Suprema Corte di Cassazione
sezione VI
sentenza 9 settembre 2014, n. 37373
Considerato in fatto
1. C.G. è stato condannato in entrambi i gradi del giudizio di merito per il reato di abuso d’ufficio, commesso nella qualità di sindaco del comune di S. F. del M..
Secondo l’imputazione egli avrebbe disatteso il decreto del presidente della regione Sicilia numero 14 del 14/1/2003 nonché il parere del Consiglio di giustizia amministrativa a sezione unite del 10/9/2001, richiamato da tale decreto, nel punto in cui si sanciva l’illegittimità del trasferimento del geometra M.A. dall’Area gestione del territorio-tecnica a quella Economico-finanziaria, cagionando intenzionalmente un danno professionale al M. e ciò in ragione del fatto che questi con la propria precedente attività appariva non funzionale agli interessi economico politici dell’amministrazione comunale e dal gruppo di potere politico ed imprenditoriale che la sosteneva. Il capo d’imputazione indica come tempo di consumazione del reato “fino al luglio 2003”.
Risulta dalle sentenze di merito (p. 6 sent. app.) che il geometra M. era stato nominato responsabile dell’Area tecnica e dei relativi servizi con determina sindacale numero 9 del 20/5/1999 essendo sindaco Ca.Fr. , venendo confermato in tale incarico con determina 12 del 12/4/2000 dal commissario straordinario; a seguito dell’approvazione da parte della giunta del nuovo regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi, che prevedeva tra l’altro che l’incarico di responsabile di area dovesse essere conferito a soggetti laureati (delibera 100 del 13/7/2000), lo stesso Ca. , nuovamente eletto sindaco, con determina 24 del 13/10/2000 aveva conferito l’incarico di responsabile dell’area tecnica-gestione del territorio a tale ingegnere ma rullo e, con determina 25 in pari data, aveva trasferito il M. all’area gestione risorse (economico-finanziaria e tributi), retta da altro soggetto. I giudici del lavoro, in primo e secondo grado, aditi dal M. avevano disatteso i suoi ricorsi. Nel frattempo, definendo ulteriore ricorso amministrativo straordinario volto all’annullamento degli stessi atti, il presidente della regione Sicilia con decreto del 14/1/2003 aveva fatta salva la delibera 100/2000 nella parte in cui aveva previsto che il ruolo di responsabile dell’area tecnica dovesse essere ricoperto da soggetto in possesso del titolo di laurea ed era stato in concreto conferito ad un libero professionista esterno, ma aveva sancito l’illegittimità del trasferimento di M. ad area diversa (delibera 25/2000). L’imputazione, facendo riferimento all’illegittimità della determina 25/2000, esponeva altresì “che lo stesso indagato aveva concorso a determinarla”.
Entrambi i Giudici del merito, infatti, con specifica e conforme motivazione hanno poi ricostruito il trasferimento del M. come “prezzo da pagare”, per Ca. , al fine di ottenere l’appoggio elettorale nel 2000 di un gruppo di potere politico-affaristico composto da un imprenditore della zona, che aveva ottenuto numerosi appalti dal Comune, e da altre quattro persone, tra cui l’odierno imputato. “Prezzo” che era stato appunto pagato dopo l’elezione, con quel trasferimento annullato poi dal presidente della Regione all’inizio del 2013.
Il Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto indicava gli articoli 650 codice penale e 2043 codice civile come norme la cui violazione fondava il profilo di illegittimità formale; la Corte d’appello di Messina, con la sentenza 8/5/2013-6/11/2013, richiamava invece la diretta applicazione dell’articolo 97 Cost., secondo recente giurisprudenza di questa Sezione.
Dalla sentenza di appello si evince che l’imputato ha rinunziato all’intervenuta prescrizione.
2. Il ricorso enuncia quattro motivi:
-violazione di legge e vizi della motivazione, in relazione alla ritenuta sussistenza della violazione di una norma di legge o di regolamento: il ricorrente assume che nessuno dei provvedimenti di cui si sarebbe omesso l’esecuzione rientrerebbe nella categoria delle leggi o dei regolamenti, in particolare non rilevando il riferimento all’articolo 97 Cost., né quello agli articoli 650 codice penale e 2043 codice civile (avendo sul punto significativamente la stessa Corte distrettuale adottato diversa interpretazione, in esito alle specifiche censure d’appello sul punto);
– medesimi vizi in relazione alla insussistenza di un vantaggio patrimoniale nonché di un danno ingiusto; ricordato che lo stesso decreto presidenziale riconosceva la legittimità delle scelte in ordine agli incarichi apicali, e che i Giudici del lavoro avevano respinto le richieste del M. (anche escludendo alcuna condotta di mobbing), il ricorrente evidenzia come la necessità della laurea per l’incarico apicale era anche imposta dalla volontà di evitare gli esborsi altrimenti indispensabili in favore di professionisti esterni in occasione della presentazione di progetti, sicché sul punto non sussisteva alcun pregiudizio per l’amministrazione;
– stessi vizi in relazione alle modalità realizzatrici di condotta contestata sia in forma attiva che omissiva. Il ricorrente deduce la mancanza di alcuna argomentazione sulla sussistenza del concorso originario; evidenzia la successione delle date tra l’arrivo del decreto presidenziale in Comune, l’elezione dell’imputato a sindaco e la riassegnazione del M. per affermare la fisiologia dei tempi di intervento; argomenta la competenza del segretario comunale per la gestione del personale;
– violazione di legge e vizi della motivazione in ordine all’elemento soggettivo, perché tenuto conto delle successive valutazioni intervenute, in ambito sia giurisdizionale che amministrativo, doveva escludersi che la finalità pubblica avesse nell’intera fattispecie rappresentato un mero pretesto per soddisfare interessi di natura privata patrimoniale (politica-affaristica).
2.1 Il 6 giugno è stata depositata memoria a sostegno dei motivi di ricorso, con deduzioni in particolare sull’insussistenza di alcun danno ingiusto, dovendosi ritenere assorbente la reiezione dei ricorsi di M. da parte del Tribunale del lavoro, della Sezione lavoro della Corte d’appello e, ora, della Sezione lavoro di questa Corte suprema (ancorché sostanzialmente in rito, come risulta dalla sentenza allegata) su tutti i punti prospettati, in particolare sull’asserito demansionamento e sul trattamento economico.
Ragioni della decisione
3. A giudizio del Collegio il ricorso (pur tenuto conto dei motivi originari e della memoria) va rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali di questo giudizio ed alla pertinente rifusione delle spese di difesa in favore della presente parte civile liquidate, avuto riguardo all’attività prestata, come da dispositivo.
3.1 Risulta preliminare l’individuazione della condotta concretamente contestata nell’imputazione, quale ritenuta dai Giudici del merito.
Nonostante la obiettiva farraginosità dell’esposizione, che obiettivamente la caratterizza, a giudizio del Collegio deve escludersi che la contestazione riguardi solo la parte di condotta successiva alla nomina del C. a sindaco, quindi quella dal 27 maggio al 21 luglio 2003, quando viene formalizzata la riassegnazione del M. all’area tecnica-gestione del territorio; ciò, dopo che con nota del 10 luglio il sindaco C. aveva risposto al legale del M. evidenziando il reimpiego in atto, nella stessa area tecnica (a seguito di provvedimento del commissario del 5.11.2012 su richiesta del nuovo responsabile arch. R. , con provvedimento riferito dalla Corte d’appello come temporaneo, p. 10 sentenza app.), e la costanza del trattamento retributivo goduto in precedenza. Tale parte omissiva della condotta deve infatti essere apprezzata insieme con la parte attiva, di concorso nell’accordo preelettorale del 2000, che aveva costituito, nella ricostruzione dei Giudici del merito, il presupposto del trasferimento disposto con la determina 25/2000 (spostamento che era fatto del tutto autonomo rispetto a quello della impossibilità di proseguire nello svolgimento di funzioni in concreto apicali, per la mancanza del requisito introdotto dal nuovo regolamento).
Né può dirsi che il punto non sia stato trattato nel processo di merito, atteso che tra l’altro il tema del concorso in quella prima deliberazione è oggetto anche di uno dei motivi del ricorso. Motivo, di omessa motivazione su tale condotta concorsuale (prima parte del terzo motivo di ricorso) che risulta al tempo stesso manifestamente infondato e diverso da quelli consentiti, laddove la Corte d’appello alle pagine da 3 a 7, dando conto del materiale probatorio sul punto ha richiamato, con apprezzamento finale conforme a quello del primo Giudice e non palesemente incongruo al contenuto esposto, oltre alle dichiarazioni del medesimo M. , pure quelle dei testi Sg. , M.C. (nipote della parte civile ma della cui attendibilità, in quanto affine al gruppo politico cui apparteneva C. , i Giudici del merito hanno dato specifico, e comunque logicamente ineccepibile conto) e c. , che tutti hanno fatto specifico riferimento all’odierno imputato. E la rinnovata contestazione di tale apprezzamento conforme si risolve, in questa fase, in precluse doglianze di merito.
Medesima soluzione va data alla seconda parte del terzo motivo, posto che risulta immune dai soli vizi logici che rilevano ai sensi dell’art. 606.1 lett. E) c.p.p., ed esito di duplice conforme apprezzamento di merito, come tale insindacabile in questa sede di legittimità, l’aver appunto collegato le due parti di condotta. Del resto, in tale complessivo contesto, obiettivamente singolare, sul piano logico, appare la successione, evidenziata dai Giudici del merito, di due provvedimenti dell’imputato, nel medesimo mese di luglio, dal contenuto apparentemente distonico (il primo valorizzante, secondo quanto riferito dalla Corte d’appello, un dato – la riassegnazione disposta dal commissario – che in ragione della provvisorietà, p. 7 e 10 sent. app., era all’evidenza per sé manifestamente illogico e incongruo a giustificare la non ottemperanza afferente la, diversa, stabilizzazione): con tale successione di provvedimenti in definitiva il ricorso non si confronta espressamente.
3.2 Sono infondati anche gli altri tre motivi.
Il primo motivo è infondato perché risulta in diritto corretta la deliberazione d’appello che, dopo aver attribuito a mero sviamento del potere lo spostamento del M. ad altro ufficio, lo ha giudicato per sé idoneo ad integrare la violazione di legge con diretto riferimento al precetto posto dall’art. 97 Cost. Sul punto, questa Corte condivide e conferma le ragioni in diritto già con esemplare chiarezza esposte, tra le altre (v. anche Sez.6 sent. 12370/2013), in Sez.6 sent. 34086/2013: “é vero che, per effetto delle modifiche introdotte dalla L. 16 luglio 1997, n. 234, art. 1, la disposizione de qua è stata formulata in termini di maggiore tassatività, sì da limitare i rischi di letture esegetiche arbitrarie. Ma è anche vero che, per un verso, il legislatore della novella non ha inteso limitare la portata applicativa dell’art. 323 c.p. ai casi di violazione di legge in senso stretto, avendo voluto far rientrare anche le altre situazioni che integrano un vizio dell’atto amministrativo: dunque, anche le ipotesi di eccesso di potere, configurabili laddove vi sia stata oggettiva distorsione dell’atto dal fine di interesse pubblico che avrebbe dovuto soddisfare; e quelle di sviamento di potere, riconoscibili se il potere pubblico è stato esercitato al di fuori dello schema che ne legittima l’attribuzione (in questo senso Sez. U, n. 155 del 29/09/2011, Rossi, Rv. 251498). E che, per altro verso, il legislatore della riforma ha voluto, comunque, garantire un’adeguata tutela dell’interesse giuridico protetto in relazione a tutte quelle condotte che si pongono in contrasto con disposizioni di legge o di regolamento a contenuto precettivo, con esclusione, perciò, delle sole disposizioni che si limitano ad enunciare principi o valori. In tale ottica, secondo l’orientamento oramai maggioritario di questa Corte il requisito della violazione di norme di legge ben può essere integrato anche solo dall’inosservanza del principio costituzionale di imparzialità della Pubblica Amministrazione, per la parte in cui esprime il divieto di ingiustificate preferenze o di favoritismi ed impone al pubblico ufficiale o all’incaricato di pubblico servizio una precisa regola di comportamento di immediata applicazione. Anche nell’art. 97 Cost., “che pur detta principi di natura programmatica, è individuabile un residuale significato precettivo relativo all’imparzialità dell’azione amministrativa e, quindi, un parametro di riferimento per il reato di abuso d’ufficio. L’imparzialità a cui fa riferimento l’art. 97 Cost. consiste, infatti, nel divieto di favoritismi, nell’obbligo cioè per la Pubblica Amministrazione di trattare tutti i soggetti portatori di interessi tutelati alla stessa maniera, conformando logicamente i criteri oggettivi di valutazione alle differenziate posizioni soggettive. In sostanza, il principio d’imparzialità, se riferito all’aspetto organizzativo della Pubblica Amministrazione, ha certamente una portata programmatica e non rileva ai fini della configurabilità del reato di abuso d’ufficio, in quanto detto principio generale deve necessariamente essere mediato dalla legge di attuazione; lo stesso principio, invece, se riferito | all’attività concreta della Pubblica Amministrazione, che ha l’obbligo di non porre in essere favoritismi e di non privilegiare situazioni personali che confliggono con l’interesse generale della collettività, assume i caratteri e i contenuti precettivi richiesti dall’art. 323 c.p., in quanto impone al pubblico ufficiale o all’incaricato di pubblico servizio una precisa regola di comportamento di immediata applicazione” (così, tra le molte, Sez. 6, n. 25180 del 12/06/2012, D’Emma, Rv. 253118; Sez. 6, n. 27453 del 17/02/2011, Acquistucci, Rv. 250422; Sez. 2, n. 35048 de. 10/06/2008, Masucci, Rv. 243183; Sez. 6, n. 25162 del 12/2/2008, Sassara, Rv. 239892)”. Le considerazioni che precedono, prospettate in ipotesi di condotta finalizzata a favoritismi o privilegi, rilevano ovviamente anche per quelle finalizzate a realizzare intenzionali vessazioni o discriminazioni e procurare ingiusti danni (Sez.6 sent 42215/2012: “sul piano normativo ai fini dell’art. 323 c.p. rileva la palese violazione dell’art. 97 Cost. nella parte immediatamente precettiva, che impone, come si è innanzi sottolineato, a ogni funzionario pubblico, nell’esercizio delle proprie funzioni, di non usare il potere che la legge gli conferisce per compiere deliberati favoritismi e procurare ingiusti vantaggi patrimoniali ovvero per realizzare intenzionali vessazioni o discriminazioni e procurare ingiusti danni, come quelli che, secondo la motivata ricostruzione dei giudici del merito, hanno caratterizzato la vicenda in questione ad opera dell’imputato”).
Quanto al secondo ed al quarto motivo, la Corte d’appello ha chiarito che, tenuti distinti i due provvedimenti adottati nel 2000 (la nomina di un nuovo responsabile del servizio in applicazione del nuovo regolamento, lo spostamento del M. ad altro servizio) e rilevato che il secondo non era imposto dalle sopravvenute implicazioni operative del nuovo regolamento (p. 7 ed 8, con riferimento al parere del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Sicilia del 10.9.2011 fatto proprio dal presidente della Regione), tale spostamento doveva invece essere attribuito esclusivamente a sviamento della pubblica funzione dallo scopo pubblico per piegarla ad interessi politico-privati. L’assunto, che costituisce apprezzamento di merito conforme a quello del primo Giudice, risulta argomentato in termini che, si è già osservato, risultano immuni di soli vizi che rilevano ai sensi della lettera E) del primo comma dell’art. 606. La palese non manifesta illogicità, non contraddittorietà e non apparenza di tale conforme apprezzamento risulta dalla constatazione che la ricostruzione dei testi valorizzati dalla Corte d’appello (precedente paragrafo 3.1) è assolutamente coerente con la successiva riassegnazione provvisoria del M. al medesimo ufficio, disposta dal commissario su sollecitazione del responsabile p.t., prima ancora del decreto presidenziale (p. 7 e 10 della sentenza di secondo grado), in sé sintomatica delle effettive esigenze d’ufficio (anche in assenza di alcuna efficace interlocuzione contrastante delle difese sul punto). Collegate le due porzioni di condotta (concorso nelle premesse dell’adozione del provvedimento, da esterno, e ingiustificato e contraddittorio ritardo nell’esecuzione del decreto presidenziale, da sindaco) in realtà tuttora, in esito al giudizio di legittimità, non risulta evidenziata alcuna finalità pubblica nello spostamento del M. (in termini di deduzione difensiva che non sia sostanzialmente apodittica, fondandosi sulla pretesa legittimità formale, senza alcuna specifica indicazione delle concrete esigenze sostanziali che rendevano opportuna, o addirittura necessaria, la modifica delle attribuzioni del medesimo M. , pur a fronte di contraria affermazione dei Giudici del merito).
Ed altrettanto corretta, sul piano logico, è l’argomentazione dei Giudici d’appello sull’irrilevanza delle decisioni dei vari gradi del giudizio di lavoro, per la diversità dei presupposti di esame della medesima fattispecie (sempre p. 10), tanto sul versante dell’ingiustizia del danno quanto su quello del dolo, tenuto conto del contesto di sviamento di potere ricostruito dai Giudici del merito (Sez.3 seni. 10810/2014, Sez.6 sent. 21191/2013). In tale contesto, il danno ingiusto subito dal M. è stato adeguatamente indicato dalla Corte distrettuale nel trasferimento ad un’altra area, ben diversa da quella in cui aveva prestato servizio, con sacrifico della professionalità acquisita, anche alla luce dell’attività in posizione apicale, evidenziato anche nel ricordato parere del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Sicilia del 10.9.2011, per ragioni politico-private e senza alcun oggettivo interesse pubblico (sent. app. p. 7 e 10).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile in questo grado, che liquida complessivamente in Euro 3000 oltre iva e cpa.
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