Suprema Corte di Cassazione
sezione VI
sentenza 24 giugno 2015, n. 26528
Ritenuto in fatto
1. Con la sentenza impugnata, la Corte d’Appello di Lecce ha ribadito la condanna alla pena di sette mesi di reclusione stabilita da quella emessa dal Tribunale di Brindisi, Sezione Distaccata di Ostuni in data 24/11/2011 a carico di F.F. per il reato di resistenza a pubblico ufficiale (art. 337 cod. pen.), contestatogli per avere omesso, a bordo della propria autovettura, di fermarsi al segnale di alt intimatogli da una pattuglia della Polizia di Stato, inscenando una fuga condotta con manovre di guida pericolose per gli operanti e gli altri utenti della strada.
Nel respingere i motivi d’appello, la Corte territoriale ha evidenziato il certo riconoscimento eseguito dagli operanti dell’imputato, soggetto da tempo ad essi noto, richiamando poi la pacifica giurisprudenza concernente la configurabilità del reato contestato nella fattispecie in esame.
2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso l’imputato, deducendo illogicità della motivazione riferita a particolari significativi (tipo di autovettura impiegato dagli operanti nell’inseguimento, asserita precisione ed attendibilità delle dichiarazioni rese dall’unico teste escusso) della vicenda oggetto di verifica processuale e violazione dell’art. 337 cod. pen., allegando l’assenza dalla condotta contestata di profili di intimidazione o aggressività, atti a condizionare l’operato dei pubblici ufficiali.
Considerato in diritto
1. II ricorso è manifestamente infondato e come tale deve essere dichiarato inammissibile.
2. La fattispecie dell’inottemperanza all’ordine di arresto impartito con posto di blocco autostradale, cui faccia seguito la fuga del soggetto con attuazione di manovre di guida pericolose per sé, per gli agenti di polizia inseguitori e in genere per gli utenti dei tratti stradali interessati rientra pacificamente nel paradigma di cui all’art. 337 cod. pen.
La giurisprudenza di questa Corte di Cassazione, infatti, costantemente riafferma il principio che in tema di resistenza a pubblico ufficiale, integra l’elemento materiale della violenza la condotta dei soggetto che si dia alla fuga, alla guida di una autovettura, non limitandosi a cercare di sottrarsi all’inseguimento, ma ponendo deliberatamente in pericolo, con una condotta di guida obiettivamente pericolosa, l’incolumità personale degli agenti inseguitori o degli altri utenti della strada (Sez. F, sent. n. 40 del 10/09/2013, E, Rv. 257915; Sez. 2, sent. n. 46618 del 20/11/2009, Corrado e altri, Rv. 245420; Sez. 2, sent. n. 41419 del 18/09/2009, Lorusso, Rv. 245243; Sez. 4, sent. n. 41936 del 14/07/2006, Campicello, Rv. 235535; Sez. 6, sent. n. 31716 del 08/04/2003, Laraspata, Rv. 226251 e altre conformi).
Nella specie, la Corte territoriale ha precisato che la desistenza dall’inseguimento era stata deliberata dagli agenti di polizia inseguitori dopo avere acclarato che a bordo dei veicolo condotto dall’imputato si trovava anche un neonato e che le spericolate manovre di guida attuate dal conducente potevano porne in pericolo l’incolumità, al pari di quella degli altri passeggeri.
L’altro motivo di ricorso attiene a profili di esclusivo merito della decisione impugnata, sui quali i giudici d’appello hanno congruamente motivato, con impiego di argomenti insuscettibili di censure sul piano logico (pag. 2 sentenza): a dispetto della formale definizione (motivazione illogica), esso non contesta la decisione sotto tale profilo, ma si limita a reiterare temi (se l’autovettura usata dagli inseguitori fosse o meno dotata dei colori d’istituto delle forza di polizia di appartenenza, se gli operanti lo avessero con certezza riconosciuto alla guida del veicolo) già dedotti nei gradi di merito dei giudizio e sui quali è intervenuta puntuale e adeguata pronunzia.
3. Alla dichiarazione d’inammissibilità dell’impugnazione segue, come per legge, la condanna dei ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma in favore della cassa delle ammende, che stimasi equo quantificare in € 1.000,00 (mille).
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 1.000,00 (mille) in favore della cassa delle ammende.
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