei cc.dd. criterî Engel, sia per l’applicabilità della misura indipendentemente da una condanna penale, sia anche per la finalità prevalente della misura, consistente nella creazione di un ambiente che prevenga comportamenti violenti o pericolosi a protezione dell’ordine pubblico e degli altri spettatori, sia infine per la mancanza di afflittività, non consistendo in una privazione della libertà o in una imposizione di obbligazione pecuniaria.
9.2. Occorre ricordare che, ai sensi dell’art. 6, comma 1, della l. n. 401 del 1989, il DASPO anche nel nostro ordinamento, non diversamente che in quello croato, può essere altresì disposto nei confronti di chi, sulla base di elementi di fatto, risulta avere tenuto, anche all’estero, una condotta, sia singola che di gruppo, evidentemente finalizzata alla partecipazione attiva ad episodi di violenza, di minaccia o di intimidazione, tali da porre in pericolo la sicurezza pubblica o a creare turbative per l’ordine pubblico
9.3. Anche per il DASPO disposto dal Questore, come per tutto il diritto amministrativo della prevenzione incentrato su una fattispecie di pericolo per la sicurezza pubblica o per l’ordine pubblico (v., sul punto, la recente pronuncia di questa Sezione, 30 gennaio 2019, n. 758), deve valere la logica del “più probabile che non”, non richiedendosi, anche per questa misura amministrativa di prevenzione (al pari di quelle adottate in materia di prevenzione antimafia), la certezza ogni oltre ragionevole dubbio che le condotte siano ascrivibili ai soggetti destinatari del DASPO, ma appunto una dimostrazione fondata su “elementi di fatto” gravi, precisi e concordanti, secondo un ragionamento causale di tipo probabilistico improntato ad una elevata attendibilità, come è nel caso di specie, per tutte le ragioni sin qui espresse, sulla base della documentazione in questa sede prodotta.
9.4. Peraltro, e con specifico riferimento ad eventuali condotte individuali estrinsecatesi in azioni di gruppo, la Sezione non ha mancato di rilevare, nella sua costante giurisprudenza, che, anche prima delle modifiche introdotte dal d.l. n. 114 del 2014 all’art. 6 della l. n. 401 del 1989, un comportamento di gruppo non ha mai escluso la possibilità di individuare col DASPO (una somma di) responsabilità individuali omogenee, qualora queste fossero supportate da elementi diretti o presuntivi che consentissero di affermare la inequivoca e consapevole partecipazione dei singoli al comportamento di gruppo (Cons. St., sez. III, 4 novembre 2015, n. 5027).
9.5. Non vi è dubbio, nel caso di specie, che le condotte dei singoli occupanti del primo pullman denotino una inequivoca e consapevole partecipazione dei singoli al comportamento di gruppo, che si è estrinsecato in un episodio di gravissima guerriglia urbana, seminando panico, distruzione e, potenzialmente, anche morte, non verificatasi solo per il pronto ricovero in urgenza dei due avventori accoltellati.
10. Di qui, come si dirà meglio anche nell’esame del quarto motivo di appello, la legittimità dei provvedimenti di DASPO individualmente emessi nei confronti degli odierni appellati, tutti occupanti del primo pullman, sulla base di concreti elementi di fatto e secondo la cennata logica del “più probabile che non”, applicabile a tutto il diritto amministrativo della prevenzione, non esclusi, quindi, i provvedimenti di DASPO in ragione della loro essenziale, innegabile, finalità preventiva, quale ora affermata anche dalla stessa Corte europea dei diritti dell’uomo.
11. Per analoghe ragioni, conseguentemente, deve essere accolto anche il terzo motivo proposto dalle pubbliche amministrazioni appellanti (pp. 13-15 del ricorso).
11.1. Fermo restando che quanto sin qui chiarito sarebbe bastevole a giustificare l’emissione dei DASPO, con piena legittimità di questi perché fondati su una ragione, tra le plurime, autonoma e del tutto autosufficiente, si può infatti, anche con riferimento al possesso di materiale offensivo vietato dall’art. 6-bis della l. n. 401 del 1989, affermare con ragionevole probabilità che esso fosse in possesso degli odierni appellati.
11.2. Il primo giudice ha al contrario inteso escludere questa riconducibilità sulla base dell’assunto secondo cui il possesso di razzi, petardi e simili, nonché di altri bastoni e oggetti, in grado di offendere, non sarebbe stato provato perché dal verbale di sequestro, in atti, si evince che coltelli, aste, un cavo elettrico, artifizi pirotecnici sono stati rinvenuti dal personale della Polizia di Stato per strada – sul fondo stradale, sul marciapiede e nei cassonetti – nei pressi del bar e non già addosso agli odierni appellati e nemmeno nel pullman sul quale essi viaggiavano, sicché sarebbe evidente che non risulta il possesso del materiale in capo a questi.
11.3. Anche questo assunto, sulla scorta della documentazione prodotta in appello e di un più complessivo inquadramento della vicenda alla stregua del criterio logico testé ricordato, non è tuttavia condivisibile.
11.4. Sul punto, infatti, si deve osservare che appare ragionevole ritenere che gli oggetti rinvenuti nelle adiacenze del locale (ben 7 coltelli a serramanico, 1 coltello a scatto, 5 aste di plastica, etc.), siano stati portati da altri soggetti, che non fossero gli occupanti del primo pullman che, per vendicare “l’onta” subita, hanno selezionato il materiale offensivo utile ai loro scopi ritorsivi, materiale portato a bordo del pullman (e di cui una parte è stata, appunto, poi sequestrata), e sono scesi dal pullman per porre in atto la loro spedizione punitiva nei confronti del bar e degli ignari, incolpevoli, avventori, ritenendo che l’autore del gesto provocatorio nei loro riguardi fosse entrato nel bar.
11.5. A bordo del primo pullman, del resto, sono stati sequestrati anche un coltello da carne seghettato marca VISP, con manico nero di 11 cm e due cacciaviti spaccati, ciò che lascia, verosimilmente, ritenere che tutti gli occupanti del primo pullman avessero nella loro disponibilità materiale offensivo del più vario tipo, che non hanno esitato a selezionare, portando con sé solo quello ritenuto più “efficace”, per i propri fini ritorsivi, e lasciando a bordo quello più “innocuo”, e ad usare in occasione della devastazione.
11.6. D’altro canto, se è vero quanto hanno dichiarato gli autisti del secondo e del terzo pullman e, cioè, che nessuno dei soggetti scesi dai pullman da loro condotti avesse spranghe e bastoni, sul piano logico, e per esclusione, non sembra irragionevole, ma altamente probabile ritenere che fossero stati gli occupanti del primo pullman a detenere tale materiale offensivo, di cui si sono disfatti dopo le violenze.
11.7. Di qui, e conclusivamente, la ragionevole sussistenza, a carico degli odierni appellati, anche della condotta di cui all’art. 6-ter della l. n. 401 del 1989 e, cioè, di chi, nei luoghi in cui si svolgono manifestazioni sportive, ovvero in quelli interessati alla sosta, al transito, o al trasporto di coloro che partecipano o assistono alle manifestazioni medesime o, comunque, nelle immediate adiacenze di essi, nelle ventiquattro ore precedenti o successive allo svolgimento della manifestazione sportiva, e a condizione che i fatti avvengano in relazione alla manifestazione sportiva stessa, è trovato in possesso di razzi, bengala, fuochi artificiali, petardi, strumenti per l’emissione di fumo o di gas visibile, ovvero di bastoni, mazze, materiale imbrattante o inquinante, oggetti contundenti, o, comunque, atti ad offendere, condotta che, ai fini che qui rilevano, deve essere accertata e affermata non secondo il canone probatorio dell’giudizio penale, pur costituendo la condotta descritta anzitutto dall’art. 6-ter una fattispecie delittuosa, punita con la pena della reclusione, ma alla stregua del ragionamento indiziario fondato sulla logica del “più probabile che non”, tipica della legalità preventiva.
11.8. Nel caso di specie, infatti, non si tratta di punire gli autori della condotta per un fatto di reato, ma di applicare loro il DASPO, in funzione preventiva, per la attendibile convinzione che essi si siano resi autori, individualmente, di questa, convinzione che può ritenersi ragionevolmente raggiunta, nel caso di specie, quantomeno sul piano anche del solo contributo morale, per essersi rafforzati vicendevolmente nel loro barbaro proposito già solo per la forza intimidatrice di un gruppo violento e, purtroppo, non controllato adeguatamente.
12. Per le ragioni appena esposte, infine, deve trovare accoglimento anche il quarto e ultimo motivo di appello (pp. 16-18 del ricorso), con il quale il Ministero dell’Interno e la Questura di Roma intendono riaffermare che i provvedimenti, annullati dal primo giudice, abbiano inteso colpire le condotte individualmente tenute dai singoli occupanti del gruppo e non già quelle del gruppo, in sé considerato, e che l’ascrizione delle condotte ai singoli possa dirsi ragionevolmente raggiunta sulla scorta di tutti gli elementi sin qui considerati.
12.1. Anche questa censura merita accoglimento perché, come si è accennato (v., supra, § § 9.4.-9.5.), anche prima delle modifiche introdotte dal d.l. n. 114 del 2014 all’art. 6 della l. n. 401 del 1989, un comportamento di gruppo non ha mai escluso la possibilità di individuare col DASPO (una somma di) responsabilità individuali omogenee, qualora queste fossero supportate da elementi diretti o presuntivi che consentissero di affermare la inequivoca e consapevole partecipazione dei singoli al comportamento di gruppo (Cons. St., sez. III, 4 novembre 2015, n. 5027; Cons. St., sez. III, 31 luglio 2018, n. 4716).
12.2. Occorre allora qui ribadire alla luce di tali consolidati principî, come si è già anticipato nel § 9.5., che nel caso di specie le condotte dei singoli occupanti del primo pullman denotano una inequivoca e consapevole partecipazione, anche solo morale (v., supra, § 11.8.), dei singoli stessi al comportamento di gruppo.
12.3. Se è vero che la riforma del d.l. n. 119 del 2014, conv. con mod. in l. n. 146 del 2014, “nel solco della legislazione “compulsiva” che ha caratterizzato la disciplina diretta a prevenire violenze in occasioni di manifestazioni sportive” (Cass. pen., sez. III, 27 maggio 2016, n. 22266), ha inteso accentuare anche la responsabilità del gruppo, essa non ha però voluto introdurre nel nostro ordinamento una “colpa normativa d’autore” riconducibile ad ancestrali concezioni di responsabilità collettiva, sicché occorre pur sempre tener presente il contributo dato dal singolo, anche solo sul piano psichico, all’azione del gruppo (v., sul punto, le generali considerazioni della citata sentenza di Cass. pen., sez. III, 27 maggio 2016, n. 22266).
12.4. Non è dunque la presenza nel gruppo a rilevare ai fini dell’applicazione del DASPO, come ha ben affermato la Cassazione nella sentenza appena citata, bensì la partecipazione individuale all’azione del gruppo, partecipazione che, nel caso di specie, non si può tuttavia negare quantomeno sul piano morale e del reciproco rafforzamento nel proposito di attuare il loro disegno vendicativo, sulla scorta di tutti gli elementi sin qui considerati, da parte di tutti e ciascuno singolarmente gli occupanti del primo pullman per avere essi, tutti, preso parte – quantomeno sul piano morale se non materiale – all’azione violenta, dopo essere scesi dal pullman, che infatti era rimasto vuoto senza alcun posto a sedere occupato, come è emerso dalle dichiarazioni dell’autista.
12.5. Ne deriva, pertanto, la legittimità di tutti i provvedimenti di DASPO individualmente adottati nei confronti degli odierni appellati.
13. Conclusivamente, per tutte le ragioni sin qui espresse, l’appello proposto dal Ministero dell’Interno e dalla Questura di Roma deve essere accolto, sicché, in integrale riforma della sentenza impugnata, il ricorso proposto in primo grado dagli odierni appellati deve essere integralmente respinto.
14. Le spese del doppio grado del giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza degli stessi odierni appellati.
14.1. A loro carico, per la soccombenza, rimane definitivamente anche il contributo unificato corrisposto per la proposizione del ricorso in prime cure, mentre essi devono essere condannati in solido alla corresponsione del contributo unificato richiesto per la proposizione dell’appello.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull’appello, come proposto dal Ministero dell’Interno e dalla Questura di Roma, lo accoglie e per l’effetto, in integrale riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso proposto in primo grado da Ri. Ca. ed altri.
Condanna in solido Ri. Ca. ed altri, a rifondere in favore del Ministero dell’Interno le spese del doppio grado del giudizio, che liquida nell’importo di Euro 9.000,00 (Euro 6.000,00 per il primo grado del giudizio ed Euro 3.000,00 per il secondo grado di giudizio), oltre gli accessori come per legge.
Pone definitivamente a carico di Ri. Ca. ed altri, il contributo unificato richiesto per la proposizione del ricorso in primo grado.
Condanna in solido Ri. Ca. ed altri, a corrispondere il contributo unificato richiesto per la proposizione dell’appello.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 24 gennaio 2019, con l’intervento dei magistrati:
Franco Frattini – Presidente
Massimiliano Noccelli – Consigliere, Estensore
Stefania Santoleri – Consigliere
Giulia Ferrari – Consigliere
Giorgio Calderoni – Consigliere
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