Corte di Cassazione – Sezione VI penale – sentenza 3.11.2011, n. 39753. In tema di copie di atti, estratti e di certificati, è onere del difensore attivarsi per ottenere tempestivamente ed utilmente quanto richiesto, non potendosi far ricadere sul cancelliere la tardività della spedizione, non adeguatamente curata sino in fondo, nei suoi tempi di gestione, dal diretto interessato alla ricezione stessa
La massima estrapolata
In tema di copie di atti, estratti e di certificati, è onere del difensore attivarsi per ottenere tempestivamente ed utilmente quanto richiesto, non potendosi far ricadere sul cancelliere la tardività della spedizione, non adeguatamente curata sino in fondo, nei suoi tempi di gestione, dal diretto interessato alla ricezione stessa, il quale, a fronte della perdurante e rilevata mancata risposta della cancelleria, aveva tutto il tempo ed il modo di ovviare a tale mancanza con il ricorso a rimedi ordinar od utilizzando, se del caso, un collega in loco.
Il testo integrale
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE VI PENALE
Sentenza 3 novembre 2011, n. 39753
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
D.E.L. ricorre, a mezzo del suo difensore (avverso l’ordinanza 24 marzo 2010 della Corte di appello di Trieste che ha respinto l’istanza di restituzione in termini per impugnare la sentenza 2 dicembre 2009 della Corte di appello di Trieste), deducendo vizi e violazioni nella motivazione della decisione impugnata, nei termini critici che verranno ora riassunti e valutati.
1.) la cronistoria della vicenda processuale.
L’istanza di restituzione in termini per impugnare la sentenza 2 dicembre 2009 della Corte di appello di Trieste ha avuto la seguente scansione temporale:
a) 2 dicembre 2009: data di deliberazione della sentenza della Corte a carico di L.D.E.;
b) 16 dicembre 2009 deposito in cancelleria della motivazione della sentenza della Corte di appello 2 dicembre 2009;
c) 17 dicembre 2009: scadenza del termine massimo di deposito della motivazione della sentenza d’appello a sensi dell’art. 544 c.p.p., comma 2;
d) 21 dicembre 2009: data di spedizione della prima richiesta del difensore di copia semplice della sentenza della Corte di appello (Doc. 1);
e) 7 gennaio 2010: data di spedizione della seconda richiesta di copia semplice con raccomandata (Doc 2 e Doc. 3);
f) 16 gennaio 2010: (30 giorni) scadenza del termine massimo per il deposito del ricorso e dei contestuali motivi avanti alla Corte di Cassazione;
g) 18 gennaio 2010 ore 14:22: data di invio, a mezzo fax, da parte della cancelleria penale della Corte d’Appello di Trieste di copia della sentenza in oggetto (Doc. 4);
h) 20 gennaio 2010: dichiarazione della Cancelleria della Corte d’Appello di Trieste, sottoscritta dal dirigente (Doc. 5), che attesta l’avvenuta impossibilità di evadere tempestivamente le due istanze di copia della sentenza “per disguidi” della stessa cancelleria;
i) 20 gennaio 2010: data di deposito dell’istanza difensiva di restituzione in termini ai sensi dell’art. 175 c.p.p. nell’interesse di L.D.E..
L’istanza ex art. 175 c.p.p., comma 1 è stata proposta dal difensore dell’imputato il quale ha chiesto alla Corte di Appello di Trieste di essere rimesso nel termine per impugnare per cassazione la sentenza emessa dalla stessa Corte in data 2.12.2009, assumendo che la Cancelleria aveva trasmesso ad esso difensore – l’avv. Sandro De Martin iscritto all’albo di Venezia ed ivi residente – la copia semplice della impugnata sentenza, che era stata per due volte formalmente richiesta, soltanto quando la decisione era divenuta irrevocabile.
La Corte di Appello adita ha rigettato tale istanza con provvedimento del 24-26 marzo 2010 sostenendo l’insussistenza di ipotesi di caso fortuito o di forza maggiore.
2.) i motivi di impugnazione del D..
Con un unico ed articolato motivo di impugnazione viene dedotta inosservanza ed erronea applicazione della legge, nonchè vizio di motivazione in relazione all’art. 125 c.p.p., comma 3, avendo la Corte di appello eluso la documentazione in fatto che rendeva conto di un “diligente adempimento nella condotta del difensore”, cui si era accompagnata una “imprevedibile mancata risposta della Cancelleria”, in ordine al tempestivo rilascio di copia della sentenza, essenziale per la redazione del ricorso per Cassazione, e giustificata dallo stesso cancelliere dirigente come “un disguido” della cancelleria stessa.
Circostanze queste – secondo il difensore – idonee ad imporre la remissione in termini ricorrendo un caso insuperabile di forza maggiore, la cui sussistenza era stata dedotta e provata dal richiedente.
3.) le richieste del Procuratore generale e le ragioni della decisione della Corte di legittimità.
Il Procuratore generale ha rilevato in via preliminare ed in rito che la competenza a decidere sull’istanza presentata ai sensi dell’art. 175 c.p.p., comma 1, spettava alla Suprema Corte ai sensi del comma 4 della medesima disposizione, sicchè l’adita Corte di Appello avrebbe dovuto trasmettere l’istanza alla Corte di cassazione ai sensi dell’art. 568 c.p.p., u.c..
Per il Procuratore generale la violazione di tale disposizione comporta, in analogia a quanto prescritto dall’art. 620 c.p.p., lett. i) e art. 621 c.p.p., che la Suprema Corte, una volta annullato (siccome abnorme ovvero emesso da giudice funzionalmente incompetente) il predetto provvedimento, debba ritenere il giudizio e decidere essa stessa sull’istanza di remissione.
La deduzione del Procuratore generale è corretta e quindi questa Corte deve preliminarmente annullare senza rinvio la decisione della Corte di appello, resa da giudice funzionalmente incompetente ex art. 175 c.p.p., comma 4, in relazione alla stabilita competenza – appunto – del giudice dell’impugnazione avverso le pronunce della Corte di appello e cioè la Corte di legittimità.
Ciò posto può quindi esaminarsi il merito della richiesta di restituzione nel termine.
In proposito il Procuratore generale ha concluso sostenendo l’inammissibilità della domanda di restituzione nel termine, per ragioni di diritto e di fatto.
In jure il Procuratore generale ha rilevato che l’art. 175 c.p.p., comma 1 (al pari, per il rito civile, dell’art. 153 c.p.c., nella versione novellata nel 2009) si riferisce ai casi di forza maggiore (“vis maior cui resisti non potest”, che fa mancare addirittura la “suitas” della condotta) e di caso fortuito (in cui l’atto è astrattamente imputabile al suo autore, sicchè sussiste la suitas, ma è incolpevole).
In fatto si osserva che, non solo il difensore non avrebbe diritto alla spedizione per posta al proprio domicilio veneziano della copia della sentenza, ma, soprattutto, si evidenzia che, essendo rimasta senza effetto la prima richiesta spedita (da Venezia alla Cancelleria della Corte triestina) il 21 dicembre 2009 (come si legge a pag. 6 del ricorso) e posto che si approssimava la data di scadenza del termine per impugnare (secondo parte ricorrente: il 16 gennaio 2010), risulterebbe che -incautamente- il Difensore sia rimasto inerte fino al 7 gennaio 2010 (data in cui spedì la seconda analoga richiesta), così continuando, pur nell’imminenza della scadenza, a confidare nella sperata spedizione ad opera della Cancelleria, anzichè attivare più pressanti, appropriati e legittimi rimedi (art. 116 c.p.p.).
Ritiene il Collegio, valutata la scansione cronologica della vicenda, che la richiesta di restituzione in termini non superi il vaglio dell’ammissibilità, per entrambe le ragioni evidenziate dal Procuratore generale.
In particolare e sul punto va tenuto conto che, a fronte di un inesistente obbligo della cancelleria di “spedire atti alle parti”, al di fuori delle tassative ipotesi dei necessari e previsti adempimenti formali indicati nell’art. 116 c.p.p. in tema di copie di atti, estratti e di certificati, è onere del difensore attivarsi per ottenere tempestivamente ed utilmente quanto richiesto, non potendosi far ricadere sul cancelliere la tardività della spedizione, non adeguatamente curata sino in fondo, nei suoi tempi di gestione, dal diretto interessato alla ricezione stessa, il quale, a fronte della perdurante e rilevata mancata risposta della cancelleria, aveva tutto il tempo ed il modo di ovviare a tale mancanza con il ricorso a rimedi ordinar od utilizzando, se del caso, un collega in loco.
La gravata ordinanza va quindi annullata senza rinvio e va dichiarata inammissibile l’istanza di rimessione in termini, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata e dichiara inammissibile l’istanza di rimessione in termini.
Condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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