Il testo integrale
Corte di Cassazione, sezione VI, sentenza 29 maggio 2013 n. 23326[1]
Una diversa esegesi del predetto art. 244 cod. civ., la quale differisse a tempo indeterminato l’azione di disconoscimento, facendone decorrere il termine di proponibilità dai risultati di un’indagine (stragiudiziale) cui non è dato a priori sapere se e quando i genitori possano addivenire, sacrificherebbe in misura irragionevole i valori di certezza e stabilità degli status e dei rapporti familiari, a garanzia dei quali la norma è, invece, predisposta.
L’attore deve fornire la prova che l’azione sia stata proposta entro il termine previsto dopo la scoperta dell’adulterio.
Scoperta che va intesa nel senso dell’acquisizione certa della conoscenza (e non come mero sospetto) di un fatto – non riducibile, perciò, a mera infatuazione, o a mera relazione sentimentale, o a mera frequentazione della moglie con un altro uomo – rappresentato o da una vera e propria relazione, o da un incontro, comunque sessuale, idoneo a determinare il concepimento del figlio che si vuole disconoscere
L’obiezione secondo cui la prova biologica, da sola, può dare la certezza della non paternità, mentre l’adulterio, ancorché storicamente accertato, non è in grado di elidere la corrispondenza del dato presuntivo a quello biologico non coglie nel segno, sia perché la verifica in sede giudiziaria si impone nella generalità dei casi (si pensi alla difficoltà di ottenere la prova genetica al di fuori del processo, nel quale soltanto il rifiuto di sottoporsi a prelievi può assumere valenza giuridica), sia perché, dopo la decisione n. 266 del 2006 della Corte costituzionale, si è abolita ogni irragionevole gerarchia, sotto il profilo probatorio, fra dimostrazione dell’adulterio e della non paternità
Leave a Reply