cassazione 8

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE VI

SENTENZA 16 febbraio 2015, n. 6682

Ritenuto in fatto

Con la decisione indicata in epigrafe la Corte d’appello di Torino ha confermato la sentenza del 16 luglio 2012 con cui il locale Tribunale aveva condannato D.P.D. alla pena di tre mesi di reclusione ed Euro 200,00 di multa in ordine al reato previsto dagli artt. 81 cpv. e 570 c.p. nonché dagli artt. 3 legge n. 54 del 2006 e 12-sexies legge n. 898/1970, per essersi sottratto agli obblighi inerenti la sua qualità di coniuge e padre, facendo mancare i mezzi di sussistenza ai figli minori e alla moglie S.T. e per avere omesso di corrispondere l’assegno di mantenimento stabilito dal giudice civile in Euro 1.050,00 mensili in sede di separazione. I giudici hanno anche confermato le statuizioni civili poste a carico dell’imputato nonché la provvisionale di Euro 9.000 in favore della parte civile.

Nel confermare la condanna del D.P. i giudici di secondo grado hanno precisato come non sia contestato che l’inadempimento sia stato parziale dal maggio 2008 e totale dall’ottobre 2008; inoltre, hanno escluso che l’imputato si sia trovato in stato di oggettiva e assoluta incapacità di assolvere all’obbligo di mantenimento.

L’imputato ha presentato personalmente ricorso per cassazione.

2.1. Con il primo motivo ha dedotto la violazione dell’art. 570 c.p., sostenendo che nella specie i figli minori non si sarebbero trovati nello stato di bisogno, presupposto necessario per l’applicazione della norma incriminatrice contestata, in quanto il reddito percepito dal coniuge è stato sempre sufficiente al sostentamento anche dei due minori, aggiungendo che al loro mantenimento provvedevano pure i nonni.

2.2. Con il secondo motivo ha denunciato il vizio di motivazione, rilevando che la sentenza non ha preso in esame la circostanza – fatta valere in appello – della impossibilità di adempiere agli obblighi di mantenimento da parte dell’imputato, sprovvisto di redditi adeguati e in stato di indigenza dal dicembre 2010, a seguito della chiusura della ditta D.P. Service di cui era titolare.

Considerato in diritto

Il ricorso è infondato.

3.1. Quanto al primo motivo si osserva che il giudice d’appello ha correttamente ritenuto la sussistenza del presupposto dello stato di bisogno per i figli minori, nonostante il contributo economico dei nonni, in quanto in tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare lo stato di bisogno e l’obbligo del genitore di contribuire al mantenimento dei figli minori non vengono meno quando gli aventi diritto siano assistiti economicamente da terzi (Sez. VI 15 giugno 2011, n. 35520, B.; Sez. VI 22 ottobre 2014 n 46060, DM).

3.2. In relazione al secondo motivo si rileva che, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, la sentenza ha preso in esame la questione dedotta m appello circa la presunta impossibilità di adempiere agli obblighi, che ha ritenuto insussistente in fatto, sulla base degli accertamenti in ordine al reddito percepito dall’imputato nel 2008 e nel 2009 (testimonianza Faggio), e in diritto, rilevando come non sia stata dimostrata l’assoluta incapacità economica.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte l’incapacità economica dell’obbligato, intesa come impossibilità di far fronte agli adempimenti sanzionati dall’art. 570 c.p., deve essere assoluta e deve altresì integrare una situazione di persistente, oggettiva ed incolpevole indisponibilità di introiti (tra le tante v., Sez. VI, 21 ottobre 2010, n. 41362, M.). Nella specie, la Corte territoriale ha applicato correttamente questo principio, escludendo che l’imputato si sia trovato in una condizione di assoluta incapacità economica, in quanto nel periodo in cui si è verificato l’inadempimento è risultato che D.P. ha comunque ricevuto introiti, seppure modesti, e soprattutto è riuscito a costituire un altro nucleo famigliare, pagando la pigione dell’alloggio dove ha vissuto. Si tratta di una motivazione che appare logica e coerente, oltre che fondata su una corretta interpretazione delle norme sostanziali, e che come tale non può essere oggetto di censure in sede di legittimità.

In conclusione, il ricorso deve essere respinto, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento della spese processuali

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