Suprema Corte di Cassazione
sezione VI
sentenza n. 9032 del 15 aprile 2013
Fatto e diritto
Ritenuto che, ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ., è stata depositata in cancelleria la seguente relazione:
La CTR di Roma ha accolto l’appello dell’Agenzia – appello proposto contro la sentenza n. 307/48/2008 della CTP di Roma che aveva accolto il ricorso del contribuente T. R. – ed ha così confermato l’avviso di accertamento per IRPEF 2003 a mezzo del quale era stata contestata l’omessa indicazione nella dichiarazione dei redditi della plusvalenza (liquidata nell’importo di € 130.000.00) realizzata per effetto del trasferimento di una “licenza taxi”.
La predetta CTR ha motivato la decisione ritenendo che l’avviso fosse stato “ampiamente motivato avendo l’Ufficio descritto la fonte da cui ha tratto la certezza dell’avvenuta cessione …. e riepilogato l’intera vicenda che lo ha portato, in assenza di dichiarazione dei redditi, ad un accertamento di tipo induttivo del valore della cessione nella motivazione dell’avviso di accertamento sono state anche indicate le disposizioni di legge che sostengono l’accertamento e gli elementi di valutazione che hanno condotto alla determinazione dell’accertato”. Ha ritenuto inoltre che la cessione della licenza costituisca una cessione d’azienda che obbliga all’indicazione della plusvalenza realizzata con la cessione, in difetto di che l’Agenzia è legittimata (ai sensi dell’art. 41 del DPR n. 600/1973) a determinare il reddito sulla base di dati e notizie comunque raccolti.
Il contribuente ha interposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi. L’Agenzia ha svolto attività difensiva con controricorso e ricorso incidentale. Il ricorso – ai sensi dell’art. 380 bis cpc assegnato allo scrivente relatore, componente della sezione di cui all’art. 376 cpc – può essere definito ai sensi dell’art. 375 cpc. Infatti, con il primo motivo di censura (rubricato come:”Violazione e falsa applicazione dell’art. 7 L. 212/00″, poi sostanzialmente replicato con il motivo successivo, sub specie del vizio di omessa motivazione in ordine alla censura espressamente formulata a tale proposito con motivo di appello incidentale), la parte ricorrente si duole del fatto che il giudice del merito ha ritenuto che sia stata nella specie rispettata la prescrizione del menzionato art. 7 che impone l’allegazione al provvedimento degli atti che siano in esso richiamati, per quanto il provvedimento facesse mero riferimento a “valori dichiarati da altri soggetti che operano nello stesso campo e che hanno correttamente esposto in dichiarazione il corrispettivo percepito”; ad “indagini specifiche” ad informazioni che hanno potuto riferire da vari articoli di giornale” ed a “vari siti che pubblicano informazioni utili al tema trattato che riportano i prezzi di vendita delle licenze nella città di Roma”. Il motivo (che erroneamente è stato considerato inammissibile dalla parte controricorrente, che di ciò ha fatto anche oggetto di ricorso incidentale, per violazione dell’art. 57 del D.Lgs. 546/1992, sul presupposto che la questione fosse stata ex adverso tardivamente prospettata solo in appello, per quanto la stessa parte controricorrente riferisca che nel ricorso introduttivo di primo grado era stato chiesto l’annullamento “per completa carenza totale di motivazioni valide ed elementi certi e fondati da prove documentali”, così risultando integrata validamente e tempestivamente la causa petendi che si assume tardivamente prospettata, senza che ai predetti fini fosse necessario lo specifico riferimento alla disciplina del menzionato art. 7) è fondato, ed è assorbente dell’ulteriore motivo che qui non mette conto esaminare funditus e che comunque si palesa infondato, atteso quanto il giudice di merito ha accertato a proposito della avvenuta “cessione del taxi e della relativa licenza” ed atteso ciò che questa Corte ha già avuto modo di insegnare a proposito di analoghe vicende di fatto: Cass. Sez. 2, Sentenza n. 22112 del 16/10/2006; Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 23327del 2010.
Ed infatti, per quanto il giudicante abbia correttamente dato atto che – in difetto della dichiarazione del reddito a cui ha dato luogo la cessione dell’azienda – l’Ufficio correttamente si è avvalso di presunzioni semplici fondate su dati e notizie comunque raccolti, resta però che il medesimo giudicante ha violato la disposizione di legge invocata dalla parte ricorrente allorquando ha ritenuto sufficiente che – ai fini della “determinazione del valore accertato” – l’Ufficio potesse limitarsi alla “indicazione” degli “elementi di valutazione” che lo hanno supportato.
Detti elementi di valutazione, nella concreta fattispecie di causa, sono in realtà costituiti da individui documenti e luoghi di informazione, che sono stati valorizzati per paragone, di cui l’Agenzia procedente si è limitata a dare del tutto generica indicazione, così precludendo alla parte contribuente di potersene avvalere a fini difensivi e perciò violando il principio ribadito da questa Corte (di recente Cass. Sez. 5, Sentenza n. 6914 del 25/03/2011; idem Cass. Sez. 5, Sentenza n. 1906 del 29/01/2008 nonché Cass. Sez. 5, Sentenza n. 18117 del 08/09/2004 per il regime antevigente alla emanazione dello Statuto) secondo cui:”Nel regime introdotto dall’art. 7 della legge 27 luglio 2000, n. 212, l’obbligo di motivazione degli atti tributari può essere adempiuto anche “per relationem”, ovverosia mediante il riferimento ad elementi di fatto risultanti da altri atti o documenti, a condizione che questi ultimi siano allegati all’atto notificato ovvero che lo stesso ne riproduca il contenuto essenziale, per tale dovendosi intendere l’insieme di quelle parti (oggetto, contenuto e destinatari) dell’atto o del documento che risultino necessarie e sufficienti per sostenere il contenuto del provvedimento adottato, e la cui indicazione consente al contribuente – ed al giudice in sede di eventuale sindacato giurisdizionale – di individuare i luoghi specifici dell’atto richiamato nei quali risiedono quelle parti del discorso che formano gli elementi della motivazione del provvedimento. (In applicazione del principio, la S.C. ha ritenuto correttamente motivato l’atto con cui l’Ufficio aveva rettificato, ai fini dell’imposta di registro e dell’INVIM, il valore di un immobile dichiarato in un contratto di compravendita, richiamando in comparazione altro atto di cessione di bene, ritenuto della stessa natura, senza allegarlo integralmente, ma riportandone soltanto alcuni stralci significativi)”. Consegue da ciò che deve ritenersi erronea la pronuncia del giudice del merito che ha ritenuto non invalidante il difetto di allegazione o specifica riproduzione dei documenti richiamati nel provvedimento, giudice del merito al quale la causa andrà rimessa in sede di rinvio affinché quello torni a pronunciarsi – sul pacifico presupposto dell’avvenuta cessione dell’azienda di cui trattasi – in ordine alla concreta liquidazione della eventuale plusvalenza tassabile, in applicazione dei principi insegnati da questa Corte (per tutte Cass. Sez. 5, Sentenza n. 15825 del 12/07/2006) circa il dovere di “motivata valutazione sostitutiva” che sul giudice tributario incombe, alla stregua dei poteri istruttori officiosi che gli competono. Pertanto, si ritiene che il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio per manifesta fondatezza;
– che la relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata agli avvocati delle parti;
– che non sono state depositate conclusioni scritte, né memorie;
– che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione e, pertanto, il ricorso va accolto;
che le spese di lite possono essere regolate dal giudice del rinvio.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso. Cassa la decisione impugnata e rinvia alla CTR Lazio che, in diversa composizione, provvedere anche sulle spese di lite del presente grado.
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