Ai fini dell’aumento di pena in caso di recidiva si richiede una relazione qualificata tra i precedenti del reo ed il nuovo illecito, che deve risultare da un accertamento condotto in concreto sui diversi parametri rivelatori della personalità del reo e del grado di colpevolezza
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE VI PENALE
SENTENZA 3 marzo 2017, n. 10527
Ritenuto in fatto
Con sentenza del 26 novembre 2015 la Corte d’appello di Palermo ha confermato la sentenza di primo grado, che, ritenuta la contestata recidiva specifica ed infraquinquennale, condannava B.A. alla pena di mesi nove di reclusione per il reato di evasione dalla propria abitazione, ove si trovava ristretto in stato di detenzione domiciliare a norma dell’art. 47-ter della legge n. 354/1975.
Nell’interesse del B. ha proposto ricorso per cassazione il suo difensore, che ha dedotto i motivi di seguito indicati.
2.1. Con il primo e secondo motivo si lamentano violazioni di legge e vizi della motivazione in punto di affermazione della responsabilità, per non avere i Giudici di merito controllato qual era il percorso che il B. doveva effettuare per poter svolgere la sua attività di lavoro.
2.2. Con il terzo motivo si censura l’errata applicazione della recidiva di cui al quinto comma dell’art. 99 cod. pen., per avere i Giudici di merito ritenuto l’aumento obbligatorio di pena, senza tener conto della pronuncia della Corte costituzionale n. 185 del 2015, là dove si richiede una relazione qualificata tra i precedenti del reo ed il nuovo illecito, che deve risultare da un accertamento condotto in concreto sui diversi parametri rivelatori della personalità del reo e del grado di colpevolezza.
2.3. Con il quarto motivo, infine, si lamenta la mancata applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen., per avere la Corte d’appello escluso la configurabilità dell’ipotesi in considerazione dell’assenza del presupposto relativo alla mancanza di abitualità del comportamento, confondendo, tuttavia, i precedenti penali a carico dell’imputato con il profilo della abitualità della condotta.
Considerato in diritto
Il ricorso è parzialmente fondato e va pertanto accolto entro i limiti e per gli effetti qui di seguito esposti e precisati.
Manifestamente infondati devono ritenersi i primi due motivi, che oltre ad essere genericamente enunciati, sono diversi da quelli consentiti, evocando – a fronte di un duplice, conforme e specifico apprezzamento in fatto dei Giudici di merito, sorretto da una motivazione non apparente ed immune dai vizi di manifesta illogicità e contraddittorietà che, soli, rilevano ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. – argomenti del tutto scollegati dalla necessità di esporre una puntuale analisi critica della sentenza impugnata, che in definitiva si risolvono nella mera sollecitazione ad una diversa o alternativa valutazione dell’oggetto della regiudicanda, in quanto tale del tutto preclusa nel giudizio di legittimità.
Al riguardo, invero, i Giudici di merito si sono fedelmente attenuti ad una pacifica linea interpretativa di questa Suprema Corte (Sez. 6, n. 28118 del 09/06/2015, Rapino, Rv. 263977), secondo cui integra il reato di evasione qualsiasi allontanamento dal luogo degli arresti domiciliari senza autorizzazione, non assumendo alcun rilievo, a tal fine, la sua durata, la distanza dello spostamento, ovvero i motivi che inducono il soggetto ad eludere la vigilanza sullo stato custodiale.
Fondato, di contro, deve ritenersi il terzo motivo di ricorso, poiché il diniego dell’invocata esclusione della recidiva è stato motivato dalla Corte distrettuale sulla base di un generico riferimento ai precedenti penali, pur numerosi, reiterati e specifici, a carico dell’imputato, senza operare alcuna concreta verifica in ordine all’idoneità della nuova condotta criminosa a rivelare la maggior capacità a delinquere del reo che giustifichi l’aumento non automatico – di pena per effetto della contestata recidiva specifica ed infraquinquennale, dovendosi tener conto, al riguardo, dei criteri oggettivi e soggettivi specificamente indicati sia da questa Corte (Sez. U, n. 35738 del 27/05/2010, Calibè, Rv. 247838; Sez. 6, n. 14550 del 15/03/2011, Bouzid Omar, Rv. 250039; Sez. 3, n. 19170 del 17/12/2014, dep. 2015, Gordyusheva, Rv. 263464) che dalla Corte costituzionale, ‘in rapporto alla natura e al tempo di commissione dei precedenti e avuto riguardo ai parametri indicati dall’art. 133 cod. pen., sotto il profilo della più accentuata colpevolezza e della maggiore pericolosità del reo’ (sentenze n. 185 del 2015; n. 183 del 2011 e n. 192 del 2007).
Parimenti fondata, infine, deve ritenersi l’ultima censura (strettamente connessa alla precedente doglianza or ora esaminata), poichè il riferimento operato dalla Corte territoriale ai numerosi, ed anche specifici, precedenti a carico dell’imputato – ritenuti, come tali, dimostrativi di una ‘evidente tendenza a delinquere’, sì da escludere l’applicabilità dell’invocata ipotesi di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen. – non ne rivela di per sé la connotazione di abitualità della condotta, erroneamente sovrapponendosi tale nozione al diverso istituto della tendenza a delinquere ex art. 108 cod. pen., laddove, ai fini del presupposto ostativo alla configurabilità della causa di non punibilità prevista dall’art. 131-bis cod. pen., il comportamento è abituale quando l’autore, anche successivamente al reato per cui si procede, ha commesso almeno due illeciti, oltre quello preso in esame (Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266591).
Sulla base delle su esposte considerazioni s’impone, limitatamente ai profili critici sopra evidenziati (v. parr. 3 e 4), l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata per un nuovo giudizio che, nella piena libertà del relativo apprezzamento di merito, ponga rimedio ai vizi riscontrati.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al capo relativo alla recidiva e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra Sezione della Corte di appello di Palermo. Rigetta nel resto il ricorso
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