Suprema Corte di Cassazione
sezione VI
ordinanza 16 ottobre 2013, n. 23424
Premesso in fatto
– È stata depositata in Cancelleria la seguente relazione ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ.:
“1.- Con la sentenza impugnata in questa sede la Corte di appello di Roma ha dichiarato improcedibile il ricorso in appello proposto da M.A..C. – in proprio e quale rappresentante legale di M.M.M. e M.G. – contro la sentenza del Tribunale di Roma n. 7101/2009, che ha respinto la domanda di risarcimento dei danni conseguenti alla risoluzione di un contratto di locazione, proposta dalla C. contro Roma Capitale, già conduttrice di un magazzino di sua proprietà.
La Corte di appello ha rilevato che il decreto presidenziale di fissazione dell’udienza di discussione è stato notificato all’appellato oltre il termine di dieci giorni di cui all’art. 435, 2 comma, cod. proc. civ., pur se nel rispetto del termine a comparire di cui al terzo comma della stessa norma, e che tanto basta a rendere improcedibile l’appello.
La C. propone ricorso per cassazione. Resiste l’intimata con controricorso.
2.- Con l’unico motivo la ricorrente denuncia violazione dell’art. 435, 2 comma, cod. proc. civ..
Premette in fatto che il decreto di fissazione dell’udienza di discussione, emesso il 16 giugno 2010, non le è mai stato comunicato dalla Cancelleria; che ciò nonostante essa ne ha richiesto le copie autentiche il 22 giugno 2010, copie che le sono state rilasciate solo il 28 giugno successivo, sicché la notificazione — perfezionata in data 8 luglio 2010 — è in realtà avvenuta nel rispetto del termine di cui all’art. 435, 2 comma.
Rileva che in ogni caso la notificazione è avvenuta ben oltre venticinque giorni prima dell’udienza di discussione, quindi nel rispetto del termine di cui al terzo comma dell’art. 435, il quale soltanto deve essere perentoriamente rispettato, secondo la consolidata giurisprudenza della Corte di cassazione e della Corte costituzionale.
3.- Il ricorso è fondato.
La sentenza impugnata si è uniformata ad un indirizzo interpretativo fondato sull’erronea interpretazione della sentenza 30 luglio 2008 n. 20604 della Corte di cassazione a sezioni unite, che riguarda un caso diverso da quello in oggetto.
Riguarda cioè il caso in cui l’appellante, dopo avere depositato il ricorso nel termine, abbia del tutto omesso di procedere alla notificazione del ricorso e del decreto presidenziale di fissazione dell’udienza di discussione, chiedendo poi nel corso dell’udienza medesima l’assegnazione di altro termine per procedere alla notificazione, ai sensi dell’art. 291 cod. proc. civ..
Tale prassi si fondava sul principio in precedenza seguito da una parte della giurisprudenza, secondo cui il mero deposito in Cancelleria dell’atto di appello era sufficiente ad evitare la decadenza dall’impugnazione. La sentenza n. 20604/2008 delle Sezioni unite ha voluto disattendere quest’ultimo principio, con la motivazione che – alla stregua di un’interpretazione costituzionalmente orientata, imposta dal principio della ragionevole durata del processo di cui all’art. 111, secondo comma, Cost. – non è consentito al giudice di assegnare all’appellante, ex art. 421 cod. proc. civ., altro termine perentorio per provvedere ad una nuova notificazione, a norma dell’art. 291 cod. proc. civ..
Nel caso in esame si discute, per contro, non della mancata notificazione, ma della notificazione oltre il termine di dieci giorni di cui all’art. 435, 2 comma, cod. proc. civ., e la consolidata giurisprudenza di questa Corte è nel senso che detto termine non è perentorio, mentre tale è il termine a difesa di cui al terzo comma, per cui l’appellato deve ricevere notizia dell’impugnazione almeno venticinque giorni prima della data dell’udienza di discussione (cfr. fra le tante Cass. civ. Sez. Lav., 15 ottobre 2010 n. 21358; Idem, 30 dicembre 2010 n. 26489; Cass. civ. Sez. 6 – 3, Ord. 12 aprile 2011 n. 8411; Cass. civ. Sez. lav. 31 maggio 2012 n. 8685).
Trattasi di principio che risulta particolarmente appropriato e condivisibile nei casi simili a quello in esame in cui la notificazione sia avvenuta, se non proprio nel termine di cui al 2 comma dell’art. 435, in tempi ad esso molto vicini, e comunque con larghissimo anticipo rispetto alla data dell’udienza di discussione.
La sentenza impugnata, consapevole dell’indirizzo giurisprudenziale sopra richiamato, adduce a giustificazione dell’improcedibilità dell’appello anche altri argomenti: assume che il disposto dell’art. 435, 2 comma, verrebbe in tal modo vanificato e sostanzialmente abrogato; che esso garantisce la parità di trattamento delle parti nel processo, evitando lo squilibrio informativo circa la pendenza dell’impugnazione, principio cui deve assegnarsi rilievo costituzionale, nel quadro dei principi in tema di giusto processo; che la sua interpretazione si giustifica anche sul piano sistematico, in considerazione del fatto che l’art. 348 1 comma cod. proc. civ. sanziona con l’improcedibilità la mancata costituzione dell’appellante nel termine di dieci giorni dalla notificazione.
A parte il fatto che tali principi — pur degni di nota – avrebbero trovato migliori ragioni di essere richiamati in un caso in cui la notificazione fosse avvenuta con largo ritardo rispetto al disposto dell’art. 435, 2 comma, e non in un caso limite, quale quello di specie, in cui detto termine è stato trasgredito di poco (se non addirittura rispettato), essenziale è rilevare che la parità di trattamento fra le parti è e deve essere garantita dalle norme che regolano l’assegnazione dei termini a difesa ed il rispetto del principio del contraddittorio, sia sul piano formale che su quello sostanziale, fra cui nella specie il disposto di cui al terzo comma dell’art. 435 cod. proc. civ..
La norma di cui al 2 comma della norma non risponde ad alcuna esigenza imprescindibile, sotto questi profili, e la perentorietà del termine avrebbe il solo effetto di ostacolare la difesa dell’appellante — a fronte delle possibili lungaggini della burocrazia giudiziaria – senza arrecare alcun sostanziale beneficio all’appellato.
L’assegnazione di carattere ordinatorio e non perentorio ad un termine non equivale certo all’implicita abrogazione della norma che lo prevede. Significa solo che l’inosservanza del termine non produce automaticamente gli effetti tipici che si ricollegano ai termini perentorii nella specie, non giustifica l’improcedibilità dell’appello. Ma ben potrebbe giustificare altri effetti, qualora si dimostrasse che il mancato rispetto del termine ha concretamente arrecato un qualunque pregiudizio ai diritti della controparte od al sollecito svolgimento del processo.
Il paragone con l’art. 348 cod. proc. civ. pare artificioso e non in termini.
L’improcedibilità dell’appello non iscritto a ruolo nei dieci giorni dalla notificazione vuole sanzionare l’inattività della parte, più che salvaguardare l’equilibrio informativo nei confronti dell’appellato: equilibrio già ampiamente salvaguardato dalla previa notificazione dell’atto di appello; sicché non ricorre alcuna identità di ratio fra le due norme.
3.- Propongo che il ricorso sia accolto, con ordinanza in Camera di consiglio”.
– La relazione è stata comunicata ai difensori delle parti.
– Il Pubblico Ministero non ha depositato conclusioni scritte.
– La ricorrente ha depositato memoria. Considerato in diritto:
Il Collegio, esaminati gli atti, condivide la soluzione e gli argomenti esposti nella relazione.
In accoglimento del ricorso, la sentenza impugnata deve essere annullata, con rinvio della causa alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, affinché proceda all’esame del merito della vertenza.
La Corte di rinvio provvederà anche sulle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte di cassazione accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, che deciderà anche sulle spese del giudizio di cassazione
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