La massima
L’omessa indicazione delle modalità di calcolo degli interessi rende nulla la cartella esattoriale quando l’operato dell’ufficio diviene ricostruibile solo attraverso difficili indagini dovute alla vetustà della questione, che non competono al contribuente, il quale vede, così, violato il suo diritto di difesa
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Sentenza 21 marzo 2012, n. 4516
Svolgimento del processo
R.V. ha impugnato la cartella di pagamento con la quale l’Ufficio di Padova ha iscritto a ruolo le somme portate da un avviso d’accertamento, ormai definitivo, relativo all’anno 1983, oltre interessi. Il ricorso è stato accolto dalla CTP di Padova, decisione che su duplice, analoga, impugnazione di Equitalia Polis S.p.A. è stata riformata dalla CTR del Veneto, che, con distinte sentenze di identico contenuto (n. 18/7/2010 e 19/7/2010), depositate entrambe il 23.2.2010, ha ritenuto che: 1) la mancata sottoscrizione ed indicazione del responsabile del procedimento non invalidava la cartella, in quanto emessa prima che l’art. 36 bis, co 4 ter, del DL n. 248 del 2007, con disposizione innovativa, sanzionasse di nullità tale omissione; 2) l’omessa indicazione delle modalità di calcolo degli interessi, riportati solo nel totale, violava il diritto di difesa del contribuente e rendeva in parte qua illegittima la cartella.
Per la cassazione di tali sentenze, hanno proposto autonomi ricorsi l’Agenzia delle Entrate ed il V. La Società Equitalia ha resistito con controricorso in quelli proposti dal contribuente, che, a sua volta, ha presentato controricorso in quelli proposti dall’Agenzia e, successivamente, ha depositato memoria.
Motivi della decisione
1. In via preliminare, va disposta la riunione del ricorso n. 10296 del 2011 a quello recante il n. 9968 del 2011, nonché la riunione del ricorso n 10925 del 2011 a quello recante il n. 9882 del 2011, perché proposti contro le stesse sentenze (rispettivamente, la n. 19/7/2010 e n. 18/7/2010); inoltre, va disposta la riunione dei ricorsi riuniti sotto il n. 9882 del 2011 a quelli riuniti sotto il n. 9968 del medesimo anno, in quanto volti a censurare, sulla scorta di identici motivi, due sentenze di analogo contenuto rese a seguito della duplicazione degli appelli proposti avverso un’unica decisione di primo grado.
2. Con l’unico motivo dedotto, l’Agenzia delle Entrate, denuncia che, nell’annullare la cartella esattoriale nella parte relativa agli interessi, la CTR ha violato gli artt. 7 della L. n. 212 del 2000, 3 della L. n. 241 del 1990 e 20 del dPR n. 602 del 1973, per non aver tenuto conto che la cartella esattoriale non necessitava di alcuna specifica motivazione, essendo stata notificata a seguito del passaggio in giudicato di una sentenza, divenuta definitiva, pronunciata nei confronti del contribuente, che era, dunque, ben consapevole delle ragione sottese alla sua emanazione. Cosi opinando, prosegue la ricorrente, i giudici d’appello hanno disatteso il principio secondo cui la cartella esattoriale notificata a seguito di accertamenti divenuti definitivi non necessita di alcuna motivazione, a maggior ragione “nella parte relativa al calcolo degli interessi disciplinato puntualmente dall’art. 20 DPR n. 602/73”.
3. 3.1 Col primo motivo, del ricorso incidentale, il V. , deducendo violazione degli artt. 112 e 132 cpc, 1, 2 co, e 36 del D. Lgs. n. 546 del 1992, in relazione all’art. 360, 1 co, n. 3, 4 e 5 cpc, lamenta che la CTR ha ritenuto legittima la cartella esattoriale perché relativa a ruoli consegnati prima dell’1.6.2008, data di entrata in vigore dell’art. 36 bis, co 4 ter, del DL n. 248 del 2007, omettendo di esaminare la questione, da lui sollevata, dell’annullabilità della cartella stessa per la mancata indicazione del responsabile del procedimento, imposta dall’art. 7 della L. n. 212 del 2000.
3.2. Col secondo motivo, il contribuente, deduce, ex art. 360, 1 co, n. 5 cpc, che, nell’affermare legittimo l’operato del concessionario, i giudici d’appello non hanno tenuto conto delle plurime, decisive, argomentazioni da lui sollevate col ricorso introduttivo e riproposte in appello, ed hanno, inoltre, operato un “salto logico” nel ritenere che tale legittimità derivava dall’inapplicabilità ratione temporis della sanzione di nullità, di cui al disposto dell’art. 36 bis, co 4 ter, del DL n. 248 del 2007 ritenuto legittimo dalla Corte Cost. (sent. n. 58 del 2009), argomento che, però, non teneva conto che le forme di illegittimità degli atti distinguono la nullità dall’annullabilità, e che tale sanzione non richiede previsione espressa.
3.3. Col terzo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 7, co 2, della L. n. 212 del 2000, in relazione all’art. 360, 1 co, n. 3 cpc, il ricorrente lamenta che la CTR ha ritenuto legittima la cartella nonostante la mancata indicazione del responsabile del procedimento, obbligo tassativo, imposto dalla legge allo scopo di assicurare la trasparenza dell’attività amministrativa, la piena informazione del cittadino, la garanzia del diritto di difesa, nonché il buon andamento e l’imparzialità della pubblica Amministrazione.
3.4. Col quarto motivo, il contribuente solleva, in via subordinata, eccezione d’illegittimità costituzionale dell’art. 36 co, 4 ter, del DL n. 248 del 2007 in relazione all’art. 3, 24 e 97 Cost. ed ai principi affermati con l’ordinanza della Corte Cost. n. 377 del 2007.
4. I primi tre motivi del ricorso incidentale che vanno esaminati con priorità e congiuntamente, in quanto addebitano alle sentenze impugnate – sotto i profili dell’error in procedendo, del vizio di motivazione e della violazione di legge – il mancato accoglimento dell’eccezione d’annullamento della cartella esattoriale, sono inammissibili i primi due ed infondato il terzo.
4.1. In base alla giurisprudenza di questa Corte (vedi Cass. n. 5251/2007, n. 10696/2007), per la configurabilità del vizio di omessa pronuncia non è sufficiente la mancanza di una espressa statuizione del giudice, ma è, invece, necessario che sia completamente omesso il provvedimento, in tesi, indispensabile in riferimento alla soluzione del caso concreto, condizione che non si verifica quando la decisione adottata, in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte, ne comporti una statuizione implicita di rigetto. In applicazione di tale principio, la valutazione in termini di legittimità dell’operato del concessionario, da parte della Commissione Tributaria Regionale, contiene, dunque, la statuizione implicita di rigetto dell’eccezione d’invalidità, sub specie annullabilità, della cartella esattoriale.
4.2. Il dedotto vizio motivazionale è del pari inammissibile: trattandosi di omessa motivazione su questioni in diritto, l’omissione è irrilevante ai fini della cassazione della sentenza, soccorrendo, in tal caso, il potere di questa Corte di procedere alla sostituzione, correzione o integrazione della sentenza impugnata di cui all’art. 384 cpc, sempreché il giudice del merito sia pervenuto alla soluzione giuridicamente corretta.
4.3. La violazione di legge, dedotta col motivo 3.3), è, invece, insussistente. Va premesso che l’art. 7 della L. n. 212 del 2000, pur qualificando “tassativo” l’obbligo dell’indicazione del responsabile del procedimento negli atti dell’Amministrazione finanziaria e dei concessionari della riscossione, non precisa, in alcun modo, la sanzione connessa alla sua violazione. È pacifico, poi, costituendo lo stesso presupposto logico dei motivi, che, nella specie – trattandosi, come si legge nel ricorso, di cartella di pagamento notificata il 23.1.2006 -, non può trovare applicazione l’art. 36, co 4-ter, del DL n. 248 del 2007, convertito, con modificazioni, nella L n. 31 del 2008, che ha tra l’altro, sanzionato con la nullità l’omessa indicazione del responsabile del procedimento di iscrizione a ruolo, solo in relazione alle cartelle riferite ai ruoli consegnati agli agenti della riscossione a decorrere dal 1.6.2008. Occorre, dunque, far riferimento ai principi generali in tema di annullabilità degli atti amministrativi, più volte richiamati dallo stesso ricorrente incidentale nell’invocare la sanzione dell’annullamento della cartella per la violazione di legge, in quanto “provvedimento emesso contra legem (nello specifico contra l’art. 7, secondo comma della L. 212/2000)”. L’applicazione di tali principi conduce ad escludere che il denunciato vizio possa comportare la caducazione della cartella esattoriale. L’art. 21-octies, della L. n. 241 del 1990, introdotto con l’art. 14, co 1 della L. n. 15 del 2005 (unitamente all’intero Capo IV-bis dal titolo “Efficacia ed invalidità del provvedimento amministrativo, Revoca e recesso”), dopo aver ribadito, al primo comma, che il provvedimento amministrativo è annullabile se “adottato in violazione di legge o viziato da eccesso di potere o da incompetenza”, ha disposto per quanto qui interessa, al secondo comma, che “non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”. In base a tale norma, la cui ratio va ravvisata nell’intento di sanare, con efficacia retroattiva, tutti gli eventuali vizi procedimentali non influenti sul diritto di difesa, va, dunque, esclusa l’annullabilità di un provvedimento di natura vincolata, per la violazione delle norme del procedimento, in ragione dell’inidoneità dell’intervento dei soggetti, ai quali è riconosciuto un interesse, ad interferire sul suo contenuto (cfr. Cass. SU 14878 del 2009). Nella specie, ricorre tale caso, tenuto conto che la cartella esattoriale, prevista dall’art. 25 del dPR n. 602 del 1973, ha sicuro contenuto vincolato, essendo il documento di riscossione degli importi contenuti nei ruoli, da predisporre secondo il modello approvato con decreto del Ministero delle finanze, che deve contenere l’intimazione ad adempiere l’obbligo risultante dal ruolo e l’avvertimento che, in mancanza, si procederà ad esecuzione forzata (come si è detto, la novella di cui all’art. 36, co 4-ter, cit. relativo all’obbligo di indicazione del responsabile del procedimento, sanzionato con la nullità non è applicabile ratione temporis). Resta da aggiungere che il carattere generale della disposizione di cui all’art. 21-octies della L. n. 241 del 1990, non ne comporta, contrariamente a quanto sostenuto nel ricorso, l’inapplicabilità al caso specifico degli atti del settore tributario, tenuto conto che: a) la disposizione di cui all’art. 7 dello Statuto del contribuente in commento costituisce una norma minus quam perfecta, essendo, come si è esposto, priva di sanzione, ragion per cui la valutazione della legittimità degli atti non può che esser effettuato alla luce dei precetti generali, proprio quelli, del resto, invocati dal ricorrente; b) l’assunto secondo cui la violazione dell’obbligo di indicazione del responsabile del procedimento inciderebbe “direttamente su diritti costituzionali del destinatario” è smentita dalla Corte Cost. che, con la citata sent. n. 58 del 2009, ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 36, co 4-ter, del DL n. 248 del 2007 convertito, con modificazioni, dalla L. n. 31 del 2008, sollevata con riferimento agli artt. 3, 23, 24, 97 e 111 Cost. La Corte, richiamando la propria ordinanza n. 377 del 2007, ha, bensì, affermato che l’art. 7, co 2, della L n. 212 del 2000 è volto ad assicurare la trasparenza amministrativa, l’informazione del cittadino e il suo diritto di difesa, ma ha escluso che la natura innovativa dell’art. 36, co 4-ter citato violi i parametri costituzionali indicati, non mancando di ribadire che le previsioni della L n. 212 del 2000 non hanno rango costituzionale, neppure come norme interposte (ord. n. 41 del 2008, n. 180 del 2007 e n. 428 del 2006). In altri termini per i ruoli consegnati prima del 1.6.2008 la mancata indicazione del responsabile del procedimento è sottoposta al regime pregresso, senza che ciò comporti alcun vulnus per i diritti dei cittadini in riferimento ai precetti costituzionali richiamati.
4.4. Il dubbio di incostituzionalità dell’art. 36, co 4-ter, del DL n. 248 del 2007 convertito, con modificazioni, dalla L. n. 31 del 2008, sollevato, in subordine, dal ricorrente incidentale con riferimento agli artt. 3, 24 e 97 Cost. ed all’ordinanza n. 377 del 2007 della Corte Cost. è, in parte, manifestamente infondato ed in parte inammissibile: la questione della non retroattività della sanzione di nullità, introdotta con la norma censurata, è stata, infatti, oggetto di scrutinio da parte della Corte Cost., che la ha rigettata con la citata sentenza n. 58 del 2009 (ribadita con le successive ordinanze n. 291 e 221 del 2009) con la quale è stato, peraltro, sconfessato, proprio, il presupposto da cui muove il ricorrente e, cioè, che la disposizione impugnata, comporti implicitamente una “sanatoria per gli atti anteriori”, dato che la sanzione della nullità per l’omessa indicazione nelle cartelle del responsabile del procedimento non era prevista dal diritto anteriore. Per converso, in riferimento alla questione dell’annullabilità, quale effetto “meno grave” della violazione dell’art. 7 della L. n. 212 del 2000, il dubbio di costituzionalità non ha motivo di porsi in relazione alla norma di cui all’art. 36, co 4-ter indicata dal contribuente, in quanto tale disposizione commina la nullità per la predetta violazione a decorrere dal 1.6.2008, e non regola affatto la sanzione in ipotesi di cartelle consegnate, quale quella qui in rilievo, prima della predetta data.
5. Il motivo del ricorso dell’Agenzia è inammissibile. I giudici d’appello, dopo aver rilevato che l’indicazione “degli atti presupposti” poteva esser considerata sufficiente, perché intelligibile per il contribuente, hanno considerato che “nella cartella viene riportata solo la cifra globale degli interessi dovuti, senza essere indicato come si è arrivati a tale calcolo, non specificando le singole aliquote prese a base delle varie annualità che nella fattispecie, vale sottolinearlo, essendo l’accertamento riferito all’anno d’imposta 1983, sono più di 23 anni calcolati”, ed hanno ritenuto, perciò, che l’operato dell’ufficio era ricostruibile “attraverso difficili indagini dovute anche alla vetustà della questione” che non competevano al contribuente che vedeva, così, violato il suo diritto di difesa. Tale ratio decidendi, secondo cui il computo degli interessi è criptico e non comprensibile anche in ragione del lungo periodo considerato, non è incisa né dalle considerazioni svolte dalla ricorrente a proposito della non necessità della motivazione della cartella derivante da una sentenza passata in giudicato (principio, peraltro, affermato dalla CTR, in riferimento ai “presupposti”) né dal solo richiamo all’art. 20 del dPR n. 602 del 1973, venendo in rilievo non la spettanza degli interessi, ma, proprio, il modo con cui è stato calcolato il totale riportato nella cartella. Il motivo, privo di specifica attinenza al decisum, va, quindi, dichiarato inammissibile, in conformità con la giurisprudenza di questa Corte, secondo cui i motivi per i quali si richiede la cassazione devono presentare, a pena, appunto, d’inammissibilità, i caratteri di specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata (Cass. n. 17125 del 2007, che fa riferimento al paradigma normativo di cui all’art. 366, 1 co, n. 4 cpc).
6. In considerazione della reciproca soccombenza, le spese vanno interamente compensate tra le parti.
P.Q.M.
La Corte, riunisce i ricorsi e li rigetta. Spese compensate.
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