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Se poi l’annullamento della misura cautelare reale fosse stata giustificata in considerazione dell’assenza di prova in ordine al quantum del profitto conseguito attraverso la costituzione del sodalizio criminoso e tramite il trasporto illecito dei prodotti energetici sottoposti ad accisa, la regola di giudizio, in fase cautelare, non muta, nel senso che, per l’applicazione della cautela, non e’ richiesto che il profitto del reato sia precisamente determinato ma e’ sufficiente che, sulla base di criteri oggettivi e concreti tenuto conto di tutte le evidenze disponibili, sia quantomeno determinabile, anche facendo uso della prova indiziaria e fermo restando che sul giudice incombe, anche nel corso del procedimento cautelare, un rigoroso onere di motivazione in proposito.
Sul punto, scrutinando una questione analoga, la Corte ha gia’ affermato che il delitto di associazione per delinquere (configurato, per altro, anche con riferimento alla presente regiudicanda cautelare) e’ idoneo a realizzare profitti illeciti sequestrabili – ai fini della successiva confisca per equivalente nei casi espressamente previsti dalla legge (nella specie L. 16 marzo 2006, n. 146, ex articolo 11) – in via del tutto autonoma rispetto a quelli conseguiti attraverso i reati-fine perpetrati in esecuzione del programma di delinquenza e la cui esecuzione e’ agevolata dall’esistenza di una stabile struttura organizzata e dal comune progetto criminale, con la precisazione che la determinazione del profitto confiscabile corrisponde alla sommatoria dei profitti conseguiti dall’associazione nel suo complesso per effetto della consumazione dei singoli reati – fine, che vanno pertanto accertati e attribuiti, sia pure nelle forme provvisorie tipiche della fase cautelare, ad uno o piu’ associati (anche, se del caso, ignoti) e di tale profitto, in uno ai coimputati, ogni associato e’ chiamato a rispondere dal momento in cui ha aderito alla societas sceleris, senza che cio’ possa comportare una duplicazione, anche parziale, del profitto confiscabile. A questo proposito e’ stato anche precisato che – qualora si ricorra, per la determinazione del profitto confiscabile, a calcolare le imposte evase in via presuntiva o indiziaria – e’ necessario che il (OMISSIS) cautelare dia espressamente conto dei criteri utilizzati per il relativo calcolo, che devono pertanto essere oggetto di specifica indicazione (Sez. 3, n. 26721 del 04/03/2015, Montella, Rv. 263945 e in motiv.).
Sotto tale aspetto, le ordinanze impugnate risultano viziate per violazione di legge, laddove erroneamente applicano alla regiudicanda cautelare regole di giudizio estranee alla fase incidentale di riferimento e laddove, limitandosi ad affermare la mancanza di prova circa il quantum, difettano in maniera assoluta di motivazione sull’eventuale sindacato circa i criteri di calcolo utilizzati per la determinazione del profitto confiscabile, perche’ delle due l’una: o il giudice cautelare, pur in mancanza di sequestri del prodotto illecitamente commerciato, ha proceduto a determinare, in maniera logica ed adeguata, il profitto confiscabile (sulla base, ad esempio, della concludenza delle conversazioni intercettate, della verifica del trasporto effettuato, del mezzo utilizzato, della quantita’ di prodotto accertata sulla base di viaggi diversi ma conclusi con il sequestro del prodotto stesso) e, allora, la giustificazione della cautela deve ritenersi immune da qualsiasi rilievo ai fini cautelari oppure ha determinato il profitto confiscabile in maniera illogica e senza tenere conto di tutte le evidenze disponibili e, allora, la misura cautelare non puo’ ritenersi legittimante emanata.
Essendo pertanto fondati, nei termini in precedenza precisati, i primi due motivi di gravame, le ordinanze impugnate devono essere annullate affinche’ il (OMISSIS) di rinvio, tenuto conto che il profitto confiscabile puo’ essere tanto determinato quanto determinabile, proceda alle necessarie verifiche le quali, richiedendo accertamenti di merito, sono precluse nel giudizio di legittimita’.
3. Quanto al terzo motivo di impugnazione che attinge la sola posizione di (OMISSIS), va ricordato che la L. 16 marzo 2006, n. 146, articolo 11, rubricato “ipotesi speciali di confisca obbligatoria e confisca per equivalente”, prevede che, “per i reati di cui all’articolo 3 della presente legge, qualora la confisca delle cose che costituiscono il prodotto, il profitto o il prezzo del reato non sia possibile, il giudice ordina la confisca di somme di denaro, beni od altre utilita’ di cui il reo ha la disponibilita’, anche per interposta persona fisica o giuridica, per un valore corrispondente a tale prodotto, profitto o prezzo”.
L’articolo 3, lettera d), richiamato dal suddetto articolo 11, nel definire, poi, la nozione di reato transnazionale, considera tale il “reato punito con la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni”, in cui “sia coinvolto un gruppo criminale organizzato”, quando, tra l’altro, “sia commesso in uno Stato ma abbia effetti sostanziali in un altro Stato”. Infine, il successivo articolo 4, comma 1, prevede che “per i reati puniti con la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni nella commissione dei quali abbia dato il suo contributo un gruppo criminale organizzato impegnato in attivita’ criminali in piu’ di uno Stato la pena e’ aumentata da un terzo alla meta’”.
Nell’interpretare il complesso di tali disposizioni, la Corte, nella sua piu’ autorevole composizione, ha chiarito che “la transnazionalita’ non e’ un elemento costitutivo di un’autonoma fattispecie di reato, ma un predicato riferibile a qualsiasi delitto, a condizione che sia punito con la reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni, sia riferibile ad un gruppo criminale organizzato, anche se operante solo in ambito nazionale e ricorra, in via alternativa, una delle seguenti situazioni: a) il reato sia commesso in piu’ di uno Stato; b) il reato sia commesso in uno Stato, ma con parte sostanziale della sua preparazione, pianificazione, direzione o controllo in un altro Stato; c) il reato sia commesso in uno Stato, con implicazione di un gruppo criminale’ organizzato impegnato in attivita’ criminali in piu’ di uno Stato; d) il reato sia commesso in uno Stato, con produzione di effetti sostanziali in altro Stato” (Sez. U., n. 18374 del 31/01/2013, Adami, Rv. 255038), precisando che il riconoscimento del carattere transnazionale non comporta alcun aggravamento di pena, ma produce gli effetti sostanziali e processuali previsti dalla L. n. 146 del 2006 agli articoli 10, 11, 12 e 13.
Ne consegue che, per l’adozione della misura cautelare del sequestro finalizzato alla confisca per equivalente prevista dalla L. n. 146 del 2006, articolo 11, e’ sufficiente che sia contestata e configurabile la condizione di transnazionalita’ del delitto per cui si procede – come definita dall’articolo 3 della medesima legge – proprio perche’ la transnazionalita’ non rappresenta un elemento costitutivo di una autonoma fattispecie di reato, ma un predicato riferibile a qualsiasi delitto che abbia i requisiti indicati dalla precedente disposizione normativa, sicche’ non e’ necessario che sia contestata e ricorra la speciale aggravante della transnazionalita’, di cui alla cit. L. n. 146, articolo 4, comma 1, costituendo tale circostanza soltanto uno degli eventuali sintomi del carattere transnazionale del delitto (Sez. 3, n. 25821 del 04/02/2016, Rombi, Rv. 267010; Sez. 5, n. 31687 del 31/10/2014, Magnoni, Rv. 264981), per la cui configurabilita’ occorre che la commissione del reato sia stata determinata o anche solo agevolata, in tutto o in parte, dall’apporto di un gruppo criminale organizzato, distinto da quello cui e’ riferibile il reato, impegnato in attivita’ illecite in piu’ di uno Stato (cfr. Sez. U., n. 18374 del 31/01/2013, Adami, cit.).
Per tale ragione, l’insussistenza dell’aggravante ad effetto speciale, di cui alla L. n. 146 del 2006, articolo 4, comma 1, non impedisce l’adozione del vincolo reale ove il delitto per cui si procede sia comunque caratterizzato dalla condizione di transnazionalita’, come definita alla luce del precedente articolo 3.
In tale quadro, il Tribunale ha correttamente affermato che la presenza del gruppo criminale organizzato e’ indispensabile per la configurazione dell’aggravante ma e’ anche presupposto dell’attributo della transnazionalita’, aggiungendo, in conformita’ a quanto ritenuto dal Gip e in aderenza all’insegnamento della Corte (Sez. 3, n. 23896 del 19/04/2016, Gonzales, Rv. 267440) che “di gruppo (criminale, n.d.r.) si puo’ parlare solo quando si sia in presenza di “una organizzazione, seppur minimale” non occasionale ne’ estemporanea caratterizzata da una certa “stabilita’ dei rapporti tra gli adepti”, finalizzata “alla realizzazione anche di un solo reato” (e qui sta il distinguo col reato associativo di cui all’articolo 416 c.p.) “e al conseguimento di un vantaggio finanziario comunque materiale”” ed altresi’ ritenendo che “tali caratteristiche evidentemente non si rinvengono nelle ipotesi contestate ai capi 4 e 5, atteso che ivi si delinea un quadro di collaborazione tra soggetti posti in conflitto di interessi (alienanti, acquirenti e intermediari che favorivano l’incontro) che si compongono in ambito contrattuale e che, di conseguenza, pur qualche volta con l’obiettivo comune di lucrare indebitamente vantaggi patrimoniali consistenti nella elusione o evasione fiscale, sono destinati ad incontrarsi finche’ ciascuno di essi non individui interlocutori commerciali piu’ affidabili e convenienti. Piu’ che di stabile collaborazione, dunque, si configura un pactum sceleris (anche se con effetti reiterati) che, giuridicamente parlando, si qualifica in termini di mero concorso ai sensi dell’articolo 110 c.p.”.
Nel pervenire a tale conclusione, il tribunale cautelare ha tuttavia ancorato, come fondatamente lamenta l’Ufficio ricorrente, l’elemento costituito dall’esistenza di un “gruppo criminale organizzato” alla presenza di una stabile organizzazione che invece non e’ richiesta per l’integrazione della fattispecie declinata dalla L. n. 146 del 2006, articolo 3 e che costituisce indice diverso (ed ulteriore) rispetto alla stabilita’ dei rapporti fra gli adepti (dovendo i concorrenti nel reato essere partecipi non di un’associazione per delinquere che una stabile organizzazione, sia pure tendenziale, richiede – ma di un gruppo criminale che, invece, puo’ prescindere da una stabile organizzazione esigendo soltanto una stabilita’ di rapporti tra i compartecipi), tacendo del tutto in ordine all’esistenza e alla consistenza di un tale requisito (se cioe’ vi fosse o meno una stabilita’ di rapporti fra gli adepti, come pure lo stesso Tribunale si era fatto carico di precisare) ed incorrendo pertanto nel vizio di violazione di legge denunciato per omessa motivazione su un punto decisivo del tema cautelare, vizio che pure deve essere rimosso dal (OMISSIS) del rinvio sulla base del principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite della Corte secondo il quale il gruppo criminale organizzato, cui fanno riferimento la L. n. 146 del 2006, articoli 3 e 4, e’ configurabile, secondo le indicazioni contenute nell’articolo 2, punti a) e c) della Convenzione delle Nazioni unite contro il crimine organizzato del 15 novembre 2000 (cosiddetta convenzione di Palermo), in presenza dei seguenti elementi: a) stabilita’ di rapporti fra gli adepti; b) minimo di organizzazione senza formale definizione di ruoli; c) non occasionalita’ o estemporaneita’ della stessa; d) costituzione in vista anche di un solo reato e per il conseguimento di un vantaggio finanziario o di altro vantaggio materiale, avuto riguardo al fatto che il gruppo criminale organizzato e’ certamente un “quid pluris” rispetto al mero concorso di persone, ma si diversifica anche dall’associazione a delinquere di cui all’articolo 416 c.p. che richiede un’articolata organizzazione strutturale, seppure in forma minima od elementare, tendenzialmente stabile e permanente, una precisa ripartizione di ruoli e la pianificazione di una serie indeterminata di reati (Sez. U, n. 18374 del 31/01/2013, cit., Rv. 255034).
4. Ne’ sono fondate le eccezioni mosse dagli indagati dirette a denunciare l’inammissibilita’ dei ricorsi del pubblico ministero per avere il ricorrente lamentato vizi della motivazione, sollevando censure precluse nel giudizio di legittimita’ in relazione alle impugnazioni cautelari reali.
Sulla questione sollevata, va ricordato che, in tema di impugnazione di misure cautelari reali, l’omesso esame di punti decisivi per l’accertamento del fatto, sui quali fonda la conferma, la riforma o l’annullamento del provvedimento di sequestro, si traduce in una violazione di legge per mancanza di motivazione, censurabile con ricorso per cassazione ai sensi dell’articolo 325 c.p.p., comma 1 (Sez. 3, n. 28241 del 18/02/2015, Baronio, Rv. 264011).
5. Il quarto motivo deve ritenersi assorbito.
P.Q.M.
Annulla le ordinanze impugnate e rinvia al Tribunale di Udine.
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