Suprema Corte di Cassazione
sezione VI
sentenza del 9 novembre 2012, n. 43527
Ritenuto in fatto
Il Tribunale di Milano con sentenza dell’8 febbraio 2010 condannava B.R. per il reato di cui all’articolo 3 L. 54/06, perché, in violazione del provvedimento emesso dal tribunale civile di Milano che prescriveva l’obbligo di versare per il mantenimento del figlio minore l’importo di Euro 750 mensili oltre spese varie, non versava quanto dovuto dal mese di novembre 2006. Il Tribunale rilevava che il prevenuto aveva provveduto a versare alcune somme mensili su un conto corrente personale sul quale, però, la madre del minore non poteva operare, risultando il primo prelievo effettuato in data 16 gennaio 2007. Il Tribunale riteneva anche la responsabilità del B. per il mancato versamento per i periodi di agosto in base alla stessa dichiarazione del ricorrente che sosteneva di aver interpretato il provvedimento di separazione nel senso che l’assegno di mantenimento non fosse dovuto nei periodi in cui il figlio era affidato a lui.
La Corte di Appello, a seguito di impugnazione del B., con sentenza del 4/10/2011 riteneva, invece, che non risultasse dimostrato il mancato versamento dell’assegno per i periodi di novembre e dicembre 2006, nonché da febbraio a luglio 2007, in quanto il ricorrente aveva effettuato i pagamenti mettendo a disposizione il denaro, secondo quanto stabilito, su conto corrente bancario.
Più in particolare, il versamento del dovuto era stato effettuato dal B. su un conto che aveva acceso prima che il difensore della controparte comunicasse i dati del conto corrente sul quale si dovevano effettuare i versamenti. Inoltre la Corte non riteneva sufficiente la sola dichiarazione della persona offesa di non aver potuto effettuare i prelievi prima del gennaio 2007 per assenza di delega, poiché la stessa non aveva disconosciuto la firma apposta sulla documentazione bancaria che le attribuiva la facoltà di operare anche con prelevamenti. La conclusione della sentenza era che, in base a quanto emergente dagli atti, non poteva dubitarsi che il deposito delle somme fosse stato tempestivo, non rilevando, poi, la data in cui l’ex coniuge aveva ritenuto di effettuare il prelievo.
La Corte invece confermava la responsabilità del ricorrente per il mancato pagamento degli assegni di mantenimento per i mesi di agosto 2007 agosto 2008 nonché delle corrispondenti spese, mancato pagamento che il B. giustificava con l’avere in quei periodi ospitato il figlio presso di sé, condizione che, nella sua interpretazione del provvedimento del tribunale civile, escludeva l’obbligo di versamento dell’assegno per i periodi corrispondenti; la Corte rilevava da un lato che il citato provvedimento non prevedeva tale sospensione dei pagamenti e dall’altro che, proprio per la accesa conflittualità fra le parti, B. e l’ex coniuge non potevano non essere stati ben resi edotti dal giudice della separazione e dai propri legali della esatta estensione dei propri obblighi.
Con ricorso sottoscritto personalmente B.R. deduce la violazione di legge e comunque la carenza di motivazione quanto alla effettiva sussistenza della condotta del reato in questione non essendosi tenuto conto del suo legittimo dubbio sulla sussistenza dell’obbligo di mantenimento nei periodi in cui il figlio viveva presso di lui; in ogni caso non vi era dolo. Il ricorrente indicava quale elemento non adeguatamente valutato la stessa circostanza della assoluzione per la contestazione principale, fatto che dimostrava che non vi era stata da parte sua alcuna intenzione di non versare il dovuto, nonché la sua condotta successiva, atteso che aveva regolarmente versato gli assegni anche per i periodi estivi dopo l’inizio del presente procedimento, che di fatto gli aveva chiarito di essere obbligato anche nel caso di permanenza del figlio presso di lui. Chiedeva quindi l’annullamento della sentenza.
Considerato in diritto
Il ricorso è fondato non risultando che sia stata compiuta la azione tipica sanzionata dall’art. 3 l.54.06.
Si osserva, infatti, che tale norma punisce la “violazione degli obblighi di natura economica” connessi alla separazione estendendo la applicabilità della norma penale di cui all’art. 12 sexies l. 89.8.1970 che sanziona la condotta di colui che “si sottrae all’obbligo di corresponsione dell’assegno”.
Si evince dalla stessa formulazione letterale delle disposizioni che non vi è equiparazione tra il fatto penalmente sanzionato e l’inadempimento civilistico, la norma non fa riferimento a singoli mancati o ritardati pagamenti bensì ad una condotta di volontaria inottemperanza con la quale il soggetto agente intende specificamente sottrarsi all’assolvimento degli obblighi imposti con la separazione.
Ciò corrisponde alla funzione di queste disposizioni che è quella di garantire che il soggetto obbligato assista con continuità i figli e gli altri soggetti tutelati.
Da un lato, quindi, non è una condotta integrata da qualsiasi forma di inadempimento e dall’altro, trattandosi di reato doloso, la condotta deve essere accompagnata dal necessario elemento psicologico.
In particolare, sul piano oggettivo, si deve trattare di inadempimento serio e sufficientemente protratto (o destinato a protrarsi) per un tempo tale da incidere apprezzabilmente sulla disponibilità dei mezzi economici che il soggetto obbligato deve fornire.
Quindi il reato non scatta automaticamente con l’inadempimento ai sensi delle leggi civili e, ancorché la violazione possa conseguire anche al ritardo, il giudice penale dovrà valutarne la “gravità” e, quindi, l’attitudine oggettiva a integrare la condizione che la norma è tesa ad evitare.
Normalmente, a fronte del più comune caso, nella casistica giudiziaria, del mancato versamento da parte del genitore di quanto di spettanza, non si può ritenere sufficiente che la parte dichiari la propria indigenza per giustificare l’omissione del pagamento e si richiede, invece, una prova ben certa di tale stato economico; ancor meno può essere sufficiente una affermazione del diritto alla autoriduzione dell’assegno, dovendo la parte rivolgersi al giudice civile per ottenere eventuali revisioni dell’assegno di mantenimento.
Ma la situazione è diversa nel caso in cui in cui ci si trovi davanti ad un limitato ritardo/omissione dei pagamenti per un breve periodo.
Nel caso in esame, difatti, si è in presenza di due omessi pagamenti dell’assegno mensile in un più ampio periodo in cui risulta, invece, la regolarità dei pagamenti.
Che queste omissioni di pagamento si pongano in una situazione di obiettiva incertezza degli obblighi reciproci tra gli ex coniugi è chiaro nella stessa esposizione dei fatti delle sentenze di merito. Il procedimento penale non partiva dalla circostanza dei mancati pagamenti per i quali vi è stata condanna in secondo grado bensì dai mancato versamento di quanto dovuto in un diverso periodo. E l’inadempimento per quel periodo è risultata circostanza processualmente non vera; in base a quanto riporta la sentenza di appello, l’apparente inadempimento per i mesi a cavallo tra il 2006 ed il 2007 era una condizione creata dall’ex coniuge che, pur potendo, non aveva ritirato i soldi versati sul conto sul quale il ricorrente le aveva dato accesso nei termini pattuiti.
Quindi, in realtà, ciò che sosteneva inizialmente l’accusa sul piano del dolo del mancato pagamento degli assegni per un ampio periodo di tempo è stato smentito ed è risultata, anzi, la regolarità dei pagamenti effettuata dal ricorrente.
Unendo quindi l’inesistenza della diversa, più grave e, se del caso, certamente dolosa violazione alla obiettiva incertezza nel contesto di un rapporto, per quanto evidente, contrastato e nel quale si sono poste anche “trappole” per far scattare l’inadempimento penalmente rilevante, si giunge alla conclusione della assenza di elementi da cui desumere il dolo del reato in esame.
La ragionevole lettura dei dati accertati dai giudice di merito è nel senso che, avendo il ricorrente regolarmente versato in tutto l’arco di tempo in esame quanto di propria spettanza ed essendosi limitato alle limitate omissioni di versamento di cui sopra, pur in presenza di un inadempimento rilevante per il diritto civile, non si sia in presenza dell’azione tipica della sottrazione agli obblighi economici in questione. La regolarità dei pagamenti complessivi fa ragionevolmente ritenere che si sia in presenza di un temporale parziale inadempimento che ben trova giustificazione in situazioni particolari ed in errate valutazioni del debitore, con riferimento ai periodi in cui il figlio conviveva con lui; ciò, appunto, comporta la mancata realizzazione della fattispecie tipica o, comunque, l’errore su legge extra penale rilevante ai sensi dell’articolo 47 terzo comma cod. pen..
La conseguenza di quanto sopra è che non è corretta la motivazione della sentenza impugnata laddove non affronta compiutamente il tema della reale modalità della condotta e non applica correttamente la norma penale in quanto equipara con immediatezza l’inadempimento, anche non grave, alla sua violazione. La stessa sentenza offre una completa ricostruzione in fatto della vicenda che consente di affermare che la condotta accertata non costituisce reato, così dovendosi disporre l’annullamento della sentenza senza rinvio non apparendo la possibilità di una diversa conclusione in sede di un eventuale nuovo esame.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non costituisce reato.
Depositata in Cancelleria il 09.11.2012
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