Suprema Corte di Cassazione
sezione V
sentenza 21 luglio 2014, n. 32046
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DUBOLINO Pietro – Presidente
Dott. PEZZULLO Rosa – Consigliere
Dott. SETTEMBRE Antonio – Consigliere
Dott. PISTORELLI Luc – rel. Consigliere
Dott. DEMARCHI ALBENGO Paolo G. – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 26/10/2012 della Corte d’appello di Brescia;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Luca Pistorelli;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. D’ANGELO Giovanni, che ha concluso per l’annullamento con rinvio limitatamente al trattamento sanzionatorio;
udito per la parte civile l’avv. (OMISSIS), che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito per l’imputato l’avv. (OMISSIS), che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
La vicenda riguardava la contraffazione da parte del (OMISSIS), titolare di una impresa di costruzioni, di un certificato di idoneita’ tecnica mediante l’apposizione in calce al medesimo della falsa firma dell’arch. (OMISSIS), direttore dei lavori dell’opera cui il certificato si riferiva, e del, a sua volta contraffatto, timbro professionale di quest’ultimo, nonche’ il tentativo, realizzato mediante l’allegazione del suddetto certificato, di trarre in errore la societa’ incaricata di rilasciare l’attestazione di qualificazione SOA circa il possesso dei requisiti tecnici e finanziari a tal fine richiesti dalla legge, cercando cosi’ di indurla a rilasciarne una attestazione ideologicamente falsa.
2. Avverso la sentenza ricorre l’imputato a mezzo del proprio difensore articolando dodici motivi.
2.1 Con il primo motivo deduce vizi della motivazione in ordine all’affermazione della responsabilita’ dell’imputato, evidenziando come la Corte distrettuale avrebbe trascurato di valutare le censure mosse con il gravame di merito in ordine all’attendibilita’ e coerenza logica delle dichiarazioni rese dall’arch. (OMISSIS), anche alla luce della documentazione versata nel dibattimento di primo grado dalla difesa, nonche’ alle modalita’ del rinvenimento del timbro contraffatto e alle risultanze degli accertamenti grafologici sulla firma disconosciuta dallo stesso (OMISSIS). Non di meno i giudici dell’appello, nel valutare la testimonianza di (OMISSIS) – il titolare della ditta cui venne commissionata la fabbricazione del menzionato timbro – avrebbe trascurato di considerare come la sua descrizione fisica del committente risultasse in contrasto con quanto dichiarato nel corso delle indagini preliminari, quando invece aveva dichiarato di non essere in grado di fornire alcuna descrizione. In ogni caso la sentenza non avrebbe spiegato come sia stato possibile attribuire valore probatorio al riconoscimento fotografico effettuato da quest’ultimo, atteso che il teste ha identificato nelle foto esibitegli l’imputato con una “attendibilita’ del 10%”. Ancora la Corte territoriale avrebbe ignorato le dichiarazioni dei testi (OMISSIS) e (OMISSIS) in ordine al possesso da parte dell’imputato del fac-simile cartaceo ed alla copia informatica del certificato e i rilievi difensivi sul sostanziale difetto di un movente che giustificasse la decisione di falsificarlo.
2.2 I motivi dal secondo al settimo denunciano ulteriori vizi della motivazione, censurando:
a) la tenuta logica delle argomentazioni con cui la sentenza ha ritenuto di poter escludere che autore della firma asseritamente apocrifa potesse essere lo stesso (OMISSIS);
b) l’irrilevanza della discrasia tra la data in cui sarebbe stato consegnato il certificato all’imputato e quella in cui il (OMISSIS) ha affermato essere stato confezionato il timbro, atteso che la teste (OMISSIS) – le cui dichiarazioni sarebbero dunque state nuovamente ignorate dalla Corte distrettuale – avrebbe comunque precisato come il certificato in contestazione venne consegnato alla societa’ che doveva attestare la qualificazione dell’impresa del (OMISSIS) nei primi quindici giorni di giugno e, dunque, in ogni caso prima della data di fabbricazione del timbro;
c) la ritenuta indispensabilita’ per l’imputato del certificato asseritamente falsificato, atteso che il (OMISSIS) avrebbe poi ottenuto l’attestato SOA producendo altri certificati relativi ad altre opere eseguite in precedenza e rilasciati nel settembre del 2007 perche’ la necessita’ di ottenerli si era manifestata solo a seguito del disconoscimento della firma da parte del (OMISSIS) su quello originariamente allegato alla richiesta di rinnovo della suddetta attestazione;
d) l’omessa motivazione sulle conclusioni del consulente di parte in ordine non solo all’attribuzione della firma ritenuta apocrifa al (OMISSIS), ma addirittura alla sua qualificazione come firma dissimulata.
2.3 Con i motivi rubricati dall’ottavo all’undicesimo viene invece lamentata l’errata applicazione della legge penale e il correlato difetto della motivazione. In particolare il ricorrente contesta la qualificazione giuridica attribuita ad entrambi i fatti per cui e’ intervenuta la condanna dell’imputato, osservando innanzi tutto che quello contestato al capo A) dovrebbe essere ricondotto allo schema del falso in certificazione amministrativa commesso dal privato tracciato dagli articoli 477 e 482 c.p., atteso che quello oggetto di falsificazione non sarebbe atto interno alla procedura di rilascio dell’attestato SOA, come erroneamente ritenuto dai giudici di merito. Quanto invece a quello di cui al capo B), il ricorrente evidenzia come sia non possa configurarsi il tentativo di falso ideologico per induzione in atto pubblico da parte del privato, atteso che il contestato articolo 482 c.p., non estende la punibilita’ di quest’ultimo per i fatti previsti anche dall’articolo 479 c.p.. Piu’ correttamente, dunque, la condotta dell’imputato doveva essere ritenuta integrare il meno grave reato di cui all’articolo 483 c.p..
2.4 Con il dodicesimo ed ultimo motivo, infine, il ricorrente lamenta che la Corte distrettuale, una volta assolto l’imputato dalla contestazione ex articolo 468 c.p., ed aver conseguentemente ritenuto piu’ grave il reato di falso materiale in atto pubblico di cui al capo A), avrebbe dovuto rideterminare la pena applicata per tale reato tenendo conto del combinato disposto degli articoli 476 e 482 c.p., risultando dunque erroneo il calcolo di anni uno di reclusione effettuato in sentenza pur con la dichiarata intenzione di irrogare il minimo edittale previsto per tale reato.
1.1 In larga misura le doglianze si risolvono, infatti, nel tentativo del ricorrente di prospettare una diversa ricostruzione del fatto attraverso una lettura soggettivamente orientata del materiale probatorio alternativa a quella fatta motivatamente propria dal giudice di merito, cercando cosi’ di sollecitare quello di legittimita’ ad una rivisitazione degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o all’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei medesimi, che invece gli sono precluse ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., lettera e).
1.2 Generiche e viziate da un approccio atomistico al compendio probatorio che non tiene conto delle convergenze rilevate dalla Corte distrettuale tra i diversi elementi indiziari risultano poi le censure tese a svalutare il significato probatorio di alcune circostanze invece apprezzate dalla sentenza ai fini dell’affermazione di responsabilita’ del (OMISSIS). In tal senso, ad esempio, l’esaltazione del fatto che il timbro oggetto di falsificazione fosse detenuto negli uffici di cantiere e che questi fossero accessibili a molte persone ovvero le giustificazioni prospettate per il ritiro dell’originale del CEL e per il possesso del suo fac-simile cartaceo e della sua copia informatica tendono ad avvalorare la tesi dell’assoluta neutralita’ di alcuni degli elementi di prova assunti a riferimento della condanna senza pero’ confrontarsi con l’effettivo contenuto del ragionamento probatorio seguito dai giudici di merito e del contesto indiziario in riferimento al quale ad ognuna delle evidenze prese in considerazione e’ stato attribuito significato.
1.3 Ancor piu’ generiche sono poi le lamentele del ricorrente ad oggetto presunti travisamenti o l’omessa valutazione di alcune prove soprattutto di natura dichiarativa, atteso che non solo il ricorso non ne ha saputo evidenziare la decisivita’, ma soprattutto, le stesse sono state solo sommariamente indicate, senza provvedere all’integrale produzione (nel corpo del ricorso o in allegato) degli atti che ne costituirebbero la fonte, contravvenendo cosi’ ai consolidati principi elaborati da questa Corte in ordine alle condizioni per la valida deducibilita’ del vizio in questione. In definitiva il ricorso per cassazione con cui si lamenta la mancanza, contraddittorieta’ o manifesta illogicita’ della motivazione per l’omessa valutazione o il traviamento di circostanze acquisite agli atti non puo’ limitarsi, pena l’inammissibilita’, ad addurre l’esistenza di atti processuali non esplicitamente presi in considerazione nella motivazione del provvedimento impugnato ovvero non correttamente od adeguatamente interpretati dal giudicante, ma deve, invece: a) identificare l’atto processuale cui fa riferimento; b) individuare l’elemento fattuale o il dato probatorio che da tale atto emerge e che risulta incompatibile con la ricostruzione svolta nella sentenza; c) dare la prova della verita’ dell’elemento fattuale o del dato probatorio invocato, nonche’ della effettiva esistenza dell’atto processuale su cui tale prova si fonda; d) indicare le ragioni per cui l’atto inficia e compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l’intera coerenza della motivazione, introducendo profili di radicale “incompatibilita’” all’interno dell’impianto argomentativo del provvedimento impugnato (Sez. 6, n. 45036 del 2 dicembre 2010, Damiano, Rv. 249035). E quanto alle condizioni per cui puo’ ritenersi assolto l’onere di indicazione posto dall’articolo 606 c.p.p., lettera e), si e’ altresi’ precisato che, qualora la prova omessa o travisata abbia natura dichiarativa, il ricorrente ha l’onere di riportarne integralmente il contenuto, non limitandosi ad estrapolarne alcuni brani, giacche’ cosi’ facendo viene impedito al giudice di legittimita’ di apprezzare compiutamente il significato probatorio delle dichiarazioni e, quindi, di valutare l’effettiva portata del vizio dedotto (Sez. 4 n. 37982 del 26 giugno 2008, Buzi, rv 241023; Sez. F., n. 32362 del 19 agosto 2010, Scuto ed altri, Rv. 248141).
1.4 Quanto in particolare alla lamentata omessa valutazione delle conclusioni del consulente grafologico di parte la doglianza si rivela manifestamente infondata e generica. Infatti la Corte distrettuale ha reso adeguata motivazione sulle ragioni per cui ha ritenuto tali conclusioni non pienamente inattendibili, argomentando dal progressivo aggiustamento della propria valutazione operata dal consulente. La tenuta argomentativa di tale ragionamento e’ fuori discussione, mentre il ricorrente non lo ha sostanzialmente confutato, limitandosi a ribadire – in maniera che a questo punto risulta solo apodittica – il presunto valore decisivo del giudizio espresso dal menzionato consulente.
1.5 Non di meno il ricorso ha omesso di confrontarsi compiutamente con uno degli elementi cui la Corte distrettuale ha conferito valore decisivo nell’economia della sua decisione e cioe’ la testimonianza del (OMISSIS) e la sua capacita’ di smentire le dichiarazioni rese e i documenti predisposti dall’imputato per comprovare di aver ricevuto il 13 giugno 2007 il CEL dalle mani del (OMISSIS). Ne’ il ricorrente ha contestato – anche solo indirettamente o implicitamente – che il timbro prodotto dal (OMISSIS) sia proprio, come invece affermato in sentenza, quello utilizzato per confezionare il falso CEL.
1.5.1. Sul punto il ricorrente si e’ infatti limitato a lamentare l’illogicita’ dell’identificazione del (OMISSIS) con il committente del timbro in ragione di una ricognizione fotografica del medesimo effettuata con percentuali di certezza del solo 10% e senza tenere conto della presunta contraddittorieta’ delle dichiarazioni rese dal teste nelle indagini preliminari e nel dibattimento ovvero l’irrilevanza di tale testimonianza alla luce di quella della (OMISSIS).
1.5.2. Censure queste che non risultano effettivamente correlate al contenuto del ragionamento seguito dai giudici territoriali e che comunque risultano manifestamente infondate o per altro verso inammissibili. Quanto al primo profilo eccepito, infatti, deve evidenziarsi che la sentenza non ha in alcun modo attribuito alla menzionata ricognizione fotografica il valore evocato dal ricorrente, ma, proprio prendendo atto della sua incertezza, si e’ invece concentrata sul valore indiziario della compatibilita’ della descrizione offerta dal (OMISSIS) del committente del timbro con le fattezze fisiche dell’imputato, peraltro senza spingersi a dedurre nemmeno da questo elemento la prova esclusiva dell’identita’ tra i due soggetti, tratta invece dalla convergenza dello stesso con le altre evidenze acquisite e in grado di dimostrare – secondo un ragionamento la cui logicita’, come detto, il ricorrente ha sostanzialmente omesso di contestare se non in maniera assertiva – come solo il (OMISSIS) potesse effettivamente aver commissionato l’opera. Con riguardo invece alla contraddittorieta’ delle dichiarazioni del teste, e’ appena il caso di evidenziare come il ricorrente nemmeno ha precisato se quelle predibattimentali siano state oggetto di contestazione nel corso dell’esame dibattimentale o siano state acquisite al patrimonio probatorio del processo, per cui lamentare difetti di motivazione da parte dei giudici dell’appello sul punto significa formulare una censura priva di qualsiasi specificita’.
1.5.3. Quanto poi alla svalutazione operata dal ricorrente del valore probatorio della data in cui venne effettivamente ordinato il timbro, le presunte dichiarazioni della teste (OMISSIS) sono solo sommariamente evocate, talche’, come gia’ detto, la lamentata mancata valutazione da parte della Corte distrettuale delle medesime si rivela del tutto generica. Non di meno deve ritenersi che quest’ultima, a fronte di un dato certo in ordine alla data di confezionamento del timbro sicuramente utilizzato per fabbricarla falsa certificazione, abbia implicitamente e del tutto ragionevolmente ritenuto le dichiarazioni della (OMISSIS) inattendibili, tanto piu’ che dallo stesso ricorso emerge come la teste avrebbe comunque fornito indicazioni solo sommarie sul momento in cui sarebbe effettivamente avvenuta la consegna del documento.
1.5.4. In definitiva la mancata confutazione, se non nella inefficace maniera illustrata, di un elemento che ha costituito il fulcro del ragionamento probatorio svolto dai giudici d’appello finisce per riverberarsi sulla tenuta dell’intero coacervo di censure svolte nei primi sette motivi del ricorso, che deve ritenersi in tal senso sostanzialmente generico proprio per il difetto di correlazione con l’effettivo contenuto della motivazione della sentenza impugnata.
1.6. Con riguardo infine alle obiezioni del ricorrente sulla ritenuta indispensabilita’ del CEL oggetto di contestazione, si tratta nuovamente di doglianze manifestamente infondate, atteso che la sentenza ha chiaramente evidenziato come tale giudizio e’ stato espresso in senso relativo e non assoluto. I giudici bresciani non hanno infatti mai affermato che senza il rilascio da parte del (OMISSIS) del CEL il (OMISSIS) non avrebbe potuto in nessun caso ottenere il rinnovo dell’autorizzazione SOA, ma solo che non avrebbe potuto conseguirlo nei tempi e alle condizioni sperate nel momento in cui egli ha presentato la relativa domanda nel giugno del 2007. Valutazione che e’ lo stesso ricorso ad avvalorare indirettamente nel momento in cui evidenzia come l’imputato dovette procurarsi altri CEL relativi ad opere eseguite in precedenza, riuscendo a produrli solo nel successivo settembre. Non di meno deve rilevarsi che il ricorrente non ha saputo evidenziare la decisivita’ dell’eventuale errore attribuibile alla Corte distrettuale sul punto, atteso che la questione attiene all’eventuale accertamento del movente della falsificazione, del tutto irrilevante a fronte della effettiva dimostrazione che ad effettuarla fu proprio l’imputato.
2. Colgono invece nel segno le censure mosse dal ricorrente alla qualificazione giuridica attribuita al fatto di cui al capo A) dalla Corte territoriale, sebbene per ragioni in larga parte diverse da quelle prospettate nel ricorso.
2.1 Deve infatti escludersi che il CEL possa essere ritenuto atto pubblico e, soprattutto, che il direttore dei lavori dell’opera cui si riferisce sia un pubblico ufficiale nel momento in cui lo sottoscrive.
2.2 Innanzi tutto va ricordato che la nozione di atto pubblico comprende indubbiamente un’ampia estensione tipologica di scritti, includendovi anche gli atti non previsti tassativamente dalla legge come tali. Essenziali rimangono pero’ i presupposti della provenienza dell’atto da un pubblico ufficiale, della formazione dell’atto per uno scopo inerente alle funzioni svolte dal predetto e del contributo fornito dall’atto ad un procedimento della pubblica amministrazione (ex multis Sez. 5, n. 43737 del 27 settembre 2012, Dalla Zeta, Rv. 254520).
2.3 Cio’ premesso deve osservarsi che i certificati di esecuzione dei lavori (CEL) rilasciati dai committenti privati e controfirmati dal direttore dei lavori cui si riferiscono sono espressamente configurati dal regolamento di esecuzione del Decreto Legislativo n. 163 del 2006, (e ancor prima da quello della Legge n. 109 del 1994), la cui allegazione alla richiesta di attestazione per la qualificazione SOA ha il fine di documentare il possesso da parte del richiedente di alcuni dei requisiti tecnici previsti dallo stesso decreto per il rilascio della suddetta attestazione.
2.4 Il fatto che tale documento sia configurato da norme di diritto pubblico e che il suo rilascio si inserisca in una procedura dalle stesse disciplinata non sono peraltro ragioni sufficienti per conferirgli dignita’ di atto pubblico e, come detto, per attribuire al professionista che lo sottoscrive la qualifica di pubblico ufficiale. Ed infatti nessuna delle norme menzionate rivela una volonta’ in tal senso da parte del legislatore. Anzi, nel “privatizzare” la procedura di qualificazione degli appaltatori di lavori pubblici lo stesso legislatore ha specificamente indicato quali attivita’ della sequenza procedi menta le possano considerarsi espressione dell’esercizio di funzioni di natura pubblicistica, com’e’ nel caso di quella di attestazione svolta dalle SOA, nel quale il citato Decreto Legislativo n. 163 del 2006, articolo 40, comma 3, giunge addirittura a precisare che, nell’ipotesi di rilascio di false attestazioni, trovino applicazione gli articoli 476 e 479 c.p..
2.5 Nella sostanza il CEL e’ atto rilasciato dal privato che documenta l’entita’ e la corretta esecuzione di lavori eseguiti nel suo esclusivo interesse, assumendo la funzione di una “referenza” sulla professionalita’ dell’appaltatore, termine con il quale il certificato e’ peraltro implicitamente evocato gia’ nel comma 9 del citato articolo 40 del Codice degli appalti. Va poi osservato come sia il Decreto del Presidente della Repubblica n. 34 del 2000 (vigente all’epoca dei fatti), sia il Decreto del Presidente della Repubblica n. 207 del 2010, che ne ha successivamente assorbito i contenuti in alcuna delle loro disposizioni attribuiscano al CEL valenza fidefaciente, attribuendo invece alle SOA ampi poteri/doveri di verifica sulla attendibilita’ della documentazione presentata dal richiedente l’attestazione di qualificazione. Piu’ in generale ne’ il committente che rilascia il CEL, ne’ il direttore dei lavori che attesta la veridicita’ dei dati in esso contenuti, svolgono una funzione pubblica preordinata alla formazione della volonta’ della Pubblica Amministrazione, ma si limitano a rilasciare all’esecutore dei lavori una mera dichiarazione che si inserisce nella sequenza procedimentale solo a seguito di un atto di volonta’ di quest’ultimo. Del resto l’eventuale rifiuto – ancorche’ eventualmente ingiustificato – di corrispondere alla richieste dell’appaltatore non solo non trova nella normativa di riferimento alcuna sanzione, ma nemmeno forme di surrogazione da parte dell’autorita’ al privato.
2.6 In realta’ il CEL e’ atto rilasciato dal committente e certificato dal direttore dei lavori, il quale esercita un servizio di pubblica necessita’ nel momento in cui attesta la regolarita’ dei lavori eseguiti dall’appaltatore. L’eventuale falsita’ di tale attestazione assume dunque diretta rilevanza penale esclusivamente nei limiti di cui all’articolo 481 c.p., e cioe’ solo nel caso del falso ideologico. Fattispecie a cui non puo’ essere ricondotta la falsita’ materiale contestata nel capo A) e che comunque non potrebbe essere ascritta al privato non esercente il suddetto servizio di pubblica necessita’ non essendo il citato articolo 481 richiamato dal successivo articolo 482 c.p..
2.7 La sentenza deve dunque essere annullata senza rinvio limitatamente alla condanna dell’imputato per il reato di cui al capo A), perche’ il fatto non sussiste.
3. Nuovamente infondati sono invece il decimo ed undicesimo motivo.
3.1 Il fatto imputato nel capo B) e’ quello di aver posto in essere atti idonei ed inequivocabilmente diretti ad ingannare il pubblico ufficiale addetto al rilascio dell’attestazione SOA circa il possesso da parte della (OMISSIS) s.r.l. (la societa’ di cui il (OMISSIS) era amministratore) dei requisiti richiesti dalla legge per ottenere la medesima, inducendolo cosi’ ad adottare l’atto medesimo attestando implicitamente circostanze non corrispondenti al vero.
3.2 La condotta contestata (nella forma del tentativo) e’ dunque quella del falso ideologico commesso per induzione dal pubblico ufficiale in atto pubblico, punito dal combinato disposto dagli articoli 48 e 479 c.p., e pacificamente configurabile anche quando l’autore “mediato” sia un privato, non rilevando in proposito quanto stabilito dall’articolo 482 c.p., il cui diversa funzione e’ quella di estendere la punibilita’ – mediante la previsione di autonomi titoli di reato – di solo alcune fattispecie di falso in atto pubblico qualora la condotta tipica venga posta in essere dal privato anziche’ dal pubblico ufficiale.
3.3 Nel caso di specie, dunque, oggetto di contestazione al (OMISSIS) non e’ di aver confezionato un atto pubblico ideologicamente falso – condotta che effettivamente non e’ tipizzata da alcuna norma incriminatrice se si eccettua l’ipotesi disciplinata dall’articolo 483 c.p., nel caso in cui al privato sia demandato il compito o la facolta’ di determinare il contenuto dell’atto pubblico mediante una propria attestazione di un fatto -, ma di aver indotto il pubblico ufficiale a farlo. Si ribadisce, dunque, che la fattispecie e’ quella tipizzata dall’articolo 479 c.p., (come del resto espressamente previsto dal Decreto Legislativo n. 163 del 2006, articolo 40, comma 3), del quale il privato e’ chiamato a rispondere in qualita’ di autore mediato in ragione della tipizzazione della condotta di induzione da parte dell’articolo 48 dello stesso codice, la quale estende la punibilita’ per un reato proprio del pubblico ufficiale anche al privato, operando in maniera analoga all’articolo 110 c.p., per il caso del concorso dell’extraneus.
3.4 Non di meno alcun dubbio puo’ sussistere sulla configurabilita’ del tentativo di falso ideologico per induzione, come chiarito dalla costante giurisprudenza di questa Corte in tal senso (ex multis Sez. 5, n. 38226 del 24 giugno 2008, Yanez, Rv. 241313).
3.5 E’ poi vero, come prospettato dal ricorrente, che nel caso di specie, nel capo d’imputazione, e’ stato formalmente indicato, ai fini della qualificazione giuridica del fatto, anche l’articolo 482 c.p., ma tale indicazione normativa non trova riscontro nella successiva descrizione della condotta imputata, talche’ deve ritenersi frutto di un mero refuso o comunque di un errore di interpretazione della legge penale inidoneo a viziare l’imputazione medesima, atteso che l’oggetto della contestazione e’ chiaramente definito e non v’e’ stata, conseguentemente, alcuna lesione del diritto di difesa.
3.6 Correttamente dunque la Corte distrettuale ha ritenuto che l’imputato abbia commesso il reato in questione e non gia’ quello di cui all’articolo 483 c.p., non rilevando il dedotto difetto di motivazione della sentenza sul punto atteso che il vizio di motivazione denunciabile nel giudizio di legittimita’ e’ solo quello attinente alle questioni di fatto e non anche di diritto, giacche’ ove queste ultime, anche se in maniera immotivata o contraddittoriamente od illogicamente motivata, siano comunque esattamente risolte, non puo’ sussistere ragione alcuna di doglianza (Sez. 2, n. 19696 del 20 maggio 2010, Maugeri e altri, Rv. 247123; Sez. Un., n. 155/12 del 29 settembre 2011, Rossi e altri, in motivazione).
3.7 Ne’ influisce sulla rilevanza e sulla qualificazione giuridica del fatto la circostanza che non sia stato invece ritenuto configurabile il reato contestato al capo A), atteso che una volta correttamente riconosciuta dalla Corte distrettuale la materiale falsificazione del CEL, la sua successiva utilizzazione ai fini del conseguimento dell’attestazione SOA e’ certamente condotta fraudolenta idonea a trarre in inganno i funzionar della societa’ di qualificazione in ordine al possesso da parte dell’impresa dell’imputato dei requisiti per ottenerne il rilascio.
4. Il dodicesimo motivo rimane assorbito, giacche’, a seguito dell’annullamento senza rinvio della sentenza in riferimento al reato di cui al capo A), la stessa deve essere comunque annullata con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Brescia per la conseguente rimodulazione del trattamento sanzionatorio.
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